VIROSI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

VIROSI

Giuseppe Visco
Giuseppe Luzi

Sinonimo di malattia virale o da virus, il termine indica in medicina, veterinaria e fitopatologia le malattie causate da virus. Per le caratteristiche di sede, morfologiche, biochimiche, strutturali, molecolari, ecc., che condizionano l'azione eziopatogenetica dei virus, v. virus, App. IV, iii, p. 830 e in questa Appendice. Ci si limita qui a sottolineare l'importanza che, nell'uomo, eventuali disfunzioni o carenze del sistema immunitario hanno sull'attivazione di alcuni virus, come pure sul decorso, sulle complicazioni e sulla prognosi delle relative virosi. Passiamo pertanto a illustrare gli aspetti più significativi delle principali malattie da virus nell'uomo.

Malattie da virus erpetici. - Agenti appartenenti alla famiglia Herpesviridae sono stati isolati da numerose specie animali. L'uomo è l'ospite naturale di sei tipi di Herpesviridae, e le infezioni sostenute da tali agenti sono estremamente comuni. Una delle principali caratteristiche biologiche dei virus erpetici è quella di causare infezioni persistenti. Questi virus cioè, dopo la prima infezione, permangono nell'organismo dell'ospite, il cui sistema immunitario in condizioni normali è in grado d'inibirne la replicazione e quindi la capacità aggressiva. Tre sono le principali acquisizioni nella conoscenza delle malattie sostenute da questi virus che sono state raggiunte nell'ultimo decennio: la descrizione di nuovi quadri morbosi sostenuti da questi agenti, in particolare di quelli che si manifestano in individui con compromissione delle difese immunitarie; la messa a punto di efficaci farmaci antivirali; l'identificazione di un nuovo membro di questa famiglia, definito herpesvirus hominis 6.

Gli herpes simplex virus tipo 1 e tipo 2 (HSV, definiti secondo la tassonomia ufficiale herpesvirus hominis 1 e 2) sono responsabili di manifestazioni morbose a carico della cute e delle mucose che tipicamente si manifestano con la comparsa di vescicole su una base eritematosa. I quadri più comuni sono la gengivostomatite, l'herpes labiale, l'herpes genitale, la cheratocongiuntivite. Tali affezioni sono generalmente di scarsa gravità, di breve durata e a risoluzione spontanea, anche se frequentemente tendono a recidivare. Tra le forme più gravi d'infezione da HSV ricordiamo l'interessamento pluriviscerale nel neonato, l'encefalite erpetica e, talora, la sopranominata cheratocongiuntivite. Gravi sono poi le malattie sostenute da questi agenti quando si manifestino in soggetti con compromissione delle difese immunitarie, evenienza di osservazione divenuta sempre più frequente negli ultimi anni. Per es., nei pazienti che presentano sindrome d'immunodeficienza acquisita (AIDS) gli HSV possono causare ulcerazioni sottocutanee croniche a livello periorale, perianale o genitale, esofagiti, polmoniti, interessamento pluriviscerale. Ricordiamo infine che negli ultimi anni è andata perdendo credito la teoria che attribuiva a HSV 2 un ruolo importante nella genesi del cancro del collo dell'utero.

La messa a punto di un nuovo farmaco antivirale, l'aciclovir, ha radicalmente cambiato le possibilità di terapia di queste virosi. Tale sostanza si è dimostrata infatti capace di ridurre la durata e la gravità delle malattie da HSV, di ritardare la comparsa di recidive, di diminuire significativamente la letalità associata alle forme più gravi, come l'encefalite erpetica.

Il virus varicella-zoster (VZV, herpesvirus hominis 3) è responsabile della varicella (v. XXXIV, p. 1006), malattia esantematica tipica dell'infanzia. Dopo la prima infezione il virus rimane allo stato latente nei gangli nervosi sensitivi. Si può quindi riattivare causando la comparsa di un'eruzione vescicolosa tipicamente dolorosa, nell'area cutanea innervata da uno o più gangli sensitivi (dermatomeri). Tale affezione è definita herpes zoster o volgarmente ''fuoco di S. Antonio''. In passato si riteneva che la malattia fosse altamente indicativa di uno stato di netta depressione delle difese immunitarie e che si associasse spesso alla presenza di neoplasie maligne. Tale ipotesi è stata di recente confutata sulla base di accurati studi epidemiologici. È vero però che le forme di herpes zoster che interessano più dermatomeri, o addirittura tutta la superficie cutanea, sono manifestazioni caratteristiche di uno stato d'immunodeficienza. Anche nei riguardi di VZV l'aciclovir si è dimostrato efficace e il suo uso è indicato in tutte le forme gravi di varicella o di Zoster. È stata dimostrata anche l'efficacia delle immunoglobuline specifiche nell'attenuare l'espressione clinica dalle infezioni VZV, così come nel prevenirne il contagio. Un vaccino contro questo virus è in fase avanzata di sperimentazione clinica.

Il virus di Epstein-Barr (EBV, herpesvirus hominis 4) fu isolato inizialmente da pazienti affetti da una neoplasia maligna ematologica presente soprattutto in alcune zone dell'Africa centrale, il linfoma di Burkitt. Nel 1969 fu dimostrato che questo virus è l'agente causale della mononucleosi infettiva, malattia tipica dei giovani adulti, a decorso benigno, che si manifesta con la comparsa di febbre, faringodinia, ingrossamento delle ghiandole linfatiche e modesto interessamento epatico. Più raramente questa malattia si può manifestare con segni isolati a carico del sistema nervoso, di quello emopoietico, del rene e del cuore. La mononucleosi può avere un esito letale in pazienti con un difetto specifico della risposta immune anti-EBV. Tale difetto si può trasmettere come carattere genetico legato al sesso (sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X). In questa condizione, che si verifica molto raramente, l'infezione porta a una proliferazione incontrollata dei linfociti B che causa la morte di circa il 66% dei pazienti colpiti. In coloro che sopravvivono alla fase acuta si sviluppano in breve tempo un linfoma, un'anemia aplastica e/o un'agammaglobulinemia. Negli ultimi anni si è anche osservato che la presenza del virus di Epstein-Barr in soggetti immunodeficienti può dar luogo a particolari eventi patologici. In una forma d'immunodeficienza congenita, qual è quella che si può osservare nell'''atassia-teleangectasia'' (sindrome di Louis-Barr), contrassegnata, tra l'altro, da difetti strutturali del timo (o addirittura dalla sua mancanza), è stata osservata l'insorgenza di linfomi a cellule B. In caso d'immunodeficienza acquisita, per concomitanti trattamenti immunosoppressivi o per la presenza di AIDS, si è invece osservata l'insorgenza di linfomi a cellule T. Sempre alla concomitanza tra virus Epstein-Barr e AIDS è stata attribuita l'insorgenza di un'affezione, che è stata definita leucoplachia orale villosa, caratterizzata dalla comparsa di placche biancastre a superficie irregolare sui margini della lingua.

Il Cytomegalovirus (CMV o herpesvirus hominis 5) ha rivelato di possedere un ruolo patogeno con la scoperta di un'affezione congenita del neonato −la malattia da inclusioni citomegaliche − caratterizzata anche da epatosplenomegalia, iperbilirubinemia, trombocitopenia con manifestazioni emorragiche e relativamente frequente cointeressamento del sistema nervoso centrale. Nell'adulto, CMV può essere responsabile di una malattia molto simile alla mononucleosi infettiva da EBV. Come gli altri virus erpetici anche CMV può causare malattie di spiccata gravità in pazienti con difese immunitarie compromesse, principalmente in seguito alla riattivazione di un'infezione latente. Tali quadri clinici, osservati inizialmente in pazienti sottoposti a terapie immunosoppressive in seguito a trapianti d'organo, sono divenute di osservazione sempre più frequente in seguito all'epidemia di infezioni da HIV. In immunodepressi, CMV può causare retinite che può condurre a cecità, polmonite, danni epatici, gastrointestinali, surrenalici e nervosi. Recentemente è stata dimostrata l'efficacia di un farmaco antivirale, il ganciclovir, nell'inibire la replicazione del CMV: si è rivelato particolarmente utile, nel CMV immunodepresso, soprattutto nei casi di retinite.

Herpesvirus hominis 6 (HHV 6) è stato isolato nel 1986 da pazienti affetti da varie forme di linfoma. Tuttavia non vi sono a tutt'oggi dati a favore di un ruolo di questo virus, che infetta principalmente i linfociti, nella genesi di malattie linfoproliferative. Esistono peraltro dati significativi che fanno ritenere che HHV 6 possa essere l'agente eziologico dell'Exanthema subitum (definito anche roseola infantum o ''sesta malattia''), comune affezione esantematica dell'infanzia, caratterizzata da febbre elevata della durata di pochi giorni e dalla comparsa, in genere al momento della defervescenza, di un esantema diffuso. Tale agente potrebbe essere responsabile di un'affezione acuta febbrile simile alla mononucleosi e di una lieve forma di epatite.

Epatiti virali. - La disponibilità di tecniche di biologia molecolare ha consentito di realizzare enormi progressi nel campo delle epatiti virali nell'ultimo decennio. È stato infatti possibile da una parte giungere alla completa caratterizzazione del virus dell'epatite A (HAV) e del virus dell'epatite B (HNV), dall'altra identificare nuovi agenti virali epatotropi. Notevoli progressi sono stati inoltre compiuti nella terapia e nella profilassi di queste virosi.

L'epatite A, malattia che si trasmette per la via oro-fecale, è affezione ad andamento benigno, che si manifesta con la comparsa d'ittero e di disturbi digestivi. Tale malattia è ancora molto diffusa in vaste aree del mondo, ma la sua incidenza in Italia è andata notevolmente riducendosi negli ultimi anni. Un vaccino anti epatite A è in fase di avanzata sperimentazione.

L'epatite B è stata inizialmente individuata come la forma trasmessa per la via del sangue (era infatti definita anche ''epatite da siero''). Negli ultimi anni è stata sempre più sottolineata l'importanza di altre vie di trasmissione quali la via sessuale e la trasmissione dalla madre infetta al prodotto del concepimento. Dal punto di vista clinico la malattia si caratterizza per la lunga incubazione (60÷180 giorni), la presenza di sintomi generali, quali febbre e artromialgie, che possono precedere o accompagnare la comparsa dell'ittero, l'esistenza di forme a elevata gravità. È inoltre noto che l'epatite può evolvere in forma cronica nell'1÷5% dei casi (epatite cronica persistente, epatite cronica attiva con possibile evoluzione verso la cirrosi epatica).

HBV è stato inoltre chiamato in causa nella genesi del carcinoma epatico, ma non è ancora chiaro il meccanismo con il quale questo virus svolgerebbe la sua azione oncogena. In alcuni casi la degenerazione neoplastica potrebbe instaurarsi a partire da un processo cirrogeno, mentre nei casi di tumore epatico che insorge su fegato indenne da cirrosi (evenienza di riscontro relativamente frequente in alcune zone dell'Asia) si ritiene debba associarsi l'azione di altri fattori cancerogeni di origine ambientale.

La disponibilità recente di marcatori di attiva replicazione virale presenti nel sangue di alcuni pazienti con infezione cronica (antigene HBe e DNA virale) ha permesso negli ultimi anni di caratterizzare un sottogruppo di pazienti nei quali i meccanismi di danno epatico sono sostenuti da una continua e intensa riproduzione del virus. In tali pazienti la terapia con interferone si è dimostrata in grado d'inibire permanentemente la replicazione virale, con conseguente remissione della malattia in circa il 50% dei casi.

A partire dai primi anni Ottanta è entrato in uso un vaccino composto da particelle virali ''vuote'' (formate cioè dal solo involucro esterno del virus senza materiale genetico) preparate a partire da plasma di portatori sani di HBV. Tale vaccino, utilizzato su centinaia di migliaia di persone a più alto rischio d'infezione (operatori sanitari, emodializzati, figli di madri portatrici di HBV, ecc.), si è dimostrato di elevata efficacia e sicurezza. Attualmente sono disponibili vaccini composti dall'involucro virale ottenuto sinteticamente grazie a tecniche d'ingegneria genetica, e ciò consente la disponibilità di quantità praticamente illimitate di vaccino. In Italia la vaccinazione anti-epatite B è richiesta per l'iscrizione alla scuola dell'obbligo.

Un altro virus epatitico, il virus delta (HDV), è stato intensamente studiato in questi anni. Tale agente era stato inizialmente descritto come un antigene che poteva essere presente nel fegato di pazienti affetti da epatite cronica B. È stato poi chiarito che si tratta di un piccolo virus a RNA ''difettivo'', capace cioè di replicarsi solo in presenza di HBV. L'infezione da HDV si può quindi trasmettere solo o in concomitanza con quella da HBV (coinfezione) o a un soggetto portatore cronico di HBV (superinfezione). HDV può causare un'epatite acuta o un'epatite cronica. Quest'ultima ha in genere un decorso grave e solo parzialmente sensibile alla terapia con interferone.

La disponibilità di test di laboratorio per la diagnosi di epatite da HAV e da HBV ha portato all'identificazione di forme di epatite acuta, non sostenute né da questi virus né da altri virus noti potenzialmente epatotropi, che sono state definite epatite nonA-nonB. In questo ambito sono state poi caratterizzate una forma a trasmissione oro-fecale e una forma (o più forme) a trasmissione parenterale. Da un punto di vista clinico tali forme appaiono simili, almeno in parte, all'epatite A e all'epatite B. Nel 1988 si è giunti all'identificazione di un agente virale (definito virus dell'epatite C o HCV) che appare responsabile di gran parte dei casi di epatite nonA-nonB contratti a seguito di trasfusioni, uso di droghe per via endovenosa e di un certo numero di casi non correlati a fonte di contagio identificabile. Questo virus mostrerebbe una certa omologia con i flavivirus.

Nelle feci di soggetti affetti dalla forma a trasmissione oro-fecale di epatite nonA-nonB è stata poi descritta la presenza di particelle virali di piccole dimensioni, simili ai calicivirus, ed è stato possibile trasmettere la malattia ad animali da esperimento somministrando sospensioni virali ottenute a partire da tali campioni di feci. Per tale agente virale è stata proposta la denominazione di virus dell'epatite E (HEV). Appare comunque probabile che esistano altri agenti virali − oltre a HCV e HEV − responsabili di una parte delle epatiti finora classificate come nonA-nonB.

Infezioni da retrovirus. - I retrovirus (v. in questa Appendice) sono agenti virali la cui informazione genetica è contenuta in una molecola di RNA e che hanno la capacità di dirigere la sintesi di una molecola di DNA complementare al proprio RNA, grazie all'azione di un enzima da essi posseduto che viene definito transcrittasi inversa. Negli ultimi anni sono stati isolati retrovirus da numerose specie animali (bovini, caprini, equini, primati non umani) nelle quali essi causano tra l'altro malattie del sangue e affezioni degenerative del sistema nervoso centrale. Nel 1978 è stato isolato il primo retrovirus in grado d'infettare esseri umani, che è stato denominato ''virus T linfotropo umano tipo 1'' (HTLV 1). L'infezione da HTLV 1 appare particolarmente diffusa in Giappone, nei Caribi e in alcune zone dell'Africa, ed è stata dimostrata anche nel nostro paese. Si trasmette per via ematica e sessuale, e dalla madre infetta al prodotto del concepimento. HTLV 1 è ritenuto l'agente eziologico della leucemia dell'adulto a cellule T e di malattie neurologiche come la paraparesi spastica tropicale. Attualmente comunque si pensa che tali affezioni si manifestino solo in una piccola parte degli individui contagiati. Nell'ultimo decennio sono stati isolati altri due retrovirus umani (HTLV 2 e HTLV 5) che appartengono allo stesso gruppo di HTLV 1 (oncovirus tipo C). Il ruolo di questi due virus nella genesi di malattie umane resta da chiarire. Nel 1983 è stato isolato il primo retrovirus umano classificabile nel gruppo dei lentivirus, che è stato inequivocabilmente identificato come l'agente causale della sindrome da immunodeficienza acquisita (SIDA o AIDS). Questo virus è denominato virus dell'immunodeficienza umana (HIV). Per la trattazione di questo argomento v. immunodeficienza acquisita, Sindrome da (AIDS), in questa Appendice.

Malattie da enterovirus. - Nel genere enterovirus vengono classificati agenti virali, che si replicano nel tratto intestinale ma che esplicano la loro azione patogena per lo più a carico di altri organi e apparati.

Poliovirus. Comprendono un numero notevole di enterovirus, che per il tipo di azione di gravità varia, prevalentemente a danno dei neuroni motori situati nelle corna anteriori della sostanza grigia del midollo spinale con conseguente paralisi flaccida dei muscoli che ne sono innervati. Sono cumulativamente indicati come poliovirus hominis e suddivisi con criteri siero-immunologici in tre gruppi distinti con una denominazione particolare (Brunhilde, Lansinger, Leon) o più semplicemente con un numero d'ordine (1, 2, 3): a tale distinzione corrisponde una differente virulenza, che è massima nel gruppo 1 (85%), nettamente più ridotta nel gruppo 2 (12%), poco più che accennata (3%) nel gruppo 3. Comunque il loro effetto patogeno ormai è nettamente sotto controllo, dapprima col vaccino ucciso di J.E. Salk, successivamente per opera di A.B. Sabin (v. in questa Appendice) con un vaccino vivo e di sua natura attenuato, di notevole maneggevolezza, tanto che attualmente nei paesi dotati di un'organizzazione sanitaria almeno discreta la poliomielite è completamente scomparsa.

Virus Coxsackie. Questi virus, che devono la loro denominazione alla città degli Stati Uniti dove fu individuata la loro azione patogena, pur avendo in comune la capacità d'indurre una particolare forma infettiva, hanno anche caratteristiche patogene proprie, che ne provocano la divisione in due gruppi: A e B. Il gruppo A è il più numeroso e comprende 24 tipi di virus; fra questi, l'agente della herpangina, un'affezione del cavo oro-faringeo, dolorosa ma a evoluzione benigna. Il gruppo B comprende solo 5 tipi di virus, fra i quali sono presenti gli agenti sia di una forma epidemica con mialgie e pleurodinia (la malattia di Bornholm, dal nome dell'isola dove nel 1951 è stata riconosciuta per la prima volta), sia di una miocardite neonatale, che può coinvolgere il sistema nervoso centrale e il fegato, e avere esito letale. Negli ultimi anni è stato studiato il possibile ruolo dei virus Coxsackie B nella genesi del diabete mellito insulinodipendente. È stato infatti ipotizzato che questo virus, quando infetti individui geneticamente predisposti, possa innescare un'aggressione autoimmunitaria nei confronti delle insule pancreatiche che sono il sito di produzione dell'insulina. L'effetto finale di questo processo sarebbe la distruzione delle insule e, quindi, l'instaurazione del diabete.

Virus ECHO (Enteric Cytopathogenetic Human Orphan; "orfano", in quanto non se ne conosce l'eziologia). Comprendono 28 tipi di virus e sono reperibili solo nei bambini, prevalentemente nella prima infanzia, quasi mai al di sopra dei 15 anni: la dimostrazione della loro presenza richiede ricerche nelle feci e nel liquor, oppure la prova della deviazione del complemento, praticata all'inizio e a malattia superata. Tendono a dare malattie epidemiche, favorite dal caldo estivo, ma a decorso benigno; si manifestano con diarrea del lattante, manifestazioni febbrili, prive di particolari caratteri, e anche meningite asettica e meningoneurassite.

Virosi intestinali. - La malattia diarroica acuta rappresenta un rilevante problema sanitario, in particolare per quanto riguarda la popolazione infantile dei paesi in via di sviluppo. Solo in una parte dei casi concernenti tali affezioni sono identificabili, come agenti etiologici, dei batteri enteropatogeni. Ciò ha indotto a ritenere possibile un'eziologia virale in un'elevata percentuale di casi (secondo alcuni autori, superiore al 50%) e ha stimolato numerose ricerche condotte soprattutto con l'ausilio della microscopia elettronica e di tecniche di coltura virale. Negli ultimi anni numerosi agenti virali sono stati osservati nelle feci di soggetti affetti da malattia diarroica acuta. Tra i principali ricordiamo i rotavirus, i mastadenovirus (responsabili anche di affezioni respiratorie), i calicivirus. Tali virus possono essere isolati con frequenza minore, ma non trascurabile, anche nelle feci di soggetti sani; la loro associazione con le gastroenteriti, seppure molto probabile, non è quindi da ritenersi definitivamente provata.

Malattie da virus lenti. - La locuzione ''malattia da virus lenti'' è stata coniata circa 30 anni fa per definire affezioni di cui si sospettava fortemente la natura infettiva e che erano caratterizzate da un'incubazione molto prolungata e da un decorso clinico lentamente progressivo e invariabilmente fatale. Agenti virali sono stati identificati come la causa di alcune di queste malattie. Ricordiamo per es. la leucoencefalite multifocale progressiva causata da papovavirus (v. oltre), la panencefalite sclerosante subacuta, sostenuta dal virus del morbillo, il visna, malattia neurologica degli ovini il cui agente eziologico è un retrovirus appartenente allo stesso gruppo di HIV. La stessa AIDS, infine, secondo la definizione sopra riportata, si sarebbe potuta classificare come una malattia da virus lenti. Un gruppo di queste malattie, tutte caratterizzate da un particolare interessamento del sistema nervoso centrale, particolarmente diffuse tra gli animali, come la scrapie che colpisce gli ovini, ma descritte anche nell'uomo, ha dato luogo, soprattutto a opera di S.B. Prusiner, a una fiorente corrente di studio che, superando aspre polemiche, ha portato all'individuazione di un particolare agente patogeno, il prione (v. in questa Appendice), e alla costituzione di un gruppo autonomo di malattie (Encefalopatie subacute spongiformi) nell'ambito della patologia encefalica (v. nervoso, sistema: Fisiopatologia e clinica. Encefalopatie acute spongiformi, in questa Appendice).

Virosi dell'apparato respiratorio. - L'influenza (v. App. III, i, p. 873) è causata da virus appartenenti alla famiglia Orthomyxoviridae e classificati nei tipi A, B e C. Questa malattia si presenta con epidemie annuali a carattere stagionale in molti paesi del mondo e con esplosioni pandemiche che si verificano in media ogni 10÷12 anni. L'ultimo episodio pandemico, causato da un virus influenzale tipo A (sottotipo Hong Kong 1/68) è stato registrato nel 1968.

La sindrome dell'influenza si manifesta tipicamente con senso di malessere generale, artromialgie, cefalea, fotofobia, tosse secca e mal di gola. Tra le possibili complicanze ricordiamo la tracheobronchite, la bronchiolite, la polmonite; non raramente, inoltre, si possono avere complicanze respiratorie dovute al sovrapporsi di un'infezione batterica. Per quanto riguarda la terapia, quella dell'influenza è di tipo essenzialmente sintomatico, essendo tuttora limitato il ruolo della chemioterapia antivirale. L'amantadina è un farmaco in grado d'inibire la replicazione dei virus influenzali A e C; in studi clinici ha dimostrato una discreta efficacia nel prevenire la malattia in soggetti esposti al contagio e nel ridurre la durata dei sintomi. Altri composti sperimentati contro l'influenza, con risultati modesti, sono la ribavirina e la rimadantina. Notevole efficacia ha la profilassi vaccinale dell'influenza; al vaccino costituito dal virus intero inattivato si sono aggiunti in questi anni vaccini preparati con virus disgregato o con subunità virali. Questi ultimi si ottengono purificando i soli antigeni di superficie (EA e NA) della particella virale.

Altri agenti comuni di infezioni respiratorie sono i virus parainfluenzali (parainfluenzavirus). Questi virus, negli adulti, sono responsabili di affezioni talora simili all'influenza ma in genere più lievi; nei bambini possono causare una laringotracheobronchite acuta che può determinare gravi difficoltà respiratorie (croup). Sempre nei bambini, una grave bronchiolite può essere sostenuta dal virus respiratorio sinciziale (RSvirus). Sindromi respiratorie acute possono anche essere sostenute da rhinovirus, mastadenovirus e coronavirus.

Infezioni da poxvirus. - La più importante malattia causata nell'uomo da un poxvirus è, o forse si potrebbe dire era, il vaiolo. Un vaccino contro quest'affezione era già disponibile dal 19° secolo, ma nonostante ciò ancora negli anni Sessanta il vaiolo presentava una notevole incidenza in vaste aree del mondo (in particolare in India, Indonesia e in gran parte dell'Africa), e casi sporadici venivano registrati anche in Europa. Nel 1967 l'Organizzazione mondiale della sanità lanciò una campagna di eradicamento basata sulla vaccinazione di massa e su strette misure di sorveglianza. A distanza di dieci anni la malattia era sconfitta: l'ultimo caso di vaiolo venne registrato a Mogadiscio. Nei due anni successivi non fu osservato nessun caso di questa malattia, eccezion fatta per due individui contagiati a Birmingham mentre lavoravano in laboratorio, per ricerche virologiche. Ciò ha indotto l'OMS a dichiarare nel 1979 l'avvenuta eradicazione (cioè la totale e definitiva scomparsa) del vaiolo. Tale posizione è stata ufficialmente accettata dall'assemblea mondiale di questa organizzazione nel 1980. In effetti a tutt'oggi (1995) nessun altro caso di vaiolo è stato osservato nel mondo, e anche i campioni di virus in possesso dei laboratori di ricerca sono stati, con due sole eccezioni, distrutti. Tuttora si possono raramente osservare nell'uomo infezioni da poxvirus non umani. Per es. alcuni casi di malattia umana da virus del vaiolo delle scimmie sono stati descritti nell'Africa equatoriale.

Rabbia. - La rabbia è un'encefalopatia acuta causata da un virus appartenente alla famiglia Rhabdoviridae e classificato nel genere lyssavirus. Questo agente si trasmette all'uomo attraverso il morso di animali infetti, ma il contagio può anche verificarsi per contaminazione di ferite aperte o di superfici mucose con saliva di un animale rabido.

Negli ultimi anni non si sono registrati in Italia casi di rabbia umana, ma l'infezione è presente tra gli animali nell'Italia nordorientale, dove il principale serbatoio del contagio sembra essere rappresentato dalla volpe rossa. Notevoli progressi sono stati registrati nella profilassi pre- e post-esposizione della rabbia grazie all'uso di un vaccino costituito da virus inattivato coltivato su cellule diploidi umane. Tale vaccino, messo a punto alla fine degli anni Sessanta e largamente sperimentato negli anni Settanta e Ottanta, si è dimostrato nettamente superiore per efficacia e tollerabilità a quelli precedentemente in uso (v. anche rabbia, in questa Appendice).

Infezioni da papovavirus. - Nella famiglia dei Papovaviridae sono compresi agenti classificati nei generi papillomavirus e poliomavirus. I papillomavirus (HPV, human papillomavirus) sono agenti eziologici di neoplasie benigne della cute e delle mucose, estremamente comuni. Ricordiamo tra le altre le verruche plantari, le verruche piane, i papillomi laringei e i condilomi acuminati. Nel trattamento dei papillomi e dei condilomi acuminati sono recentemente entrati nell'uso clinico la tecnica di evaporazione con laser e la terapia con interferone. In individui affetti da una rara malattia ereditaria, definita epidermodisplasia verruciforma, questi virus sono stati inoltre chiamati in causa nella genesi dei carcinomi cutanei.

Nell'ultimo decennio è stato indagato il possibile ruolo di HPV nell'insorgenza di carcinomi genitali. Estremamente improbabile appare la degenerazione maligna di lesioni quali i condilomi acuminati, ma sequenze geniche di papillomavirus sono state identificate con una certa frequenza in cellule neoplastiche di carcinomi della cervice uterina, della vulva, del pene e del canale anale. L'azione oncogena di HPV, secondo alcuni ricercatori, sarebbe notevolmente favorita dalla presenza di uno stato di grave depressione.

Di poliomavirus nell'uomo sono stati isolati due tipi; il BK e lo JC. La presenza del virus JC è stata riscontrata nel 70% della popolazione in cui era stato ricercato, ma senza che desse alcun segno della sua esistenza: la sua presenza è risultata particolarmente notevole nel tessuto renale. Con l'instaurarsi di una condizione d'immunodeficienza di qualsiasi origine, gli oligodendrociti, con cui il virus è in contatto, ne permettono la replicazione e ne vengono lisati, con conseguenti formazioni di focolai degenerativi multipli e progressivi di demielinizzazione, che nel loro complesso integrano il quadro di una malattia del sistema nervoso centrale, la leucoencefalite multifocale progressiva (LMP). Il decorso della LMP progredisce lentamente: inizialmente si manifestano segni di alterazioni delle capacità intellettive con possibile estensione della compromissione alla vista, alla parola e alla deambulazione, sino a pervenire a una sindrome demenziale con paralisi. La diagnosi può essere confortata dalla tomografia computerizzata, che mostra nella sostanza bianca multiple aree di compromissione. L'innocuità del virus, comprovata in un gran numero di soggetti normali sul piano immunitario, l'incremento dei casi della sua attivazione dagli anni Ottanta in poi, la presenza della LMP nel 4% degli affetti da AIDS fanno dubitare che la LMP possa essere inclusa fra le infezioni opportunistiche che si verificano nei casi d'immunodeficienza.

Al virus BK si attribuiscono l'insorgenza di una stenosi ureterale, causata, in pazienti sottoposti a trapianto renale, da proliferazione delle cellule endoteliali dell'uretere, e un'affezione febbrile acuta nell'infanzia, con interessamento del tratto respiratorio e anche dell'apparato urinario.

Infezioni da parvovirus. - La prima identificazione di un agente parvovirus-simile nell'uomo risale al 1975, ma solo nel 1983 si è giunti alla completa caratterizzazione di uno di questi virus, il virus B 19, che sembra avere un ruolo importante nella patologia umana.

La manifestazione più comune dell'infezione da virus B 19 è l'eritema infettivo (quinta malattia), affezione tipica dell'infanzia. Tale malattia è caratterizzata dalla comparsa di un esantema localizzato per lo più alle guance (''aspetto di guance schiaffeggiate''), seguito da un'eruzione prima maculo-papulare, poi reticolare, al tronco e agli arti; talora può coesistere un'artrite. Le manifestazioni cutanee possono ripresentarsi più volte, per settimane o mesi, in seguito a stimoli di varia natura, per es., un bagno caldo. Il virus B 19 è anche ritenuto responsabile dell'insorgenza di crisi di anemia aplastica. Il contatto con questo virus in gravidanza può portare all'infezione del feto, che può causare gravi anemie, insufficienza cardiaca ed esito letale.

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Malattie da virus riemergenti e di nuova individuazione. - All'inizio degli anni Novanta è stata data ampia diffusione a una serie di episodi epidemici, verificatisi in diverse aree geografiche, causati da virus e batteri, ed è stata usata la dizione infezione emergente. Con tale definizione si è inteso descrivere la comparsa di malattie sconosciute, o la segnalazione di patologie infettive già note, in territori nei quali si riteneva fossero scomparse da tempo o nei quali non erano mai state segnalate in passato.

Gran parte del problema delle malattie infettive emergenti o riemergenti può essere compresa attraverso l'analisi dei mutamenti ecologici provocati dall'uomo e quale conseguenza di fattori comportamentali legati alle abitudini o allo stato sociale dell'individuo (nuova povertà, viaggi con superamento di grandi distanze in poco tempo, rapporti sessuali ad alta promiscuità). Anche i mutamenti geopolitici possono contribuire in modo notevole alla redistribuzione e diffusione di tali malattie, causando il fenomeno delle nuove emergenze. In genere si ammette che circostanze geo-temporali a carattere traumatico (per es. disboscamenti di vaste aree) o manipolazioni di animali infetti (anche a uso sperimentale) consentano a serbatoi ''naturali'' di virus di venire a contatto con la specie umana causando fenomeni potenzialmente epidemici.

Un particolare interesse rivestono nell'ambito della patologia infettiva a carattere (ri-)emergente alcuni virus che sono apparsi e sono stati identificati negli ultimi decenni e che hanno ricevuto adeguata classificazione. Ne diamo l'elenco seguente.

Arenavirus. - Vengono inquadrati nella famiglia degli Arenaviridae, nella quale sono inclusi 13 virus. Si riconoscono un gruppo di 4 virus appartenenti alle cosiddette ''specie del mondo antico'' e 9 componenti delle ''specie del nuovo mondo''. Hanno RNA monocatenario. Morfologicamente appaiono come virioni sferici con un capside a simmetria elicoidale e diametro di circa 120 nm. Il prototipo del gruppo antico è il virus responsabile della coriomeningite linfocitaria, mentre il virus caratteristico del secondo gruppo (nuovo mondo) prende nome di Tacaribe (complesso Tacaribe). Gli ospiti vertebrati per la specie sono roditori e pipistrelli. L'uomo si contagia di solito dalle deiezioni provenienti da animali infetti. Il più contagioso tra gli arenavirus è il responsabile della febbre di Lassa (specie del mondo antico), che può essere trasmesso anche per diretto contatto interumano. Gli episodi di contagio da arenavirus coinvolgenti la specie umana possono essere clinicamente di scarso rilievo, tuttavia almeno due tipi di virus del gruppo antico (coriomeningite linfocitaria e febbre di Lassa) e due del gruppo nuovo (Junin e Machupo) causano malattie gravi e talora a decorso fatale. Il Junin venne identificato all'inizio degli anni Cinquanta in Argentina (regione del fiume omonimo) e può essere letale fino al 15÷20% dei casi (febbre emorragica argentina), mentre il Machupo è stato segnalato in Bolivia (febbre emorragica boliviana).

Di particolare interesse è la febbre di Lassa, entità clinica riconosciuta nel 1969, e diffusa prevalentemente nell'Africa occidentale. La riserva di questo virus è il Mastomys natalensis, roditore selvatico con habitat prossimo alle abitazioni dell'uomo che contagia sia con gli escrementi sia inquinando cibo e acqua. L'infezione può essere comunque trasmessa tra uomo e uomo per via aerogena o attraverso i comuni oggetti d'uso abitudinario. Il danno istopatologico è principalmente a carico della struttura dei capillari, con comparsa di aree emorragiche e necrosi focale nel fegato. Anche la milza va incontro a notevoli cambiamenti con presenza di aree necrotiche. Il virus si riscontra nel sangue subito dopo l'inizio della malattia e persiste circa 12÷15 giorni. Clinicamente l'andamento iniziale è discreto, con malessere generale, febbre, dolori muscolari e progressiva astenia. Compare abbastanza precoce una faringite che assume i caratteri dell'ulcerazione mucosa. L'apparato respiratorio è ben presto compromesso con tosse, dolore toracico, ed espettorato emorragico. Si associano quindi diarrea, vomito, dolori addominali. Assai frequenti sono le alterazioni coagulative che causano un grave quadro emorragico. L'insufficienza renale è tra le condizioni responsabili dell'exitus (30÷40% dei casi). La diagnosi può essere facilitata dalle informazioni anamnestiche, con particolare riguardo alle popolazioni che vivono in zone endemiche. Misure precauzionali accurate vanno assunte per la manipolazione del virus, che può contagiare il personale addetto ai laboratori. Nel 1990 a São Paulo, in Brasile, è stato isolato l'arenavirus Sabià, di cui un caso d'infezione è stato segnalato nel 1994 in un virologo contagiatosi per aerosol lavorando con materiale infetto. Un'analoga segnalazione si è verificata nel 1995, sempre in relazione a incidente di laboratorio (probabile trasmissione con aerosol).

Bunyavirus. - L'interesse per questi virus (famiglia Bunyaviridae) è dato sia dal loro numero sia dal causare forme infettive, in genere aspecifiche, che colpiscono diverse aree geografiche. Si calcola che possano essere incluse in questa famiglia almeno 200 specie virali, raggruppate in cinque generi: bunyavirus, phlebovirus, nairovirus, uukuvirus, e un gruppo non ben classificato. Contengono RNA, hanno virione sferico con pericapside e un diametro che può arrivare a 120 nm. Sono noti alcuni ospiti vertebrati (roditori, marsupiali, ungulati, uccelli e bovini) e artropodi vettori (zanzare, zecche e pappataci). Per il gruppo dei non classificati è sconosciuto l'insetto vettore, mentre per alcuni bunyavirus e uukuvirus non è chiara l'attribuzione per l'ospite vertebrato. Si ricordano tra le forme più note la febbre da pappataci (tipica dell'area mediterranea), la febbre della Valle del Rift (entrambe causate da phlebovirus) e la malattia da virus Hantaan. Quest'ultimo, del gruppo dei non classificati, fece la sua prima apparizione in Asia; è responsabile della febbre emorragica con sindrome renale, già nota con nomi differenti prima degli anni Cinquanta. Nel 1950-51 destò grande interesse la sua comparsa a carattere epidemico tra i soldati delle truppe ONU e quelli statunitensi nel corso della guerra di Corea. Sono conosciute tre varianti epidemiologiche (rurale, urbana e di laboratorio). I roditori sono i serbatoi naturali del virus, che viene trasmesso attraverso la saliva (via aerosol) o per mezzo di cibi e acqua contaminati dagli escreti. Clinicamente la malattia da Hantaan ha un carattere acuto con febbre, cefalea, artromialgie e varie manifestazioni emorragiche. La febbre emorragica causata dal virus di Hantaan colpisce soprattutto in Estremo Oriente, ma sono noti casi in Europa e nell'area balcanica (nefropatia dei Balcani).

Virus trasmessi da artropodi (arbovirus). − Vengono compresi in questa categoria numerosi virus caratterizzati dal fatto di essere trasmessi attraverso un ciclo che include animali vertebrati (serbatoio) e vettori (zanzare, zecche, talora cimici). Si ricordano tra gli arbovirus due famiglie importanti identificate come Togaviridae e Flaviviridae. Nella famiglia Togaviridae si collocano due generi ben definiti (alfavirus, rubivirus) e altri due di ancora incerta inclusione (pestivirus e arterivirus). Per gli arbovirus ha un significato importante la dislocazione geografica, dal momento che modificazioni ambientali possono costituire fattori di ostacolo o di facilitazione alla diffusione dei vettori. Le due famiglie hanno entrambe acido nucleico RNA. Le patologie indotte da togavirus e flavivirus sono in gran parte malattie caratteristiche degli animali, con l'uomo ospite incidentale (zoonosi). I togavirus danno luogo a patologie di tipo encefalitico, poliartritico, eritematoso emorragico di varia gravità. Interessante è il virus O'nyong-nyong che sembra avere quale unico ospite vertebrato l'uomo. Esso ha una distribuzione prevalente nell'Africa orientale e occidentale e nello Zimbabwe. Nel flavivirus si riconoscono gli agenti eziologici di numerose malattie: quelle trasmesse da zanzare hanno una prevalenza geografica maggiore in area equatoriale e ai tropici, mentre nelle zone temperate i vettori più importanti sono le zecche. I flavivirus sono responsabili della febbre gialla (virus Amaril) e della dengue, entrambe associate a gravi quadri di emorragia. Essi causano anche malattie a carico del sistema nervoso che si manifestano con una patologia encefalitica (per es. virus dell'encefalite di St. Louis). Nel caso della ben nota febbre gialla si ha una patogenesi che coinvolge una fase di replicazione a livello linfonodale, con successiva moltiplicazione in cellule di diversi organi (fegato, reni, midollo osseo, milza). La letalità non supera il 10% dei casi. Per la dengue si riconoscono una sindrome febbrile con quadro clinico evolutivamente benigno e una variante emorragica (dengue emorragica), più frequente in età pediatrica, che può dare una mortalità del 10÷15%. Sembra che nel caso della dengue emorragica s'instauri una patologia da ipersensibilità o mediata da meccanismi correlati alla formazione di immunocomplessi.

Filoviridae. - Si tratta di una famiglia che include i filovirus Marburg ed Ebola, responsabili di gravi sindromi emorragiche a carattere epidemico. I filovirus vengono così definiti in base alla morfologia filamentosa che assumono quando osservati al microscopio elettronico. Posseggono RNA monocatenario lineare, con nucleocapside a elica e lunghezza media di circa 80 nm. Con i lipidi e le proteine di superficie si legano ai recettori sulle cellule bersaglio, all'interno delle quali penetrano dando luogo alla replicazione. Le prime descrizioni risalgono agli anni Sessanta. Ben noto è l'episodio della sindrome febbrile emorragica causata dal virus Marburg nel 1967, con 31 casi e 7 decessi in Germania e Iugoslavia. Il contagio, in questa circostanza, era legato al contatto dei pazienti con sangue, liquidi organici o colture di cellule di scimmie africane (African green monkeys) catturate in Uganda. Successivamente, nel 1975 ci fu una comparsa di tale virus nel Sudan e alcuni casi in Kenya. L'episodio più noto è quello dello Zaire del 1976, che consentì d'identificare la variante Ebola (di cui si conosce un ceppo Zaire e un altro Sudan).

Il quadro clinico indotto dai filovirus Ebola e Marburg è drammatico: esordio abbastanza acuto con cefalea, febbre, stato di prostrazione, rapida disidratazione e diarrea. Pressoché costante è il rash maculopapulare, tipico della pelle bianca, mentre in pazienti neri spesso tale dato clinico è meno evidente. La morte arriva tra il 5° e il 12°÷16° giorno per un'emorragia diffusa e irrefrenabile (mortalità tra il 60 e il 90%). Il virus Ebola è in grado di attaccare quasi tutti gli organi e apparati, determinando una sorta di ''liquefazione'' dei tessuti (in particolare sono colpiti reni, fegato e milza). Lo stadio terminale assume una configurazione clinica particolarmente drammatica, con la cute rivestita di petecchie, comparsa di vescicole e facile dissoluzione del rivestimento cutaneo stesso. Il sangue viene emesso da tutti gli orifizi. Nella storia epidemiologica dei filovirus si ricorda un episodio biologicamente rilevante verificatosi negli USA nel 1989. Erano stati importati primati dalle Filippine per esperimenti e collocati in un centro dove venivano osservati per il controllo di quarantena e lo smistamento; tra questi animali si verificò un'epidemia gravissima causata da un ceppo (definito Reston dal nome della località dove ha avuto luogo l'episodio) che, morfologicamente indistinguibile dagli altri già noti, aveva la capacità di essere letale per i primati ma non per l'uomo. Infatti il personale che aveva avuto contatto con gli animali (Macaca fascicularis) nella fase iniziale dell'epidemia, quando non erano ancora state messe in atto le precauzioni per limitare il contagio, pur presentando una sieroconversione, non ebbe alcuna patologia. Nel caso dell'epidemia Reston la trasmissione per via aerea si è verificata probabilmente per mezzo di aerosol di urina, sangue e feci. Nell'aprile del 1995 un altro focolaio epidemico, dopo circa 15 anni d'imprevedibile ''occultamento'', si è verificato nello Zaire, a partenza dalla cittadina di Kikwit. Nel corso degli anni sono state effettuate varie indagini epidemiologiche per studiare la prevalenza degli anticorpi anti-Ebola in popolazioni africane, con risultati variabili. La ricerca di un serbatoio naturale è molto complessa. Infatti la dimostrazione riportata nel 1995 di un contagio umano verificatosi durante l'autopsia di uno scimpanzé, con parziale caratterizzazione di un'altra variante del virus Ebola, dimostra che lo scimpanzé è vittima come l'uomo e quindi non è quasi certamente il serbatoio naturale. Roditori e pipistrelli potrebbero avere il ruolo di serbatoio più importante. Poiché la famiglia dei filovirus comprende membri di altissima contagiosità, la manipolazione dei tessuti infetti e di materiale biologico in genere richiede un massimo grado di sicurezza, messo in atto con livelli di protezione per gli operatori noti con la sigla P-4. In questo tipo d'infezione gli studi immunologici sembrano dimostrare una scarsa efficacia della risposta anticorpale, rendendo complesso l'approccio a una profilassi di tipo vaccinico.

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