Virus

Enciclopedia del Novecento (1984)

Virus

Claudio Basilico

di Claudio Basilico

Virus

sommario: 1. Introduzione. 2. Storia della scoperta dei virus. a) Le prime scoperte. b) La scienza della virologia. 3. Proprietà generali e composizione dei virioni. a) Lacido nucleico virale. b) Il capside. c) L'involucro. 4. Il ciclo di moltiplicazione virale. 5. Metodi di indagine e di identificazione dei virus. 6. Virus batterici (batteriofagi). a) Fagi a DNA bicatenario. b) Fagi a DNA monocatenario. c) Fagi a RNA. d) Lisogenia e trasduzione. 7. Virus delle piante. 8. Virus degli Insetti. 9. Virus animali. a) Virus a RNA (con attività litica). b) Virus a DNA. c) Virus dell'epatite. d) Virus tumorali. e) Virus lenti.  10. Malattie virali umane. 11. Difese contro l'infezione virale. a) Risposte dell'ospite. b) Vaccini. c) Chemioterapia. 12. Origine dei virus. 13. Virus come vettori di geni estranei. □ Bibliografia.

1. Introduzione

I virus sono agenti infettivi di struttura relativamente semplice che si moltiplicano soltanto all'interno di cellule viventi, delle quali usano i meccanismi di sintesi per replicarsi e dirigere la sintesi di elementi specializzati, capaci di trasferire il genoma virale ad altre cellule.

Questa definizione (adattata da Luria e altri, 19783) contiene le proprietà essenziali dei virus. La prima proprietà è quella del parassitismo endocellulare. Mentre altri organismi (per es. il plasmodio della malaria) sono parassiti endocellulari, soltanto i virus dipendono completamente dai meccanismi della cellula ospite, non solo per la produzione di energia e il rifornimento dei materiali nutritivi, ma anche per l'espressione dei loro stessi geni. Inoltre il genoma virale, che è costituito da molecole di acido nucleico, dirige la sintesi delle proteine virali che sono usate non solo per la replicazione, ma anche per il processo di maturazione, cioè l'inclusione del genoma entro un rivestimento proteico per generare una particella virale che può essere rilasciata dalla cellula infetta e attaccare altre cellule. Quest'ultima proprietà distingue i virus dai plasmidi, che sono molecole di acido nucleico capaci di replicazione endocellulare, ma che non posseggono un meccanismo specializzato di trasmissione da cellula a cellula e non sono inclusi in particelle proteiche.

I virus sono generalmente entità submicroscopiche, che possono essere osservate soltanto con l'aiuto del microscopio elettronico. Essi non hanno un'organizzazione di tipo cellulare, ma nella loro forma più semplice sono costituiti da una molecola di acido nucleico inclusa in un rivestimento proteico (o capside). In alcuni virus il core nucleocapsidico è racchiuso in un involucro, contenente proteine strutturali virali oltre a lipidi e carboidrati di origine cellulare. Questa è la forma extracellulare di un virus, chiamata anche particella virale o, con più precisione, ‛virione'.

Le piccole dimensioni dei virus hanno avuto un ruolo importante nella loro identificazione. Infatti originariamente i virus erano definiti come agenti infettanti, la cui infettività persisteva in estratti di tessuti passati attraverso filtri di porcellana capaci di trattenere i batteri. Da qui deriva la definizione originaria di virus filtrabili, caduta in disuso quando divenne chiaro che numerosi altri agenti non filtrabili possedevano tutte le altre proprietà dei virus.

Il materiale genetico (o genoma) dei virus può essere costituito da DNA o RNA. Sotto questo aspetto i virus rappresentano un'eccezione alle leggi generali della biologia, dal momento che in tutti gli altri organismi conosciuti l'informazione genetica ereditaria è codificata soltanto nel DNA, mentre le molecole di RNA agiscono come messaggeri, cioè portatori dell'informazione genetica dal DNA alle strutture capaci di tradurla nei prodotti genici, cioè in proteine.

È importante notare che il genoma dei virus non solo contiene tutta l'informazione genetica necessaria per formare una particella virale, ma in molti casi è esso stesso infettivo. Il DNA, o l'RNA, virale ‛nudo' può essere introdotto nelle cellule in appropriate condizioni sperimentali (questa tecnica è chiamata transfection), dove è capace di riprodurre un normale ciclo di crescita virale. Questa caratteristica degli acidi nucleici virali probabilmente non ha un ruolo significativo nella loro infettività naturale, poiché la sopravvivenza degli acidi nucleici ‛nudi' nell'ambiente è bassa ed essi possono penetrare nelle cellule soltanto in condizioni molto particolari. Comunque questa proprietà è importante per comprendere la natura di agenti virus-simili come i viroidi, ed è ampiamente sfruttata negli studi di ingegneria genetica (v. cap. 13).

I virus sono suddivisi in tre gruppi principali, a seconda del tipo di ospite che essi parassitano:l) virus batterici, o batteriofagi, che infettano i batteri; 2) virus animali, che si moltiplicano in cellule animali, comprese quelle degli Invertebrati (per es. Insetti); 3) virus delle piante. Questa suddivisione è in un certo senso arbitraria poiché è noto, per esempio, che alcuni virus delle piante possono moltiplicarsi in insetti vettori. Un'altra suddivisione, che non tiene conto della suscettibilità dell'ospite, si basa sul tipo di acido nucleico (DNA o RNA) che costituisce il materiale genetico del virus. Dal momento che i virus a DNA e quelli a RNA generalmente utilizzano meccanismi di infezione e replicazione differenti, la divisione tra virus a DNA e virus a RNA è generalmente mantenuta all'interno di ciascun gruppo.

I virus vennero originariamente riconosciuti come agenti eziologici di malattie, che potevano essere trasmessi da un organismo infetto a un altro. Benché ora sia chiaro che alcuni virus non hanno alcun effetto dannoso sui loro ospiti, la maggioranza dei virus animali e vegetali noti causano malattie. Il loro effetto patogeno è dovuto, nella maggior parte dei casi, alla distruzione delle cellule che rappresentano il loro principale bersaglio, come le cellule del sistema nervoso centrale per il Poliovirus, che causa la forma di paralisi nota come poliomielite. In altri casi, il danno da essi provocato all'ospite è di natura più complessa. I virus tumorali non uccidono le cellule infette, ma conferiscono loro un nuovo fenotipo di crescita incontrollata, dannoso non alla cellula stessa, ma all'intero organismo colpito.

2. Storia della scoperta dei virus

a) Le prime scoperte

Il ruolo dei virus come agenti infettivi e causa di malattie fu riconosciuto molto tempo prima che la loro vera natura fosse nota. Infatti un sistema per la prevenzione di alcune malattie virali era già stato trovato prima che si sospettasse che i virus sono delle entità biologiche appartenenti a una classe specifica. Nel 1776 E. Jenner in Inghilterra introdusse la pratica della vaccinazione per proteggere la popolazione dal vaiolo. La vaccinazione antivaiolosa, tuttora ampiamente usata, utilizza i fluidi delle lesioni di bovini infettati dal virus vaccinico per conferire immunità contro la ben più grave malattia dell'uomo. Similmente L. Pasteur, intorno al 1880, tentò di ottenere un metodo di immunizzazione contro la rabbia usando ceppi virali attenuati che erano stati passati in cervello di coniglio.

Trascorse comunque del tempo prima che i virus fossero riconosciuti come appartenenti a una classe specifica di agenti infettivi. Nel 1892 D. Ivanoskij dimostrò che la malattia del mosaico del tabacco poteva essere trasmessa da estratti di piante malate passati attraverso un filtro capace di trattenere i batteri; non molto tempo dopo si dimostrò che l'afta epizootica poteva essere trasmessa da un filtrato privo di cellule, ottenuto da tessuti malati. La capacità oncogena dei virus fu scoperta quando fu dimostrato che con filtrati privi di cellule era possibile trasmettere la leucosi dei polli (Ellerman e Bang, 1908) e un sarcoma dei polli (Rous, 1911). La scoperta dei virus dei batteri o batteriofagi (Twort, 1915; D'Herelle, 1917) si rivelò di grande importanza per lo sviluppo della virologia, per la relativa facilità con cui è possibile studiare l'infezione virale in colture batteriche. Ciò pose le fondamenta per lo studio dei meccanismi di base dell'infezione e della replicazione virali, fornendo un sistema valido per tutti i virus.

b) La scienza della virologia

Negli ultimi anni la virologia è divenuta a pieno diritto una scienza biologica fondamentale. Nata come una branca della patologia che studiava i virus per lo più come agenti patogeni, si è sviluppata in una disciplina che riconosce i virus come microrganismi appartenenti a una classe specifica, i quali tuttavia seguono strettamente le leggi biologiche che governano la riproduzione e i meccanismi di espressione delle cellule che essi infettano. Lo sviluppo della virologia ha ricevuto un grande impulso dalla genetica, avvezza a studiare organismi semplici come i virus, e dalla biologia molecolare. Questa scienza, che riunisce approcci diversi allo studio della struttura, della funzione e dell'organizzazione di macromolecole biologiche, ha trovato nei virus uno degli strumenti di indagine preferiti. I virus sono quindi stati studiati non soltanto in quanto agenti di malattie, ma anche perché capaci di fornire informazioni sugli intricati meccanismi di funzionamento della cellula. La maggior parte dello sviluppo in questo campo è stata resa possibile da tecniche con cui non soltanto i batteri, ma anche cellule animali e vegetali possono essere coltivate e studiate come organismi unicellulari. Sebbene gli studi iniziali con i virus siano stati effettuati osservando l'effetto dell'infezione in animali o piante nel loro insieme, è stato lo sviluppo delle colture batteriche e di cellule animali che ha permesso lo studio approfondito dei meccanismi fondamentali della riproduzione virale e dei suoi effetti sulla cellula ospite, da cui sono derivate, per la maggior parte, le attuali conoscenze in questo campo.

3. Proprietà generali e composizione dei virioni

Poiché le dimensioni della maggior parte dei virus sono al di sotto della risoluzione del microscopio ottico, soltanto l'avvento della microscopia elettronica e delle tecniche di diffrazione ai raggi X ha permesso un'analisi dettagliata della loro forma e dimensione.

Le dimensioni dei virus variano su un ampio intervallo: da 20 nm (1 nm = 10-9 m) (virus dell'afta epizootica) a 400 nm (virus del gruppo Poxvirus) di diametro (v. fig.). Le particelle virali viste al microscopio elettronico rivelano la presenza di un rivestimento proteico (il capside) a struttura altamente organizzata, che di solito ha una forma cilindrica o grossolanamente sferica. Il materiale genetico virale (DNA o RNA) è incluso nel capside. Le particelle virali possono anche contenere proteine interne legate all'acido nucleico, enzimi e tRNA, lipidi e carboidrati. In alcuni casi, un ‛involucro' membranoso circonda il capside. I virus privi di involucro sono chiamati ‛nudi'.

a) L'acido nucleico virale

Il materiale genetico all'interno di una particella virale può essere RNA o DNA. L'acido nucleico contiene l'informazione (geni) per la sintesi dei componenti proteici necessari per la propagazione del virus, tra cui i fattori della replicazione dell'RNA o del DNA e le proteine del capside. Il numero di geni contenuti in un particolare acido nucleico virale varia da uno, nei Parvovirus, a più di duecento, nei Poxvirus. Nella maggior parte dei casi, l'acido nucleico è legato a proteine di origine cellulare come gli istoni.

L'espressione dei geni virali, come quella dei geni cellulari, è regolata con grande precisione, cioè essi non sono necessariamente espressi tutti insieme, ma sono attivati o bloccati secondo una specifica sequenza temporale. Questo tipo di regolazione assicura la produzione efficiente di nuovi virioni.

Gli acidi nucleici virali possono essere bicatenari o monocatenari. Il tipo di acido nucleico di un particolare virione così come la sua configurazione determinano in gran parte i meccanismi mediante i quali l'acido nucleico esprime i suoi geni e si replica, e quindi il ciclo vitale del virus.

DNA virale bicatenario. - Come il genoma cellulare, il materiale genetico di molti virus è costituito da DNA bicatenario. Il meccanismo per mezzo del quale il DNA virale bicatenario si replica è simile a quello usato dal DNA dell'ospite, poiché il virus sfrutta i fattori di replicazione della cellula. Analogamente la sintesi degli RNA messaggeri a partire dai DNA virale bicatenario (trascrizione) avviene con un meccanismo simile a quello della trascrizione del DNA della cellula ospite.

La molecola di DNA bicatenario può avere differenti configurazioni. I Papovavirus, come SV4O e Polioma, contengono una molecola di DNA circolare, cioè senza estremità libere. Al contrario, la molecola di DNA degli Adenovirus o del batteriofago λ è lineare, cioè ha due estremità libere. Mentre le estremità delle lunghe molecole di DNA cellulare sono molto lontane l'una dall'altra e probabilmente non interagiscono, gli studi sui DNA virali hanno dimostrato che le loro estremità spesso hanno proprietà importanti per il funzionamento dell'intera molecola. Ad esempio, le estremità del DNA del batteriofago λ sono monocatenarie e una estremità può, in particolari condizioni, appaiarsi con l'altra estremità causando la circolarizzazione del genoma. Altri DNA virali, come quelli dei batteriofagi T4 e T7, hanno estremità identiche (ripetizioni terminali), mentre alcune estremità, come quelle degli Adenovirus, hanno ripetizioni invertite. Tutte queste strutture non sono dovute al caso, ma rappresentano speciali caratteristiche del DNA virale che spesso determinano il modo in cui il DNA è espresso o replicato.

DNA virale monocatenario. - Batteriofagi molto piccoli, come ΦX 174 e M13, o virus animali come i Parvovirus contengono un genoma costituito da DNA monocatenario (lineare o circolare). Durante parte del suo ciclo vitale all'interno della cellula, la molecola monocatenaria esiste temporaneamente sotto forma di DNA bicatenario.

RNA monocatenario e genomi frammentati. - Sebbene l'informazione genetica cellulare sia costituita da DNA bicatenario, il materiale genetico di alcuni virus è l'RNA. In effetti proprio gli studi sull'RNA di un virus delle piante (virus del mosaico del tabacco, TMV) dimostrarono per la prima volta che l'RNA poteva comportarsi come materiale genetico.

Il genoma del TMV, come quello di molti altri virus delle piante, batteriofagi, ecc., è costituito da una molecola di RNA lineare monocatenario. Questo RNA funziona nella cellula come RNA messaggero, dirigendo la sintesi delle proteine virali. Le molecole di RNA genomico che possono funzionare anche come RNA messaggero sono chiamate catene positive.

Al contrario, l'RNA genomico di altri virus non può fungere da RNA messaggero e tali molecole sono chiamate catene negative. I virus i cui genomi sono catene negative contengono nei loro capsidi un enzima virale, che catalizza la produzione di una molecola di RNA complementare a partire dall'RNA genomico. La molecola di RNA complementare positiva così prodotta agisce da messaggero per la sintesi delle proteine virali.

Alcuni virus a RNA contengono più di una molecola di RNA genomico per capside; tali genomi sono detti ‛frammentati'. In questo caso ciascun RNA presente nel capside è differente dagli altri e codifica per una differente catena polipeptidica.

I genomi frammentati possono essere costituiti da catene positive (brome mosaic virus) o catene negative (Mixovirus) di RNA. I Retrovirus animali contengono due catene positive di RNA genomico ma, poiché le molecole sono identiche, essi non sono un esempio di genoma frammentato. Come per le molecole di DNA virale, le estremità delle molecole di RNA virale possono contenere strutture che determinano la configurazione e il ciclo vitale del virus.

RNA virale bicatenario. - RNA bicatenario è l'acido nucleico di molti virus degli animali e delle piante come i Reovirus e il virus della febbre catarrale delle pecore. L'RNA dei Reovirus è frammentato in 10 unità tutte contenute dentro un unico capside.

b) Il capside

Il capside virale è costituito da una o più unità polipeptidiche diverse (protomeri) che si uniscono insieme a formare la struttura contenente l'acido nucleico e le proteine interne del virus. Questo rivestimento funziona da barriera protettiva per l'acido nucleico e facilita l'attaccamento della particella virale alla cellula ospite durante l'infezione.

Poiché il genoma virale contiene soltanto un limitato numero di geni, esso non può dedicare una quantità eccessiva della sua informazione genetica alla sintesi delle proteine del capside. Per tale ragione il capside è composto da repliche di un numero ristretto di tipi di protomeri. Il capside deve essere una struttura stabile; quindi l'associazione di unità polipeptidiche identiche in un capside richiede il massimo numero di contatti o legami. Ne risulta una struttura formata da molecole disposte in un ordine estremamente preciso con alcune proprietà dei cristalli. Per queste ragioni i capsidi possono avere fondamentalmente due forme: elicoidale o icosaedrica (v. fig.)

Capsidi elicoidali. - Il capside elicoidale o filamentoso si trova, ad esempio, nel TMV e nel batteriofago M13. Esso è formato da una serie di protomeri virali legati tra loro e organizzati in modo da produrre una struttura elicoidale, il cui diametro dipende dalle caratteristiche strutturali dei protomeri e la lunghezza dalle dimensioni dell'acido nucleico.

Capsidi icosaedrici. - Un icosaedro è un poliedro regolare con venti facce triangolari e dodici vertici. Tale struttura è formata dall'aggregazione di 5 o 6 protomeri in unità chiamate capsomeri e dalla susseguente aggregazione dei capsomeri nel capside. I pentoni sono capsomeri che si legano ad altri cinque capsomeri e gli esoni sono capsomeri che si legano ad altri sei capsomeri. Come nel caso del capside elicoidale, le dimensioni dei capsidi icosaedrici sono direttamente correlate alle caratteristiche strutturali dei protomeri. Tra i molti virus che possiedono un capside icosaedrico vi sono i Poliovirus, gli Adenovirus, i Papovavirus e il batteriofago ΦX 174.

Altri capsidi. - Alcuni capsidi virali non rientrano né nel gruppo dei virus a capside elicoidale né in quello dei virus a capside icosaedrico. Per esempio, i colifagi della serie T pari - T2, T4 e T6 - hanno capsidi costituiti da componenti sia elicoidali che icosaedrici. Una tale struttura è detta ‛a simmetria binaria'. D'altra parte i Poxvirus non hanno un capside facilmente definibile, ma diversi strati di proteine e membrane che racchiudono l'acido nucleico (capside complesso).

Tutti i tipi di capside possono avere appendici, quali fibre caudali o proiezioni, che facilitano l'adsorbimento del virione alla superficie cellulare durante l'infezione.

c) L'involucro

L'involucro è uno strato membranoso che circonda il capside ed è costituito da un doppio strato lipidico in cui sono inserite proteine della matrice e glicoproteine. Le proteine sono codificate dal virus, mentre la parte lipidica è di origine cellulare. Le glicoproteine, che si proiettano dall'interno del doppio strato lipidico verso la superficie esterna dell'involucro, hanno speciali funzioni e sono necessarie perché la particella virale mantenga la sua infettività. Le proteine della matrice, invece, si proiettano dalla superficie interna del doppio strato lipidico fino a connettersi con il capside.

Al microscopio elettronico la maggioranza dei virus provvisti di involucro non hanno una forma definita a causa della flessibilità del doppio strato lipidico.

4. Il ciclo di moltiplicazione virale

Un virus isolato è una particella inerte e fin quando non ha infettato una cellula ospite non assume alcuna delle caratteristiche della ‛vita'. Soltanto all'interno dell'ambiente cellulare diventano possibili i processi dinamici della replicazione e dell'espressione dell'acido nucleico virale, con conseguente sintesi delle proteine virali.

La cellula è sopraffatta dal virus, il quale se ne serve per costruire i propri componenti strutturali. Questi sono associati insieme a formare nuove particelle virali che lasciano la cellula per infettare altre cellule. Questo tipo di interazione virus-cellula può portare alla produzione anche di 100.000 particelle virali da una singola cellula ed è chiamato ciclo litico poiché causa la lisi e la morte della cellula infetta.

Esistono anche altri tipi di interazioni cellula-virus che non conducono necessariamente alla produzione di virus e/o alla morte cellulare. Esempi di queste interazioni alternative sono la lisogenia (batteriofagi), la trasformazione (virus tumorali) e la latenza (Herpesvirus). In questo capitolo tratteremo soltanto il ciclo litico, essendo esso il più comune ciclo di moltiplicazione dei virus (v. fig.). Il ciclo litico può essere diviso in 5 stadi successivi.

1. Adsorbimento. É l'attaccamento della particella virale alla superficie esterna di una cellula suscettibile. Questo attacco avviene per mezzo di specifiche strutture dell'ospite, come recettori cellulari di superficie, microvilli o, nel caso di alcuni ospiti batterici, pili, e di strutture del virione, come fibre caudali del capside (colifagi della serie T pari), punte (Poxvirus, Adenovirus) o glicoproteine nel caso di virus provvisti di involucro (Togavirus).

2. Penetrazione. Questo processo porta alla liberazione dell'acido nucleico virale all'interno della cellula. Poiché le cellule batteriche, vegetali e animali differiscono nella loro composizione, i sistemi di penetrazione dei rispettivi virus variano anch'essi.

In seguito all'adsorbimento, i colifagi della serie T pari iniettano il loro DNA attraverso la parete cellulare del batterio ospite. Il capside proteico non entra mai all'interno della cellula. Al contrario, nei virus animali, come ad esempio i Papovavirus, l'intera particella virale è inglobata dalla membrana cellulare (endocitosi) e trasportata nel nucleo della cellula. Qui avviene lo scapsidamento, durante il quale l'acido nucleico virale si separa dal suo capside.

I virus provvisti di involucro probabilmente penetrano nella cellula mediante fusione delle membrane virale e cellulare e susseguente liberazione del nucleocapside nel citoplasma della cellula ospite, o mediante endocitosi seguita da liberazione del nucleocapside nel citoplasma o nel nucleo.

3. Sintesi dell'acido nucleico virale ed espressione genica. Dopo che l'acido nucleico virale si è separato dal suo capside, non può più essere rinvenuto nella cellula come virus infettivo. Da quel momento nella cellula è presente una molecola libera di acido nucleico, che porta i geni deputati a dirigere la produzione di nuovi virioni. È questa la parte del ciclo di sviluppo virale spesso chiamata ‛fase di eclisse'.

L'acido nucleico virale è ora pronto a iniziare la sintesi delle proteine virali nonché la propria replicazione utilizzando meccanismi della cellula ospite. La replicazione del genoma virale avviene mediante enzimi di origine sia virale che cellulare, dal momento che la replicazione di alcuni acidi nucleici virali necessita di enzimi che non sono presenti in cellule non infettate. Tali enzimi possono essere trasportati all'interno della cellula dal virione stesso o sintetizzati dai geni virali entro la cellula.

Il meccanismo di replicazione dei virus a DNA è simile a quello del DNA della cellula ospite. Generalmente la replicazione del genoma virale inizia in una regione specifica del DNA ed è effettuata da un enzima (virale o cellulare) chiamato DNA-polimerasi. Il numero di nuove molecole di DNA virale prodotte all'interno di una cellula infettata varia molto e può arrivare fino a un milione.

I virus a RNA, invece, si replicano secondo uno dei due seguenti meccanismi. Alcuni virus replicano il loro RNA genomico direttamente, utilizzando replicasi codificate dal virus stesso. In altri virus a RNA il genoma è prima copiato in un DNA dalla transcriptasi inversa virale contenuta nella particella virale e portata nella cellula insieme all'RNA genomico. La progenie degli RNA virali è quindi trascritta dalla molecola di DNA intermedio di replicazione.

Nel caso in cui per la replicazione del genoma a RNA o a DNA sia necessario un particolare prodotto genico virale e questo prodotto non sia trasportato all'interno della cellula dal capside, il gene per questa proteina deve essere espresso prima che la sintesi dell'acido nucleico possa aver luogo. La maggioranza delle proteine virali, come le proteine del capside, sono prodotte solo dopo l'inizio della replicazione del genoma. La produzione delle proteine del capside segna l'inizio del periodo di maturazione.

4. Maturazione. I polipeptidi neosintetizzati del capside si accumulano nella cellula nel ‛pool dei precursori'. Da questi pools singole molecole o gruppi di molecole iniziano il montaggio del capside, combinandosi con le molecole degli acidi nucleici virali replicatisi. Nel caso di un virus provvisto di involucro, tale struttura si aggiungerà al nucleocapside del virione, per derivazione dalla membrana citoplasmatica o altra membrana cellulare. La formazione di una prima unità infettiva all'interno della cellula segna la fine del periodo di eclisse.

5. Liberazione. La progenie virale si libera nello spazio extracellulare in vari modi a seconda del virus e del tipo di cellula. Alcuni batteriofagi, per esempio, producono enzimi che causano la lisi della cellula ospite con concomitante liberazione di virioni infettivi. I virus delle piante generalmente lasciano la cellula infettata attraverso ponti intercellulari. Alcuni virus animali provocano la lisi della cellula ospite, mentre altri fuoriescono semplicemente ‛per gemmazione' dalla membrana superficiale della cellula ospite, senza quindi ucciderla.

In conclusione, il meccanismo mediante il quale un particolare virus si propaga dipende in larga misura non soltanto dal tipo di cellula ospite che esso infetta, ma anche dal tipo di acido nucleico del virus e dai fattori necessari per la sua replicazione. Lo spettro d'ospite di un virus è determinato a molti livelli del ciclo di sviluppo virale. Una cellula ospite suscettibile deve essere in grado di adsorbire i virioni e deve possedere meccanismi o cofattori capaci di riconoscere i segnali, nell'acido nucleico virale, necessari per la sua replicazione ed espressione. Se qualcuna di queste condizioni non è soddisfatta, la cellula non è suscettibile all'infezione.

5. Metodi di indagine e di identificazione dei virus

I virus sono generalmente visibili al microscopio elettronico sia nello stato extracellulare sia in quello intracellulare. Questo metodo però è troppo complicato e costoso per diagnosi di routine; inoltre richiede concentrazioni di virus relativamente elevate (manca cioè di sensibilità). Conseguentemente la virologia deve ricorrere a metodi indiretti per isolare e identificare i virus.

La maggioranza di questi metodi si basa sul principio che i virus sono agenti infettivi. A questo riguardo i ben noti postulati di Koch, usati per stabilire che una malattia è causata da un dato agente infettivo, sono stati adattati ai virus nella seguente maniera: a) isolamento di un virus da un malato; b) coltivazione del virus in sistemi sperimentali; c) prova di filtrabilità e trasmissione mediante estratti privi di cellule; d) produzione di una malattia simile nella specie originale o in una specie affine. La coltivazione del virus e la dimostrazione della sua presenza in sistemi sperimentali sono quindi uno dei passaggi più importanti nel riconoscimento di malattie virali. Parecchi metodi si basano sullo studio del potere infettivo e dell'effetto citopatico causato dal virus nella cellula ospite.

Questi sistemi sono divenuti sempre più sistemi in vitro, nei quali l'effetto dell'infezione virale è studiato in colture relativamente semplici di cellule batteriche, animali o vegetali. In appropriate condizioni l'effetto letale dei virus sulle cellule può essere osservato sotto forma di lesioni localizzate o placche su di uno strato di cellule suscettibili. Ciò è conseguenza dell'infezione di una singola cellula da parte di una particella virale, della diffusione dei virus prodotti nelle cellule vicine e della formazione di un'area di lisi (placca) che indica il progredire dell'infezione virale. Questo metodo è estremamente sensibile (una singola particella virale può causare la formazione di una placca) ed è ampiamente usato per contare il numero di unità infettive presenti in una preparazione virale (v. fig.).

Altri metodi per rivelare la presenza dei virus si basano su altre proprietà biologiche dei virus stessi, come la formazione di sincizi, la capacità di agglutinare le emazie o, nel caso dei virus tumorali, la capacità di ‛trasformare' cellule animali normali in coltura cambiandone la morfologia. Tali cellule trasformate in genere appaiono al microscopio come foci di cellule che crescono addensandosi sopra uno strato di cellule normali. I metodi basati su colture cellulari tuttavia non sempre sono sufficienti a rivelare la presenza di virus. In questi casi è necessario inoculare in animali il materiale sospetto e aspettare che si manifestino i sintomi di malattia. Qualora la malattia insorga, estratti privi di cellule vengono preparati dagli organi affetti, per verificare se la malattia possa essere trasmessa ad altri organismi.

L'identificazione dei virus si avvale in gran parte dell'uso di tecniche immunologiche, associate a quelle sopra descritte. La neutralizzazione dell'infettività di una preparazione virale ignota mediante un anticorpo diretto contro un virus noto è uno di tali metodi. In questa tecnica le preparazioni contenenti il virus da identificare si fanno reagire con anticorpi di differente specificità. Soltanto l'antisiero diretto contro lo stesso tipo di virus (siero omologo) neutralizzerà la sua infettività.

6. Virus batterici (batteriofagi)

Ospiti dei virus batterici, o batteriofagi, sono i batteri. Una classificazione generale dei virus batterici viene fatta sulla base del tipo di acido nucleico che essi contengono.

a) Fagi a DNA bicatenario

L'infezione di un batterio suscettibile da parte di quasi tutti i batteriofagi contenenti DNA bicatenario può essere litica (produttiva) o lisogenica (non produttiva). L'interazione produttiva fago-batterio determina la usi dell'ospite e la fuoruscita delle particelle virali neoformate. La lisogenia comporta l'integrazione del genoma fagico nel cromosoma cellulare senza causare la morte dell'ospite.

I fagi litici più studiati sono quelli della serie T (da T1 a T7) di Escherichia coli. Il peso molecolare del loro DNA varia tra 25 × 106 e 120 × 106 dalton. La testa del virione, che ha la forma di due metà di un icosaedro connesse da un corto prisma, contiene il DNA virale e le proteine a esso associate. La testa è connessa ai componenti della coda, che in T2 è costituita da tre parti: una porzione interna a forma di cilindro cavo, una guaina elicoidale contrattile e una piastra esagonale, a cui sono collegate le punte e sei lunghe fibre caudali. La coda è l'organo d'adsorbimento di questi fagi: le fibre della coda si legano alla superficie delle cellule suscettibili. Una volta adsorbito, il fago inietta l'acido nucleico virale attraverso la parete cellulare, facendolo penetrare all'interno della cellula batterica mediante la contrazione della guaina.

Allorché la molecola di DNA dei fagi della serie T pari è penetrata, essa causa una profonda riorganizzazione di tutte le sintesi macromolecolari della cellula: la sintesi del DNA, dell'RNA e delle proteine cellulari cessa ed è sostituita dalla sintesi dei costituenti virali.

Subito dopo la penetrazione, i geni virali sono trascritti negli RNA messaggeri secondo una sequenza temporale preordinata. Il DNA di T5 e di T7 è iniettato a partire da una specifica estremità. I geni localizzati in questa regione del DNA sono quindi espressi per primi. Questi geni ‛precoci' codificano per proteine generalmente coinvolte nell'arresto delle sintesi delle macromolecole cellulari e nella replicazione del DNA virale. I geni ‛tardivi', spesso trascritti da un enzima cellulare modificato da una proteina ‛precoce', codificano per le proteine del capside e per gli enzimi necessari alla lisi cellulare.

La replicazione del genoma del colifago T avviene in modo bidirezionale, iniziando da uno o più punti fissi della molecola lineare del DNA virale, e porta alla formazione di lunghi concatemeri. La progenie di molecole di DNA genomico si forma da questi concatemeri mediante il taglio in molecole di lunghezza unitaria durante l'impacchettamento. La maggior parte delle subunità del capside si aggrega ‛spontaneamente', cioè senza l'intervento di un enzima o altra sorgente di energia. La testa del fago T4 è invece costruita attraverso una serie di passaggi obbligati, in cui ciascuna proteina va incontro a cambiamenti di conformazione durante l'aggregazione, in modo da rendere accessibili i punti di legame per la subunità seguente. Dopo il riempimento della testa con un'unità genomica virale, una endonucleasi recide l'eccesso della catena concatemerica di DNA.

La liberazione delle particelle della serie T pari richiede l'azione di parecchie funzioni virali, che alterano la membrana dell'ospite, e di un enzima specifico, il lisozima, che attacca la parete cellulare causando la lisi della cellula.

b) Fagi a DNA monocatenario

In questo gruppo di fagi il capside del virione racchiude una piccola molecola circolare di DNA monocatenario (i prototipi sono il fago icosaedrico ΦX 174 e il fago filamentoso fl). L'adsorbimento dei fagi filamentosi richiede la presenza di uno specifico pilo sessuale sulla superficie del batterio. I batteri che possiedono quest'organo sono chiamati ‛maschili'. Dopo l'adsorbimento soltanto il DNA virale e un componente secondario del capside entrano effettivamente nella cellula. Questi fagi sono completamente dipendenti dagli enzimi della replicazione cellulare e non bloccano la sintesi delle macromolecole dell'ospite. Il DNA monocatenario infettivo, denominato catena positiva, è di dimensioni molto piccole (5,4 kilobasi nel ΦX 174, che codifica per 9 geni) e serve come stampo per la sintesi della catena complementare negativa. Il prodotto, una forma replicativa (RF) bicatenaria, dà luogo a nuove RF circolari che a loro volta servono come stampo per la sintesi di catene positive. I fagi filamentosi di questo gruppo (M13, fl, fd) non uccidono la cellula; i virioni sono espulsi attraverso la superficie cellulare.

c) Fagi a RNA

Tutti i fagi a RNA contengono nei loro virioni una molecola di RNA monocatenario, con l'eccezione di Φ 6, un fago di Pseudomonas con un genoma costituito da RNA bicatenario. Una precisa regolazione genetica caratterizza il ciclo vitale di questi fagi specifici per batteri maschili (Qβ, R17, MS2). L'RNA virale agisce sia come RNA genomico sia come RNA messaggero e quindi è una catena positiva. Il genoma del fago (1,2 × 106 dalton, 3,5 kb) contiene l'informazione genetica per la sintesi di solo 3 proteine: la proteina A necessaria per l'adsorbimento, la proteina del capside e una replicasi altamente specifica (RNA-polimerasi RNA-dipendente). La catena positiva dell'RNA serve come stampo per la sintesi di una catena di RNA complementare negativa. Il prodotto, un RNA bicatenario, è il substrato per la sintesi di catene positive della nuova progenie. L'RNA-polimerasi è costituita da varie subunità, delle quali soltanto una è codificata dal virus, mentre le altre sono proteine cellulari.

d) Lisogenia e trasduzione

Oltre all'infezione litica, alcuni fagi a DNA possono dare luogo a un'infezione di tipo non produttivo (lisogenia). Questi fagi sono detti temperati, dal momento che, in appropriate condizioni, essi sono incapaci di lisare la cellula, persistendo indefinitamente nell'ospite in una forma stabile ed ereditaria, chiamata ‛profago' (v. fig.).

I più noti fagi lisogeni sono i colifagi λ, Mu, Pl, P2 e P22, un fago temperato di Salmonella typhimurium. Gli studi sul batteriofago λ hanno fornito molti dati sulla lisogenia. Il ciclo litico di questo fago è simile a quello dei fagi virulenti. Nell'infezione lisogena, invece, la molecola di DNA bicatenario del fago λ (30 × 106 dalton, 47 kbp) si inserisce (integra) in un punto specifico (sito di attacco) del cromosoma batterico e viene replicata come un ‛gene' cellulare dai meccanismi di replicazione della cellula ospite. L'integrazione del DNA di λ nel DNA batterico avviene per rottura e riunione di ambedue le molecole in punti fissi. Il DNA virale, che nella cellula ha una forma circolare, si linearizza inserendosi tra i geni della cellula ospite. L'integrazione necessita di un prodotto genetico virale (integrasi) che catalizzi lo scambio genetico. Il mantenimento dello stato lisogeno richiede un meccanismo che blocchi lo sviluppo del ciclo litico del fago. Questo si verifica attraverso la produzione continua di una particolare proteina virale (repressore) che blocca importanti siti regolatori del DNA del profago e simultaneamente promuove la propria sintesi. La repressione conferisce al sistema una proprietà importante: il batterio lisogeno, che porta un profago integrato, è ‛immune' alla superinfezione da parte dei fagi dello stesso tipo di quello integrato, che sono bloccati dal repressore.

Sebbene numerosi profagi non esercitino alcun effetto rilevabile sul fenotipo batterico (con l'eccezione di conferire immunità alla superinfezione), alcuni profagi possono modificare il fenotipo dell'ospite esprimendo nuove funzioni. Un esempio importante è la produzione di una tossina, letale per l'uomo, in Corynebacterium diphtheriae, a seguito di lisogenizzazione mediante il fago β.

Lo stato lisogeno è reversibile: occasionalmente il profago può improvvisamente ritornare alla forma vegetativa e riprodursi come fago litico. Questo evento avviene spontaneamente con una frequenza molto bassa o può essere indotto da vari trattamenti (raggi UV, alte temperature), che inattivano il repressore. Le funzioni litiche del genoma virale possono essere espresse solo dopo che il DNA profagico indotto si distacca dal cromosoma dell'ospite con un processo esattamente inverso rispetto a quello dell'integrazione; questo fenomeno si chiama escissione (v. fig.).

Un'escissione imprecisa può provocare la formazione di molecole che contengono non soltanto il DNA virale, ma anche alcuni geni batterici immediatamente adiacenti al profago. Ciò porta a una concomitante delezione di alcune sequenze virali, e quindi alla perdita di funzioni virali. Tali particelle ‛difettive', sebbene possano essere impacchettate nei virioni e siano in grado di infettare, hanno bisogno di un fago non difettivo (helper) che fornisca loro le funzioni mancanti. Il fago ‛trasducente' (che contiene sequenze di DNA cellulare) può conferire a una cellula batterica ricevente una nuova proprietà fenotipica codificata dal DNA del donatore. Questo fenomeno, denominato ‛trasduzione specializzata', differisce dal fenomeno di ‛trasduzione generalizzata', descritto per la prima volta da Zinder e Lederberg (1952). In quest'ultimo caso, qualsiasi segmento del DNA della cellula ospite può essere trasdotto in cellule riceventi. Le particelle trasducenti contengono soltanto frammenti di DNA batterico, che sono stati erroneamente incapsidati in un involucro fagico preformato. A seguito dell'infezione di una cellula ricevente, il segmento di DNA estraneo può essere incorporato nel DNA della cellula ospite ed esprimere i geni per i quali codifica.

La trasduzione può avere un effetto notevole sul fenotipo e sulle proprietà di crescita della cellula ricevente. Per esempio, molti ceppi di stafilococchi sono penicillinoresistenti per la presenza di un enzima, la cui sintesi è controllata da un gene plasmidico che può essere trasdotto da un batteriofago.

7. Virus delle piante

Si conoscono pochi virus delle piante capaci di infettare Gimnosperme, Felci, Alghe o Funghi; la maggioranza dei virus aggredisce piante efflorescenti e causa malattie che comportano notevoli danni economici, in quanto attaccano patate, fagioli, barbabietole, tabacco, cacao e frutta. Una diagnosi di malattia virale non può essere basata soltanto sui sintomi, sebbene le lesioni prodotte siano spesso visibili come aree necrotiche localizzate nel punto di entrata del virus. Quando le lesioni locali non sono visibili, numerosi altri sintomi indicano la presenza di un'infezione in corso (variazioni anormali della distribuzione della clorofilla, macchie circolari sistemiche, sterilità, malformazioni e crescita stentata). Alcuni virus causano malattie proliferative.

Le malattie virali delle piante possono essere grossolanamente raggruppate in tre classi: le malattie con formazione di lesioni a ‛mosaico', quelle con ingiallimento e quelle con lesioni a macchie circolari. Le malattie a mosaico producono macchie a colori variegati e, sebbene facilmente trasmesse con mezzi meccanici, in natura sono generalmente trasmesse dagli afidi. Le malattie con ingiallimento (come l'aster yellow) producono una colorazione giallastra brillante e spesso causano l'arresto della fioritura; esse sono generalmente trasmesse dalle pulci delle foglie. Le malattie a macchia circolare (tobacco ring spot) sono comunemente trasmesse da nematodi e funghi (malattie soil-borne, cioè che originano dal suolo).

I virioni di molti virus delle piante sono costituiti da un capside elicoidale nudo che racchiude l'acido nucleico. Il più noto virus di questo tipo è il virus del mosaico del tabacco (TMV): un lungo bastoncino tubulare di circa 15 nm di spessore, lungo circa 300 nm, che racchiude una molecola di RNA monocatenario di 2,3 × 106 dalton. Da quando la proteina virale del capside del TMV fu descritta da Stanley (1935) è stata eseguita un'enorme quantità di lavoro sulle sue proprietà fisico-chimiche. 2.130 subunità proteiche (ciascuna di 17.400 dalton) si legano a formare una struttura elicoidale con una scanalatura esterna e un foro centrale di 4 nm di diametro. Le subunità proteiche tendono ad aggregarsi in vitro secondo un processo simile alla cristallizzazione, anche in assenza dell'acido nucleico.

Dopo l'infezione l'RNA virale è convertito in forme bicatenarie, ‛intermedio di replicazione' (RI) e ‛forma replicativa' (RF), mediante un meccanismo simile a quello descritto per i fagi a RNA monocatenario. La molecola di RNA dirige la sintesi delle proteine del capside e di almeno altri due peptidi, uno dei quali probabilmente è la replicasi. I virioni del TMV maturi sono visibili nel citoplasma al microscopio elettronico.

Un altro gruppo di virus delle piante (il cui prototipo è il turnip yellow mosaic virus, TYMV) consiste di piccoli virus icosaedrici, con diametro di 20-60 nm, contenenti un genoma a RNA monocatenario.

Il wound tumor virus è il più noto dei virus contenenti un genoma a RNA frammentato. Si conosce un solo gruppo di virus delle piante a DNA bicatenario, il cui prototipo è il cauliflower mosaic virus trasmesso da afidi.

Alcuni virus delle piante sono multipartiti: il loro genoma è costituito da diverse molecole di varia lunghezza, che sono incapsidate separatamente nei capsidi proteici. Affinché il virus possa essere infettivo è necessario che più di una particella virale entri nella stessa cellula ospite, dal momento che le funzioni richieste per l'infettività del virus sono presenti in frammenti separati. Rappresentanti di questo gruppo con struttura del genoma così singolare sono: l'alfa-alfa mosaic virus, il cowpea mosaic virus e il tobacco rattle virus.

In natura la più importante via di trasmissione dei virus delle piante è rappresentata da animali che si cibano delle piante stesse, come gli artropodi capaci di suggere e di introdurre i virus nel tessuto più profondo, il floema. Un pidocchio verde (Myzus persicae) può trasmettere più di cinquanta virus diversi.

Spesso il virus si moltiplica nei tessuti dell'insetto prima di raggiungere le ghiandole salivari ed essere inoculato nella pianta. I Nematodi possono comportarsi come vettori di parecchi virus (tobacco ring spot e tobacco rattle): essi trasmettono il virus cibandosi delle radici. Un ficomicete trasmette il tobacco necrosis virus e altri virus delle piante attraverso le zoospore fungine.

Viroidi. - I viroidi sono assai diversi da ogni altro agente infettivo, inclusi i virus. Il viroide più studiato è l'agente della potato spindle tuber disease (PSTV). Il suo genoma è costituito da una molecola chiusa di RNA monocatenano di 359 nucleotidi, con ampi legami intracatenari (che creano strutture ad anello e simili a forcelle). Non è presente alcun rivestimento proteico; molto poco si sa del meccanismo con cui questi ‛elementi' si replicano. Se sono introdotti in piante sane, i viroidi proliferano e danno luogo ai sintomi caratteristici della malattia. È generalmente accettato il fatto che i viroidi non siano tradotti in proteine, cioè che non si comportino come messaggeri. La loro replicazione deve quindi dipendere interamente dai sistemi enzimatici dell'ospite. Sono state fatte ipotesi sull'eventuale origine cellulare del PSTV, in quanto è stato visto che l'RNA virale ibridizza con il DNA cellulare di parecchie specie di ospiti sani (Solanacee).

Come possono i viroidi dar luogo a malattie nelle piante suscettibili? Poiché molti dei sintomi sono disturbi della crescita attribuibili a squilibrio dell'attività ormonale, i viroidi potrebbero agire come molecole regolatrici in grado di interferire con il normale controllo cellulare dei geni ormonali.

8. Virus degli Insetti

La ricerca sulla biologia dei virus degli Invertebrati è stata limitata allo studio delle malattie e alla descrizione delle particelle virali e delle caratteristiche inclusioni intracellulari prodotte dall'infezione.

Le inclusioni dei virus degli Insetti sono di tre tipi: poliedri nucleari, poliedri citoplasmatici e granuli. Esse sono cristalli di molecole proteiche che formano una rete entro cui sono inclusi virus a forma di bastoncino (nel caso dei poliedri nucleari) o virus a forma icosaedrica (nei poliedri citoplasmatici). I poliedri nucleari sono stati descritti nei Lepidotteri, nei Ditteri e negli Imenotteri. Una poliedrosi ben nota si manifesta nel baco da seta, Bombyx mori; la maggior parte dei tessuti della larva infettata contiene inclusioni intranucleari (fino a 100 per nucleo) che più tardi compaiono nell'emolinfa. I poliedri del baco da seta sono cristalli di una proteina, costituita da subunità identiche, presumibilmente prodotta da un gene virale. All'interno dei poliedri vi sono le particelle virali, costituite da un capside che circonda un nucleo di DNA bicatenario, e un involucro lipoproteico.

I virus degli Insetti spesso possono persistere nell'ospite senza causare alcun sintomo. Da questo stato latente può insorgere improvvisamente l'infezione, indotta da parecchi fattori fisiologici e ambientali. Insetti e Acari sono vettori importanti sia per i virus delle piante che per i virus animali. La trasmissione può realizzarsi per un semplice evento meccanico: il virus raggiunge lo stilo dell'insetto ed è immediatamente trasmesso ad altre piante. Il virus può anche permanere nell'apparato digerente dell'insetto o circolare nei tessuti prima di essere trasmesso alle piante. Tuttavia generalmente la trasmissione avviene dopo un periodo di moltiplicazione attiva del virus nei tessuti dell'insetto.

9. Virus animali

Tratteremo per primi i virus a RNA con attività litica e quindi quei virus a DNA il cui effetto patogeno è per lo più dovuto alla loro capacità di uccidere le cellule. I virus dell'epatite, così come quei virus (a RNA o a DNA) che sono noti soprattutto per la loro capacità oncogena, cioè di indurre tumori, saranno trattati separatamente. Saranno infine menzionati i ‛virus lenti' (slow viruses) che costituiscono attualmente un gruppo non ben classificato e in qualche modo ‛misterioso'.

a) Virus a RNA (con attività litica).

Picornavirus. - I Poliovirus sono forse i membri più noti di questo gruppo di virus a RNA monocatenano, in cui sono anche compresi il Mengovirus e il virus dell'encefalomiocardite (EMC), i Picornavirus murini, i Rinovirus (virus del raffreddore) e il virus dell'afta epizootica.

I Poliovirus sono strutturalmente costituiti da icosaedri nudi. Soltanto le cellule di Primati hanno recettori di superficie per questi virus e quindi sono suscettibili all'infezione.

L'RNA del virione è costituito da una catena singola di 2,5 × 106 dalton e contiene una proteina virale (VPg) fissata a una estremità. Poiché l'RNA dei Poliovirus è del tipo a catena positiva, si comporta dapprima come RNA messaggero dirigendo la sintesi delle proteine virali, inclusa l'RNA-replicasi. Questa replicasi sintetizza quindi le catene negative di RNA usando come stampo l'RNA positivo virale. L'RNA intermedio replicativo (RI), che è costituito da una catena negativa legata a molte catene positive in crescita, è il precursore dell'RNA virale a catena positiva. La proteina virale VPg è legata covalentemente a una estremità di tutte le nuove molecole di RNA virale sintetizzate, sia positive sia negative, ma è rimossa da circa una metà delle catene positive. Queste ultime molecole (senza VPg) diventano RNA messaggeri e sono tradotte nelle proteine corrispondenti dai poliribosomi dell'ospite. La prima proteina virale sintetizzata è tagliata in frammenti per produrre molte proteine funzionali di dimensioni più piccole. Tutto il ciclo di moltiplicazione dei Poliovirus ha luogo nel citoplasma ed è indipendente dalla sintesi di DNA dell'ospite.

I Picornavirus infettano il tratto gastrointestinale umano o causano infezioni respiratorie acute. La poliomielite, una malattia invalidante, è in alcuni casi letale e colpisce solo una minoranza degli individui infettati dal virus della poliomielite. In tali soggetti l'infezione, iniziatasi nel tratto gastrointestinale, si propaga poi al sistema nervoso centrale.

Togavirus. - I Togavirus, cosi detti a causa dell'involucro membranoso (toga), sono virus con RNA a catena positiva. I Togavirus che infettano l'uomo includono il virus della foresta del Semliki e i virus della febbre gialla, della dengue e della rosolia.

Originariamente i Togavirus erano chiamati Arbovirus (da arthropod-borne viruser, cioè trasmessi da artropodi), per la loro capacità di replicarsi in un gran numero di artropodi, per i quali peraltro non sono patogeni.

Una persona punta da un insetto infetto, come una zecca o una zanzara, può contrarre la malattia. Non tutti i virus di questo gruppo, comunque, sono veicolati da insetti.

L'involucro lipoproteico dei Togavirus, acquisito dalla cellula ospite, contiene tre glicoproteine. Una quarta proteina virale è quella del capside icosaedrico del virus. Dopo la penetrazione, l'RNA virale scapsidato funziona da messaggero, dirigendo la sintesi delle proteine virali. La replicazione di questi virus è molto simile a quella dei Poliovirus. Come per i Poliovirus il primo polipeptide sintetizzato è tagliato in frammenti a formare un certo numero di proteine più piccole. I nucleocapsidi completi acquisiscono il loro involucro dalla membrana plasmatica cellulare e solo allora il virione diviene infettivo.

Le infezioni da Togavirus possono causare nell'uomo varie malattie come encefaliti, sindromi emorragiche e gravi forme sistemiche.

Rabdo virus e Paramixo virus. - I prototipi dei Rabdovirus sono il virus della stomatite vescicolare (VSV) e il virus della rabbia. Il VSV è un virus dei bovini scarsamente patogeno. Il virus della rabbia può infettare molte specie di Mammiferi ed è l'unico radbovirus di cui sia nota la capacità di infettare e causare malattia nell'uomo.

Il VSV è provvisto di un involucro ed è a forma di proiettile, forma che deriva dal nucleocapside avvolto a spirale a formare un cilindro. L'RNA genomico è una catena negativa che funge da stampo per la produzione di RNA messaggero. L'enzima (transcriptasi virale) che sintetizza mRNA è contenuto all'interno del virione. Da un singolo stampo di RNA virale la transcriptasi sintetizza cinque differenti specie di mRNA, ciascuna delle quali è tradotta in una proteina differente. Queste proteine, al contrario di quelle dei virus con catena positiva, non sono ulteriormente frammentate.

Per la replicazione dell'RNA virale deve essere prima sintetizzata dalla replicasi virale una catena positiva completa, la quale serve quindi per la sintesi di nuove catene negative. Esiste quindi nel VSV un sistema di trascrizione che produce mRNA e un sistema di replicazione che produce catene complete positive e negative. Tutti questi processi avvengono nel citoplasma.

Non si sa molto sulla replicazione del virus della rabbia, che è probabilmente simile a quella del VSV. Uno degli aspetti singolari della rabbia è il suo modo di propagarsi nell'organismo. Il virus generalmente entra attraverso una ferita, o un'abrasione della pelle, e quindi si moltiplica localmente per periodi che possono durare mesi. Quindi esso procede lungo i nervi periferici fino ai gangli e al sistema nervoso centrale, in cui si moltiplica e determina una encefalite grave, quasi sempre letale. Uno dei sintomi caratteristici è la contrazione spasmodica dei muscoli della deglutizione a seguito del contatto con i liquidi, spasmi che possono essere indotti anche dalla sola visione dell'acqua (idrofobia). La trasmissione avviene per diffusione del virus lungo i nervi efferenti fino alle ghiandole salivari e mediante il morso da parte di un animale rabido. Poiché lo spettro d'ospite è molto ampio e gli animali selvatici che fungono da serbatoi sono molti, la rabbia rappresenta ancora un problema sanitario in molte parti del mondo malgrado i numerosi tentativi per prevenire o controllare tale infezione. A causa del lungo periodo d'incubazione della malattia, i vaccini antirabbici possono essere somministrati dopo l'infezione.

I Paramixovirus (per es., virus della parotite, virus del morbillo) sono anch'essi virus a RNA con catena negativa e si replicano con meccanismi simili a quelli dei Rabdovirus.

Ortomixovirus e altri virus a catena negativa segmentata. - Questo gruppo include gli Ortomixovirus (i più noti dei quali sono i virus dell'influenza), i Bunyavirus (trasmessi da artropodi) e gli Arenavirus. Essi sono costituiti da un nucleocapside avvolto a elica e da un involucro coperto da proiezioni o strutture a bastoncino su tutta la sua superficie. L'elemento che distingue questo gruppo di virus è la frammentazione del loro genoma a catena negativa. Questa frammentazione determina una elevata frequenza di ricombinazione, che nel caso dei virus dell'influenza è causa di notevoli problemi sanitari per l'uomo.

I virus influenzali si adsorbono mediante il contatto tra le proiezioni glicoproteiche (emoagglutinina) del loro involucro e specifici recettori presenti sulla superficie delle cellule. Il virione porta all'interno della cellula la propria RNA-transcriptasi la quale trascrive l'RNA virale messaggero dallo stampo del genoma, che ha un peso molecolare di 3,9 × 106 dalton. La replicasi del virus sintetizza poi nuove catene negative.

Una proprietà singolare di questi virus è che tutti gli RNA (sia messaggeri sia genomici) sono sintetizzati nel nucleo della cellula. Le proteine del capside si associano con l'RNA virale nel nucleo. Le strutture nucleocapsidiche formatesi diffondono quindi nel citoplasma e infine raggiungono la membrana cellulare, ove le particelle virali complete fuoriescono dalla cellula per gemmazione.

I virus influenzali contengono 8 differenti segmenti di RNA del genoma e la loro alta frequenza di ricombinazione determina una variazione continua dell'antigenicità del virus. Sembra che questa variazione sia dovuta a uno scambio di materiale genetico tra i virus influenzali umani e animali, che porta alla creazione di nuovi tipi di virus umani. Poiché tali cambiamenti sono casuali e imprevedibili, non è sempre possibile preparare per tempo un vaccino efficace. L'influenza è stata responsabile di parecchie pandemie come quella altamente drammatica del 1918-1919 (influenza spagnola), in cui morirono più di 20 milioni di persone.

I virus influenzali sono divisi nei tipi A, B, C. Nuove varianti di rilievo dell'influenza A sembrano verificarsi circa ogni 10-12 anni. Ciò è dovuto ai cambiamenti antigenici delle proteine dell'emoagglutinina e della neuramminidasi presenti nell'involucro virale. Anche l'influenza B dà luogo a varianti antigeniche, che però non sono nè così divergenti nè così frequenti come quelle dell'influenza A.

I virus influenzali causano nell'uomo infezioni respiratorie acute con distruzione delle cellule del tratto respiratorio superiore, della trachea e dei bronchi.

Virus a RNA bicatenario. - A questo gruppo appartengono tre diversi generi di virus: i Reovirus (che infettano l'uomo, gli uccelli, i cani e le scimmie), gli Orbivirus (che sono trasmessi da insetti) e i Rotavirus (che includono agenti responsabili della diarrea infantile nell'uomo e in alcuni animali).

Il capside virale è nudo ed è costituito da un doppio strato di capsomeri: lo strato esterno circonda il core nucleocapsidico più interno, che contiene l'RNA. L'RNA bicatenario frammentato del genoma è costituito da circa 10 segmenti separati.

Dopo la penetrazione, gli enzimi della cellula ospite degradano lo strato esterno del capside, mentre il core è scapsidato solo parzialmente. Segue quindi la sintesi degli RNA messaggeri da parte della transcriptasi virale, mentre l'RNA del genoma è ancora all'interno del core.

La sintesi dell'RNA bicatenario virale non avviene come quella del DNA bicatenario. Nell'RNA bicatenario una catena negativa si comporta da stampo per la produzione di un eccesso di RNA positivi (aventi la stessa polarità dei messaggeri); da questi ultimi vengono prodotte le catene complementari negative. Queste reazioni di sintesi vengono catalizzate dalla replicasi virale e avvengono interamente nel citoplasma. Dall'associazione dell'acido nucleico con il capside si formano nuovi virioni, ciascuno dei quali contiene una serie completa dei frammenti del genoma. I Reovirus non sono responsabili di alcuna malattia umana nota.

b) Virus a DNA

Parvovirus. - Questo gruppo di virioni nudi comprende i virus animali più semplici; i suoi membri sono in grado di codificare solo una proteina del capside e sono completamente dipendenti dai meccanismi della cellula ospite per la loro moltiplicazione.

I Parvovirus sono divisi in due tipi: quelli autonomi e quelli difettivi. I virus autonomi si moltiplicano solamente nelle cellule in crescita, dato che la loro replicazione dipende dalla sintesi del DNA cellulare. Il loro genoma è costituito da un'unica catena lineare di DNA. I virus difettivi (detti anche adeno-associated viruses o AAV) non necessitano della sintesi del DNA cellulare per la loro crescita, ma della presenza di un adenovirus helper, necessario per la trascrizione dei loro mRNA.

I Parvovirus possono causare uno sviluppo fetale abnorme e malformazioni nei tessuti in crescita.

Adenovirus. - Gli Adenovirus hanno una struttura icosaedrica, costituita da esoni e pentoni, questi ultimi con una fibra connessa. I pentoni possiedono attività biologica, poiché causano l'arrotondamento e l'aggregazione delle cellule e pertanto sono chiamati ‛fattore tossico' o di distacco cellulare. Preparazioni purificate dei componenti delle fibre sono capaci di bloccare la sintesi del DNA, dell'RNA e delle proteine delle cellule, arrestandone la divisione.

Il genoma degli Adenovirus è una molecola lineare di DNA bicatenario di circa 22 × 106 dalton; esso ha una piccola proteina (proteina terminale), attaccata a una estremità di ciascuna catena, necessaria per la replicazione del DNA virale. Dopo la penetrazione, il core virale scapsidato entra nel nucleo, ove sono trascritti i messaggeri precoci da differenti regioni di ambedue le catene del genoma. La replicazione inizia da ambedue le estremità del DNA virale e causa uno spostamento asimmetrico delle catene. Le proteine tardive sono sintetizzate dopo la replicazione del DNA, quando la produzione delle proteine precoci diminuisce. I costituenti delle particelle virali mature si associano nel nucleo.

Gli Adenovirus sono numerosi e infettano la maggior parte delle persone prima dell'età di 15 anni. Molto spesso essi causano infezioni latenti nelle tonsille, nelle adenoidi e in altri tessuti linfatici, infezioni che probabilmente si verificano perché questi virus non lisano la cellula infetta e la loro diffusione è controllata dagli anticorpi dell'ospite. Gli Adenovirus sono anche responsabili di infezioni acute del tratto respiratorio e degli occhi.

Herpesvirus. - Due di questi virus, il virus dell'herpes simplex (HSV), che causa eruzioni da febbre, e il virus dell'herpes zoster, che causa la varicella e l'eruzione bollosa detta zoster, sono responsabili di infezioni latenti con episodi ricorrenti, il cui meccanismo è tuttora poco chiaro.

La particella virale è costituita da un capside icosaedrico provvisto di involucro, che copre una zona granulare (tegumento) di proteine globulari. Il virus si adsorbe attraverso l'involucro ed entra nel citoplasma, ove il capside e il core virale si separano e quest'ultimo migra nel nucleo. Il suo genoma, una grande molecola di DNA bicatenario lineare di circa 100 × 106 dalton, è quindi espresso in modo sequenziale, producendo almeno 50 proteine virali.

L'infezione primaria da virus dell'herpes simplex in genere ha luogo su di una lesione dell'epitelio di una mucosa (per es.: occhi, bocca, gola, genitali) o della cute, ove avviene la moltiplicazione del virus. I virioni della progenie diffondono quindi ai linfonodi regionali, ove si moltiplicano ulteriormente, e qualche volta entrano in circolo raggiungendo altri organi. Una volta cessata l'infezione primaria, si instaura uno stato di infezione latente, durante il quale il virus persiste probabilmente in un ganglio sensitivo vicino alla zona della lesione primaria. Se attivato (da UV, stress o altri fattori), il virus può iniziare a moltiplicarsi e diffondere lungo una fibra nervosa fino a una zona cutanea ove dà luogo alla forma ricorrente della malattia erpetica. Il virus HSV tipo 1 generalmente interessa le zone orale e oculare ed è trasmesso dalle secrezioni delle rispettive mucose. Il virus HSV tipo 2, invece, interessa in genere la zona ano-genitale e si trasmette per via sessuale.

Dopo l'infezione iniziale, il virus della varicella-herpes zoster causa la varicella, una malattia dell'infanzia relativamente lieve. Lo stesso virus può riattivarsi anni o decenni più tardi per indurre lo zoster nello stesso paziente.

I virus citomegalici (virus delle ghiandole salivari) sono raramente causa d'infezione nell'uomo adulto sano, ma sono ampiamente diffusi sotto forma di infezione latente. Questi virus possono causare infezioni polmonari molto gravi in individui con una risposta immunitaria ridotta.

Poxvirus. - I Poxvirus sono i più grandi fra i virus animali; uno di loro, il virus del vaiolo, è stato responsabile di alcune delle epidemie più gravi e terrificanti di cui si abbia notizia sin dalla storia più antica. Fortunatamente i Poxvirus sono specie-specifici; pertanto il virus del vaiolo umano non ha in natura un altro ospite in cui moltiplicarsi oltre l'uomo; la produzione e la somministrazione di un vaccino contro questo virus ha permesso al momento attuale di eradicare la malattia quasi completamente.

La particella virale ha una struttura complessa, costituita da una massa centrale a forma di manubrio (il nucleoide) circondata da due strati membranosi. Il genoma dei Poxvirus è costituito da una molecola lineare di DNA bicatenario, di circa 150 × 106 dalton.

I Poxvirus infettano principalmente le cellule dell'epidermide e il loro intero ciclo di moltiplicazione ha luogo nel citoplasma, anche se essi sono virus a DNA. L'adsorbimento ai recettori cellulari è seguito dalla penetrazione. Oli enzimi della cellula ospite degradano quindi la membrana virale e parte del capside, permettendo la fuoruscita del nucleoide. Mentre il DNA è ancora all'interno del nucleoide viene prodotta la prima serie di mRNA virali, e questi dirigono la sintesi della prima serie di proteine virali. La replicazione del DNA ha luogo all'interno del citoplasma in inclusioni caratteristiche dette ‛fabbriche'. L'infezione da Poxvirus ha effetti profondi sulla cellula ospite, quali il blocco della sintesi delle proteine e del DNA e l'eventuale inibizione della sintesi dell'RNA cellulare.

L'infezione vaiolosa inizia con la moltiplicazione virale nella mucosa del tratto respiratorio superiore e quindi diffonde ai linfonodi. Da qui, attraverso il sangue, il virus raggiunge la milza, il fegato e i polmoni, ove si moltiplica intensamente. Il virus quindi ritorna nel sangue causando nel paziente sintomi quali febbre, cefalea, malessere ed esantema. Da ultimo il virus diffonde alla pelle, dove dà luogo alle caratteristiche lesioni cutanee (pustole).

c) Virus dell'epatite

I virus dell'epatite sono almeno tre: virus dell' epatite A, virus dell'epatite B e virus dell'epatite cosiddetta ‛non A-non B'. Questi virus sono infettivi per molte specie animali; nell'uomo possono causare un ampio spettro di effetti, dall'infezione inapparente all'ittero grave con ampia distruzione del parenchima epatico e morte. La difficoltà di coltivare questi virus in un sistema di cellule in coltura ha reso difficile il loro studio approfondito.

Il virus dell'epatite A ha un genoma costituito da RNA monocatenario, simile a quello dei Picornavirus, e si moltiplica nel citoplasma cellulare. I pazienti infettati sviluppano un immunità duratura. L'epatite da virus A si contrae di norma per via oro-fecale, dal momento che il virus si moltiplica nel tratto gastrointestinale. Attraverso il sangue il virus diffonde al fegato, ai reni e alla milza.

Il siero di pazienti infettati dal virus dell'epatite B, che ha un involucro, contiene tre tipi di particelle. Ogni tipo di particella contiene la più grossa proteina del capside virale, detta antigene di superficie o antigene Australia. Le particelle più numerose sono di forma sferica e filamentosa, ma soltanto le ‛particelle di Dane' sono infettive. All'interno delle particelle di Dane vi sono molecole di DNA circolare, che sono per la maggior parte bicatenarie, ma contengono regioni monocatenarie di lunghezza variabile. Associata al DNA vi è una DNA-polimerasi. La replicazione del DNA virale probabilmente ha luogo attraverso un RNA intermedio di replicazione.

Molto poco si sa del virus dell'epatite non A-non B. Il virus è un icosaedro nudo, che non ha alcuna correlazione antigenica con i virus dell'epatite A o B. La natura del suo acido nucleico è ignota.

Il virus dell'epatite B infetta prevalentemente per via parenterale, ma è ignoto il suo sito primario di moltiplicazione. Alla fine, comunque, le particelle virali diffondono al fegato e al sangue. Quindi il sangue di pazienti affetti da epatite B è infettante e il virus può essere trasmesso mediante trasfusione. Negli individui che hanno contratto l'epatite B si osserva un'alta incidenza di carcinomi epatici. Molto recentemente è stato prodotto un vaccino antiepatite B.

d) Virus tumorali

Dopo le prime scoperte di Ellerman e Bang e di Rous (cap. 2, § a), si è visto che molti virus sono in grado di provocare tumori in animali. I virus tumorali appartengono a diverse famiglie di virus animali a DNA bicatenario, ma a una sola famiglia di virus animali a RNA, i Retrovirus.

Papovavirus. - I prototipi di questo gruppo sono i virus oncogeni SV4O e Polioma. Altri membri sono il virus JC, il virus BK e i virus del papilloma (verruca).

I virioni dell'SV4O e del Polioma sono icosaedri nudi composti da tre proteine capsidiche codificate dal virus. Il genoma virale è costituito da una molecola di DNA bicatenario circolare di circa 3,4 × 106 dalton.

Questi virus possono stabilire due tipi di interazione con le cellule: un'interazione di tipo litico, in cui il virus si moltiplica e uccide le cellule, e un'interazione di tipo trasformante. In quest'ultimo caso le cellule non sono uccise dall'infezione, ma acquisiscono un nuovo fenotipo caratterizzato da una morfologia alterata, dalla diminuita richiesta di fattori nutrizionali per la crescita, dalla capacità di crescere in sospensione in terreni semisolidi, da mancanza dell'inibizione da contatto della crescita e da tumorigenicità negli animali (v. anche trasformazione delle cellule). Il tipo di interazione dipende prevalentemente dalla specie delle cellule infettate. Cosi il virus Polioma cresce su cellule di topo (permissive) e trasforma invece cellule di ratto e di criceto. Il virus SV4O è litico nelle cellule di scimmia e trasforma quelle di topo, ratto e criceto. Si ritiene che le cellule trasformabili manchino di uno o più fattori necessari per la replicazione del DNA virale; anche le cellule permissive possono essere trasformate se la capacità replicativa del virus è in qualche modo diminuita (in altre parole, se la cellula non è uccisa).

In un'infezione litica il DNA virale è scapsidato nel nucleo, dopo di che i messaggeri precoci vengono trascritti. Il virus SV4O codifica due proteine precoci, mentre il virus Polioma ne codifica tre. In ambedue i casi uno dei prodotti genici precoci, l'antigene T ‛grande', migra nel nucleo dove inizia la sintesi del DNA virale. La replicazione procede dalla cosiddetta origine in ambedue le direzioni lungo il genoma circolare. Dopo l'inizio della replicazione sono trascritti i messaggeri virali tardivi, che codificano per le proteme del capside. L'acido nucleico virale si associa alle proteine del capside nel nucleo delle cellule infette.

Quando il virus Polioma è iniettato in topi o ratti neonati, causa la comparsa di un'ampia varietà di differenti tumori. Similmente il virus SV4O causa sarcomi in criceti neonati. La relazione fra l'ospite e il virus in questi casi è differente dall'interazione litica descritta sopra; la si è potuta comprendere meglio attraverso studi effettuati su colture di tessuti, in cui l'infezione di cellule non permissive porta all'acquisizione di proprietà nuove, che sono considerate l'equivalente in vitro della tumorigenicità in vivo. Nell'interazione di tipo trasformante, il virus penetra nella cellula, si scapsida e produce i suoi RNA messaggeri precoci in maniera molto simile a quanto accade nell'infezione litica. Tuttavia, la replicazione del DNA virale non raggiunge livelli apprezzabili e le cellule non producono virus, ma una certa percentuale di queste acquista la proprietà sopra descritta di crescita trasformata.

Gli studi sulle linee cellulari trasformate da virus Polioma ed SV4O hanno dimostrato che il fenotipo trasformato dipende dall'integrazione delle sequenze del DNA virale all'interno del cromosoma dell'ospite e dall'espressione di almeno una parte della regione virale precoce. I siti dei cromosomi dell'ospite e del virus dove ha luogo l'integrazione non sembrano essere specifici, contrariamente alle modalità d'integrazione del profago λ nella lisogenia. Una delle proteine precoci del virus Polioma, l'antigene T ‛grande', sembra essere coinvolta nell'instaurarsi della trasformazione, cioè nell'integrazione vera e propria. Un'altra proteina, l'antigene T ‛medio', è necessaria per l'espressione del fenotipo trasformato ed è localizzata nella membrana plasmatica cellulare. Anche il virus SV4O trasforma le cellule in seguito all'integrazione del genoma virale nel DNA dell'ospite. Come per il virus Polioma, il mantenimento del fenotipo trasformato richiede l'espressione delle proteine precoci del virus (v. fig.).

I virus BK e JC sono strutturalmente simili e ampiamente diffusi nella popolazione umana; tuttavia è molto probabile che non rivestano alcun ruolo nelle neoplasie umane.

I Papillomavirus producono verruche (papillomi) della pelle e di alcuni epiteli mucosi in numerosi mammiferi incluso l'uomo. Verruche persistenti in conigli o bovini possono diventare maligne, e alcuni papillomavirus possono causare tumori mesenchimali in cavalli e criceti. Spesso le verruche regrediscono spontaneamente. I papillomavirus dei bovini possono trasformare le cellule di topo in coltura e queste cellule portano il genoma virale in uno stadio simii-plasmidico non integrato. La trasformazione deriva dall'espressione di geni virali specifici, ma questi non sono stati ancora esattamente identificati.

Adenovirus umani. - Numerosi adenovirus umani trasformano colture di fibroblasti di criceto o di ratto e alcuni possono causare tumori in criceti neonati. Le linee cellulari trasformate da Adenovirus o derivanti da tumori contengono DNA virale integrato come nel caso dei Papovavirus. Soltanto il 6% circa della molecola del DNA virale contiene le sequenze capaci di causare la trasformazione cellulare. Gli Adenovirus possono trasformare cellule umane in coltura se si usano frammenti subgenomici, eliminando così l'effetto letale. Tuttavia in natura gli Adenovirus, ampiamente presenti nella popolazione umana, probabilmente non sono responsabili di neoplasie, dal momento che numerose ricerche volte a dimostrare la presenza di antigeni degli Adenovirus o di RNA o DNA adeno-specifici in tumori umani hanno dato finora risultati negativi.

Virus erpetici oncogeni. - Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un agente patogeno che comunemente infetta l'uomo, ed è associato alla mononucleosi infettiva, al linfoma di Burkitt e al carcinoma nasofaringeo. Comunque, fra queste malattie, l'unica sicuramente causata da EBV è la mononucleosi. Il linfoma di Burkitt, un linfoma a linfociti B, è endemico nell'Africa centrale e in Nuova Guinea, ma sporadico altrove. Le linee cellulari derivate da questi pazienti contengono numerose copie del genoma dell'FBV per ogni cellula e contengono anche l'antigene virale nucleare EBV (EHNA). In molti casi nessun altro gene virale risulta essere espresso e non vi è produzione di virus.

Il carcinoma nasofaringeo è il più comune cancro di alcuni gruppi etnici in Cina e gli individui affetti hanno titoli elevati di anticorpi EBV specifici. Di nuovo i genomi EBV sono presenti nelle cellule epiteliali e soltanto l'EBNA è espresso. La presenza di sequenze di DNA dell'EBV sia nelle cellule del carcinoma nasofaringeo sia nei linfociti B del linfoma di Burkitt non prova comunque che l'FBV sia di fatto l'agente responsabile di queste affezioni, dal momento che molti individui sono infettati con EBV e non manifestano mai alcuna malattia.

I virus erpetici umani (HSV-1 e HSV-2) possono trasformare le cellule di embrione di criceto in vitro, se al virus è in qualche modo impedita la moltiplicazione. Nell'uomo l'HSV-2 è stato indicato come l'agente eziologico del cancro della cervice, ma questa correlazione non è stata definitivamente confermata.

Il virus della malattia di Marek (MDV) è un virus dei polli che causa un'infezione produttiva nei follicoli delle penne, ma che può trasformare le cellule T linfoidi. Le cellule tumorali diffondono negli organi viscerali e nei nervi. L'iniezione in polli sani di una piccola quantità di virus MDV, prodotto in cellule T, trasmette la malattia.

Retrovirus. - Il gruppo dei Retrovirus include sia membri dotati di capacità oncogena, sia membri privi ditale capacità. I virus oncogeni sono gli agenti causali di molte neoplasie negli animali, inclusi sarcomi, leucemie, linfomi e carcinomi mammari. I Retrovirus sono estremamente diffusi in natura e sono stati descritti praticamente in quasi tutte le specie di Vertebrati conosciute.

I virioni dei Retrovirus sono particelle formate da un capside icosaedrico racchiuso in un involucro. Nell'interno del capside sono presenti l'enzima transcriptasi inversa e due molecole identiche di RNA. Quindi il genoma virale è diploide. Una caratteristica unica dei Retrovirus è che l'RNA virale si replica mediante un intermedio replicativo a DNA. La transcriptasi inversa sintetizza una catena di DNA complementare dagli stampi di RNA virale, producendo una molecola ibrida DNA: RNA. La catena di RNA viene degradata e una nuova catena di DNA è sintetizzata al suo posto. La molecola di DNA bicatenario lineare entra quindi nel nucleo ove si circolarizza e si integra nel cromosoma dell'ospite come un ‛provirus'. A questo punto la produzione di nuovi genomi virali dipende dalla trascrizione del DNA provirale che è divenuto parte dei cromosomi dell'ospite. Le sequenze virali si integrano sempre in una maniera specifica: le sequenze che codificano sono affiancate da lunghe sequenze ripetitive terminali virali (long terminal repeats, LTR). Le LTR contengono elementi che dirigono la trascrizione del DNA del provirus per produrre sia RNA messaggero virale sia RNA genomico. I geni virali normalmente sono: gag (per la proteina del ‛nucleo'), pol (per la transcriptasi inversa) ed env (per l'involucro glicoproteico virale). La progenie virale matura fuoriesce dalla cellula per gemmazione attraverso la membrana plasmatica senza minacciare la sopravvivenza della cellula (v. fig.).

I Retrovirus oncogeni possono essere suddivisi nelle seguenti categorie.

1 . Virus non difettivi delle leucosi. Questi virus causano linfomi o leucemie in animali con un lungo periodo di latenza rispetto ai virus delle leucemie acute. Essi sono capaci di replicazione indipendente e in vitro si moltiplicano in molte cellule senza causare trasformazione.

Nei polli parecchi di questi virus causano linfomi a cellule B, mentre nei topi generalmente causano leucemie a cellule T. Alcuni ceppi di topi hanno un'incidenza molto alta di leucemia ‛spontanea', associata alla produzione di un retrovirus. Si è visto che la trasmissione di virus leucemici in questi ceppi ad alta suscettibilità era congenita, cioè le sequenze virali erano presenti nella linea germinale. Quindi questi virus possono essere trasmessi orizzontalmente (per infezione) o verticalmente (per via genetica).

Il fatto che la malattia virale potesse essere trasmessa geneticamente ha fatto sospettare, e ciò è stato in seguito provato, che le sequenze virali integrate fossero divenute parti dell'informazione genetica di quegli animali. Vi sono molte sequenze virali endogene in un singolo genoma murino, alcune delle quali sono difettive (cioè contengono delezioni). Esse possono in talune circostanze essere indotte a replicarsi e a produrre virus. Sequenze virali endogene sono state recentemente identificate anche nell'uomo.

I virus murini includono: il virus AKR, il virus della leucemia da radiazione e il virus della leucemia di Moloney. Il virus della leucosi felina, che colpisce i gatti, è trasmesso soltanto mediante infezione.

Poichè non sembra che questi virus possiedano un gene specifico o un prodotto genico responsabile della loro capacità oncogena, non è ancora chiaro il meccanismo mediante il quale essi inducono leucemie o linfomi. In alcuni casi la ricombinazione fra il genoma di un virus leucemico infettante e le sequenze retrovirali endogene può produrre una nuova variante oncogena. Tuttavia questi virus possono anche agire attivando onco-geni cellulari (vedi sotto).

2. Virus della leucemia acuta e virus dei sarcomi. Questo gruppo di virus a RNA ha una oncogenicità molto elevata e possiede geni specifici, chiamati onco-geni, dal momento che essi conferiscono la potenzialità oncogena al virus. Per esempio, il virus del sarcoma di Rous, un virus aviario, l'unico membro non difettivo di questo gruppo, ha in aggiunta ai geni retrovirali tipici il suo onco-gene detto src. I virus del sarcoma murino (per esempio il virus del sarcoma di Moloney) contengono anch'essi un gene trasformante (v. fig.).

Gli altri membri di questo gruppo sono generalmente incapaci di replicarsi a causa di delezioni di sequenze nel loro RNA genomico. Alloro posto hanno incorporato nel genoma nuove sequenze che sono responsabili della loro elevata attività oncogena. I virus difettivi, tuttavia, possono replicarsi in presenza di virus non difettivi delle leucosi, che forniscono le funzioni mancanti agendo da helpers.

I virus della leucemia acuta dei topi includono il virus di Friend e il virus di Abelson, mentre i virus del ceppo aviario includono il virus della eritroblastosi aviaria (AEV), il virus della mieloblastosi aviaria (AMV) e il virus della mielocitomatosi (MC29). Il virus AEV può anche indurre la formazione di sarcomi e il virus MC29 la formazione di carcinomi renali.

3. Virus del tumore mammario. Sono state descritte ambedue le forme, esogena ed endogena, del virus del tumore mammario (MMTV). Il virus, e quindi il cancro, può essere trasmesso nei topi dal latte materno. Un virus endogeno è presente in quei ceppi di topi che sviluppano neoplasmi mammari spontanei. Nel DNA umano sono state identificate sequenze che sono correlate con MMTV; si è visto inoltre che una proteina prodotta nei carcinomi mammari umani è correlata al prodotto del gene env dell'MMTV. Non è comunque chiaro l'esatto significato di questi risultati in rapporto a una eventuale eziologia virale del cancro mammario umano.

Il meccanismo della carcinogenesi virale. - La carcinogenesi comporta la perdita della capacità di una cellula di regolare la propria crescita e divisione. Mentre a prima vista può sembrare che i virus tumorali rappresentino un gruppo disomogeneo, in realtà sono gli aspetti che essi hanno in comune, più che le loro differenze, che hanno fornito importanti indizi circa il modo con cui essi inducono neoplasie.

La prima caratteristica comune è che nella maggior parte dei casi le sequenze virali si integrano nel DNA dell'ospite. Ciò avviene sia direttamente, per i virus a DNA, sia mediante una copia a DNA dell'RNA genomico nei Retrovirus. A questo punto il genoma virale è replicato passivamente come ogni altro gene cellulare. Tuttavia, non è l'atto fisico dell'inserzione del DNA virale che è responsabile della oncogenesi. La neoplasia non è causata dall'interruzione di un gene cellulare a opera delle sequenze virali integrate. L'integrazione del genoma virale può portare alla neoplasia in una delle seguenti maniere.

1. Per molti virus la conseguenza principale dell'integrazione è l'acquisizione da parte della cellula di un nuovo fenotipo come risultato dell'espressione della nuova informazione genetica contenuta nelle sequenze virali. Quindi la neoplasia indotta da questi virus (fra cui Polioma, SV4O, Adenovirus e i virus della leucemia acuta e del sarcoma) è mantenuta da proteine virali ‛trasformanti'. Se tali proteine non sono sintetizzate, o lo sono in una forma non funzionale, la cellula non è trasformata. Tali proteine sono codificate dai cosiddetti ‛oncogeni' (v. fig.).

L'origine dei geni che codificano per le proteine trasformanti dei virus a DNA è al momento attuale sconosciuta. D'altra parte gli onco-geni dei virus a RNA della leucemia acuta e del sarcoma derivano chiaramente da sequenze cellulari. A un certo punto dell'evoluzione è avvenuta una ricombinazione tra un gene cellulare e un retrovirus non difettivo e di conseguenza il gene dell'ospite è passato sotto il controllo virale. Come risultato, il livello di espressione del gene cellulare può essere alterato. Ad esempio, nelle cellule trasformate dal virus del sarcoma di Rous, la produzione della proteina sarc è circa 50 volte maggiore che nelle cellule normali. Alternativamente, il gene cellulare, in seguito al suo inserimento nel genoma virale, può avere subito delle mutazioni. Il prodotto genico codificato da questo gene cellulare ‛aberrante' potrebbe avere acquistato delle nuove proprietà, responsabili del suo effetto carcinogeno.

2. Un altro mezzo con cui l'inserzione del genoma virale nel DNA cellulare può causare neoplasia è rappresentato dai virus a RNA della leucosi. Questo gruppo non possiede un onco-gene, ma si pensa che esso induca la carcinogenesi attivando un gene cellulare coinvolto nel controllo della crescita. Ciò potrebbe avvenire qualora il genoma virale fosse inserito vicino a un gene cellulare importante e, di conseguenza, attivasse l'espressione di questo gene che sarebbe ora sotto il controllo di segnali virali (promoter insertion model). In questa maniera il genoma virale integrato potrebbe attivare il gene cellulare determinando il fenotipo canceroso della cellula.

Usando come ‛sonda' onco-geni retrovirali, sono stati identificati più di una dozzina di geni analoghi nel genoma di cellule normali di vertebrati. Questi geni sembrano essersi relativamente conservati entro un vasto spettro di specie, il che suggerisce un loro ruolo fondamentale nella cellula normale.

In quale maniera i prodotti degli onco-geni inducono neoplasie? È difficile dare una risposta in quanto queste proteine probabilmente sono coinvolte in processi di regolazione della crescita e della divisione cellulari tuttora ignoti. Comunque, molti dei prodotti degli onco-geni hanno un'attività specifica, in quanto sono delle protein-chinasi che hanno la funzione di fosforilare l'amminoacido tirosina. Spesso la fosforilazione di una proteina cellulare reprime o stimola la sua attività. Quindi le proteine oncogene potrebbero causare l'attivazione o la repressione di un importante ciclo di regolazione.

In conclusione, la carcinogenesi virale sembra essere il risultato diretto o dell'espressione di onco-geni virali (SV4O, Polioma, Adenovirus, virus della leucemia acuta e del sarcoma) o dell'attivazione di un gene cellulare potenzialmente oncogeno (virus della leucosi), come conseguenza dell'integrazione delle sequenze virali nel DNA dell'ospite.

e) Virus lenti

Con il termine ‛virus lenti' si designava originariamente una serie di agenti che necessitano di un lungo intervallo di tempo fra l'infezione e la comparsa della malattia. Nell'uomo si ritiene che due malattie possano essere causate da tali agenti: la malattia di Creutzfeldt-Jacob e il kuru. Ambedue sono malattie croniche degenerative che interessano il sistema nervoso centrale. Il kuru, scoperto nel 1957 in una tribù della Nuova Guinea, interessa il cervelletto causando atassia, tremori e uno scadimento mentale progressivo. E stato possibile stabilire che la trasmissione dell'agente avviene nel corso di pratiche ritualistiche della tribù durante le quali il cervello dei membri deceduti della famiglia viene mangiato. È stato possibile trasmettere la malattia alle scimmie mediante estratti acellulari di cervello. Nel giro di circa un anno le scimmie sviluppano una malattia simile a quella umana.

Una malattia simile, che interessa anch'essa il cervello, si ritrova negli ovini ed è detta scrapie. Poiché queste malattie possono essere trasmesse da tessuti infetti si è pensato che l'agente fosse un virus. Comunque, l'agente dello scrapie chiaramente non è un virus tipico, dal momento che non è in grado di provocare la risposta immunitaria nell'ospite infettato e vi è una totale assenza di particelle virali o simil-virali nei tessuti infetti. L'agente dello scrapie è anche diverso dai viroidi nudi a RNA delle piante. Sembra piuttosto che esso contenga una proteina fondamentale per la sua infettività e che non contenga acido nucleico.

Per queste ragioni, detti agenti sono stati attualmente ribattezzati ‛prioni', per indicare che sono costituiti da una piccola particella proteica infettiva la quale è resistente all'inattivazione con metodi che distruggono sia l'RNA sia il DNA.

10. Malattie virali umane

Sebbene non tutti i virus siano patogeni, un gran numero di malattie dell'uomo sono causate da virus (v. tabella). I virus possono causare tre tipi di infezione: localizzata, disseminata e inapparente. Le infezioni localizzate sono tipicamente limitate al sito d'ingresso del virus nell'organismo, come ad esempio le membrane nasali nel raffreddore. Nelle infezioni disseminate, il virus non è confinato al sito d'ingresso, ma diffonde, attraverso i vasi linfatici e il circolo sanguigno, in altri organi. L'organo bersaglio differisce da virus a virus e da qui la suddivisione in virus neurotropi (che si localizzano di preferenza nel sistema nervoso), viscerotropi e dermotropi. Il tropismo dei virus non è ancora completamente compreso, ma probabilmente la presenza di specifici recettori virali sulla superficie di alcuni tipi di cellule e non di altri svolge un ruolo importante in questo fenomeno. Le infezioni inapparenti o transitorie avvengono senza una sintomatologia clinica apprezzabile, sia per la limitata estensione dell'infezione, sia per le efficaci difese dell'ospite. Esse sono molto frequenti e hanno una notevole importanza epidemiologica, poiché spesso rappresentano una sorgente ignota di disseminazione di un virus. D'altra parte, esse possono conferire immunità e funzionare come vaccinazioni ‛naturali'.

Un'altra classificazione delle malattie virali è basata sul loro periodo di sviluppo. Possono quindi essere classificate come infezioni acute, infezioni croniche, infezioni latenti e malattie da virus lenti. Il termine ‛infezione acuta' indica un attacco relativamente improvviso della malattia, con sintomi acuti che rapidamente raggiungono un acme, terminando o con la morte del paziente o con la sua completa guarigione. Le infezioni croniche sono caratterizzate dalla presenza continua del virus negli individui infetti, con scarsezza di sintomi manifesti. La malattia può infine derivare più dalla risposta dell'ospite che dall'azione citocida del virus. Forse il miglior esempio di infezione cronica è quella dovuta al virus dell'epatite B, che può portare alla cirrosi epatica o al carcinoma epatico molti anni dopo l'infezione primaria, mentre il periodo intercorrente è spesso asintomatico.

Le infezioni latenti sono caratterizzate da episodi intermittenti di malattia e lunghi periodi di ‛latenza', durante i quali il virus non può essere né isolato né dimostrato. Uno dei tipi più noti di infezione latente è quella causata dal virus dell'herpes simplex. Questo virus generalmente infetta un gran numero di individui giovani, nei quali però si manifesta solo durante gli episodi acuti ricorrenti, quali l'herpes labialis (vescicole da febbre). La riattivazione del virus può essere sollecitata da numerose condizioni, come l'eccessiva esposizione alla radiazione solare, febbre, ecc. Si ritiene, sulla base di studi recenti, che durante il periodo di latenza il virus sia localizzato in forma non infettiva nei gangli del trigemino.

Il termine ‛infezione da virus lenti' è generalmente applicato a malattie degenerative croniche, particolarmente a quelle del sistema nervoso centrale, che richiedono periodi molto lunghi di infezione prima che appaiano i primi sintomi, e quindi si sviluppano gradualmente (v. sopra, cap. 9, § e).

11. Difese contro l'infezione virale

L'esito di un'infezione virale varia notevolmente a seconda del sistema virus-ospite. L'instaurarsi di un'infezione dipende da fattori sia virali sia dell'ospite. Tra le più importanti caratteristiche di patogenicità di un virus vi sono: la sua capacità di entrare nell'organismo, di raggiungere celermente le cellule bersaglio, di replicarsi a spese della cellula e di resistere ai meccanismi di difesa dell'ospite di tipo specifico e immunologico. Viceversa la suscettibilità delle cellule e le loro risposte al virus contribuiscono agli effetti dell'infezione.

a) Risposte dell'ospite

Un efficiente meccanismo di eliminazione dei virus da un ospite richiede la loro neutralizzazione come agenti infettivi (prima del loro ingresso nella cellula) o la prevenzione della replicazione virale intracellulare. Ciò può essere ottenuto mediante una risposta anticorpo-mediata (risposta umorale) o una risposta cellulo-mediata. La capacità dei virus di stimolare una risposta immunitaria nell'ospite deriva dalle proprietà antigeniche dei loro componenti macromolecolari di superficie e interni. Non solo virioni e le loro parti strutturali, ma anche cellule infette, che presentino antigeni virali sulla loro superficie, sono in grado di indurre una risposta immunitaria.

Risposta anticorpo-mediata. - La risposta umorale è mediata dagli anticorpi che sono glicoproteine prodotte da linfociti B in risposta a un antigene e capaci di interagire specificamente con quell'antigene. Essi rappresentano la più importante protezione umorale contro virus la cui patogenicità richiede la diffusione attraverso il circolo sanguigno (viremia). Gli anticorpi circolanti possono neutralizzare l'infettività virale in vari modi, il più efficace dei quali si realizza con l'aiuto del complemento. Gli anticorpi e il complemento possono distruggere le cellule infettate dal virus prima che queste liberino i virioni della progenie. Essi possono anche aggregare le particelle virali. Malattie che interessano il tratto respiratorio e quello gastrointestinale sono controllate principalmente da una specifica classe di anticorpi (IgA) presenti nelle secrezioni di questi organi.

Il tempo di comparsa e di persistenza degli anticorpi dipende da parecchi fattori. Uno stato di immunità persistente con continua produzione di anticorpi fa seguito a infezioni con virus che causano viremia (morbillo, vaiolo, poliomielite). Il ruolo protettivo degli anticorpi è evidente nell'efficacia dell'immunizzazione passiva, che si ottiene somministrando siero immune (un siero cioè contenente anticorpi contro un antigene virale specifico) prima dell'infezione o durante il periodo di incubazione.

Risposta cellulo-mediata. - I linfociti T citotossici, presenti principalmente nella milza, nei linfonodi e nel sangue, sono le cellule ‛effettrici' della risposta cellulo-mediata. Essi sono in grado di distruggere le cellule infettate da quei virus che alterano le strutture cellulari di superficie, incorporando le proteine virus-specifiche dell'involucro. I linfociti citotossici riconoscono le cellule alterate soltanto se gli antigeni virali estranei sono associati a proteine specifiche della superficie cellulare (proteine del principale complesso di istocompatibilità).

La risposta immunitaria anticorpo-mediata può, tuttavia, anche indurre la ‛modulazione' dell'espressione di strutture antigeniche sulla superficie delle cellule infette. In quest'ultimo caso le cellule infettate da determinati virus possono ridurre o ridistribuire i determinanti antigenici sulla loro superficie, e sfuggono così alla ‛sorveglianza immunologica' pur mantenendo l'informazione genetica virale. Una volta iniziata, la persistenza virale può essere mantenuta mediante diversi meccanismi, come la comparsa di mutanti virali. La persistenza virale, in presenza di una risposta anticorpale specifica, si trova nelle infezioni causate dal virus dell'herpes simplex, dal Citomegalovirus, dal virus dell'epatite B e del morbillo.

Interferone. - Gli interferoni (IFN) sono una classe di sostanze prodotte da cellule infettate dalla maggior parte dei virus animali. Tali sostanze hanno la capacità di instaurare nelle cellule non infettate uno stato antivirale. Gli IFN sono glicoproteine la cui attività antivirale è altamente specie-specifica, cioè soltanto cellule della specie in cui l'IFN è prodotto sono a esso sensibili. La produzione di IFN nelle cellule infettate da virus è indotta da molecole di RNA virale bicatenario. A seguito dell'induzione, l'IFN è sintetizzato da un gene cellulare. Buoni induttori di IFN sono in genere i virus che si moltiplicano lentamente e non inibiscono la sintesi dell'RNA e delle proteine cellulari.

L'IFN è secreto nello spazio extracellulare e agisce sia sulle cellule produttrici sia sulle cellule vicine interagendo con specifici recettori della superficie cellulare. La resistenza all'infezione virale non è direttamente prodotta dall'IFN. Sebbene l'esatto meccanismo molecolare dell'azione dell'IFN non sia chiaro, è stato dimostrato che l'IFN induce l'attività di due enzimi in cellule in coltura. Questi enzimi interferiscono in qualche modo con l'accumulo di mRNA virale, con la sua traduzione e con la replicazione dei virus.

Il grado di protezione conferito alla cellula varia ampiamente, a seconda del tipo di virus infettante. La protezione si realizza prima della produzione degli anticorpi ed è più efficace all'inizio dell'infezione, quando la quantità di virus infettanti è ancora bassa. Grande interesse si è sviluppato sul possibile uso terapeutico di IFN per il controllo delle malattie virali. Recentemente la tecnologia del DNA ricombinante si è dimostrata molto utile per la produzione su larga scala di tali proteine.

b) Vaccini

L'immunizzazione attiva contro le infezioni virali si ottiene somministrando un virus che provochi la formazione di anticorpi capaci di neutralizzare l'agente della malattia. Il virus somministrato non è in grado di produrre la malattia, essendo stato preventivamente attenuato o inattivato. I vaccini vivi attenuati si ottengono mediante la selezione di ceppi virali naturalmente attenuati (per esempio il virus vaccino per conferire immunità contro il vaiolo), o mediante passaggi in serie del virus in colture cellulari o in ospiti animali. Essendo somministrato attraverso la via naturale di entrata del virus, questo tipo di vaccino induce uno stato di resistenza localizzata nel sito di infezione naturale; il virus inoltre prolifera, aumentando la stimolazione antigenica del sistema immunitario e spesso conferendo una immunità duratura. Un virus attenuato può, comunque, essere ancora in grado di subire ulteriori mutazioni, che ne possono aumentare la virulenza, o di causare alcuni effetti ignoti a lungo termine, simili a quelli dei virus latenti.

Queste possibilità sono invece escluse se il vaccino è preparato con virus inattivato, che ancora mantenga l'antigenicità senza causare un'infezione. Tuttavia, l'immunità conferita da tale vaccino è generalmente di breve durata e spesso richiede iniezioni di richiamo.

Sebbene l'innocuità di un vaccino non possa essere completamente assicurata, l'eradicazione del vaiolo e il controllo di malattie come la poliomielite e il morbillo sono esempi dell'importanza e dell'efficacia dei vaccini. I vaccini preparati con virus vivi attenuati contro la poliomielite, la rosolia, il vaiolo, il morbillo e la parotite sono comunemente somministrati in molti paesi sviluppati. Contro la rabbia, la poliomielite, l'influenza, il morbillo e la parotite sono disponibili vaccini con virus inattivati. Contro l'epatite virale B, malattia a diffusione mondiale, solo recentemente si è preparato un vaccino, mediante successive purificazioni del principale antigene di superficie del virus dell'epatite B presente in grandi quantità nel sangue di portatori cronici.

La capacità di alcuni virus di vincere il sistema immunitario dell'ospite variando alcuni dei principali siti antigenici sulla propria superficie rappresenta un problema importante nel controllo a lunga scadenza di alcune malattie. Questo è particolarmente vero per i virus influenzali, la cui capacità di sfuggire agli anticorpi neutralizzanti, indotti da precedenti vaccinazioni, risiede nei continui cambiamenti del virus mediante variazioni antigeniche.

Si ha ragione di sperare che in un prossimo futuro la ricerca di ceppi attenuati utilizzabili in preparazioni vaccinali sarà facilitata dai recenti progressi nelle tecniche di clonaggio e manipolazione genetica. La produzione di vaccini sintetici è anch'essa allo studio. Tali vaccini non contengono virioni integri, ma piccoli peptidi, sintetizzati in laboratorio, identici ai determinanti antigenici presenti sulla superficie esterna del virus e capaci di indurre una risposta immunitaria.

c) Chemioterapia

La moltiplicazione virale può essere inibita a vari livelli da alcuni composti chimici; la maggioranza di queste sostanze, comunque, agisce anche sulle reazioni metaboliche cellulari, per cui il loro uso nella terapia delle infezioni sistemiche è limitato.

Pochi composti selezionati hanno una più elevata specificità per le reazioni virali, e sono quindi meno tossici per l'organismo. L'amantadina inibisce specificamente la penetrazione o lo scapsidamento del virus dell'influenza A e il suo valore preventivo è stato dimostrato con successo in un numero limitato di sperimentazioni cliniche. Il metisazone blocca la maturazione dei Poxvirus probabilmente mediante l'inibizione della sintesi di una proteina strutturale. Parecchie sostanze inibiscono la replicazione virale mediante il blocco della sintesi del DNA o dell'RNA. Il loro uso terapeutico comunque è limitato per mancanza di specificità. L'IUDR (iododeossiuridina), un analogo del DNA, viene applicato topicamente nell'uomo per la cura di lesioni corneali (cheratiti) prodotte dai virus dell'herpes simplex o vaccinici. Un altro analogo del DNA, Ara-A (arabinosiladenina), è clinicamente efficace nell'uomo contro infezioni da herpes simplex, varicella-zoster e Citomegalovirus.

12. Origine dei virus

La teoria ingenua secondo cui i virus sarebbero apparsi precocemente nell'evoluzione, prima della comparsa di organismi unicellulari, è divenuta palesemente inaccettabile alla luce dei fatti che dimostrano che i virus possono moltiplicarsi e avere un'evoluzione genetica soltanto all'interno di cellule viventi. Attualmente sono considerate possibili due teorie principali sull'origine dei virus, che non necessariamente si escludono a vicenda. Una teoria considera i virus come i prodotti di un'evoluzione in senso regressivo: secondo questo modello i virus sono parassiti regrediti fino all'ultimo stadio, che per successive eliminazioni dell'organizzazione cellulare, dei meccanismi produttori di energia, ecc., sono divenuti completamente dipendenti dalla cellula ospite. L'altra teoria considera i virus come frammenti di acido nucleico di origine cellulare, che sono diventati autosufficienti per quanto riguarda la replicazione e la trasmissione e infine sono divenuti delle entità genetiche ed evolutive indipendenti. Secondo questa teoria i plasmidi, che sono molecole di DNA circolare che si replicano nei batteri indipendentemente dal cromosoma cellulare, ma non hanno acquisito un capside proteico e non sono infettivi nel senso classico della parola, potrebbero rappresentare il ponte evolutivo tra le sequenze del DNA cromosomico e i virus.

Non si deve comunque dimenticare che il materiale genetico dei virus può ancora andare incontro a un processo di scambio (ricombinazione) con DNA cellulare. Il DNA dei batteriofagi temperati può essere fisicamente legato al DNA batterico (integrazione), e nel processo inverso (escissione) può acquistare geni batterici che erano adiacenti al sito di integrazione del DNA virale. Anche il genoma dei virus tumorali può essere integrato nel DNA delle cellule, dove si comporta come un qualsiasi altro gene cellulare. E stato inoltre recentemente dimostrato che i geni ‛trasformanti' (cioè responsabili delle proprietà oncogene) dei virus tumorali a RNA furono acquisiti dal genoma cellulare in un passato non molto lontano nel corso dell'evoluzione. Questi geni cellulari ‛aberranti' hanno acquisito un più ampio grado di autonomia e trasmissibilità a causa della loro associazione con geni virali aventi funzioni di infettività più specializzate. Il processo di generazione dei virus e il loro scambio con elementi genetici cellulari probabilmente procede tuttora in natura e contribuirà alla loro evoluzione.

13. Virus come vettori di geni estranei

In anni recenti gli sviluppi della biologia molecolare hanno messo in evidenza un nuovo ruolo dei virus: quello di vettori di geni estranei. Questo risultato è una conseguenza dei notevoli progressi fatti nella comprensione della struttura e della funzione degli acidi nucleici virali. La struttura esatta e la sequenza dei nucleotidi nel materiale genetico (DNA o RNA) di molti virus sono attualmente note. L'organizzazione dell'informazione genetica lungo la molecola dell'acido nucleico, cioè il modo in cui questi geni sono espressi, è stata rapidamente dedotta da queste conoscenze. È stato quindi possibile usare sistemi di taglio e ricongiunzione di specifici frammenti del DNA così da creare in laboratorio nuove giustapposizioni di materiale genetico. I virus inoltre si sono dimostrati molto utili come vettori di altri geni quando divenne chiaro che non tutti i geni virali sono necessari per la riproduzione (specialmente in particolari condizioni sperimentali). Quindi frammenti relativamente grandi del genoma virale possono essere sostituiti con frammenti di DNA estraneo senza influenzare sostanzialmente la capacità riproduttiva dei virus. Quando queste molecole di DNA ‛chimerico' sono introdotte come tali o come particelle virali nelle cellule, riproducono il ciclo virale replicando il gene estraneo in gran quantità.

Questo tipo di tecnologia è stato usato per due scopi principali.

1. Il clonaggio molecolare di sequenze di DNA cellulare che si suppone rappresentino geni, sequenze regolatrici, ecc., ma che non sono mai state isolate. In questa tecnica, che ha utilizzato principalmente il fago λ e i suoi derivati, il DNA cellulare è tagliato in varie maniere e i numerosi frammenti prodotti, ciascuno dei quali rappresenta un segmento unico del genoma cellulare, sono enzimaticamente congiunti a frammenti del DNA virale. La nuova molecola di DNA, in cui un frammento di DNA estraneo ha sostituito parte del materiale genetico virale, ha dimensione simile a quella del DNA virale e quindi può essere contenuta nel capside virale. A seguito dell'infezione di batteri, questo virus ‛ricombinante' si moltiplica e produce una nuova progenie di particelle virali. Mediante adeguate tecniche biochimiche è possibile esaminare un gran numero di questi virus ricombinanti per isolare quello che contiene il frammento di DNA desiderato. Questo è un passaggio essenziale, dal momento che questi frammenti in genere rappresentano una porzione molto piccola (10-6) del DNA totale donato. Il virus ricombinante selezionato può quindi essere propagato ad alto titolo, facilitando così l'isolamento e lo studio di notevoli quantità del DNA desiderato.

2. In molti casi il clonaggio del DNA ha per scopo lo studio e la produzione del corrispondente prodotto genico, cioè la proteina. Per questo scopo i ricercatori stanno allestendo una serie di vettori di ‛espressione' utilizzando molecole di DNA virale. Un pezzo di DNA estraneo è inserito in una molecola di DNA virale in modo da poter essere trascritto in RNA, che a sua volta può essere tradotto in una proteina. In queste costruzioni i geni virali non solo agiscono come ‛portatori' fornendo la capacità replicativa al virus ‛ibrido', ma spesso forniscono segnali di regolazione per l'espressione dei geni estranei, ora sotto il controllo virale. Il virus ‛ibrido' può essere introdotto nelle cellule e replicarsi, producendo un gran numero di copie. Il gene inserito sarà quindi amplificato e produrrà grandi quantità della proteina corrispondente. Tale metodologia può essere utilizzata per la produzione su larga scala di particolari proteine (ad esempio ormoni), utili per la ricerca o per scopi sanitari o commerciali. Finora, i geni di numerose proteine sono stati inseriti nel genoma di virus, particolarmente virus oncogeni animali come l'SV4O (per l'espressione in cellule di Mammifero). Fra questi geni ricordiamo: quelli dell'insulina, l'ormone della crescita, globine, interferoni e anche specifici geni virali. Quest'ultima possibilità permette la produzione di singole proteine virali, che possono essere usate per preparare vaccini privi dei prodotti più tossici dello stesso virus. Questo approccio si sta ora sperimentando per la produzione dell'antigene di superficie del virus dell'epatite B.

Si è preso anche in considerazione l'uso di molecole virali appositamente modificate in vista di applicazioni terapeutiche, particolarmente nel caso di malattie genetiche che derivino dalla mancata produzione di proteine essenziali. In questo contesto, genomi virali che siano stati adeguatamente manipolati e privati della loro potenzialità patogena potrebbero essere usati come ‛proiettili magici' per trasportare un gene normale in cellule specializzate dell'organismo. Il virus potrebbe quindi stabilire una relazione simbiotica con queste cellule che conseguentemente produrranno una proteina normale (il cui gene è trasportato dal virus) che altrimenti esse sono incapaci di produrre. Sebbene terapie di questo tipo non appartengano ancora al regno del possibile, è pensabile che alcune forme di diabete (che risultano da deficienza di insulina) potranno essere curate indirizzando un virus contenente i geni dell'insulina umana verso cellule specifiche, che in tal modo produrranno la quantità di insulina richiesta dal corpo del paziente. Senza dubbio questa applicazione per scopi benefici dei virus non era stata ipotizzata da chi per primo li ha descritti. A questo nguardo è interessante notare che i virus sono costretti a regredire nel loro ciclo evolutivo per divenire di nuovo costituenti cellulari. Così come avevano acquisito geni ed elementi di regolazione dalle loro cellule ospiti, essi sono ora manipolati per riportare informazione genetica ai loro ospiti, in un affascinante circolo biologico.

(L'autore desidera ringraziare Lisa Dailey e Sandra Pellegrini per la collaborazione prestata nella stesura dell'articolo).

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