CANDIANO, Vitale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CANDIANO, Vitale

Riccardo Capasso

Di antica famiglia patrizia veneziana, figlio di Pietro (IV), doge di Venezia dal 959 al 976, e della prima moglie di questo, Giovanna, nacque presumibilmente intorno all'anno 940. Egli doveva essere appena ventenne quando venne costretto ad abbracciare la vita ecclesiastica, facendosi chierico, allorché suo padre ripudiò la moglie e la rinchiuse nel monastero di S. Zaccheria; tali avvenimenti caddero infatti intorno al 961-962 (cfr. Lenel, p. 71 n. 1), poiché in un documento del 26 ag. 963 Giovanna già appare badessa di quel monastero e, d'altra parte, intorno al 964, il doge Pietro sposò in seconde nozze Waldrada. Se si accetta la tesi, che appare conseguente, proposta dal Lenel e accolta anche dal Kehr, l'elezione del C. a patriarca di Grado non può essere avvenuta nel 967, così come vuole buona parte della letteratura storica, ma deve essere anticipata addirittura all'epoca in cui si fece chierico. Certo è che anche il Dandolo dà per possibile la sua elezione al 963; mentre il Gams e il Cappelletti lo ritengono vescovo di Equilio (Iesolo), dalla qual sede sarebbe poi stato trasferito a quella di Grado, ma di ciò non c'è traccia nei documenti a noi noti.

Dopo la sua elezione alla cattedra arcivescovile, il C. dovette provvedere, innanzi tutto, al recupero di tutti quei territori anticamente di dominio veneto-bizantino sui quali era stato riconosciuto, dopo la cessazione dello scisma di Aquileia (698), il buon diritto della Chiesa di Grado, ma che erano tuttavia sempre oggetto di una mai sopita controversia con la Chiesa di Aquileia. Questa rivendicava a sé, insieme con il titolo metropolitico, i diritti dell'antica sede patriarcale di Aquileia, diritti riconosciuti dal sinodo di Mantova dell'827. L'azione svolta dal C. per risolvere a proprio favore la vertenza deve essere inserita nel quadro più ampio della coeva politica veneziana, portata avanti dal doge Pietro (IV) Candiano, e volta ad affermare il predominio del ducato in terraferma ed in Istria. Al sinodo riunito a Roma (presente Ottone I) alla fine del 967, cui inviarono i loro messi il C., il doge e il popolo veneziano, Giovanni XIII riconobbe la Chiesa di Grado quale sede patriarcale "totius Venecie", e le confermò i suoi diritti metropolitici sugli altri vescovi della regione (Kehr, p. 50, n. 64). Il C. si assicurò anche il riconoscimento imperiale dei diritti della sua Chiesa, come appare da un privilegio del 2 ott. 968 (Stumpf, n. 415) emanato dagli imperatori Ottone I e Ottone II, cui egli aveva inviato come suoi legati Giovanni Contarini e il diacono Giovanni Dento. Il privilegio fu successivamente confermato da Ottone II il 2 apr. 974 (Böhmer, n. 462). La decisione di Giovanni XIII dovette essere poi confermata da Silvestro II (999-1003) e Sergio IV (1009-1012): si dubita comunque, della autenticità di tali conferme che peraltro bene si inquadrerebbero all'interno della politica di amicizia di Venezia con l'Impero, e quindi con la S. Sede, agli inizi del sec. XI.

Nel 971 il C. sottoscrisse la promissio al doge, deliberata nell'assemblea del clero e del popolo veneziano (residenti ildoge e lo stesso C. ed altri vescovi e maiores), di cessare ogni commercio di armi e legname con i Saraceni. Nel 976 una rivolta guidata da Pietro Orseolo portò all'uccisione del doge Pietro (IV) e di altri membri della famiglia Candiano. Il C. riuscì a fuggire, rifugiandosi in Sassonia, sotto la protezione dell'imperatore. Ritornò a Grado solo due anni dopo, nel 978, quando divenne doge Vitale Candiano, forse suo zio. Diresse allora un'ambasceria inviata con ricchi doni dai Veneziani ad Ottone II nel tentativo di ristabilire i buoni rapporti del ducato con l'Impero, incrinatisi dopo la strage dei Candiano. Miglior successo ebbe la successiva missione che il C. svolse per conto del nuovo doge Tribuno Memo, suo cognato, nel 983. Nel 989 il Memo donò alla Chiesa di Grado la chiesa di S. Silvestro in Venezia - ereditata dal fisco veneto per estinzione, della famiglia Caloprini - che divenne in seguito dimora dei patriarchi gradensi. Ancora migliori furono i rapporti d'amicizia che legarono il C. al doge Pietro (II) Orseolo, successo a Tribuno Memo nel 991. L'anno seguente (992) alla presenza del doge il C. consacrò Domenico Gradonico vescovo di Torcello. Nel 998 benedisse solennemente la flotta allestita dal doge per ridurre alla ragione gli Slavi in Dalmazia, dove sembra si trovassero molti possedimenti del patriarcato: la flotta fece infatti scalo a Grado, ricevette dal C. la benedizione e lo stendardo di combattimento con i ss. Ermagora e Fortunato.

Il C. riuscì ad ottenere anche che il doge Pietro Orseolo si facesse promotore di grandi lavori di restauro e di ampliamento nella stessa città di Grado; fra l'altro, sotto il suo episcopato furono portate a termine l'erezione delle torri e mura, la costruzione di un palazzo ducale e l'arricchimento della chiesa patriarcale di S. Eufemia.

Per quanto riguarda la sua attività pastorale, sappiamo che, sotto il pontificato di Silvestro II, venne acerbamente ammonito ("Saecularia iudicia", Kehr, p. 50 n. 67) - e con lui il doge ("Inter diversas", ibid., p. 18 n. 26) - a porre fine allo stato di corruzione in cui si trovava il clero della sua Chiesa; non conosciamo tuttavia, per il silenzio delle fonti a noi note, quale esito abbiano avuto le ammonizioni pontificie, né quali iniziative abbia preso il C. per la riforma e il miglioramento morale del suo clero. L'ultimo atto che lo riguardi non è anteriore al 1012, poiché è da accogliersi la tesi del Kehr che attribuisce a Benedetto VIII la lettera "Lex divinae constitutionis" (Jaffé, n. 3773) con la quale il papa risolve negativamente un caso di pretesa consanguineità.

La morte del C. avvenne, secondo la maggior parte delle fonti, dopo un cinquantennio di patriarcato: quindi, intorno al 1018 per coloro che sostengono la fine del 967 quale data di elezione, intorno al 1012 per gli altri.

Fonti e Bibl.: Andreae Danduli... Chronicon Venetum..., in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 1, a cura di E. Pastorello, pp. 178 ss.; J. F. Böhmer, Regesta Imperii..., I, Frankfurt am Main 1831, nn. 326 p. 17, 462 p. 25; K. F. Stumpf, Die Kaiserurkunden des X, XI, und XII. Jahrhunderts, Innsbruck 1865-1883, n. 415 p. 37; Ph. Jaffé-S. Lowenfeld, Regesta pontificum Romanorum..., I, Lipsiae 1885, nn. 3773, 3933, 3981; P. F. Kehr, Italia pontificia ..., VII, 2, Berolini 1925, nn. 26 p. 18, 63-70 pp. 49-51; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., V, Venetiis 1720, coll. 1108 s.; F. Cornaro, Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis..., I, Venetiis 1749, pp. 20 ss.; L. V. Savioli, Annali bolognesi, Bassano 1784, I, 1, p. 115; I, 2, Appendice de' monumenti, pp. 58-60; J. Filiasi, Mem. stor. de' Veneti primi e secondi, II, 6, Padova 1512, passim;A. Orsoni, Cronol. stor. dei vescovi Olivolensi..., Venezia 1828, pp. 205 ss.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., IX, Venezia 1853, p. 47; W. Lenel, Venetianisch-istrische Studien, Strassburg 1911, pp. 69 ss. (cfr. recens. di P. Paschini, in Mem. stor. forogiuliesi, VIII [1912], pp. 209-12); V. Piva, Il Patriarcato di Venezia e le sue origini, I, Venezia 1938, pp. 94 ss.

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