GUZZI, Virgilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUZZI, Virgilio

Flavia Matitti

Nacque a Molfetta il 23 dic. 1902 da Domenico, farmacista, e da Evelina Pedullà. Nel 1910, dopo alcuni anni trascorsi a Napoli, si stabilì con la famiglia a Roma. Fin da bambino nutrì una grande passione per il disegno e il modellato in cera e in creta. A Roma si esercitò a rifare con la creta i gruppi allegorici del Vittoriano che vedeva riprodotti in fotografia, finché lo scultore A. Dazzi lo indirizzò verso lo studio dei maestri antichi. Negli anni in cui frequentò il ginnasio e il liceo T. Tasso, iniziò anche a dipingere, sempre da autodidatta. Fondamentali per la sua formazione artistica furono quindi i musei, in particolare la Galleria Borghese e la Galleria d'arte moderna.

Traendo ispirazione dai ritratti di Antonello da Messina, nel 1922 dipinse il suo primo Autoritratto (1922: collezione privata, ripr. in Scartafaccio, Roma 1978, p. 25), che mostra con evidenza quella che sarà una costante della sua visione artistica: la necessità di trovare un equilibrio tra il museo e la realtà che si coglie attraverso l'osservazione del vero. Una visione, questa, in perfetta sintonia con il clima di ritorno all'ordine, al mestiere e al museo, che informava la cultura europea dopo la prima guerra mondiale.

Iscrittosi intanto alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Roma, si laureò nel 1926 con una tesi su "L'insegnamento di Michelangelo", discussa con A. Venturi e G. Gentile.

Su di lui fu soprattutto la filosofia dell'attualismo di G. Gentile a esercitare un'influenza duratura: "l'uomo che veramente ho amato d'amor filiale […] del cui pensiero filosofico ancora mi sento seguace, fu Giovanni Gentile" (Scartafaccio, p. 96).

Nel 1927 il filosofo lo chiamò a collaborare all'Enciclopedia Italiana, prima come disegnatore, eseguendo illustrazioni di animali ritratti dal vivo al giardino zoologico, poi dal 1934 come redattore artistico, occupandosi di arte italiana contemporanea. Tra le voci da lui redatte si segnalano quelle su Virgilio Guidi e Scipione (Gino Bonichi), in Appendice I, Roma 1938, pp. 703, 996.

Negli anni Venti il G. si dedicò anche alla stesura di racconti, novelle e saggi. Si ricordano, tra l'altro, il racconto Padre Sergio, pubblicato nel febbraio 1925 nella Rassegna di Chieti (I, n. 4, pp. 1-5) e il breve saggio dedicato a G. D'Annunzio dal titolo Il comandante, uscito nell'aprile 1928 nella rivista milanese I Libri del giorno (XI, n. 4, pp. 206 s.). Accanto all'attività di pittore, fino alla metà degli anni Trenta esercitò con continuità anche quella di illustratore.

Ancora per la sua formazione estetica ebbe certamente molta importanza la frequentazione, dalla fine del 1924, della casa d'arte Bragaglia.

La galleria di A.G. Bragaglia accoglieva tutte le principali correnti artistiche presenti a Roma negli anni Venti, spesso registrando sul nascere l'apparire di nuove tendenze. Vi si incontravano i futuristi e G. De Chirico, gli artisti della terza saletta del caffè Aragno, di villa Strohlfern, di Valori plastici, fino ai rappresentanti della Scuola di via Cavour, ossia i giovani dell'espressionismo romano (M. Mafai, M. Mazzacurati, Scipione e Antonietta Raphaël). Il G. ebbe così modo di vedere molti di quegli artisti della Scuola romana che negli anni a venire, da critico d'arte, avrebbe continuato a seguire con interesse e passione.

Dopo la laurea compì per un breve periodo il servizio militare e nel 1927, su invito dell'anticolano O. Amato, prese per un anno ad Anticoli Corrado lo studio che era stato di O. Kokoschka.

Come pittore il G. esordì a Roma nel 1929, esponendo alla I mostra del Sindacato laziale fascista di belle arti una Natura morta (1928: collezione privata, ripr. in Ulivi, p. 85) dipinta, con schietto realismo, durante il soggiorno ad Anticoli. L'anno seguente, alla II mostra del Sindacato laziale, presentò tre quadri tra i quali Nudo (1929: collezione privata, ripr. in D. Guzzi, p. 38, n. 6), un'opera che risente della poetica del "realismo magico", in particolare dell'assorta fissità delle figure di A. Donghi. Dal 1932 al 1942 il G. inviò sue opere a tutte le edizioni della rassegna del Sindacato del Lazio e alle Sindacali nazionali del 1933 a Firenze e del 1937 a Napoli.

Sempre nel 1930 collaborò per breve tempo, come critico d'arte, al quindicinale romano Civiltà fascista, diretto da L. Volpicelli, pubblicando tra l'altro, il 20 novembre, le Note su Mafai e Scipione (in Carte incollate. Scuola romana, atmosfere romane. Scritti dal 1930 al 1978, prefaz. di G. Gatt, Città di Castello 1999, pp. 45-47), scritto in occasione di una mostra memorabile che i due artisti tennero insieme alla galleria di Roma, da poco aperta da P.M. Bardi in via Veneto. Su alcune delle questioni toccate in questo articolo, in particolare sulla necessità di una visione immediata, lirica, della realtà, il G. sarebbe tornato più volte negli anni a venire.

Nel 1931 partecipò alla I Quadriennale d'arte nazionale di Roma con un'opera: Natura (1930: collezione privata, ripr. in Benzi, p. 13), che evoca ancora l'atmosfera del "realismo magico", con un senso di sospensione estatica che l'apparenta alle composizioni di V. Guidi. Nei paesaggi dipinti tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta si nota invece una rapida evoluzione da un iniziale approccio atmosferico, sensibile al dato luministico postimpressionista di matrice spadiniana, a un linguaggio sintetico che porta all'adesione del pittore a soluzioni novecentesche.

Lo stesso anno uscì presso la casa editrice Bestetti e Tumminelli il suo primo libro dal titolo Pittura italiana contemporanea. Origini e aspetti (Milano-Roma), che fu accolto favorevolmente dalla critica. Il volume piacque, tra gli altri, ad A. Soffici, che segnalò il G. ad A. Baldini, il quale nel 1932 lo invitò a scrivere nella Nuova Antologia, la prestigiosa rivista di lettere, scienze e arti da lui diretta a Roma. La collaborazione si protrasse fino agli anni Quaranta.

A partire dalla I Mostra internazionale d'arte sacra moderna, che si tenne nel 1931 a Padova, dove espose un cero votivo istoriato, il G. avviò un rapporto di collaborazione con l'Ente nazionale per l'artigianato e le piccole industrie (ENAPI), al quale per anni affidò la realizzazione di vari oggetti di arte decorativa da lui disegnati. Nel 1933 alla V Triennale di Milano presentò degli orologi in legno intarsiato, ricami e rilegature in cuoio, tornando a esporre con una certa continuità in questa rassegna fino alla fine degli anni Cinquanta (Ulivi, p. 88; Benzi, p. 24).

Nel 1934 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove espose una natura morta e Mio fratello avanguardista: quest'ultimo da annoverare tra i capolavori del suo periodo novecentista (1933 circa: collezione privata, ripr. in Benzi, p. 40, n. 5). Risale a quest'anno anche l'amicizia con il pittore F. Pirandello, al quale sarebbe rimasto legato per quarant'anni.

Nel 1935 prese lo studio in via Margutta 51/a, che conservò fino alla morte. Lo stesso anno, invitato alla seconda edizione della Quadriennale d'arte di Roma, decise di non esporre, ma su richiesta di C.E. Oppo, segretario generale della rassegna, tenne una conferenza sull'arte contemporanea intitolata Tendenze della giovane pittura italiana, che gli valse il primo premio per la critica. Fu in questa occasione che il G. sollevò con decisione il problema della necessità per l'arte di assumere "un nuovo contenuto morale", poiché "non basta la imitazione più o meno fedele del cosiddetto vero, il vero fuggitivo nell'effetto di luce, per fare una pittura" (Pontiggia, p. 139).

Nel 1936 tornò a esporre alla Biennale di Venezia due quadri: Il castello di carte e Natura morta (ripr. in D. Guzzi, p. 10).

Negli anni 1935-36 compì anche diversi viaggi all'estero: Parigi, Dresda, Berlino, Amsterdam, avendo modo di osservare dal vero le opere di Rubens, Rembrandt, Vermeer, Goya, Delacroix, Courbet e Manet. Risale a questo periodo la svolta in chiave realista che il G. impresse alla propria arte. Oltre alla rivisitazione dei maestri del realismo europeo dal Seicento all'Ottocento, furono importanti per l'avvio di questa nuova poetica: l'esempio della pittura neobarocca di Mafai e di Scipione, la suggestione del tonalismo dei giovani C. Cagli, G. Capogrossi e E. Cavalli e la frequentazione, dal 1936 fino alla chiusura, avvenuta nel dicembre 1938, della galleria della Cometa. Finanziata dalla contessa Anna Letizia (Mimì) Pecci Blunt e diretta da L. De Libero, con la collaborazione di C. Cagli, la galleria della Cometa svolse un'importante funzione di raccordo tra i letterati e gli artisti presenti a Roma negli anni Trenta.

Il mutamento stilistico della pittura del G. si manifestò con evidenza in opere quali Ragazza allo specchio e Nudo, due dei quadri esposti a Roma nel 1937 alla VII Sindacale del Lazio (ripr. in D. Guzzi, p. 10), e in Figura, presentata lo stesso anno a Napoli alla II Sindacale nazionale (ripr. ibid., p. 44). In queste opere il G. si misurò in modo particolare con le problematiche formali poste dal tonalismo.

Nel 1939 inviò tre opere alla III Quadriennale di Roma, una delle quali, Pesche e fiori (Roma, Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea), venne acquistata dal Governatorato di Roma.

Ma il nuovo clima artistico che chiuse idealmente l'esperienza della Scuola romana si manifestò nel gennaio 1940 con la mostra di gruppo (quasi delle personali affiancate) che si tenne alla galleria di Roma, allora diretta da O. Amato, nella sede di via Sicilia.

Il G., che fu il vero organizzatore di questa grande rassegna, espose con R. Guttuso, L. Montanarini, O. Tamburi, A. Ziveri e P. Fazzini; inoltre firmò la prefazione al catalogo, nella quale adottò il termine "realismo" con un implicito significato di impegno etico della pittura: "il nostro amore nuovo della realtà, quale s'è venuto formando in questi anni sulla traccia della evoluzione più strettamente formale dell'arte, così come nell'ordine dei fatti morali, […] può dirsi un desiderio di accostamento e di penetrazione che intende a tutti i costi quella realtà rappresentare in un nuovo equilibrio, dove il sentimento dello stile possa per così dire profondarsi nella oggettiva esistenza delle cose. Niente più realtà del sogno, ma sogno della realtà. Ancora dunque, poiché non abbiamo paura delle parole, un nuovo realismo" (XXXI Mostra della Galleria di Roma, gennaio 1940, pp. 15 s.). Fu in questo periodo che la sua pittura si orientò verso una più decisa adesione ai modi pittorici del realismo, facendo ricorso a una pennellata espressiva e materica, corposa e carnale, che avrebbe caratterizzato la sua produzione nella prima metà degli anni Quaranta.

Oltre a svolgere un'intensa attività di critico militante, nel corso degli anni Trenta, il G. entrò a far parte di numerose giurie e comitati organizzativi. Nel 1940 il ministro dell'Educazione nazionale G. Bottai lo nominò presidente del Museo artistico industriale e l'anno dopo lo chiamò a collaborare a Primato, il quindicinale di lettere e arti da lui fondato a Roma nel marzo 1940 per riunire gli intellettuali di diversi orientamenti, compresi quelli lontani dal fascismo e quelli di fronda. Sulla rivista diretta da G. Bottai il G. firmò con lo pseudonimo Mazzafionda la rubrica "Corriere delle arti", fino al luglio 1943. Nel 1942 intervenne con diversi articoli nel dibattito sollevato dalla rivista sulla legge del 2% per le arti figurative, dibattito al quale parteciparono, tra gli altri, oltre allo stesso Bottai, M. Piacentini, G. Pagano, F. Ferrazzi, P.M. Bardi, G. Ponti, G. Michelucci, G. Severini e C. Carrà (D. Guzzi, 2%. Considerazioni in margine, Roma 1990, pp. 151-155).

Intanto nel 1941 il G. era stato nominato professore di storia dell'arte nel liceo artistico di Roma dal quale, negli anni Sessanta, sarebbe poi passato a insegnare all'Accademia di belle arti di Roma.

Nel 1943 partecipò alla IV Quadriennale con ben quattordici opere esposte nella sala V, accanto a dipinti di O. Amato, A. Basaldella, F. Gentilini e V. Guidi e sculture di M. Mazzacurati. Tra l'altro il G. espose Vagabondo, un quadro che F. De Pisis ebbe modo di vedere in questa occasione, ammirandone la qualità "goyesca" (1942: collezione privata, ripr. in Scartafaccio, p. 47).

Tramite R. Angiolillo, nuovo direttore di Primato, nella seconda metà del 1943 il G. venne chiamato a collaborare ai quotidiani romani L'Italia (dove per circa un anno tenne la rubrica della critica d'arte), e Il Tempo (per oltre un trentennio, dalla fondazione del giornale fino alla morte del Guzzi).

Nel gennaio 1945 fece parte con P. Fazzini, R. Guttuso, L. Montanarini, O. Tamburi e T. Scialoja del consiglio direttivo della Libera associazione arti figurative (LAAF), presieduta da G. Severini, con Mafai vicepresidente. Dalla LAAF nacque nell'ottobre 1945 l'Art Club, del quale fu presidente il polacco J. Jarema e vicepresidenti E. Prampolini e lo stesso Guzzi.

L'obiettivo era quello di contribuire a un rinnovamento dell'arte italiana favorendo gli scambi internazionali. Il G. partecipò attivamente al bollettino e alle mostre organizzate dall'Art Club in Italia e all'estero fino al 1949, anno della sua uscita ufficiale dal gruppo, ormai troppo orientato verso l'astrattismo.

La contrapposizione tra i fautori del realismo e gli astrattisti, che caratterizzò il dibattito artistico italiano dall'immediato dopoguerra fino alla fine degli anni Cinquanta, spinse il G. a ripensare il proprio stile in senso geometrico, facendo tesoro della lezione del cubismo, ma senza rinunciare alla realtà e restando lontano dalle esperienze informali: "Non seppi e non volli ricominciare ab ovo. […] Il lavoro fu un altro. Conoscere meglio Picasso e il Cubismo, ma non mettersi a triangoleggiare, a tagliare le forme coll'ascia. […] Sulla traccia di Van Gogh anch'io ho pensato, scatenatasi la polemica in pro' dell'astratto, che avrei piuttosto smesso di dipingere che chiuso gli occhi davanti allo spettacolo del mondo" (Scartafaccio, pp. 114-116).

Nel secondo dopoguerra tornò a esporre diverse volte alla Quadriennale di Roma (1948, 1955, 1959, 1965, 1972), opere che mostrano, tutte, una ricerca di semplificazione della forma secondo la lezione cubista, in un delicato equilibrio tra figurazione e astrazione. In particolare nell'edizione del 1959 della Quadriennale ebbe una sala personale, con nove nature morte: fu presentato in catalogo da C. Belli, che negli anni Trenta era stato il teorico dell'astrattismo italiano.

Nel 1951 R. Longhi gli assegnò il premio Brera per la critica artistica, grazie a un saggio intitolato Caravaggio anticipa la pittura moderna pubblicato nell'aprile di quell'anno nell'Illustrazione italiana (pp. 66-71).

Il 2 giugno 1952 sposò Giuliana Bergami, dalla quale il 30 genn. 1954 nacque il figlio Domenico.

Alla Biennale di Venezia partecipò per due volte con cinque opere, nel 1952 e nel 1954. Nell'edizione del 1952 espose, fra l'altro, Figura, un intenso ritratto della moglie, realizzato attraverso una sintesi personalissima tra la pittura di H. Matisse e quella di P. Picasso (1951 circa: collezione privata, ripr. in D. Guzzi, p. 56).

Nel secondo dopoguerra il G. intensificò l'attività di critico militante, svolta scrivendo saggi e presentazioni in catalogo, collaborando con numerose riviste, organizzando mostre, facendo parte di giurie e commissioni, tenendo conferenze. Spesso, viste le sue posizioni, si trovò a polemizzare con L. Venturi, paladino dell'arte astratta, il quale comunque lo invitò a iscriversi all'Associazione internazionale dei critici d'arte (AICA) da lui presieduta.

Nel 1954 iniziò l'insegnamento di storia dell'arte presso il Centro sperimentale di cinematografia e dal 1961 presso la Libera Università di studi sociali Pro Deo, oggi LUISS.

Nel dopoguerra progettò anche alcune opere d'arte sacra, tra cui nel 1958 il bozzetto per un mosaico con Cristo consegna le chiavi della Chiesa a Pietro, destinato alla cattedrale di Manila; nel 1964 i bozzetti per le sei vetrate absidali della basilica minore di S. Giovanni Bosco a Roma; e un anno dopo quelli per due vetrate nella cattedrale di Frascati (D. Guzzi, pp. 26 s.). Negli stessi anni realizzò anche progetti per decorazioni murali destinate a edifici pubblici (ibid., p. 23).

Negli anni Sessanta e Settanta la pittura del G. conobbe un'ulteriore evoluzione, divenendo più strutturata, costruita con campiture nette in una sintesi rarefatta di forma e colore che, parafrasando un celebre aforisma di P. Cézanne, il G. sintetizzò nell'imperativo: "rifare il cubismo "d'après nature"" (Scartafaccio, p. 121).

Nel 1963 tenne una personale alla Gallery 63 di New York, con opere dagli anni Quaranta ai primi Sessanta, presentato da F. Pirandello. È la più importante mostra personale del G. all'estero. Lo stesso anno venne nominato commendatore della Repubblica.

Nel 1965 fu nominato accademico dell'Accademia nazionale di S. Luca, istituzione della quale dal 1974 al 1976 fu presidente.

Negli anni Settanta tenne ancora numerose mostre personali, a partire da quella del 1970 alla galleria La Borgognona di Roma, dove espose nuovamente nel 1973.

Nel 1975 il presidente della Repubblica gli conferì la medaglia d'oro di benemerito dell'arte e della cultura.

Nel settembre 1978, neppure due mesi prima della morte, le Edizioni Carte Segrete pubblicarono Scartafaccio, una raccolta di ricordi e pensieri sparsi, che aiutano a far luce sul carattere e la poetica dell'artista e sugli orientamenti del critico.

Il G. morì a Roma il 9 nov. 1978.

Per una raccolta degli scritti apparsi su quotidiani, riviste e cataloghi si veda: Carte incollate…, Città di Castello 1999 (con ampia bibl.). Altri saggi del G., oltre a quelli citati: A. Mancini, Roma 1943; prefaz. a V. Van Gogh, Lettere a Theo, ibid. 1944; Fausto Pirandello, ibid. 1950; Henri de Toulouse-Lautrec, Milano 1953; Gisberto Ceracchini, Roma 1953; Primo e ultimo De Pisis, Milano 1956; Luigi Montanarini, Roma 1958; Amore degli antichi, Caltanissetta-Roma 1960; Il problema delle illustrazioni nel libro di testo, Roma 1962; Arte d'oggi. Storia di otto Biennali…, ibid. 1964; commento alle tavole: Dante Alighieri, La Divina Commedia, illustrata da S. Botticelli, ibid. 1965; Il ritratto nella pittura italiana dell'Ottocento, Milano 1967; Raul Vistoli e l'arte sacra, ibid. 1969; Gentilini. L'opera grafica, Verona 1970; Sedici artisti italiani contemporanei, Roma 1973; Ferruccio Ferrazzi, ibid. 1975; Ritratti dal vero di artisti moderni, ibid. 1976; Pirandello, ibid. 1976; Appunti sul futurismo, ibid. 1976; G. de Chirico, Torino 1976; Riccardo Francalancia, Bologna 1978.

Fonti e Bibl.: M. Carrà, V. G., (catal., Istituto italo latino americano), Roma 1981; M. Penelope, V. G. (catal., Sala dei Templari, Molfetta), Bari 1982; G. Appella, in Roma 1934 (catal., Galleria civica), Modena 1986, p. 192; F. Benzi, V. G. (catal., galleria Arco Farnese), Roma 1986; F. Ulivi, V. G. (catal., galleria La Gradiva), Roma 1987; F. D'Amico, Guttuso, Pirandello, Ziveri. Realismo a Roma, 1938-1943 (catal., galleria Netta Vespignani), Roma 1995, pp. 14-19, 27-29; D. Guzzi, V. G. (catal., Accademia nazionale di S. Luca), Roma 2000 (con ampia bibl.); E. Pontiggia, V. G. Dalla Scuola romana "cubisme d'après nature" (catal., galleria Russo), Roma 2002.

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