VITALI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITALI

Francesco Lora

– Famiglia di musicisti attivi a Bologna e Modena dalla seconda metà del Seicento alla seconda del Settecento.

Il capostipite Giovanni Battista, detto Giovanni Battista dal Violoncello e in seguito Battistino, figlio di Angelo e di Maria di Giovanni Egnutti, nacque a Bologna il 18 febbraio 1632, sotto la parrocchia di S. Biagio (Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registri battesimali della cattedrale, t. 83, 1632, c. 51v; Vitali, 1993, p. 374).

Come scrisse in un avviso nella propria op. I, fu allievo di Maurizio Cazzati, maestro di cappella in S. Petronio. Il 6 settembre 1658 questi inaugurò i nuovi organici musicali della basilica, sostituendo obsoleti cornetti e tromboni con moderni strumenti ad arco: Vitali fu assunto come suonatore di violoncino o violone da brazzo, ossia di violoncello atto anche a essere appoggiato sulla spalla (a differenza del compresente violone grosso o contrabbasso; Drescher, 2004; Vanscheeuwijck, 2012); percepiva un salario mensile di 10 lire bolognesi, elevato a 14 nel 1670 (Gambassi, 1987, pp. 132-143).

Dal 1666 è attestata la sua attività di compositore, soprattutto attraverso opere pubblicate a ritmo serrato e premiate da plurime e diffuse riedizioni.

Cazzati non solo favorì l’accesso di Vitali ai suoi stessi ambiti di lavoro, ma anche gli prestò torchio e caratteri per stampare le proprie musiche: convinzione trasmessa dall’uno all’altro era che un alto numero di opere edite andasse di pari passo con l’affermazione professionale (in contrasto con la tendenza circostante: Giovanni Paolo Colonna, successore del primo e concorrente del secondo, iniziò a pubblicare opere solo nel 1681 e dopo aver raggiunto l’acme di carriera). Ben cinque raccolte musicali, tutte di genere strumentale, videro la luce in quattro anni: Correnti e balletti da camera a due violini, col suo basso continuo per spinetta o violone, op. I (dodici balletti e altrettante correnti; Bologna, Marino Silvani, 1666; dedica, del 23 aprile, a Santo Spisani; ried., per ben 36 anni complessivi di tradizione a stampa: Antwerpen, Héritiers de Pierre Phalèse, 1668; Venezia, Francesco Magni, 1670; Bologna, Giacomo Monti, 1680; London, John Young, 1702); dodici Sonate a due violini col suo basso continuo per l’organo, op. II (Bologna, Monti, 1667; dedica al conte Vincenzo Maria Carrati, fondatore dell’Accademia dei Filarmonici di Bologna; ried.: Venezia, Magni, 1668; Bologna, ivi, 1671; Venezia, Giuseppe Sala, 1682; ivi, Gardano, 1685); Balletti, correnti alla francese, gagliarde e brando per ballare; balletti, correnti e sinfonie da camera a quattro stromenti, op. III (sei balletti «per ballare» con relative correnti, quattro gagliarde, un canario e un brando con relativa corrente; quattro balletti «per camera», tre correnti, una sarabanda e due sinfonie; Bologna, Monti, 1667; dedica ad Angelo Bavosi; ried.: ibid., 1674 e 1680; Venezia, Sala, 1679); Balletti, correnti, gighe, allemande e sarabande a violino e violone o spinetta con il secondo violino a beneplacito, op. IV (cinque balletti, otto gighe, due allemande, una zoppa, cinque correnti e tre sarabande; Bologna, Monti, 1668; dedica a Bonifacio Canobio, commendatore dell’Ordine di S. Stefano; ried.: ibid., 1671, 1673 e 1678; Venezia, Gardano, 1677; nel dedicare l’edizione del 1671 a Carlo Maria Alberti, l’editore Silvani attesta una tale fortuna per le opere di Vitali, che «stampate più volte se ne sono quasi persi gli originali»); Sonate a due, tre, quattro e cinque stromenti, op. V (undici sonate e un capriccio; Bologna, Monti, 1669; dedica a Francesco Maria Desideri; ried.: ibid., 1677; alla maniera di Cazzati – espressa per es. in Sonate a due, tre, quattro e cinque, con alcune per tromba, op. XXV, Bologna, Silvani, 1665 – ciascuna composizione trae il nome da una famiglia nobile, sostituendo però al ristretto contesto felsineo tutto l’ambito emiliano e romagnolo: una captatio benevolentiae ad ampio raggio, con la quale l’autore palesa le proprie ambizioni).

Al 1666 risale anche la fondazione dell’Accademia dei Filarmonici di Bologna: già affiliato a quella dei Filaschisi di fatto confluita nella nuova, Vitali «fu uno degli antichi accademici, che [...] instituis[c]e questa [...] accademia, nella quale in più anni esercitò varj ufficj, et ancora nelle [...] solite feste del Santo protettore [Antonio di Padova] concorse pure co’ suoi componimenti» (O. Penna, Cronologia, 1736, p. 82).

Quanto agli uffici, Vitali fu consigliere nel 1674 e 1675 (la coeva lontananza da Bologna sfavorì altri incarichi nonché l’elezione al principato). Quanto al contribuire con musiche proprie alle funzioni di messa e vespro per l’annuale festa accademica, approntò un primo Laudate Dominum omnes gentes per la celebrazione del 17 giugno 1670 nella basilica di S. Domenico, un primo Magnificat per quella del 9 luglio 1671 nella chiesa di S. Giovanni in Monte, un secondo Laudate Dominum per quella del 19 luglio 1672 nella basilica di S. Salvatore, un Kyrie e Gloria per quella del 22 giugno 1673 nella basilica di S. Martino Maggiore e un mottetto all’offertorio per quella del 22 giugno 1674 nella basilica di S. Francesco; stabilita infine la sede in S. Giovanni in Monte, approntò una prima sinfonia dopo l’epistola («con tromba», secondo l’uso: Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali Accademia Filarmonica, 1, p. 142) e un secondo Magnificat per la celebrazione del 27 giugno 1686, un Laudate pueri per quella del 26 giugno 1687, un Dixit Dominus per quella del 7 luglio 1688 e una seconda sinfonia dopo l’epistola per quella del 7 luglio 1689 (ivi, ad dies; O. Penna, Cronologia, cit., pp. 23, 37, 40, 42, 47, 49, 82, 85, 106, 180, 196; musiche perdute, salvo la possibile identificazione di un Laudate Dominum e del primo Magnificat con quelli nell’op. VI).

Nel 1671 Cazzati lasciò Bologna e il magistero di cappella sia in S. Petronio, sia alla Compagnia del SS. Rosario ospitata nella cappella Guidotti di S. Domenico: il 26 agosto Vitali fu assunto a questo secondo ruolo, facendosi preferire a Camillo Cevenini, Giovanni Antonio Manara e Lorenzo Perti (Alce, 1973, p. 20). Di lì a poco egli e altri otto suonatori – quattro in servizio come lui in S. Petronio, a dispetto del conflitto fra i due impieghi – presentarono una petizione agli Anziani consoli di Bologna: proponevano che al Concerto palatino della città, formato da fiati, fosse affiancata una complementare «banda di viole» costituita da loro stessi; l’avanguardistica iniziativa fu accolta con decreto del 29 ottobre, ma lasciata cadere in soli due mesi per mancanza di copertura economica (Gambassi, 1989, pp. 16-18, 265-267).

Già dall’inizio dell’anno, inoltre, il conte Astore Orsi aveva smesso di contare su Cazzati per l’abituale oratorio da eseguire, in quaresima, nel proprio palazzo: fu Vitali a presentare sia Agare nel febbraio del 1671 (libretto di Giovanni Battista Maurizio; musica perduta; l’interpolazione di due arie intere, due seconde strofe e passi di recitativo, come si vede nel libriccino stampato per l’occasione, induce il sospetto che si sia trattato di una ripresa arricchita con nuovi brani), sia Il Gefte overo Il zelo imprudente il 16 marzo 1672 (libretto di Benedetto Giuseppe Balbi; musica perduta; nel relativo libriccino si legge che «ambe due le parti dell’oratorio furono precedute et inframmezzate da sinfonie di varj stromenti», specialità del compositore, come del resto era già avvenuto nel caso di Agare). L’indomani del secondo oratorio, il 17 marzo, ebbe luogo l’esecuzione di un terzo, Il trionfo de la fede, per l’Accademia degli Unanimi: Vitali e Colonna approntarono la sinfonia introduttiva e un’invocazione a mo’ di prologo, rispettivamente, mentre a Francesco Pratichista spettarono le ben tre parti dell’oratorio vero e proprio (libretto di Luca Tesini; musica perduta). Nel Carnevale precedente, Vitali e Colonna si erano fatti ugualmente carico della sinfonia e dell’introduzione in una «ricreazione accademica», L’alloro trionfato, sempre per gli Unanimi e a più mani: parte prima di Maria Barbieri, parte seconda di Giorgio Stella e licenza di Pratichista (libretto di Tomaso Stanzani; musica perduta).

Il 5 luglio 1673 Vitali fu proposto come maestro di cappella nella chiesa di S. Maria di Galliera, insieme con Giulio Cesare Arresti, Agostino Filippucci, Giacomo Maria Predieri e Colonna; solo quest’ultimo ebbe tuttavia l’approvazione unanime (Vitali, 1979, p. 132), seguita in sedici mesi dall’assunzione al magistero di cappella in S. Petronio. Sul finire del 1674 Vitali abbandonò allora i propri ruoli sia nel tempio civico sia al SS. Rosario, onde essere assunto, in novembre-dicembre, alla corte di Francesco II d’Este, duca di Modena, con ruolo di sottomaestro (o vicemaestro) di cappella.

Le trattative erano in corso da mesi: scrivendo a un ignoto funzionario estense, da Bologna il 20 luglio, Vitali alludeva a un impegno a Novellara, sede di una concorrente corte gonzaghesca, e prendeva tempo approfittando di una convalescenza; non perdeva tuttavia l’occasione di dimostrare familiarità con il contesto modenese e con Giovanni Maria Bononcini in particolare (Vitali, 1993, p. 370).

Il musicofilo Francesco II, allora quattordicenne, si era appena affrancato dalla reggenza della madre, Laura Martinozzi, e andava triplicando l’organico della cappella ducale. A dispetto della vicendevole gerarchia e della possibile interferenza, i due maestri e i due sottomaestri al suo servizio percepivano tutti un salario generoso ed erano di fatto distribuiti tra gli uffici musicali di teatro, chiesa e camera, più le incombenze del genere strumentale puro: nell’ordine, a Benedetto Ferrari spettavano 133 lire modenesi, a Giuseppe Paini e Vitali 128, a Giuseppe Colombi 96 (Crowther, 1990, e 1992, pp. 16-18).

Nel contesto modenese e con rinnovate prospettive, Vitali diede alle stampe una raccolta di diverso genere: Salmi concertati a due, tre, quattro e cinque voci, con stromenti, op. VI (un Domine ad adiuvandum a tre, un Dixit Dominus a cinque, un Confitebor a tre, un Beatus vir a cinque e uno a quattro, un Laudate pueri a due, un Laudate Dominum e un Magnificat ambo a cinque; Bologna, Monti, 1677; dedica non più a signori o patrizi bolognesi, ma alla testa coronata di Francesco II; «quest’opera si può cantare con due violini solamente, cioè primo e secondo, tralasciando il terzo e la violetta»; il terzo violino era d’uso tipico, in quegli anni, a Modena; «li salmi a cinque [...] si possono cantare a quattro, tralasciando il secondo tenore, e ancora a tre, tralasciando il secondo tenore e canto»; la muta dei cinque salmi è la stessa utile ai secondi vespri antoniani dei Filarmonici). Seguì un’attività imprenditoriale con la quale egli, installata una stamperia in casa propria sul modello di Cazzati, iniziò a produrre da sé l’edizione di nuove opere: Varie partite del passemezo, ciaccona, capricij e passagalli a tre, due violini e violone o spinetta, op. VII (sei partite sul passamezzo moderno e tre su quello antico, una ciaccona, due capricci e tre passacaglie, tra le quali la terza attua la polimetria fra violini e basso continuo; Modena, Giovanni Gasparo Ferri, 1682; dedica al conte Alessandro III Sanvitali; nel frontespizio l’autore tiene per la prima volta a presentarsi come accademico filarmonico); Balletti, correnti e capricci per camera a due violini e violone, op. VIII (nove balletti con relative correnti, una giga e due capricci; ibid., 1683; dedica al principe Cesare Ignazio d’Este-Scandiano; ried.: Venezia, Gardano, 1683 e 1685); 49 Hinni sacri per tutto l’anno a voce sola con cinque stromenti, op. X (ibid., 1684; dedica a Francesco II; «quest’opera si può cantare con due soli violini, cioè primo e secondo tralasciando il terzo e violetta, e anco senza violini occorrendo»); Varie sonate alla francese et all’itagliana a sei stromenti, op. XI (29 brani tra capricci, gighe, gavotte, un balletto e una corrente alla francese, boree, balletti per camera, una zoppa, introduzioni e una sinfonia, raggruppabili in suites per tonalità uguali o affini; ibid., 1684; dedica a Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers, duca di Mantova; «quest’opera ancorche composta a sei stromenti, si può sonare con il primo violino solo e violone»); Balli in stile francese a cinque stromenti, op. XII (35 danze tra balletti, gighe, minuetti, boree, gavotte, una sarabanda, brandi, una corrente e una gagliarda, raggruppabili in suites; ivi, Antonio Vitaliani, 1685; dedica a Maria Beatrice d’Este, regina d’Inghilterra; ried.: Venezia, Sala, 1689-1690). Nel 1684 Vitali protestò al duca di aver avviato la stampa musicale in Modena, ma di subire un grave danno dalle contraffazioni fatte a Bologna e Venezia: chiedeva dunque di proibire tale concorrenza (con effetto nella prima città ma non nella seconda; Vitali, 1993, pp. 360, 365-367). Svincolate da un’editio princeps modenese – la solita goffa qualità tipografica, confessata nella dedica all’op. VII, sarebbe stata inadatta al più formidabile dei dedicatari e all’irripetibile occasione di lustro – risultano invece le dodici Sonate da chiesa a due violini, op. IX (Amsterdam, Jean Philip Heus, 1684; dedica nientemeno che all’imperatore Leopoldo I d’Asburgo; ried.: Venezia, Gardano, 1684; Vitali, 1993, p. 360).

Entro il gennaio del 1682 Vincenzo De Grandis subentrò a Ferrari e Paini, ma già nel marzo del 1683 lasciò Modena: fino all’insediamento del nuovo titolare, Antonio Gianettini, avvenuto nel maggio del 1686 con ben 396 lire di salario, Vitali poté così assumere ad interim il ruolo di maestro di cappella, vantato nei frontespizi delle op. X, XI e XII (Crowther, 1990, p. 211, e 1992, pp. 58, 109).

Al colmo del cursus honorum ed esperto sia di contrappunto sia di arte della sonata, tra la fine del 1685 e l’inizio del 1686 fu significativamente interpellato dal giovane Giacomo Antonio Perti sul giudizio da trarre nella disputa teorica divampata tra la fazione bolognese di Colonna e quella romana di Arcangelo Corelli: insofferente all’uno e sostenitore dell’altro, Perti, già in contatto con Corelli nonché con Antimo Liberati e Tadeo Raimondi, cercò in Vitali un alleato; più prudente, questi gli rispose però commentando come sprovveduta la condotta delle parti nel passo corelliano oggetto di scontro (op. II, l’allemanda nella sonata III; lettera di Vitali a Perti, s.l. né d., Bologna, Museo della musica, K.44.1.170).

La fondazione dell’Accademia dei Dissonanti e soprattutto il patrocinio ducale alla stessa, accertati dal 1684 (Cenni storici..., 1833, pp. III-VII), aprirono a Vitali nuovo campo come interprete delle glorie estensi: lo attesta, fin dal titolo o dall’incipit, più d’una tra le sue cantate, a una o due voci, concertate con archi e corpose nello sviluppo, via via presentate nelle riunioni di quel consesso (Jander, 1975; Suess, 1990; Chiarelli, 1999; Sanguineti, 2016-2017).

Di norma databili al 1684-1686, si tratta di: Per l’Accademia sopra la nascita di Sua Altezza Serenissima («Coronata d’applausi | di Francesco il natale»), Problema se l’aquila estense sia più gloriosa nel promovere l’armi o nel proteggere le lettere («Datevi pace, o dotti»), Accademia sopra il problema se il mondo migliori o peggiori («Cessate, o begl’ingegni»; da associare a un doc. cit. in Cenni storici, 1833, p. VI nota 9), Accademia: qual ferisce più la lingua o la spada («Qual di musiche note»), Per l’Accademia («Chi mi sia non lo so già») e Per l’Accademia della coronatione della Regina d’Inghilterra («Donde avvien che tutt’ebro»; Modena, Biblioteca Estense universitaria, Mus. F. 1261); Per la SS. Concettione. Accademia («Alle palme, ai trionfi, alle vittorie», dialogo tra l’Innocenza personificata e Lucifero; Mus. F. 1368); nonché Accademia per la SS. Annuntiata («Nel tartareo profondo») e Accademia: se le passioni amorose si debbano scoprire all’amico («Olà, saggi tacete»; Mus. E. 245). Sopravvivono ulteriori cantate, per voce e basso continuo, di più generica destinazione: Dunque a Tiberio ancora (Mus. F. 1351; un ignoto e Colombi posero in musica gli stessi versi: Mus. F. 1382 e Mus. F. 1385), Quella dama che vi ho detto e Per un cor che sempre spera (Münster, Diözesanbibliothek, Santini, Hs 4086).

Le travagliate vicende della sorella di Francesco II, Maria Beatrice, consorte di Giacomo II Stuart e con lui salita al trono inglese nel 1685, ispirarono nel contempo oratori di esibito o sottile riferimento all’attualità politica. Alla fallita ribellione di James Scott, primo duca di Monmouth, figlio illegittimo di Carlo II Stuart e pretendente protestante alla corona, fece eco, nel 1686, L’ambitione debellata, overo La caduta di Monmuth, libretto allegorico di Giovanni Andrea Canal e sopraffina partitura vitaliana (Modena, Biblioteca Estense universitaria, Mus. E. 247).

Nella lista degli interlocutori, all’Innocenza corrisponde la «Sacra Maestà del Re d’Inghilterra», alla Fede quella della Regina, alla Ragione il Testo, all’Ambizione «il Duca di Monmuth» e al Tradimento «il Conte d’Argile» (Crowther, 1990, p. 215; Plank, 1991; Crowther, 1992, pp. 65 s.; negli esemplari del libriccino, una «V.» aggiunta a mano davanti alla qualifica del compositore informa del suo ritorno al ruolo di vicario, dunque di un’esecuzione forse successiva alla canonica rassegna quaresimale; una fonte coeva torna similmente a indicare Vitali come «maestro del concerto» del duca di Modena: Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali, 1, p. 142).

Quando gli eventi della Gloriosa rivoluzione portarono alla deposizione della coppia regale, cattolica, e alla sua sostituzione con i protestanti Guglielmo III d’Orange e Maria II Stuart, fu invece la volta del Giona, grandioso oratorio con ben sette interlocutori e l’inaudito numero di dieci cori (proprio nel momento storico ove tali cori, composti come madrigali e da eseguirsi a parti reali, iniziavano a essere eclissati da arie o duetti; Modena, Biblioteca Estense universitaria, Mus. F. 1260).

A differenza dell’omonimo lavoro con libretto di Ambrogio Ambrosini e musica di Giovanni Battista Bassani, creato nella stessa rassegna quaresimale del 1689 nell’oratorio di S. Carlo Rotondo, quello con libretto di Domenico Bartoli e musica di Vitali termina infatti non con il profeta ravveduto e restituito alla luce dopo tre giorni nel ventre del grande pesce, ma con la sua predicazione agli abitanti di Ninive e l’auspicata conversione della corrotta coppia regale (Crowther, 1992, pp. 145-155; Pasquini, 2009, pp. VI s.).

Erano state nel frattempo celebrate le solenni esequie della duchessa Laura, il 3 agosto 1688 nella chiesa di S. Agostino e l’indomani in quella della Visitazione: oltre un presumibile contributo alle prime, per le seconde Vitali compose «musica [...] che accompagnava ancor essa l’apparato, cioè grave et ornata» (D. Sangiovanni, Orazione funerale..., [Modena 1688], p. 6).

Una sorprendente erudizione accademica è sfoggiata nell’ultimo lavoro dato personalmente alle stampe: Artificii musicali ne quali si contengono canoni in diverse maniere, contrapunti dopii, inventioni curiose, capritii e sonate, op. XIII (60 composizioni di varia natura; Modena, Eredi Cassiani, 1689; dedica a Francesco II; in una «modulatione», per es., «un violino sona per drito e nell’istessa parte un altro violino comincia nel fine e sona all’indietro», mentre una coppia di violette fa il medesimo; in un balletto «il primo violino sona in tempo ordinario, il secondo violino sona in dodecupla e il violone sona in tripla»; in un altro «il violino sona per b. molle e il violone sona per diesis»; una passacaglia «principia per b. molle e finisce per diesis», modulando per sette volte lungo il circolo delle quinte; negli stessi anni tali artifici erano praticati anche da colleghi come Evilmerodach Milanta e Pietro Maria Minelli, non senza l’incentivo di sfide accademiche, come quella cui i Filarmonici risposero, il 5 aprile 1691, circa il comporre a due cori differenti per tono e metro: Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali, 1, pp. 448 s.).

Nel luglio del 1692 si celebrarono le nozze di Francesco II e Margherita Maria Farnese: dagli apparati dei festeggiamenti derivano le musiche pubblicate come Sonate da camera a tre, due violini e violone, op. XIV (44 danze tra balli, gighe, boree, minuetti, gavotte, zoppe, una corrente e un balletto, raggruppabili in suites; Modena, Christoforo Canobi, 1692; stampa postuma, di dicembre, con dedica del curatore, Tomaso Antonio, primogenito dell’autore, alla novella duchessa di Modena).

Giovanni Battista Vitali morì a Modena il 12 ottobre 1692 e fu sepolto nella chiesa di S. Margherita (Vitali, 1993, p. 372; i Filarmonici celebrarono la consueta messa di suffragio il 31 ottobre: O. Penna, Cronologia, cit., p. 83).

Abitava allora nel territorio della cattedrale, e lasciò un patrimonio consistente in modeste suppellettili, strumenti musicali, materiali per la stampa, pochi gioielli e denaro per circa 1200 lire bolognesi (Vitali, 1993, pp. 364, 367 s.). Da un primo matrimonio, contratto a Bologna il 7 giugno 1662, con Francesca di Antonio Maria Ferrari, nata a Bologna il 4 febbraio 1642 (Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registri battesimali della cattedrale, t. 94, 1642, c. 28r) e morta a Modena il 2 aprile 1681, erano nati, a Bologna, tra il 1663 e il 1674, Tomaso Antonio, Agostino Maria, Giuseppe Maria e Francesco Antonio (Vitali, 1993, pp. 371, 374). Altri due figli, Antonio e Giuliano Severino Antonio, erano nati a Modena, l’uno il 14 ottobre 1690 e l’altro nel 1692, da Caterina di Giacomo Bachini, ivi nata nel 1659 e morta nel 1718: il secondo matrimonio era stato contratto il 10 luglio 1692, solo davanti a un verosimile peggioramento della salute del capofamiglia; la morte di Francesco II, nel settembre del 1694, consegnò all’indigenza la vedova, che si ridusse a elemosinare presso il principe Foresto d’Este-Scandiano (pp. 365, 371-374). Tra i figli di Giovanni Battista, due proseguirono nella professione di musicisti: Tomaso Antonio (vedi oltre) e Antonio, violinista alla corte ducale, morto a Modena il 2 settembre 1768 (p. 374).

Con una trentina abbondante di edizioni di musica strumentale, diffuse fino all’Inghilterra di Henry Purcell e impresse fino agli albori del Settecento, Vitali fu secondo solo a Corelli per risonanza e vantò influenza stilistica e longevità artistica più del prolifico amico e collega Giovanni Maria Bononcini. A maggior ragione nel confronto con l’opposto esempio di Colonna, suo coetaneo e concorrente, egli illustra già il fenomeno, tipicamente romano e padano, delle carriere separate tra compositori di musica vocale o strumentale: la prima, tenuta in più alta considerazione, era tendenzialmente connessa ad autori formatisi su strumenti da tasto e candidati a magisteri di cappella; la seconda, relegata a un rango ancillare, lo era ad autori formatisi su strumenti ad arco e destinati a coadiuvare gli altri (nella generazione successiva, con portata crescente e a dispetto della fama, è il caso di Corelli stesso e di Giuseppe Torelli, nonché del figlio Tomaso Antonio). Indipendentemente dagli sforzi di Vitali su più campi, infatti, l’impatto della sua produzione vocale fu modesto: egli non approcciò mai il genere teatrale malgrado un contesto d’attività oltremodo propizio; praticò quello sacro senza però conseguire in via stabile alcun significativo magistero di cappella; licenziò nei suoi oratori e cantate – quand’anche capolavori – esperienze collaterali e circoscritte. Nessun altro compositore italiano della sua generazione, al contrario, fu più disinvolto di lui nel praticare tutte insieme le forme strumentali: dalle antiche danze della tradizione padana – davvero destinate al ballo – alla forbita dialettica della sonata da chiesa, dall’indagine delle facoltà tecniche di un singolo strumento al muovere assieme quattro parti reali di violino, dalla scrittura artificiosa ed enigmatica – permeata di malizia cortigiana – al fare propri nuovi modelli francesi.

Oltre i codici modenesi suddetti, due altri recano musiche inedite (Mus. E. 244: otto partite per violino, ossia toccata, bergamasca, ruggiero, due capricci «sopra li cinque passi» e «di tromba», furlana, passamezzo antico e barabano; dieci partite per violone, scilicet violoncello, ossia toccata, ruggiero, bergamasca, ciaccona, tre capricci anche «sopra otto figure» e «sopra li cinque tempi», passacaglia, passamezzo antico e passamezzo moderno; Mus. F. 1250: sonate per violino e basso continuo, ossia tre passacaglie – la seconda modula come quella nell’op. XIII, la terza è polimetrica alla maniera delle op. VII e XIII – e quattro partite sul passamezzo antico). Molti manoscritti, ivi e altrove, si limitano a concordare con le opere a stampa (così anche il Beatus vir a Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus.1875-D-1, e il Laudate pueri a Berlino, Staatsbibliothek, Mus.ms. 30293). Altri ancora sono attribuiti al Bolognese per mera congettura (il caso del mottetto Salve mi Jesu, pater misericordiæ a Berlino, ibid., di un non meglio precisato «Signore Vitali» oltre che evidente contrafactum luterano di un’ignota Salve Regina) o per banale equivoco (il caso di partiture da ricondurre invece a tre omonimi: Filippo, attivo a Roma e Firenze nella prima metà del Seicento; Giovanni Battista, attivo a Lugo di Romagna dal 1760 circa al 1792; Giovanni, violoncellista e accademico filarmonico di Bologna dal 1817).

Tomaso Antonio, detto il Vitalino, figlio di Giovanni Battista e di Francesca Ferrari, nacque a Bologna il 7 marzo 1663, sotto la parrocchia di S. Maria della Mascarella (padrino di battesimo fu Santo Spisani, futuro dedicatario dell’op. I paterna; Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registri battesimali della cattedrale, t. 116, 1663, c. 63v).

Seguì la famiglia nel trasferimento a Modena. Già nel 1675 il padre supplicava Francesco II affinché lo assumesse come violinista in luogo di un collega moribondo: l’adolescente aveva infatti già prestato servizio in tutte le funzioni di corte fin dal suo arrivo in città (Vitali, 1993, p. 371; di maniera sono invece le informazioni sulla giovinezza date in O. Penna, Cronologia, cit., pp. 402 s.). Egli risulta a libro paga dal 1677, con un salario di 30 lire (Crowther, 1992, p. 17); promosso «capo delli strumenti», il suo salario crebbe a 60 lire, fino alle 165 accordate sotto il nuovo duca, Rinaldo d’Este. Prese in moglie una nipote di Antonio Maria Pacchioni, suo maestro di contrappunto e promotore nella cappella ducale (Tiraboschi, 1786, p. 607). Fu tra i pochi strumentisti a mantenere il ruolo dopo le drastiche riduzioni d’organico stabilite nelle estati del 1689 e 1693 (Crowther, 1992, pp. 117 s.).

Pubblicata l’op. XIV del padre, diede alla luce raccolte proprie: dodici Sonate a tre, doi violini e violoncello, col basso per l’organo, op. I (Modena, Antonio Ricci, 1693; dedica, di aprile, a Francesco II); dodici Sonate a doi violini, col basso per l’organo, op. II (ivi, Canobi, 1693; dedica, di giugno, a Odoardo II Farnese, principe ereditario di Parma); dodici Sonate da camera a tre, due violini e violone, op. III (ivi, Fortuniano Rosati, 1695; dedica, di gennaio, ad Anna Maria di Borbone-Orléans, duchessa di Savoia); Concerto di sonate a violino, violoncello e cembalo, op. IV (dodici sonate da camera; ibid., 1701; dedica, del 29 ottobre, al cardinale Pietro Ottoboni; la sonata XII è una follia sul modello di quella, fresca di stampa, nell’op. V di Arcangelo Corelli). Inoltre, una sua brevissima composizione fu pubblicata fra altre 33 in Select preludes and vollentarys for the violin [...] by all the greatest masters in Europe for that instrument (London, I. Walsh [...] and I. Hare, [1705]) e una sua ulteriore sonata entrò nella collettanea Corona di dodici fiori armonici tessuta da altretanti ingegni sonori, a tre strumenti (Bologna, Peri, 1706; con colleghi attivi nel contesto felsineo, tra i quali Giuseppe Matteo Alberti, Girolamo Nicolò Laurenti, Francesco Manfredini, Pietro Giuseppe Sandoni e Giuseppe Torelli).

L’inserimento nella cerchia artistica della città natale fu favorito da eventi bellici: nelle prime fasi della guerra di successione spagnola, l’esercito francese aveva occupato Modena e il duca Rinaldo aveva riparato a Bologna, per rimanervi con la propria corte dal 1702 al 1707. Il 15 giugno 1703 Vitali fu dunque aggregato ai Filarmonici, nell’ordine dei suonatori, con voti tutti favorevoli (Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali, 2, c. 5v-r). Il 4 gennaio 1705 tenne la parte del secondo tra i violini primi ‘di concerto’, accanto a Torelli, nella serenata Venere, Giunone, Minerva di Giacomo Antonio Perti, eseguita nel palazzo del conte Alamanno Isolani per conto dell’Accademia dei Gelati e con folto concorso di potentati (fuori dalle proprie abitudini, nell’originale della partitura il compositore annotò, vicino alle rispettive parti, «solo Torelli» e «solo Vitalino»: Bologna, Archivio musicale della basilica di S. Petronio, P.59.44, c. 13v). Notevoli i fatti del luglio 1706: il 1° Vitali raccolse da Torelli, indisposto, l’incarico di comporre la sinfonia dopo l’epistola per la festa dei Filarmonici, e dal medesimo fu candidato all’ordine dei compositori (Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali, 2, c. 10r); il 3 era in prima fila tra i 31 violini e i circa 80 strumenti chiamati da Pirro Albergati Capacelli per eseguire una serenata del conte stesso, Amore e amante, nel palazzo di famiglia (Crowther, 1999, p. 18; in onore di Gregorio II Boncompagni, duca di Sora e principe di Piombino); l’8, avendo presentato «una suonata» ai Filarmonici, fu promosso compositore a pieni voti (Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, II/1, Verbali, 2, c. 11v; una sonata a quattro parti, datata 1703, è tuttora in tale archivio, capsa II, n. 36; «egregiamente composta»: O. Penna, Cronologia, cit., p. 403); il 13 la sua sinfonia (lavoro sicuramente diverso dalla predetta sonata a quattro parti) fu «universalmente applaudita» in S. Giovanni in Monte (pp. 386, 403; si trattò forse di quella con trombe, oboi e violini obbligati, ricalcata sul modello di Torelli, conservata tra le carte di Perti e poi catalogata per errore tra anonimi: Bologna, Archivio musicale della basilica di S. Petronio, A.15.4; il nome dell’autore è ancora leggibile sotto raschiature).

Nel 1711 Vitali fu violino principale – con precedenza su Giovanni Battista Somis – tra i molti musicisti di fama impegnati nel memorabile ottavario celebrato dal 13 al 21 giugno a Novara, nella basilica di S. Gaudenzio, per la traslazione delle reliquie del santo (F.G. Ruggero, Dichiarazione della eccellente musica seguita in Novara..., Vercelli 1711, p. 7). Nel 1716 aggiunse al ruolo nella cappella ducale quello nella cappella della cattedrale (Roncaglia, 1957, p. 301). Tra i suoi allievi si annoverano Evaristo Felice Dall’Abaco (per supposizione, a Modena, sul finire del Seicento) nonché Girolamo Nicolò Laurenti e Luca Antonio Predieri (con certezza, durante la permanenza a Bologna; il primo per lo stile compositivo, il secondo per la tecnica strumentale: O. Penna, Cronologia, cit., pp. 356, 469); effimero fu invece il rapporto con Jean-Baptiste Senaillé (Ambrosiano, 2019, pp. 24-26), mentre inverosimile è l’istruzione data a Giambattista Martini (contro l’asserto in Verzeichniß des musikalischen Nachlasses des verstorbenen Capellmeisters Carl Philipp Emanuel Bach, Hamburg 1790, p. 124). Da anziano si scrisse di lui: «nel studio del violino fece questo soggetto degnissime riuscite, della qual arte ha sempre tenuto scuola, come altresì del contrapunto, avendo sempre accopiato [a] queste sue virtù i costumi ottimi, che sempreppiù lo rendono molto amato e stimato. [...] Nei tempj, e nei teatri ha sempre eccitato in chi lo ha udito gli stupori» (O. Penna, Cronologia, cit., p. 403; sulla sua ordinaria partecipazione all’esecuzione di drammi per musica: Ferretti, 1994, pp. 41, 43, 54). Rimase formalmente al servizio ducale fino al 1742 o 1743.

Tomaso Antonio Vitali morì a Modena il 9 maggio 1745, in condizione piuttosto agiata (Vitali, 1993, pp. 373 s.).

Nella città adottiva, nel 1687, aveva sposato Camilla Margherita Almerici, nata intorno al 1669 e madre dei suoi figli Lucia, Fausto, Romano, Teresa e Isabella, tutti ivi nati tra il 1688 e il 1711. Fausto, nato nel 1699 e morto a Modena nel 1776, fu organista nella cattedrale dal 1720 al 1738 e maestro di cappella nella corte ducale dal 1750 ai suoi ultimi giorni; Romano, nato nel 1701 (o 1697) e morto a Modena il 18 luglio 1777, fu violoncellista (Cionini, 1902; Pancaldi - Roncaglia, 1942; Roncaglia, 1957; Vitali, 1993, pp. 373 s.).

L’interesse otto-novecentesco per questo compositore e virtuoso si deve soprattutto alla tardiva popolarità di un’estesa passacaglia – impropriamente divulgata come ciaccona – per violino e basso continuo, tramandata in un apografo della prima metà del Settecento con intestazione Parte [scilicet serie di variazioni] del Tomaso Vitalino (Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus.2037-R-1) e circolata in varie rielaborazioni tra le quali una di Ottorino Respighi (Ciacona per violino, orchestra d’archi e organo, 1908): l’attribuzione del brano, un tempo controversa (Barblan, 1966; Greich, 1970), pare oggi meno infondata. Inediti sono a loro volta una raccolta di dodici sonate per violino e violoncello (Modena, Biblioteca Estense universitaria, Mus. E. 246; codice calligrafico con dedica a Francesco II: quella nell’op. I ne è una seconda versione), una sonata per violino e basso continuo (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Musiksammlung, E.M. 53) e un concerto a quattro parti con violino obbligato (E.M. 146; Uppsala, Universitetsbiblioteket, Instr. mus. i hs. 62:3).

Un ritratto postumo del musicista (olio su tela) è a Bologna nel Museo della musica; un altro di uguale composizione (carboncino su carta) era nella collezione di Carl Philipp Emanuel Bach (Mazza, 2018).

Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio dell’Accademia Filarmonica, I/3: O. Penna, Cronologia, o sia Istoria generale di questa Accademia (1736), passim; Archivio di Stato di Modena, Archivio per Materie, Musica e musicisti, b. 1/A, cart. Vitali Tommaso Antonio compositore di musica e suonatore di violino; b. 2, cart. Vitali Giovan Battista suonatore di violincello e Vitali Romano; b. 3, cart. Cappella ducale (docc. di contabilità).

G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, VI, Modena 1786, p. 606 s.; Cenni storici intorno all’Accademia ducale de’ Dissonanti, in Memorie della Reale Accademia di scienze, lettere e d’arti di Modena, t. I, Modena 1833, pp. III-XXVII; L.F. Valdrighi, Nomocheliurgografìa antica e moderna ossia elenco di fabbricatori di strumenti armonici, Modena 1884, pp. 282, 286; N. Cionini, Teatro e arti in Sassuolo, Modena 1902, passim; R. Haas, Die Estensischen Musikalien: thematisches Verzeichnis mit Einleitung, Regensburg 1927, pp. 115, 194; E. Pancaldi - G. Roncaglia, Antonio Maria Pacchioni, in Studi e documenti della R. Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna: sezione di Modena, n.s., I (1942), pp. 126-142; C. Sartori, Bibliografia della musica strumentale italiana stampata in Italia fino al 1700, I-II, Firenze 1952-1968; G. Roncaglia, La cappella musicale del duomo di Modena, Firenze 1957, ad ind.; J.G. 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