VITELLI, Vitellozzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITELLI, Vitellozzo

Michele Lodone

– Nacque a Città di Castello dopo il 1461, quarto figlio maschio di Niccolò e di Pantasilea di Giovanni Abocatelli.

Il padre, coinvolto nei rivolgimenti politici interni a Città di Castello, fu esiliato da Sisto IV nel 1474, e si trasferì con la famiglia a Castiglion Fiorentino, dove Sigismondo Tizio si occupò dell’educazione di Vitellozzo e del fratello Paolo. Tornato in patria con l’aiuto fiorentino nel giugno del 1482, negli scontri con i fuorusciti appoggiati dal papa, Niccolò poté contare sull’abilità militare dei figli Giovanni, Camillo, Paolo e anche del giovane Vitellozzo, che riconquistò il castello di Promano. In seguito alla pace stipulata da Niccolò con Sisto IV (3 maggio 1484), Vitellozzo, con i fratelli Camillo e Paolo, fu tenuto a soccorrere Gentil Virginio Orsini nel suo conflitto con i Colonna.

In data imprecisata sposò Porzia di Paolo Orsini. Abbiamo notizia di una sola figlia naturale, Niccolina, che sposò Onofrio Schianteschi di Montedoglio.

Al servizio del re di Francia Carlo VIII durante la sua discesa nella penisola, nel novembre del 1494 Vitellozzo e i fratelli furono nel Lazio a sostegno di Fabrizio Colonna (in guerra con Alessandro VI), e poi in Abruzzo. Nel giugno del 1495, partiti da Città di Castello, attraversarono la Toscana per congiungersi con il sovrano che, sulla via del ritorno, intendeva richiamare a Genova i Fregoso. Carlo VIII fu sconfitto a Fornovo (6 luglio 1495), dove lo aveva raggiunto Camillo Vitelli. In seguito alla ritirata francese, le truppe vitellesche, sotto il comando di Paolo e Vitellozzo, ripiegarono da Savona a Chiavari e quindi a Sarzana. Dopo alcuni scontri con la popolazione locale, mossero poi verso Pisa, ribellatasi l’anno precedente al dominio di Firenze.

Vitellozzo e Paolo aiutarono inizialmente la città a difendersi dall’assalto fiorentino, per passare in seguito, d’accordo con Carlo VIII, al servizio di Firenze (entrambi rimasero feriti nel settembre dello stesso anno, in un assalto alla cittadella pisana). Ricevute istruzioni da Camillo, con grande disappunto dei fiorentini tornarono in patria per prepararsi ad aiutare il viceré di Napoli Gilbert de Montpensier, in difficoltà di fronte alla riscossa aragonese.

Nel gennaio del 1496, mentre Camillo e Paolo (insieme agli Orsini) partivano per il Sud Italia e Città di Castello restava nelle mani del fratellastro Giulio, Vitellozzo raggiunse insieme a Carlo Orsini la corte francese. I due sollecitarono più volte Carlo VIII a una nuova spedizione in Italia, soprattutto dopo la resa di Montpensier, che lasciò prigioneri del fronte antifrancese Paolo Vitelli (Camillo era morto nel giugno 1496), Gentile Virginio, Paolo e Gian Giordano Orsini.

Nel novembre del 1496 Vitellozzo e Carlo Orsini sbarcarono a Livorno, respingendo l’assedio delle truppe imperiali di Massimiliano I, giunte in Toscana in soccorso di Pisa. Intanto Alessandro VI aveva approfittato della débâcle francese per confiscare le terre degli Orsini, inviando un esercito nel Lazio settentrionale. Mentre le truppe degli Orsini, guidate da Bartolomeo d’Alviano, resistevano nell’assediata Bracciano, Vitellozzo raccolse un esercito a Città di Castello e nel gennaio del 1497 giunse in loro aiuto. Nei pressi di Soriano le fanterie tifernati, suddivise in formazioni quadrate «al modo delle ordinanze oltramontane» (Guicciardini, 1988, I, p. 338), fornite di lance più lunghe del solito e addestrate a resistere all’urto della cavalleria nemica, ottennero una netta vittoria sui mercenari tedeschi dell’esercito papale, catturando inoltre uno dei suoi comandanti, Guidobaldo di Montefeltro. Alessandro VI, costretto a rappacificarsi con gli Orsini, riconobbe la signoria di Città di Castello a Vitellozzo. Questi fece inoltre liberare il fratello Paolo, ostaggio del duca di Mantova, scambiandolo con Guidobaldo.

L’anno seguente Vitellozzo passò al servizio di Firenze insieme a Paolo, insignito del titolo di capitano generale il 1° giugno 1498. Dopo alcune vittorie, i dissapori con parte dei quadri politici e militari fiorentini e il fallimento di un assalto, che pareva decisivo, alle mura di Pisa, portarono all’arresto di Paolo, a Cascina, il 28 settembre 1499. Accusato di tradimento, fu decapitato a Firenze di lì a tre giorni, mentre Vitellozzo, pur ammalato, riuscì a sottrarsi alla cattura rifugiandosi a Pisa. Qui rimase circa due settimane, prima di raggiungere il re di Francia Luigi XII a Milano, dove – insieme ad altri condottieri del centro Italia, tra cui gli Orsini e i Baglioni – si pose al servizio dell’ambiziosa politica di espansione di Cesare Borgia. La resa, di fronte all’esercito del duca Valentino, di tutti i principali centri romagnoli fu coronata dalla capitolazione di Faenza nell’aprile del 1501, dopo un assedio di sei mesi cui Vitellozzo partecipò in prima persona.

Intenzionato a vendicare il fratello, Vitellozzo favorì intanto la resistenza antifiorentina di Pisa, inviando uomini d’armi e ingegneri militari. Assicuratasi la Romagna, anche il Valentino si volse minacciosamente contro Firenze. Per suo conto, il 3 settembre 1501, Vitelli e Giampaolo Baglioni espugnarono Piombino, abbandonata da Iacopo IV d’Appiano. Il lungo assedio era stato interrotto, all’inizio dell’estate, per volontà di Luigi XII, che aveva imposto a Cesare Borgia di non molestare Firenze e di supportare la nuova campagna francese in Sud Italia. Non è noto quale sia stato l’effettivo contributo di Vitellozzo alla spedizione; stando a Paolo Giovio, nel luglio del 1501, dopo la conquista di Capua, avrebbe fatto uccidere il già ferito Ranuccio da Marciano, rivale di Paolo Vitelli al tempo della condotta fiorentina.

Mentre, di ritorno da Napoli, il Valentino si fermò a Roma per il matrimonio della sorella Lucrezia con il duca di Ferrara Alfonso I d’Este, Alessandro VI assegnò a Vitellozzo il vicariato di Montone e Citerna. I piani dei Borgia, tuttavia, confliggevano ormai sia con i progetti degli Orsini, desiderosi di ampliare il proprio dominio, sia con le intenzioni di Vitellozzo, che per rivalersi della morte del fratello avrebbe favorito il ritorno di Piero de’ Medici a Firenze. D’accordo con Piero, ai primi di giugno del 1502 Vitellozzo appoggiò la rivolta di Arezzo, sottraendo a Firenze, in pochi giorni, buona parte del Casentino e della Val Tiberina (pochi giorni prima, Vitellozzo aveva richiesto il supporto di Leonardo da Vinci, allora a Piombino, convocandolo in Umbria e promettendogli tra l’altro un manoscritto di Archimede proveniente da Borgo Sansepolcro).

Il Valentino si dichiarò estraneo alla sollevazione, ma non fece nulla per distogliere Vitellozzo dall’azione, approfittandone anzi per occupare Urbino. Colto impreparato, per riconquistare Arezzo il governo fiorentino dovette ricorrere all’oneroso aiuto del re di Francia. Pur ritirandosi a Città di Castello, Vitellozzo si rifiutò tuttavia di restituire l’artiglieria sottratta ai fiorentini e non rispose alla convocazione a Milano da parte del sovrano, adducendo motivi di salute. In tal modo suscitò l’ira di Luigi XII, rappacificatosi intanto con Cesare Borgia, che dopo Urbino puntava alla conquista di Bologna.

A inizio di ottobre del 1502, per frenare le mire di Alessandro VI e di suo figlio sull’Italia centrale, Vitellozzo, Oliverotto Eufreducci da Fermo, i fratelli Paolo, Francesco e Giambattista Orsini e Giampaolo Baglioni, insieme ai rappresentanti dei Bentivoglio, dei Montefeltro e del senese Pandolfo Petrucci, si riunirono a Magione, non lontano da Perugia, per concordare una comune politica antiborgiana. Firenze, anche per i cattivi rapporti con Vitellozzo, rifiutò di farsi coinvolgere, offrendo anzi il proprio aiuto al Valentino (presso il quale si recò Niccolò Machiavelli).

Dopo una serie di vittorie dei congiurati e di ribellioni nelle Marche e in Romagna, la fragilità della lega emerse rapidamente. Tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre i condottieri scesero a patti con Borgia, che riuscì abilmente a far leva sui loro interessi individuali, dissimulando il suo desiderio di vendetta e il suo risentimento, in particolare nei confronti di Vitellozzo.

Insieme a Oliverotto da Fermo, Vitellozzo (afflitto dal mal francese) fu l’ultimo ad accordarsi con il Valentino, e lo fece a malincuore. Per rassicurare i ribelli, questi si liberò dell’impopolare governatore di Romagna, Ramiro de Lorqua, e finse di separarsi dal suo esercito, attirando alla fine di dicembre gli ex congiurati a Senigallia, appena espugnata per lui dagli Orsini e Vitellozzo. Una volta entrati disarmati nella città, il 31 dicembre 1502 il duca li fece imprigionare e mettere a morte. Vitellozzo, insieme a Oliverotto, fu il primo a essere ucciso, strangolato da Miguel (Micheletto) de Corella.

Dopo la morte di Vitellozzo, suo fratello Giulio fu privato da Alessandro VI del titolo di vescovo tifernate, e i Vitelli dovettero lasciare Città di Castello.

L’uccisione di Vitellozzo e degli altri congiurati, al tempo, fece scalpore. Dal sonetto Ferro o ferto qua, non gemme et horo, erroneamente attribuito ad Antonio Cammelli (il Pistoia), agli epitafi di Anton Francesco Raineri riportati da Giovio negli Elogia, ricorrente è il motivo del fato o della fortuna che ha determinato la fine di un condottiero tanto valoroso. Su un altro registro si iscrive invece la testimonianza di Machiavelli, che fece riferimento alla strage di Senigallia in un celebre passo del Principe (cap. VII) e nel breve scritto su Il modo che tenne il Duca Valentino per ammazzar Vitellozzo, Oliverotto da Fermo, il signor Paolo e il Duca di Gravina Orsini in Senigaglia, composto probabilmente tra il 1514 e il 1517. La psicologia di Vitellozzo è qui tratteggiata con sapienza: prima «renitente» all’accordo con il Valentino, perché consapevole di «come e’ non si debba offendere un principe e dipoi fidarsi di lui»; poi, alla vigilia dell’incontro di Senigallia, «tutto aflitto come se fussi conscio della sua futura morte»; infine implorante, di fronte alla morte, «che si supplicassi al papa che gli dessi de’ suoi peccati indulgenzia plenaria» (Lodone, 2014, p. 695).

Tra il 1492 e il 1496 Luca Signorelli realizzò un ritratto su tavola di Vitellozzo, oggi conservato nella Collezione Berenson di villa i Tatti (Firenze), e parte di un ciclo di cui sono sopravvissuti anche i ritratti del padre Niccolò e del fratello Camillo. Nelle pareti nord e ovest del gran salone di palazzo Vitelli a Sant’Egidio, tre dipinti realizzati da Prospero Fontana dopo il 1571 raffigurano inoltre Vitellozzo in occasione della vittoria di Soriano, della dieta della Magione e della successiva vittoria di Casa del Mazza contro i luogotenenti di Borgia.

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