VITELLI, Vitello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITELLI, Vitello

Michele Lodone

– Nacque forse a Città di Castello nel 1480, figlio naturale di Camillo. Il nome della madre è ignoto.

Fu probabilmente Camillo – condottiero e signore di fatto di Città di Castello dal 1487 fino alla morte, nel 1496 – a indirizzarlo verso la carriera militare, in cui eccellevano anche i fratelli minori del padre, Paolo e Vitellozzo. Dopo la morte di quest’ultimo per mano di Cesare Borgia, nella strage di Senigallia (31 dicembre 1502), Vitello dovette abbandonare Città di Castello insieme allo zio Giulio, vescovo della città, e al cugino Giovanni Lisio, a causa delle pressioni congiunte del Duca Valentino e di suo padre Alessandro VI.

Fuggito prima a Perugia, presso i Baglioni, e poi a Siena, ospite di Pandolfo Petrucci, Vitelli si ritirò quindi a Pitigliano, da Niccolò Orsini, mentre Giulio raggiungeva Venezia per raccogliere le forze necessarie a contrattaccare. Nell’agosto del 1503, la morte di Alessandro VI e l’uscita di scena del Valentino permisero ai Vitelli (e ad altri signorotti spodestati dai Borgia) di fare ritorno in patria. Dopo aver pianificato, con l’appoggio di Bartolomeo d’Alviano, di recuperare con la forza il governo della città epurandola dagli avversari politici, nel gennaio del 1504 Vitelli e il cugino Giovanni fecero uccidere il concittadino Antonio Iacopo, loro parente, schierato a favore della Chiesa.

Riaffermato in patria il dominio familiare, negli anni seguenti Vitelli fu al soldo dei veneziani, per conto dei quali combatté contro gli imperiali a partire dalla fine del 1507, meritandosi vari attestati di stima (nonostante la perdita, agli inizi del 1509, di Brentonico). Il 15 aprile 1509 – alla vigilia della sconfitta della Ghiaradadda, presso Agnadello, in uno dei momenti più difficili della storia di Venezia, accerchiata dalla Lega di Cambrai – Charles d’Amboise, signore di Chaumont e luogotenente del re di Francia, conquistò Treviglio, facendo prigioniero Vitelli.

Trasferito a Milano, fu rilasciato l’anno seguente. Nell’estate tornò al servizio di Venezia, prima di porsi, alla fine del 1510 (insieme ai cugini Giovanni e Chiappino, figlio di Paolo) al soldo di Giulio II, impegnato militarmente in Emilia e Romagna. Nel febbraio del 1511 si ammalò gravemente, forse di tifo petecchiale, tanto da far temere che la sua carriera fosse prossima alla fine (Sanuto, 1882-1895, XI, coll. 784 s.). Ristabilitosi, in marzo (dopo la morte del cugino Chiappino) tornò insieme a Giovanni al servizio di Venezia, occupandosi in agosto della fortificazione di Noale e della difesa di Treviso dall’esercito imperiale. Riammalatosi e colpito (con grande apprensione di Venezia) dal calcio di un cavallo, riuscì comunque, insieme a Renzo da Ceri (Lorenzo Anguillara), a mettere in fuga le truppe nemiche, spostando quindi le operazioni militari, negli ultimi mesi del 1511, in Cadore e in Friuli, dove pose l’assedio a Gradisca d’Isonzo. All’inizio del 1512 si presentò a Venezia, in Collegio, per ottenere gli arretrati destinati ai suoi uomini, accusati dal provveditore Gian Paolo Gradenigo di furti e rapine. Nell’estate assediò Brescia, per poi raggiungere a inizio settembre, a Bologna, il cugino Giovanni, in fin di vita, che tuttavia morì prima del suo arrivo.

Passato sotto il comando del duca di Milano Massimiliano Sforza, fu parte della scorta con cui Giulio de’ Medici (futuro papa Clemente VII) entrò a Firenze con l’aiuto spagnolo. Licenziatosi nel dicembre del 1512 dall’incarico milanese, fece ritorno a Città di Castello.

Da allora Vitelli lasciò il servizio di Venezia, e negli anni seguenti fu al soldo dei Medici. Nel 1515 Leone X lo incaricò di appoggiare il vescovo di Grosseto Raffaele Petrucci nel suo tentativo di rientrare a Siena cacciandone il cugino Borghese. Nella primavera del 1516, insieme allo zio Giulio, partecipò alla campagna di Lorenzo di Piero de’ Medici per la conquista del Ducato di Urbino. L’impresa fu coronata da un successo rapido ma effimero, per la riscossa del precedente duca Francesco Maria Della Rovere. Con il favore della popolazione questi recuperò Urbino, facendo prigioniero Giulio e attirando su Vitello, giudicato troppo rinunciatario, il disappunto di Lorenzo de’ Medici.

Nel maggio del 1517 Vitelli tornò a Città di Castello, per controllare le operazioni di Della Rovere, rivolte verso Perugia, e per difendere poi Pesaro e Ravenna. Nel settembre del 1518, a Firenze, prese parte ai festeggiamenti per il matrimonio di Lorenzo de’ Medici e Maddalena de La Tour d’Auvergne, e il 1° dicembre Leone X lo insignì della contea di Montone. Nel marzo del 1520 fu inviato dal papa a Perugia per sostenere con le armi la malferma signoria di Gentile Baglioni. L’anno seguente fece parte, in Emilia, dell’esercito ispano-pontificio. D’accordo con Prospero Colonna, alla metà di settembre decise di abbandonare l’assedio di Parma, accorrendo insieme al vescovo di Pistoia Antonio Pucci alla difesa di Modena, per poi contrattaccare le truppe estensi (alleate con i francesi) a Finale Emilia, costringendo il duca Alfonso, che si trovava allora a Bondino, a rientrare a Ferrara.

Nell’indecisione dell’esercito francese, abbandonato dalle fanterie svizzere, Colonna irruppe in Lombardia, entrando trionfalmente a Milano il 21 novembre 1521, mentre Vitelli e Pucci presero possesso in nome del pontefice, tra l’esultanza della popolazione, di Parma e Piacenza. Dopo la morte di Leone X, Vitelli rimase al servizio dei Medici, dai quali fu incaricato di tornare a Perugia in aiuto di Gentile, minacciato da Malatesta e Orazio, figli del cugino Giampaolo e appoggiati da Della Rovere e Camillo Orsini. Il 4 gennaio 1522 il numero soverchiante delle truppe nemiche spinse il capitano, ferito a un piede da un colpo di scoppietto, ad abbandonare la città insieme a Baglioni, ritirandosi a Città di Castello. Nella primavera dello stesso anno fu di passaggio a Pisa e poi a Reggio Emilia con il cardinale Giulio de’ Medici, prima di ritornare in Toscana per affrontare da Ceri che, spinto dal vescovo di Volterra Francesco Soderini, stava muovendo con un esercito verso Siena.

L’11 agosto 1522 tornò a Città di Castello per sottoscrivere il contratto matrimoniale con la diciassettenne Angela de’ Rossi di San Secondo, figlia del marchese Troilo I e di Bianca Riario. Dall’unione nacquero Costanza, andata in sposa a Rodolfo Baglioni; Porzia, entrata alle Murate con il nome di suor Faustina, dedicataria del primo salmo penitenziale di Laura Battiferri e committente dell’Ultima cena di Giorgio Vasari; e nel 1528 Camillo, futuro condottiero e conte di Montone, morto nel 1557.

Nell’autunno del 1523 Vitelli si spostò prima a Reggio Emilia, e poi a Genova. Con la compagnia delle genti d’arme affidategli dai fiorentini e con 3000 fanti stipendiati dai genovesi occupò il territorio di Alessandria, ma non la città (nonostante le sollecitazioni del marchese di Mantova). Esortato da Colonna a oltrepassare il Po e intercettare i rifornimenti che dalla Lomellina giungevano ai francesi in Lombardia, optò – come gli era consueto – per una strategia più prudente e attendista, in accordo con il doge di Genova Antoniotto Adorno, impaurito dalla presenza, ad Alessandria, dell’arcivescovo di Salerno Federico Fregoso, armato e sostenuto dalla Francia. Da Castelnuovo Tortonese Vitelli si ritirò quindi a Serravalle, per spostarsi all’inizio dell’anno seguente in Lombardia, dove conquistò Stradella, non lontano da Pavia.

Tornò a Città di Castello, dove si trovava nella primavera del 1525 (Lettere di diversi..., 1551, p. 125), e nell’estate del 1526 ripartì per unirsi tra Emilia e Lombardia all’esercito della Lega di Cognac, i cui membri erano ancora lontani dall’aver concordato una linea politica comune. In ottobre raggiunse Roma, chiamato da Clemente VII insieme ad altri condottieri, tra cui Guido Rangoni, Giovanni de’ Medici e da Ceri, per contrastare i filoimperiali Colonna, in guerra aperta con il pontefice. A partire dall’inizio di novembre si combatté senza esclusione di colpi. Vitelli incendiò Marino e distrusse Gallicano e Zagarolo. La sua natura cauta, «piena, nello eseguire, di difficoltà e di pericoli» (Guicciardini, 1988, III, p. 1990) lo spinse tuttavia a non assaltare la rocca di Paliano, ritirandosi a Valmontone.

Negli stessi giorni, i lanzichenecchi guidati da Georg Frundsberg facevano il loro ingresso nella pianura Padana, e dalla fine di dicembre cominciò la controffensiva dei Colonna, che riconquistarono Ceprano e Pontecorvo, stringendo Vitelli e le sue truppe tra Tivoli, Palestrina e Velletri. Clemente VII non nascose il proprio malcontento per l’operato, troppo prudente, di Vitelli, che nei primi mesi del 1527 passò da Arezzo, e all’inizio di maggio fu richiamato a Firenze, mentre Roma fu messa a sacco dall’esercito imperiale. Le violenze che ne seguirono furono narrate a Vitelli da un suo uomo, forse Giovan Battista Bufalini, in una lunga lettera datata 11 maggio 1527 (Lettere di diversi..., 1551, pp. 141-145).

L’anno seguente Vitelli accompagnò Odet de Foix visconte di Lautrec alla conquista di Napoli. Durante l’assedio l’esercito francese fu falcidiato dalla peste.

Morì di peste, in data imprecisata, intorno alla metà del 1528 (l’ultima lettera inviatagli è datata 30 giugno 1528).

Due anni dopo la morte del marito, Angela de’ Rossi sposò il cugino di lui Alessandro Vitelli, figlio di Paolo.

Nel 1551 il tipografo Lorenzo Torrentino pubblicò a Firenze una raccolta di lettere rivolte a Vitelli: una delle prime sillogi epistolari di vari a un solo destinatario (insieme alle lettere a Pietro Aretino stampate da Francesco Marcolini nello stesso anno). Nella premessa, il curatore Lelio Carani afferma di aver tratto le lettere dai «forzieri» di Camillo, figlio di Vitelli, e di averle «racconcie in questa favella volgare» (Lettere di diversi..., 1551, p. 5). Le novantacinque missive, datate tra 1522 e 1528 (ma disposte senza alcun ordine), documentano i rapporti del destinatario con interlocutori illustri – il doge di Genova, il duca di Milano, gli Otto di Pratica fiorentini, il marchese di Mantova – i quali si rivolgono a Vitelli con espressioni rispettose e familiari al tempo stesso, cui fanno da contraltare le formule di ossequio dei personaggi minori al servizio del condottiero in qualità di messaggeri o informatori.

Fonti e Bibl.: M. Guazzo, Historie di tutte le cose degne di memoria quai de l’anno MDXLIIII sino a questo presente sono occorse nella Italia, Venezia 1540, cc. 35v, 37v-38r; Lettere di diversi illustrissimi signori e republiche scritte all’illustrissimo signore il signor V. V., Firenze 1551; P. Giovio, La seconda parte dell’historie del suo tempo, Firenze 1553, p. 21; Id., Elogia virorum bellica virtute illustrium, Basileae 1575, p. 183; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, I, Firenze 1843, pp. 123, 430 s.; T. Alfani, Memorie perugine dal 1502 al 1527, a cura di F. Bonaini - A. Fabretti - F.L. Polidori, in Archivio storico italiano, XVI (1851), 2, pp. 278 s., 287-294; Ricordi del Bontempi, ibid., p. 328; L. Guicciardini, Il sacco di Roma, in Il sacco di Roma del MDXXVII, a cura di C. Milanesi, Firenze 1867, pp. 30, 67 s., 95, 212; M. Sanuto, I diarii, 1496-1533, a cura di R. Fulin et al., VII-XLIII, Venezia 1882-1895, ad indices; A. Massimi, I Vitelli signori dell’Amatrice, Roma 1979, p. 8; F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di E. Mazzali, Milano 1988, ad ind.; B. Buonaccorsi, Diario dall’anno 1498 all’anno 1512 e altri scritti, a cura di E. Niccolini, Roma 1999, pp. 150, 183, 294, 328; C. Asso, I libri di epistole italiani e la cultura del Cinquecento, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, a cura di G. Belloni - R. Drusi, II, Treviso-Costabissara 2007, pp. 232 s.; Scorribande, lanzichenecchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma. Papato e Colonna in un inedito epistolario dall’Archivio Della Valle-Del Bufalo (1526-1527), a cura di P.P. Piergentili - G. Venditti, Roma 2009, p. 107 e ad ind.; A. Nova, L’Ultima Cena di Giorgio Vasari per il convento delle Murate: contesto, committenza e un episodio della crisi religiosa del Cinquecento, in Dall’alluvione alla rinascita: il restauro dell’Ultima Cena di Giorgio Vasari. S. Croce cinquant’anni dopo (1966-2016), a cura di R. Bellucci - M. Ciatti - C. Frosinini, Firenze 2016, p. 28.

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