FANELLI, Virgilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FANELLI, Virgilio

Adele Condorelli

Figlio dello scultore Francesco e della prima moglie di questo, Lucrezia, di cui presumibilmente era il primogenito essendogli stato imposto il nome del nonno paterno, nacque a Firenze tra il 1600 ed il 1604, prima del trasferimento della famiglia, dal momento che il primo documento noto a Genova è l'atto di battesimo del fratello minore Giovanni Battista, recante la data del 6 ag. 1605, rinvenuto nella chiesa di S. Agnese, dove in seguito furono battezzati gli altri figli di Francesco (Belloni, 1988, p. 19). Della sua attività giovanile non si hanno notizie; ma è indubbio che lavorasse nella fiorente bottega patema con i fratelli Pietro e Giovanni Battista, come si evince da un documento del 1630 riguardante una tassa che sia Francesco sia i figli, suoi lavoranti, dovettero pagare (Belloni, 1988, pp. 20, 22, 269 s.).

Allievo e collaboratore del padre, dal cui ambito culturale non si discostò, ebbe cura di perfezionare la sua perizia tecnica di orafo e scultore in bronzo, innalzandola ad altissimi livelli. Lo Zani (1821, p. 271 n. 15) ne cita la firma "Virgilio Fanelli genovese inventò et fece anno 1631", ma non indica a quale opera si riferisse.

È presumibile che tale notizia sia derivata dall'Oretti (sec. XVIII), che traccia una biografia del F. da valutare con estrema cautela, data la notevole quantità di errori ed imprecisioni di cui è costellata l'opera intera. Questa è, tuttavia, da ritenersi attendibile allorché descrive un tabernacolo d'argento, che si esponeva, per le occasioni solenni, nella chiesa di S. Francesco a Bologna, a forma di tempio, con il Salvatore, s. Francesco, s. Chiara, s. Antonio di Padova, s. Bonaventura, le virtù cardinali, puttini e la firma dell'artefice, così come viene citata nello Zani (1821). L'Oretti aggiunge che questo tabernacolo, con un ostensorio d'argento massiccio di mano del F., valutato più di 2.000 scudi, era stato donato alla chiesa dal padre francescano Bonaventura Bisi. Purtroppo nel 1798 la chiesa di S. Francesco a Bologna fu ridotta a dogana e subì gravissimi danni; quando nel 1842 venne restituita ai padri francescani era ormai spoglia delle opere d'arte che prima l'ornavano.

Destano invece non poche perplessità le notizie dell'Oretti (sec. XVIII) circa un presunto soggiorno del F. a Londra, dove avrebbe gettato in bronzo una statua "la quale rappresentava il Pontefice Clemente VII in atto poco decente, e la fece per ordine d'alcuni di quelli protestanti che erano stati nel grande sconvolgimento di quella città causato dall'indegno re Arrigo VIII" (p. 174). Poiché l'Oretti ignora del tutto Francesco, il padre del F., il quale dopo il 1630 da Genova si era trasferito a Londra, c'è da supporre che abbia fatto confusione, riferendo aneddoti pittoreschi tramandati oralmente dal ramo bolognese della famiglia Fanelli. Il racconto dell'Oretti prosegue così: "Questo valente professore annoiato del vivere inglese si trasferì in Italia e passò a Bologna" (ibid.).

Il F. dovette senz'altro trasferirsi a Bologna con la sua famiglia poiché dagli elenchi battesimali delle chiese di Bologna (Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, ms. B. 866) risulta che il 3 dic. 1643 fu battezzato Andrea, il figlio avuto da Maddalena Barbieri, nato il 30 novembre. Inoltre, nell'Archivio di Stato di Bologna (Assuntoria delle arti) un documento attesta che il F., a partire dall'anno 1644, aveva esercitato il suo mestiere nella ruga degli Orefici, ed in seguito aveva ottenuto la licenza per poter lavorare come orefice e fonditore di metalli tenendo la fucina nella propria casa, che si trovava in via della Nosadella.

È evidente che il successo ottenuto con il tabernacolo per la chiesa di S. Francesco doveva avergli procurato così tante commissioni da indurlo ad aprire una bottega a Bologna, anche per assicurare un avvenire al figlio Francesco, allora sedicenne e già avviato all'arte paterna.

Benché avesse casa a Bologna, il F. continuò a lavorare con i suoi fratelli anche nella bottega genovese. Infatti la fama della raffinata e perfetta fattura delle sue opere era tale che il marchese Giovan Battista Serra, conte di Vilalegre, gentiluomo genovese alla corte spagnola con la funzione di corriere diplomatico per il Ducato di Milano, lo raccomandò vivamente a Filippo IV, il quale aveva inviato al suo emissario il disegno del lampadario per il Panteón dell'Escorial, perché venisse eseguito dal migliore professore che in Italia sapesse lavorare il bronzo (Ceán Bermúdez, 1800, p. 76). Fu così che, per committenza reale, nel 1646 il F. ebbe l'incarico di eseguire la grande lampada di bronzo che tuttora pende dal centro della cupola del Panteón reale dell'Escorial.

Dalla corona degli Asburgo, in alto, si dipartono ventiquattro cornucopie con i ceri, sostenute da angeli, il fusto è adorno di festoni, grottesche e trofei militari; in basso quattro placche a mezzo rilievo con gli evangelisti, ed infine il pendaglio del lampadario, un groviglio di serpenti, che secondo padre Santos (1764, p. 136) stanno ad indicare la prudenza cristiana che deve possedere il cattolico durante la vita per raggiungere la luce nella morte. Dal Libro de quenta y razón (Navarro Franco, 1963, p. 734) risulta che la lampada venne eseguita e dorata a Genova, e che costò, compreso il trasporto, 90.000 reali. Della lampada del Panteón esiste una incisione di Pedro de Villafranca, del 1657, nella Biblioteca nacional di Madrid (El Escorial…, 1985).

Non sappiamo quando il F. si recò in Spagna per montare la sua opera. È presumibile che ciò sia accaduto poco dopo il 29 genn. 1653, allorché fece da padrino al primogenito di suo figlio Francesco, battezzato con il nome di Virgilio.

Il documento, conservato nella parrocchia di S. Siro a Genova, così recita: "Virgilio figlio di Francesco Fanello di Virgilio e di Laura, nato il 26 gennaio del 1653 e battezzato il 29, ebbe padrino Virgilio Fanello di Francesco e madrina Maria Sori Gandolfo" (Alfonso, 1977, p. 60 n. 108).

Il lampadario del Panteón escurialense venne considerato opera di prodigiosa fattura, e le lodi e gli onori tributati al suo artefice furono tali che il F. decise di stabilirsi definitivamente in Spagna. Nel 1655 egli ricevette l'incarico di eseguire il trono per la Vergine del Sacrario, scultura lignea tardoromanica, l'immagine più importante e più venerata della cattedrale di Toledo. Al progetto dell'opera concorsero vari artisti dell'ambiente madrileno, ma al F. ne venne affidata l'esecuzione.

Il trono, considerato il capolavoro dell'oreficeria toledana del XVII secolo, è composto da un ampio ed alto basamento ornato da rilievi finemente cesellati, con angeli musicanti scolpiti a tutto tondo negli angoli smussati. Su di esso si ergono gruppi di colonne corinzie scanalate a sostegno di un arco ribassato, sovraccarico di racemi, raggi di sole e puttini festanti, splendida ed animata aureola intorno alla sacra immagine. Di questo trono abbiamo una descrizione, interessante perché contemporanea all'esecuzione dell'opera: il bolognese Domenico Laffi (1673, pp. 434 s.) nel suo diario di viaggio attraverso Francia e Spagna scrive, alla data 1670, di aver veduto "il trono della Beata Vergine di Toledo, posto nel duomo, quale si fabbrica tuttavia di puro argento, d'altezza di quattr'homini e valerà un tesoro: questo viene lavorato da un peritissimo orefice, chiamato Virgilio Fanelli genovese e già eran sei anni ch'egli intorno v'adoprava i maggiori sforzi dell'arte". L'opera venne portata a compimento, dopo molte dilazioni, intorno al 1676, con la collaborazione del figlio Domenico e dell'orafo madrileno Juan Órtiz de Revilla (Ainaud de Lasarte [1947], p. 116).

Nel 1671 il F. eseguì, in argento sbalzato, la statua di S. Fernando re (alta m 1,42), destinata alla cattedrale di Toledo, dove è custodita nella sala delle reliquie insieme con quella di S. Agostino, che reca nella mano destra un cuore di cristallo con la reliquia, anch'essa opera del Fanelli.

Sempre a Toledo, nella sala del vestiario della cattedrale, si conserva un'acquasantiera in bronzo dorato, il cui fine cesello è dovuto alla mano del Fanelli.

In essa è raffigurata una Sacra Famiglia in un giardino fittamente popolato da angioletti occhieggianti tra i rami di un grande albero che campeggia sullo sfondo come nel bassorilievo in bronzo con Adamo ed Eva nel paradiso terrestre (già coll. Wernher, Luton Hoo, Bedfordshire) eseguito da suo padre Francesco.

Ceán Bermúdez (1800) attribuisce al F. anche gli ornamenti bronzei dell'altare maggiore della chiesa dei cappuccini a Toledo e un crocifisso d'argento con altre figure nella chiesa di S. Maria a Casarrubios Del Monte.

Il F. morì a Toledo, dove in quel tempo lavorava, il 18 genn. 1678.

Il figlio Francesco, nato a Genova nel 1628, era divenuto cittadino bolognese e dai documenti dell'Archivio di Stato di Bologna risulta che egli continuò ad esercitare l'arte del padre e che il 20 ag. 1669 ottenne la licenza di tenere in casa sua "fucina, mantice e altri ordegni necessari al suo mestiere". L'Oretti (XVIII sec., p. 175) scrive che Francesco "disegnava molto bene, applicandosi alla professione dell'orafo e operò in quello ed in getto bellissimi lavori in argento", purtroppo senza specificare quali fossero e dove si trovassero. Sappiamo che Francesco era sposato con Laura Gavorni e che il figlio Virgilio era stato battezzato a Genova nel 1653, a testimonianza che gli stretti legami con la città natale non si erano mai allentati. Francesco morì a Bologna nel 1699 e fu seppellito nella chiesa di S. Martino Maggiore. Sempre secondo l'Oretti "nel libro quarto di detta chiesa sta scritto: 1699, 22 nov. perì ill. Francesco quondam Virgilio Fanelli genovese ma cittadino bolognese di anni 71, argentiere, collador eccellente e marito di Laura Gavorni".

Di GiovanniBattista, bolognese, figlio di Francesco e di lui scolaro, attivo nella prima metà del XVIII secolo, le uniche notizie che abbiamo derivano dai documenti dell'Archivio di Stato di Bologna e da quanto scrive l'Oretti (XVIII sec., p. 185), il quale ci fornisce un elenco delle opere che ritiene degne di lode, pur non arrivando alla perfezione di quelle del padre: "vedesi di sua mano una lampana d'argento ornata di figure e bassi rilievi di modello di Giuseppe Mazza". La lampada veniva esposta nella cappella di S. Antonio di Padova della chiesa di S. Francesco. Fece anche dei candelieri per la chiesa di S. Gabriele e "queste sue opere lo fanno stimare per bravo cesellatore". Nel 1717 coniò una medaglia di bronzo firmata "J.B.F." in memoria della fabbrica dei portici di S. Luca. Lo Zani (1821, p. 191) lo definisce orefice, coniatore di medaglie e monete, bravissimo. Il 28 febb. 1700 Giovanni Battista, "che nella professione d'argentiere e fonditore nelle quali è singolare e fa onore alla città" (Arch. di Stato di Bologna), ottenne dal confaloniere la licenza di poter tenere in casa sua fucina e mantice, ma a questa licenza si oppose il massaro della compagnia degli orefici, il quale riteneva che Giovanni Battista dovesse lavorare nella sua bottega in ruga degli Orefici. La controversia durò circa due anni, e i documenti inerenti, tra i quali il Summarium testium, si conservano presso l'Archivio di Stato di Bologna. Vi è anche una perizia medica, effettuata su richiesta dello stesso Giovanni Battista, in data 1° dic. 1701 da cinque insigni dottori in medicina, secondo i quali il loro paziente, se avesse continuato a fondere metalli "in loco arto et restricto", a causa delle esalazioni d'arsenico mercuriale e sulfureo, in breve tempo sarebbe andato incontro all'apoplessia ed alla morte. Dalle dichiarazioni dei testimoni apprendiamo che Giovanni Battista abitava nella casa un tempo appartenuta al padre Francesco, dinnanzi al palazzo Bentivoglio, e che il senatore Bentivoglio mentre era confaloniere aveva concesso al padre Francesco una licenza perpetua, segno evidente della fama e del prestigio di cui godeva la bottega bolognese dei Fanelli.

Secondo Bulgari appartengono a Giovanni Battista due bolli (1974, p. 165 nn. 2493 e 2494): il primo rilevato su un calice custodito nella chiesa parrocchiale di Bondanello, il secondo su di un altro calice, di cui non viene indicata l'ubicazione, forse eseguito tra il 1720 e il 1750.

L'Oretti non indica la data di morte di Giovanni Battista: da ciò si potrebbe dedurre che fosse ancora in vita mentre questo autore scriveva la sua biografia, e cioè oltre la metà del XVIII secolo.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Assuntoria delle arti, Notizie attinenti alle arti, Orefici, busta 2, Memoriali II; D. Laffi, Viaggio in Ponente a S. Giacomo di Galitia e Finis Terrae per Francia e Spagna ... principiando da Bologna ... fin al ritorno in essa, Bologna 1673, pp. 434 s.; Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, ms. B. 133: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno cioè pittori, scultori e architetti bolognesi e de forestieri di sua scuola ... [sec. XVIII], XI, pp. 174-175, 185; F. de los Santos, Descripción del Real Monasterio de San Lorenzo del Escorial, a cura di A. Ximénez, Madrid 1764, pp. 136, 346-348; A. Conca, Descrizione odeporica della Spagna, Parma 1763, I, p. 261; II, p. 67; J. A. Ceán Bermúdez, Diccionario histórico, Madrid 1800, II, pp. 76-78; P. Zani, Enciclopedia metodica..., delle belle arti, VIII, Parma 1821, pp. 190 s., 271 n. 15; F. Pérez Sodano, Notas del Archivo de la Catedral de Toledo, Madrid 1914, pp. 104-106; M. R. Zarco del Valle, Documentos de la Catedral de Toledo, Madrid 1916, pp. 338, 348, 354; R. Ramírez de Arellano, Catálogo de artifices que trabajaron en Toledo, Toledo 1920, pp. 128-130; J. F. Rivera, La cathédral de Tolède, Barcelona 1957, p. 103, 112, 115 s.; J. Gudiol Ricart, La catedral de Toledo, Madrid s.d., pp. 107-109, 114; J. Ainaud de Lasarte, Toledo, Barcelona s.d. [ma 1947], pp. 114-116, 122; F. Navarro Franco, El Real Panteón de San Lorenzo de El Escorial, in El Escorial 1563-1963, Madrid 1963, II, pp. 719, 727, 734; C. G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, IV, Roma 1974, p. 164 s.; S. Alcolea, Artes decorativas en la España cristiana (siglos XI-XIX), Madrid 1975, pp. 213 s.; L. Alfonso, Liguri illustri. I Carlone a Genova, in La Berio, XVII (1977), 1-2, p. 60 n. 108; Diz. degli artisti italiani in Spagna, a cura di L. Ferrarino, Madrid 1977, pp. 106 s.; El Escorial en la Biblioteca nacional (catal.), Madrid 1985, p. 274; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova (secoli XVII e XVIII), Genova 1988, pp. 19-22, 269 s.; U. Thieme-F.Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 248.

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