BOTTEGO, Vittorio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOTTEGO, Vittorio

Salvatore Bono

Nato a San Lazzaro Parmense l'11 ag. 1860 da Agostino, medico condotto originario, della Val di Taro, e da Maria Asinelli, genovese, trascorse la prima fanciullezza a Olmo, nel Reggiano, ove il padre aveva acquistato un fondo agricolo. Tornò quindi a Parma per seguire gli studi che interruppe alla prima classe del liceo. Preparatosi poi privatamente, superò l'esame d'ammissione all'accademia militare di Modena, frequentando successivamente la scuola di applicazione di artiglieria e genio a Torino e la scuola di applicazione di Pinerolo, donde uscì con il grado di tenente di artiglieria. Nel 1887, quando frequentava il corso a Pinerolo, il B. chiese e ottenne di far parte del corpo speciale di ufficiali destinato in Eritrea. Sbarcato a Massaua nel novembre, fu assegnato alla prima batteria del corpo speciale volontari, ma nel contempo si dedicò allo studio degli aspetti geografici e naturalistici del paese, raccogliendo oggetti e reperti di vario genere destinati alle collezioni del Museo di storia naturale di Parma.

Nell'estate 1890 progettò un programma di esplorazione della Somalia interna, allora del tutto sconosciuta, verso la quale in quegli anni cominciava a rivolgersi l'interesse italiano, ottenendo l'appoggio dal governatore dell'Eritrea, generale Gandolfi, e riuscendo a convincere dell'opportunità dell'impresa il presidente del consiglio Crispi e il presidente della Società geografica italiana, marchese Giacomo Doria. La caduta del governo Crispi ed altre difficoltà ne impedirono l'attuazione e allora il B., che era tornato in Italia nel gennaio 1891, per suggerimento del Doria preparò un piano di esplorazione della Dancalia, regione costiera dell'Eritrea meridionale.

Il 1º maggio 1891 il B. partì da Massaua ma dopo dieci giorni, quando aveva superato Arafali e si apprestava a raggiungere Hachelo, gli pervenne l'ordine di retrocedere e di rinviare la scorta; si limitò perciò a percorrere con pochi uomini l'itinerario costiero Massaua-Assab, che nessun europeo aveva mai prima seguito. Del viaggio redasse un'accurata relazione dal titolo Nella terra dei Danakil: giornale di viaggio (in Boll. d. Soc. geogr. ital., XXIX [1892], pp. 403-318; 480-494).

Di ritorno a Massaua da Assab, nel giugno 1891, ricevette l'ordine di rientrare in Italia, ove venne destinato a Firenze. Durante il soggiorno di circa un anno in questa città, mentre insisteva presso il ministero degli Affari Esteri e la Società geografica onde avere il necessario appoggio alla realizzazione del progetto per l'esplorazione del Giuba, approfondì i propri studi di astronomia, di botanica, di mineralogia e di tecnica fotografica. Frattanto il fallito tentativo del principe Ruspoli di raggiungere il Giuba rafforzò nel proprio intento il B., che accettò di associare alla spedizione il capitano Matteo Grixoni, per ottenerne un apporto finanziario (15.000 lire) necessario alla copertura delle spese. Nell'aprile 1892 la Società geografica, ottenuto l'appoggio governativo, assunse la responsabilità dell'impresa.

Tornato a Massaua a metà agosto e superate le difficoltà frapposte dal governo britannico, il B. poté trasferire la spedizione a Berbera e da qui il 30 sett. 1892 iniziare la penetrazione verso l'interno. Con relativa facilità raggiunse l'8 novembre Imi, sull'alto corso dell'Uebi Scebeli, ove sostò alcuni giorni; il percorso ulteriore, in una zona impervia e sconosciuta, presentò molte difficoltà e si ebbero frequenti scaramucce e anche scontri di qualche gravità con gli indigeni della regione attraversata. Sul finire del 1892 la spedizione entrò nel bacino del Giuba, ma soltanto il 22 genn. 1893 il B. poté raggiungere il corso principale del fiume.

Mentre il B. intendeva proseguire, secondo il programma iniziale, risalendo il corso del fiume sino a identificarne la sorgente, il Grixoni, fiaccato dagli stenti e timoroso dei pericoli, volle ormai dirigersi verso la costa e il 14 febbraio pose in atto una grave defezione: discendendo lungo il corso del Daua, più a occidente, pervenne a Lugh, primo fra gli Europei.

Rimasto con una sessantina di ascari, undici cammelli, cinque muli e quindici asini, il B. riprese il cammino il 23 febbraio, risalendo il Ganale Guddà (secondo la designazione data dagli indigeni all'alto corso del Giuba), del quale seguì, quando esso si triparte, il ramo centrale. La spedizione, molestata dagli assalti e dalle insidie degli Arsi-Sidama, nel cui territorio era penetrata, giunse al termine della valle del Ganale Guddà (a 2.185 m di alt.), donde si poteva scorgere il corso delle acque che discendono dai monti Faches. Dopo aver tentato di proseguire ancora oltre, per scalare l'antistante catena montuosa, il B. il 23 marzo di fronte alla crescente ostilità degli Arsi-Sidama, decise di passare sulla riva destra del Ganale e di dirigersi in direzione sud verso il corso del Daua.

Ma anche il raggiungimento di questa meta si rivelò impossibile e la spedizione, in condizioni ormai precarie, ritornò verso il Ganale Guddà e il 18 aprile giunse a Bululta; dopo un nuovo tentativo di toccare il corso del Daua, reso vano dalla mancanza di viveri, riuscì a metà maggio a tornare sul corso del Giuba; agli inizi di giugno intraprese la discesa lungo il corso del fiume e, superata la confluenza del Daua con il Giuba, giunse il 17 luglio alle porte di Lugh, importante centro commerciale. Dai capi locali, che non gli consentirono di penetrare nella città e gli intimarono di lasciare il territorio, il B. ottenne soltanto la consegna di due superstiti della seconda spedizione Ruspoli trattenuti prigionieri, il triestino Emilio Dal Seno e l'ingegnere svizzero Borchardt. A metà agosto la spedizione arrivò a Bardera e proseguì in direzione sud-est, lasciando la riva del Giuba, sino a raggiungere Brava, sulla costa somala, l'8 sett. 1893.

Pochi giorni dopo – mentre il B. si recava a Zanzibar – la notizia della positiva conclusione dell'impresa, che dava soluzione a uno dei maggiori problemi ancora aperti della geografia africana, giunse in Italia dissipando le diverse pessimistiche supposizioni sorte per l'assoluta mancanza di notizie, dopo quelle recate dal Grixoni. Da Massaua, ove ricondusse i superstiti della spedizione, il B. rientrò in Italia ai primi di novembre, accolto da festeggiamenti e onori.

Mentre riordinava le note di viaggio e redigeva la relazione sistematica sull'impresa, edita con il titolo Il Giuba esplorato (Roma 1895), egli sperò invano di essere designato, alla revoca della concessione alla Compagnia Filonardi, quale responsabile dell'amministrazione del territorio del Benadir per conto del governo italiano. Pensò allora di sfruttare la popolarità acquistata tentando la carriera politica e si presentò candidato nel collegio di Borgotaro per la lista moderata, ma non ebbe successo (maggio 1895).

Frattanto lo svolgimento e il risultato della sua spedizione sul Giuba divennero segno anche di critiche, di accuse e di polemiche (fra l'altro fu accusato di aver utilizzato nella relazione del viaggio, senza farne cenno, notizie raccolte su Lugh dal Dal Seno). Ma un nuovo problema geografico acquistò preminenza: l'esplorazione della regione fra l'alto Giuba e il lago Rodolfo, e il conseguente accertamento del corso del fiume Omo, e il B., spinto dal suo carattere irrequieto e ambizioso, si propose di realizzare questa nuova impresa, per la quale intorno alla metà del 1894 formulò un preciso programma, facendone rilevare ai dirigenti della Società geografica italiana e attraverso essi ai responsabili della politica estera nazionale, le prospettive commerciali e politiche, accanto a quelle di preciso interesse geografico. Ottenuti nel maggio 1895 l'appoggio del governo e il patrocinio della Società geografica, e precisato l'itinerario entro determinati limiti, il B. in luglio ritornò a Massaua per allestire la spedizione, che mosse da Brava il 12 ottobre.

Ne facevano parte anche il tenente di vascello Lamberto Vannutelli, incaricato delle determinazioni geografiche, il tenente di fanteria Carlo Citerni, nipote del B., per la tenuta del diario e per i rilievi fotografici, Maurizio Sacchi, per le rilevazioni naturalistiche, e il cap. Ugo Ferrandi, designato al comando della stazione commerciale che doveva essere impiantata a Lugh, dove la carovana, forte di 250 ascari, 120 cammelli e altre bestie da soma e da macello, giunse il 18 novembre, stabilendo i previsti accordi con i capi locali.

Da Lugh ebbe inizio a fine dicembre la penetrazione verso l'interno; tra febbraio e marzo 1896 il B. guidò con energia la marcia nella zona desertica fra il corso del Daua e Burgi, dove visitò la tomba del Ruspoli. Proseguendo oltre, la spedizione raggiunse il lago Pagadé, che B. ribattezzò con il nome di Margherita in onore della regina, e da qui piegò verso occidente, nel tentativo di eludere il pericolo di attacchi da parte dei presidi scioani, la cui ostilità e intraprendenza si erano accresciute nei riguardi degli Italiani dopo la battaglia di Adua, della quale si cercò invano di far giungere notizia al B.; sotto l'incalzante minaccia abissina il B. riuscì a raggiungere il 29 giugno le rive dell'Omo (a 6º 43' di latitudine) e a discendere lungo il corso sconosciuto agli Europei. Tra la preoccupante ostilità delle tribù che abitavano le regioni attraversate, la spedizione giunse (31 agosto) alla foce del fiume, accertandone l'immissione nel lago Rodolfo. Il B. decise allora di inviare alla costa l'ingente carico di avorio ricavato nel corso delle cacce e le raccolte naturalistiche, ponendo a capo della carovana il Sacchi, che morì nel corso del viaggio (7 febbr. 1897).

Dopo aver effettuato, con il Vannutelli e parte degli uomini, una puntata sino al lago Stefania, il B. guidò i suoi uomini in una difficile esplorazione lungo le rive del lago Rodolfo, escludendo l'esistenza di un emissario; il 10 dicembre la spedizione iniziò il cammino di ritorno, dirigendosi verso nord, per attraversare l'Etiopia, come previsto, ignorando la crisi sopravvenuta nei rapporti italo-etiopici. Superata la catena di spartiacque fra il bacino del lago Rodolfo e quello del Nilo, il gruppo raggiunse ai primi di gennaio del 1897 il ramo meridionale del fiume Sobat e proseguì, fra insidie e agguati continui da parte degli indigeni, sino all'Upeno, ramo principale del Sobat. Inoltratisi in territorio abissino, furono bloccati a metà marzo dalle autorità locali, probabilmente per ordine dello stesso negus, che si teneva al corrente dei movimenti della spedizione; accampato con i suoi sopra l'isolato colle di Daga-Roba, nei pressi di Gidami, il B. tentò di aprirsi la strada con la forza, ma nello scontro con le soverchianti forze nemiche cadde colpito a morte, mentre i compagni Vannutelli e Citerni e gli altri pochi superstiti vennero fatti prigionieri, il 17 marzo 1897.

Fonti e Bibl.: Accanto al volume dello stesso B. sul viaggio al Giuba è da porre l'ampia relazione sulla seconda spedizione redatta dai superstiti Vannutelli e Citerni: L'Omo: viaggio di esplorazione nell'Africa orientale, Milano 1899; R. De Benedetti, V. B. e l'esplorazione del Giuba, Torino 1929; Id., V. B. e l'esplorazione dell'Omo, Torino 1930; G. Narducci, Diario inedito di Vannutelli e Citerni..., in Riv. delle colonie, XVII, (1943), pp. 123-126; A. Lavagetto, La vita eroica del capitano B., Milano 1934 (che ha utilizzato abbondante materiale inedito pur senza renderne conto con note critiche); P. Pedrotti, L'ultima spedizione del capitano B., Rovereto 1937; S. Campioni, I Giam Giam. Sulle orme di V. B., Parma 1960; E. Cerulli, Parma e V. B., in Aurea Parma, XLIV (1960), pp. 135-144. Altre indicazioni bibliografiche in Enc. Ital., VII, pp. 585 s.; e S. Zavatti, Dizionario generale degli esploratori, Milano 1939, pp. 61-62.

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