CINI, Vittorio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CINI, Vittorio

Maurizio Reberschak

Nacque a Ferrara il 20 febbr. 1885 da Giorgio ed Eugenia Berti. Completate le scuole secondarie a Venezia, nel 1903 egli si recò a St. Gallen, in Svizzera, per un soggiorno di studi commerciali presso l'Institut international Schmidt; da lì, l'anno seguente, passò a Londra, per svolgere attività di pratica bancaria. Ritornato in Italia nel 1905, si inserì nell'impresa paterna, che era stata fondata nel 1885.

Iniziò così una prima utile esperienza imprenditoriale in un'azienda specializzata in lavori di costruzioni infrastrutturali (stradali, ferroviari, fluviali, marittimi), per i quali era stato adibito un sistema mtegrato di settori collaterali e interdipendenti in esercizio diretto: dall'estrazione di materie prime alla fornitura ed al trasporto con mezzi propri, dal deposito in magazzini e cantieri alla riparazione in officine ed impianti. Salito ben presto, nel 1910, all'effettiva direzione della ditta, diede vita nello stesso tempo ad una società collegata (Ditta Vittorio Cini, con sede a Chioggia), con cui riuscì ad affermarsi o a qualilicarsi in importanti concorsi e gare d'appalto, come quelle per la costruzione di due cavoni di dighe all'imboccatura del porto di Chioggia (1910 e 1912) o per l'ampliamento di argini e banchine nel porto di Genova (1912).

Durante la prima guerra mondiale il C. si arruolò volontario quale ufficiale di cavalleria. Il 19 giugno 1918 sposò l'attrice teatrale e cinematografica Lyda Borelli (dalla quale avrebbe avuto quattro figli: Giorgio nato nel 1918, Mynna nel 1920, le gemelle Yana e Ylda nel 1924). Frattanto egli predispose il terreno per una intensa serie di operazioni volte ad una profonda ristrutturazione e ad una radicale trasformazione dell'impreia. Espletate infatti le pratiche di successione ereditaria dopo la morte del padre (9 maggio 1917), egli avviò nel corso del 1918-1919 una fitta azione di smobilizzi e reinvestimenti, in seguito ai quali modificò completamente gli ambiti di iniziativa, corredandoli, ed anzi predisponendoli, con un inscindibile apparato finanziario.

Avendo già verificato con le prime esperienze imprenditoriali l'incidenza dei trasporti sull'aumento del volume di affari aziendale e costatando l'incremento dei traffici nella dilatazione del commercio e del mercato internazionale, il C. privilegiò gli interventi anzitutto nel settore marittimo-armatoriale.

Promosse da un lato la fondazione di alcune società di navigazione (Società Vittorio Cini e C., 1918, con sede a Palermo; Sócietà italiana di armamento e navigazione, 1919, Roma; Società commercio e navigazione Adriatico Mar Nero, 1921, Venezia), intiaprese dall'altro l'ascesa al controllo amministrativo di altre società di navigazione e di assicurazione marittima (Lloyd adriatico, 1918, Venezia; Lloyd mediterraneo, 1921, Roma; Lloyd siciliano, 1921, Roma; Società italiana di riassicurazioni marittime, Venezia; Assicurazioni generali, 1922, Trieste). Ampliava in tal modo, una prima realizzazione attuata nel 1915 con l'acquisto di un piroscafo dalla Società di navigazione Libera triestina e dava avvio ad un'attività finanziaria ed amministrativa, che si sarebbe Completata a cavallo degli anni '20 e '30, abbracciando oltre alla marineria (Consorzio veneziano di armamento e navigazione; Società S. Marco, 1921 Venezia; Società di navigazione Libera triestina, 1925; Lloyd triestino, 1927; Società di navigazione Cosulich, 1928, Trieste; Società veneziana di navigazione a vapore, 1930) anche altri settori collegati, come la cantieristica e la navigazione interna (Cantieri navali e acciaierie di Venezia, 1924, Venezia; Cantieri riuniti dell'Adriatico, 1930, Trieste; Società italiana di navigazione intema, 1925 Venezia).

Il culmine sarebbe stato raggiunto nel 1932, quando la Compagnia adriatica di navigazione (con sede a Venezia), sorta dalla fusione di sei società di navigazione (S. Marco di Venezia, Saim di Ancona, Puglia di Bari, Costiera di Fiume, Nautica di Fiume, Zaratina di Zara), sotto la presidenza del C. assunse praticamente il controllo dei transiti nell'Adriatico, e, attraverso questo, nel Mediterraneo orientale e nell'Oriente in unione con altre società di navigazione collegate. Con il decreto legge del 7 dic. 1936 l'Istituto per la ricostruzione industriale. (I.R.I.) intervenne nel campo marittimo mediante liquidazioni e concentramenti di società, ridefinizioni e raggruppamenti di servizi, gestione di una nuova finanziaria la Finmare. Non per questo venne meno l'impegno del C. in seno alla marineria in generale e all'Adriatica in particolare: non solo perché egli avrebbe continuato a farsi promotore di nuove compagnie di navigazione, come la Società italiana di armamento Sidarma (1938, Fiume), ma anche perché, in relazione all'Adriatica, avrebbe consolidato ulteriormente un rapporto privilegiato con lo Stato, risalente all'immediato dopoguerra. La Compagnia adriatica infatti, una volta liquidata, si rimodellò nel dicembre 1936 nell'Adriatica s.a. di navigazione (sempre sotto la presidenza dei C. fino al 1939), al cui capitale iniziale di 15.000.000 di lire l'I.R.I. concorse con 14.980.000.

A proprio il lontano e consolidato rapporto con lo Stato una delle chiavi di lettura della strategia economica del Cini. La premessa può risalire a due punti di partenza: il legame con il cosiddetto "gruppo veneziano" e la ristrutturazione del complesso siderurgico Ilva. Le iniziative del C. dopo il 1919 sono difficilmente comprensibili se non vengono poste alla luce del suo ingresso nel "gruppo veneziano": si tratta infatti non solo di scelte personali ed individuali, bensì di compartecipazioni più ampie e diffuse. Il "gruppo veneziano", che faceva capo a Giuseppe Volpi (dal C. più volte definito "fraterno amico"), aveva caratterizzato fin dall'inizio le sue direttive con operazioni in cui lo Stato si presentava a garanzia e copertura di iniziative finanziarie private. I rapporti del C. col "gruppo veneziano" si intrecciarono in maniera decisiva dal 1920, quando egli assunse funzioni di responsabilità azionaria ed amministrativa nella Società italiana costruzioni (Sitaco), che stava per procedere all'edificazione del quartiere urbano di Alarghera annesso alla zona industriale, e nel Credito industriale (Credindustria), che esercitava la duplice funzione di holding e di credito.ordinario del gruppo. Soprattutto in quest'ultimo complesso finanziario, di cui sarebbe stato presidente dal 1931 al 1943, il C. manifestò l'indissolubile unione al gruppo, con iniziative determinanti, come quella assunta nell'agosto 1936, quando, all'indomani della riforma bancaria e alla vigilia della svalutazione della lira, promosse lo smobilizzo del portafoglio titoli con una conseguente riduzione del capitale sociale da L.100.000.000 a 25.000.000, consentendo il rimborso di capitale per contanti con un dividendo del 7% scaglionato in un triennio, aumentando il rapporto capitale-riserve dal 19 al 75%.

In nome e per conto del "gruppo veneziano" egli si inserì in molteplici settori, che manifestavano una forte capacità di partecipazioni incrociate a livello orizzontale everticale: dagli insediamenti nella zona industriale di Marghera (consigliere della Società porto industriale di Venezia nel 1924, poi presidente dal 1931 al 1935; Distillazione italiana combustibili s.a., Venezia, presidente dal 1931 al 1934) all'espansione dell'elettricità (consigliere della Società adriatica di elettricità dal 1924, poipresidente nel 1953; Società naz. per lo sviluppo delle imprese elettriche, Milano; European Electric Corporation Ltd, Montreal), dal controllo delle acque (presidente dal 1929 al 1933 della Compagnia generale acquedotti d'Italia, Roma) all'incremento tessile (Cotonificio veneziano, divenuto nel 1935, dopo una breve gestione I.R.I., Cotonificio veneziano società industriale e di investimenti), dai trasporti (oltre alla navigazione: Società veneta per costruzione ed esercizio di ferrovie secondarie italiane, Padova; Compagnie internationale des wagons-lits, Bruxelles) alle comunicazioni radiotelefoniche (Società telefonica delle Venezie, Venezia; Società industrie elettriche telefoniche, Roma; Società italiana per le radio comunicazioni circolari Radiofono, Roma), dalla siderurgia, metallurgia, meccanica (oltre all'Ilva: Officine di Battaglia, Padova; Officine meccaniche italiane, Reggio Emilia; Altifarni e acciaierie Venezia Giulia, Trieste; Società anonima di miniere ed altiforni Elba, Roma; Officine Galileo, Firenze) al turismo (Compagnia italiana grandi alberghi, Venezia).

Si può misurare la portata di questa multiforme attività dall'inserimento del C. nella guida amministrativa e finanziaria di società come presidente o consigliere e dall'incremento patrimoniale da lui conseguito: nel 1930-1931 egli era presente in ventinove complessi; dal 1919 al 1925 il suo patrimonio passava da L. 43.000.000 a 87.000.000, per salire nel 1934 a 121.000.000.

Il prestigio ormai acquisito e l'allineamento nel "gruppo veneziano" gli valsero ad attrarre gli sguardi attenti degli ambienti economici e politici, tanto che nel 1921 il C. venne nominato commissario straordinario dell'Ilva altiforni e acciaierie d'Italia, per procedere al risanamento del complesso siderurgico. Alla fine del conflitto mondiale l'Ilva aveva ramificato i suoi interessi in numerose partecipazioni azionarie, attuando intrecci in settori plurimi, dal finanziario al minerario, dal metallurgico al cantieristico, dal meccanico al marittimo. Si era venuta così a creare una situazione di immobilizzo di capitale e di indebitamento bancario: Banca commerciale italiana e Credito italiano erano i maggiori creditori, seguiti dalla Banca d'Italia, dal Banco di Napoli, dalla Banca di sconto e dal Banco di Roma. Per di più gravava l'insolvenza verso lo Stato per il mancato pagamento dei sovraprofitti sugli utili di guerra. Il C., che era entrato in rapporto con la Commerciale attraverso il "gruppo veneziano" (i legami tra Volpi e G. Toeplitz erano consolidati dal'1900), fu chiamato a far parte del Consiglio di amministrazione dell'Ilva nel marzo 1921 ed incaricato di predisporre un piano di ristrutturazione nel successivo agosto. La sua proposta mirò ad evitare il fallimento del complesso, imboccando la strada della liquidazione e dello smobilizzo col ridurre il capitale sociale da L. 300.000.000 a 15.000.000, col quotare il valore nominale delle vecchie azioni a L. 10, col limitare il dividendo degli azionisti. Tutto ciò presupponeva la diminuzione degli impegni mediante riorganizzazioni tecnico-amministrative, cessioni, fusioni, assorbimenti, ed il mantenimento dell'integrità degli stabilimenti, che vennero concessi temporaneamente in affitto alla Società esercizi siderurgici e metallurgici. appositamente creata col concorso dei creditori e dei vecchi azionisti. Dopo poco più di un anno, tra la fine del 1922 e l'inizio del 1921, la società ristrutturata, la "nuova" Ilva, poteva rilevare i suoi impianti. Ma l'operazione non si sarebbe potuta eseguire senza il concorso determinante dello Stato, che, con il primo governo fascista, oltre a confermare le commesse con anticipazioni in conto forniture, rinuncio alla riscossione dei propri crediti e concesse agevolazioni fiscali per le permute e i concordati effettuati. Nell'Ilva il C. continuò ad esercitare un ruolo di primo piano, tanto da succedere nel marzo 1935 ad O. Sinigaglia nella presidenza della società, che tenne fino al 1939, Pochi mesi dopo, alla vigilia dell'annuncio dei piano economico autarchico, egli riteneva indispensabile un riordinamento del settore minerario-siderurgico e un riassetto finanziario-gestionale: solo una struttura produttiva "rinnovata tecnicamente, consolidata finanziariamente ed economicamente" avrebbe presentato - a suo giudizio - "sanata ogni inferiorità rispetto alla siderurgia estera, sia dal punto di vista tecnico (qualità e rendimenti), sia dal punto di vista economico (costi e prezzi di vendita)" (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del Duce, Cart. ris., b. 35, nota Siderurgia, 19 febbr. 1936).

Iscrittosi al Partito nazionale fascista nel 1926, il C. ormai godeva di notevole ascendente anche presso i vertici politici, tanto che lo stesso B. Mussolini nel settembre 1927 gli conferi l'incarico di "fiduciario del governo" per lo studio e le proposte di provvedimenti concernenti l'assetto politico, sociale, economico di un'area ancora spinosa per il regime fascista, la provincia di Ferrara.

Forse per questa decisione non fu estranea nemmeno la pratica acquisita dal C. con le sue aziende agrarie (tra il 1924 e il 1939 egli avrebbe controllato: Società anonima terreni e fabbricati, 1924, Roma; Società anonima- Renatico, 1925, Monselice; Società anonima conduzioni agricole, 1926, Venezia; Società anonima imprese agricole, 1927, Monselice; Società anonima gestioni agricole, 1932, Roma; Società anonima coloniale imprese agricole, 1934, Tripoli; Società anonima inunobiliare polesana, 1937, Monselice; Società anonima Ottava presa, 1939, Venezia) e specialmente con le bonifiche e le trasformazioni fondiarie realizzate in alcune di esse (Ca' Venier, presso Porto Tolle; Giussago, presso Portogruaro; Legnaro, presso Padova).

Ma decisivo fu il suo peso "politico Nonostante la presenza di uomini di assoluta fiducia, quali I. Balbo, il fascismo ferrarese non era ancora riuscito ad incidere profondamente nella struttura produttiva e a modificare la composizione della forza lavoro, costituita soprattutto dall'avventiziato. Il C. affrontò il problema al la radice: sarebbe stato necessario risolvere la questione definitivamente con un "atto chirurgico", che avrebbe dovuto penetrare a fondo, ma senza interventi affrettati, con un piano di lavoro da realizzare nel corso di un decennio almeno. Si sarebbe dovuto anzitutto dare all'intervento una qualifica istituzionale, con la creazione di un Commissariato straordinario. per la bonifica integrale in provincia di Ferrara, alle dipendenze del ministero dei Lavori Pubblici; contemporaneamente si sarebbe dovuto considerare la questione centrale, la trasformazione fondiaria, da due principali punti di vista: il potenziamento dell'apparato finanziario, legato in primo luogo al riassetto del credito agrario, che presupponeva un mtervento dello Stato ben più ampio di quello messo in atto nel corso del 1926 dall'Istituto di liquidazioni per il risanamento delle Bonifiche ferraresi; la soluzione del controllo della massa lavoratrice rurale, mediante l'appoderamento in unità culturali di almeno 10 ha con forma di conduzione mezzadrile a base familiare, per legare la popolazione "in maniera stabile ed economicamente produttiva alla terra". Solo così l'pperazione si sarebbe risolta in un "ottimo affare" anche per lo Stato (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del Duce, Cart. ris., b. 35, "Memoria sulla situazione della provincia di Ferrara", 5 ott. 1927). Nel marzo 1928 il C. considerava ultimato il compito, che sarebbe stato ripreso dal Commissariato straordinario e dagli istituti di statistica delle università di Ferrara e di Padova; questi ne avrebbero parzialmente stravolto la sostanza., proponendo una migrazione forzata dalla provincia di circa 19.000 "unità lavorative". Nominato senatore per la XXI categoria (censo) il 23 gennaio del 1934, in tale qualifica il C. non avrebbe svolto una intensa attività: rari ed episodici furono i suoi interventi, segno quasi di un disinteresse e, forse, di una superiorità, se non di uno sprezzo, per la politica ufficiale. Significativo però fu il suo esordio, connotato da una vivace polemica sul modo di intendere il ruolo e la funzione dello Stato nell'economia.

Il C. infatti, intervenendo nel dibattito sullo stato di previsione della spesa del ministero delle Corporazioni, il 1° apr. 1935 pronunciò il suo primo discorso, pacato nella forma quanto aspro nel contenuto. Partendo dal presupposto della transitorietà della congiuntura di crisi, che aveva determinato l'impostazione di "un'economia "sui generis" od equivoca", egli sottolineava le "deformazioni" e le "degenerazioni" degli "estremisti del corporativismo", e distingueva due modi di intervento dello Stato: uno transitorio, inteso a regolamentare la "disciplina degli impianti" sotto forma di "gestione", mai di "controllo"; l'altro organico, volto ad "assolvere la funzione di supremo regolatore dell'economia" mediante un "programma", per mirare al "perfezionamento tecnico" della produzione, contenendo i costi derivanti dai fattori di. incidenza, quali e approvvigionamenti, trasporti, costi finanziari, spese di distribuzione "generali" (Atti parlamentari, Cam. dei sen., leg. XXIX, pp. 1023-1024 e 1026). Il discorso provocò la reazione dei diversi schieramenti di "corporativisti": significativa quella di G. Bottai, che in un articolo pubblicato in Critica fascista, partendo dall'elogio eufemistico del "camerata ed amico", giungeva ad accusarlo di ricercare "plausi" ed "approvazioni" con un "ccincitato squarcio oratorio" senza così "intendere il valore della discussione" sullo Stato corporativo (Approvazioni e disapprovazioni, p. 237). In realtà il corporativismo per il C. si risolveva in un sistema, in cui lo Stato si faceva organizzatore del "circolo favorevole della produzione e dell'elevato tenore di vita", e garante degli interessi dei "produttori" e dei "risparmiatori", ciò che era reso, ancor più necessario nella congiuntura depressiva dell'inizio degli anni '30.

Nell'ottobre 1936 si parlò del C. come possibile successore di A. Beneduce alla presidenza dell'I.R.l. In quel periodo, invece, i contatti tra Mussolini e il C. riguardavano un'altra incombenza, la carica di commissario generale dell'Esposizione universale di Roma (E 42) prevista per il 1942. La nomina venne sanzionata il successivo 31 dicembre. Al momento dell'assunzione dell'incarico il C. si presentava con un Programma di massima, in cui tracciava le linee direttive, che, con alcune successive modifiche, si sarebbero manifestate negli anni appresso. Al di là di inevitabili stereotipi intesi ad esaltare l'"olimpiade della civiltà", il "senso di Roma", le "opere del fascismo", notevoli sono i punti qualificanti del progetto. Anzitutto la "definitività" dei lavori, non solo per evitare sprechi di costi senza utili, ma anche per attuare un piano di insediamenti. Poi la localizzazione in una sola area, quella dell'abbazia delle Tre Fontane, e non più in tre zone distinte a Roma, alla Magliana e al Lido. Infine la creazione di un nuovo quartiere dirigenziale e residenziale, che, pur accogliendo il teorema mussoliniano di "Roma al mare", offrisse una, soluzione non tanto di dilatazione urbana, secondo la logica multidirezionale del piano regolatore del 1931, quanto piuttosto un'alternativa di espansione metropolitana. Si imponeva, secondo il C., la fondazione di una "città nuova", di una "metropoli", "fornita dei più moderni servizi", unita al centro storico.con una cermera senza soluzione di Continuità (E 42. Programma di massima s. I. [ma Roma] 1937, pp. 13-16 e 20).

Per fare questo fu inevitabile predisporre un piano regolatore, che venne redatto nel marzo 1938 con l'apporto di architetti quali G. Pagano, L. Piccinato, E. Rossi, L. Vietti, e, soprattutto, M. Piacentini: questi, sovrintendente all'architettura dell'E 42, godendo dell'incondizionata fiducia del vicecommissario C. E. Oppo, oltre che dello stesso C., e dell'appoggio a distanza del governatore di Roma, G. Bottai, e del suo segretario generale V. Testa, avrebbe posto le fondamenta del successivo Eur, che però sarebbe stato sconvolto dopo la seconda guerra mondiale rispetto alla primitiva impostazione.

Nella veste di commissario dell'E 42 il C. effettuò anche una missione negli Stati Uniti nel giugno 1939, alla vigilia della guerra. Lo scopo ufficiale del viaggio - ottenere l'impegno americano di partecipare all'esposizione - nascondeva l'obiettivo reale della visita: verificare - per via diplomatica informale - con il presidente Roosevelt, su incarico del governo italiano, le rispettive posizioni nell'imminenza di prevedibili avvenimenti cruciali.

Con lo scoppio del nuovo conflitto si resero necessarie in un primo tempo una delimitazione ed una revisione del programma iniziale, intese a mantenere l'integrità delle opere già realizzate; si imposero in un secondo tempo misure predisposte alla smobilitazione pressoché totale dell'Ente, mantenendone l'autonomia di gestione e trasferendone l'amministrazione al Governatorato di Roma: il che avvenne il 4 febbr. 1943, quando il governatore G. G. Borghese venne nominato commissario dell'Ente, in sostituzi.one del C. che ne divenne poi commissario onorario.

Anche in questo caso per il C. l'impegno si concluse con "un buon affare" per lo Stato: gli espropri delle aree, 400ha, avevano comportato un onere di meno di 15.000.000 di lire, una spesa inferiore a L. 4 al m2 ed il valore degli edifici poteva computarsi in L. 400al m2 ; inoltre "il gran bisogno di alloggi", che si poteva prevedere per il dopoguerra, ne avrebbe ulteriormente accresciuto la stima (Venezia, Arch. V. Cini, b. E 42, "Rapporto sull'attività del Commissariato e dell'Ente al 31dic. 1941"; "Rapporto del Commissariato e dell'Ente al 31 dic. 1942"). L'Ente poi si era fatto interprete di promozioni culturali concretizzatesi enel finanziamento per la ripresa degli Scavi di Ostia, sotto la guida del sovrintendente G. Calza, e nella pubblicazione di una rivista, Civatd, che usci tra l'aprile 1940 e l'ottobre 1942sotto la direzione di E Cecchi e per i tipi dell'editore V. Bompiani.

Gli anni della seconda guerra mondiale segnarono per il C. periodi di contraddizioni e di svolte decisive. Dopo essere stato insignito del titolo di conte di Monselice il 16 maggio 1940, egli si vide affidata la responsabilità di un ministero, quello delle Comunicazioni, nel rimpasto governativo del 5 febbr. 1943. La nomina, che il C. più volte tenne a dichiarare inaspettata, capitava dopo una serie di rifiuti da lui opposti nel corso del 1942 ad assumere altre, cariche, e, soprattutto, in un momento in cui, se non si era già manifestata apertamente la scissione di responsabilità col regime fascista, si stava per lo meno maturando quella tendenza a trasformare il sistema con l'eliminazione di Mussolini e l'avvichiamento agli Stati Uniti e all'Inghilterra. Ben presto il C. intrecciò contatti con vari elementi, orientati alla "dissidenza" all'interno del fascismo, da E. Caviglia a V. Ambrosio, da G. Ciano a D. Grandi, da E. De Bono a G. Bottai, sostenendo l'inevitabilità di "sganciarsi dalla Germania", senza temere di affiontare il "pazzo" Mussolini e "avere il coraggio di mandarlo via". Contemporaneamente assumeva nella sua funzione ministeriale una linea critica nei confronti della direzione politica e militare della guerra, tanto da sorprendere ben presto Mussolini, che in una riunione si disse "grato della chiara ed esplicita esposizione che solo oggi 10 marzo 1943 è rappresentata nella sua piena realtà". In effetti il C. tra il marzo e l'aprile promosse un denso ciclo di incontri tecnici per "affrontare l'esame della situazione con sensa realistico" nei vari settori delle comunicazioni, dalla marina mercantile alle ferrovie, dalle autolinee ai servizi in concessione, dalle poste ai telefoni, suscitando spesso lo stupore e la meraviglia di Mussolini per il quadro esposto (Venezia, Arch. V. Cini, b. Doc. gen., "Copia del verbale di riunione del Duce sulla situazione della marina mercantile. Palazzo Venezia ore 17, 10 marzo 1943"). Ma il cubnine venne raggiunto nella seduta del Consiglio dei ministri del 19 giugno, quando il C. espose apertamente l'insostenibilità della situazione, anticipando in qualche modo la successiva presa di posizione del Gran Consiglio del fascismo del 24-25 luglio. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, il C. rassegnò le dimissioni, che vennero però accolte e rese pubbliche Solo il 23 luglio.

Mussolini non avrebbe perdonato l'uscita dei C., tanto da incolparlo in seguito di "disfattismo" e da provocarne probabilmente l'arresto il 23 settembre a Roma ad opera delle S.S. Il C. venne trasferito nel campo di concentramento di Dachau. Ma la scissione di responsabilità del Reich verso ogni misura della Repubblica sociale italiana, e, forse, anche la considerazione dal C. goduta presso i vertici economici e politici tedeschi, fecero in modo da procurargli il trasferimento presso una clinica a Friedrichroda, poi un tacito assenso alla liberazione, nascosto dalla costruzione di una. fuga in aereo organizzata dal figlio Giorgio.

Tra il luglio e l'agosto 1944 egli soggiornò in una casa di cura presso Padova, dove allacciò contatti con E. Meneghetti, presidente del Comitato di liberazione nazionale regionale veneto, mettendo a disposizione del movimento di resistenza un cospicuo finanziamento, che avrebbe raggiunto nel complesso la somma di 50.000.000 di lire. Oltre tutto fu questa una mossa anticipatrice della linea difensiva adottata successivamente nei confronti dei provvedimenti presi dall'Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e dalla commissione d'inchiesta del Comitato di liberazione nazionale regionale veneto. L'Alta Corte il 21 ott. 1944 emanò un provvedimento di decadenza dalla carica di senatore. Nel gennaio 1946 il C., soggiornando ancora prudenzialmente in Svizzera, ove si era rifugiato (fu a Tour de Peilz dal settembre 1944 al dicembre 1946), inviò un esposto ed un memoriale all'Alta Corte, in cui contestava gli addebiti mossigli, vale a dire di aver svolto "azione di attiva cooperazione col governo fascista" in qualità di senatore, di ministro delle Comunicazioni, di commissario dell'E 42, di collaboratore del Volpi. Il procedimento, per il quale si era mteressato - oltre a C. Sforza - anche Alcide De Gasperi nella seduta del Consiglio dei ministri del 5 marzo del 1946 si risolse con una nuova ordinanza del 12 marzo, che revocava la precedente, ripristinando la legittimità del titolo senatorigle al C. per aver preso "netta posizione contro le direttive del regime" e aver dimostrato "vivo patriottismo e violenta avversione al fascismo e al tedesco invasore (Venezia, Arch. V. Cini, b. Doc. gen., "Ordinanza 21 ott. 1944"; "Ordinanza 12 marzo 1946"; "Memoriale di V. Cini, gennaio 1946"). All'esito positivo del procedimento concorse in modo forse decisivo il giudizio formulato dalla commissione dinchiesta nominata nel luglio 1945 dal Comitato di liberazione nazionale regionale veneto su istanza del figlio del Cini. La commissione, presieduta da G. Luzzatto, orientò la sua indagine sugli stessi elementi del capo d'imputazione dell'ordinanza 21 ott. 1944, giungendo alla conclusione della non imputabilità del C., ritenuto invece "un raro esempio di laboriosità, capacità creativa, rettitudine politica e spirito di.patriottismo" (Padova, Arch. dell'Ist. veneto per la storia della Resistenza, b. 32, "Memoriale del Clnrv", s.d. [ma gennaio 1946]).

Nel secondo dopoguerra il C. caratterizzò la sua attività con un rinnovato interessamento per la marineria, curando in particolare le iniziative della società Sidarma. Ma fu soprattutto l'induátria elettrica ad impegnarlo, quale presidente della SADE. Nel periodo 1953-1962 la società portò a compimento un vasto programma di potenziamento degli insediamenti termo e idroelettrici nel Veneto e nel Friuli. La ripresa espansiva di questo settore era già stata avviata dal 1947-1948: negli anni '50 però si estendeva notevolmente il piano di ampliamento di centri di produzione, dalle centrali termoelettrichè di Marghera, Fusina, Porto Corsini. Monfalcone, ai bacini idroelettrici del Cellina, Cordevole, Piave, Vajont.

Ceduti gli impianti all'Ente nazionale per l'energia elettrica, in seguito alla legge 6 dic. 1962, la SADE decise, nell'agosto 1964, di confluire quale, finanziaria nella società Montecatini (anticipando così la fusione in questa della Edison), apportandovi un capitale di 180 miliardi di lire. Poteva così assumere più consistenza un progetto di insediamento di un centro siderurgico a ciclo integrale. che era stato previsto dalla SADE, prima nella eventuale terza zona industriale di Marghera e poi, in alternativa, nel delta padano a Porto Levante. L'insediamento di un centro siderurgico a Taranto, il disastro verificatosi nel bacino del Vajont il 9 ott. 1963 e l'alluvione che colpì anche Venezia il 4 nov. 1966 fecero definitivamente tramontare questo piano.

Dopo un tentativo, forse non troppo convinto, di ripresentarsi sulla scena politica nel 1951, mediante il finanziamento di un quotidiano romano, Il Popolo di Roma, ispirato di fatto dal Bottai, il C. si dedicò con grande interesse ad iniziative culturali e al problema di Venezia. Nel luglio 1951 nasceva a Venezia la Fondazione Giorgio Cini, dedicata al figlio scomparso in un incidente aereo il 31 ag. 1949.

Il progetto di insediamento nell'isola di San Giorgio di un complesso culturale era stato suggerito al C. dalla sensibilità di alcuni amici, tra i quali N. Barbantini, che già si era fatto promotore nel 1935-1940del ripristino del castello di Monselice (donato poi alla Fondazione nel 1972) e che divenne il primo presidente della Fondazione.

L'isola, sede, militare da un secolo, previa smilitarizzazione, pur appartenendo ancora al demanio, fu sottoposta tra il 1951 ed il 1959 a ingenti restauri, rilevanti soprattutto nelle parti monumentali, e conobbe in seguito, nel corso degli anni, l'installazione di tre centri: marinaro, arti e mestieri, di cultura e civiltà. Il C. portava così a compimento una passionè che l'aveva sempre accompagnato, e che si era concretizzata, oltre che nelle collezioni artistiche del suo palazzo veneziano e del castello ezzeliniano, in iniziative come quella attuata a Ferrara con la donazione del palazzo di Renata dì Francia all'università e quella della creazione di un Istituto di cultura diretto dai gesuiti.La Fondazione assumeva per il C. anche un significato di proposta culturale e politica, inerente al problema di Venezia. Non a caso la Fondazione promuoveva (ottobre 1962) un convegno sul "problema di Venezia", in cui il C. si faceva interprete di proposte di salvaguardia dell'"insularità" lagunare, stimolatrice di fermenti culturali, demandando invece alla terraferma il compito di vitalizzazione economica del centro storico: Venezia dunque isola culturale e dirigenziale, Marghera e Mestre forze di produzione e di servizi. In ciò il C. si mostrava coerente con una visione di separazione delle competenze, che lo aveva sempre contraddistinto, e che era stata interrotta, come egli stesso riconosceva, da un solo "errore colossale", quello di aver favorito il ponte automobilistico translagunare inaugurato nell'aprile 1933.

Venezia fu pure in qualche modo segno del suo legame con la Chiesa cattolica, che i manifestò in vari aspetti: tra questi, la direzione della procuratoria di S. Marco tra il 1955 e il 1967, durante la quale egli appoggiò importanti restauri nella basilica di S. Marco, guidati da F. Forlati. In questi anni si instaurò anche un intenso rapporto con i pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI.

Deceduta la prima moglie nel giugno 1959, il C. sposò in seconde nozze Maria Cristina Dal Pozzo D'Annone il 16 febbraio del 1967.

Negli ultimi anni di vita il C. raccolse numerose onorificenze, tra le quali si possono segnalare il cavalierato del lavoro (4 giugno 1959), l'associazione all'Académie des beaux-arts de l'Institut de France (9 ott. 1968), il conferimento del collare del Supremo, Ordine della ss. Annunziata (11 marzo 1975).

Il C. morì a Venezia il 18 settembre del 1977.

Fonti e Bibl.: Venezia, Arch. V. Cini, buste Documentazioni generali ed E 42; Roma, Arch. centr. dello Stato, Segret. partic. dei Duce. Carteggio riservato, b. 35. fasc. "Cini Vittorio", e Rep. sociale ital. Segret. partic. del Duce. Cart. riservato, b. 26, fasc. "Cini Vittorio"; Roma, Arch. della Fed. naz. dei cavalieri del lavoro, fasc. "Cini Vittorio"; Padova, Arch. dell'Ist. veneto per la.storia della Resistenza, Comitato di liberazione nazionale regionale veneto, Verbali, registri 1 e 2, e inoltre: Sez. I, b. 29, Docum. vari riservati e Sez. II, b. 32, Corrisp. varia, fasc. "Vittorio Cini", e b. 67, Sezione interni. Atti vari, fasc. "Inchiesta Cini"; Atti parlam., Camera dei senatori. Discuss., Legislatura XXIX, pp. 1021-1027, 3400, 3985 s.; Id., Senato del Regno. Resoconti delle disc., XXX Legisl. I della Camera dei fasci e delle corpor. Anno 1939, Comm. di Finanza, 1° maggio 1939, p. 10, e 6 maggio 1939, p. 20; Id. Anno 1943, Commiss. riunite Finanza, Lavori Pubblici e Comunic., 6 maggio 1943, pp. 2019-2030, e Commiss. dei Lavori, Pubblici e delle Comunic., 14 luglio 1943, pp. 679 s., 682; Id., Camera dei fasci e delle corpor., Atti. delle commissioni legislative riunite, II, Commiss. legisl. riunite del Bilancio, dei Lavori Pubblici e delle Comunicazioni, 16 apr. 1943, pp. 1329-1337; Id., Atti della commissione legislativa dei Lavori Pubblici e delle Comun., II, 2 luglio 1943, pp. 646-647, 649, 653-654; Opera omnia di B. Mussolini, a cura di E. e D. Susinel, XXVI, Firenze 1958, p. 265; XXIX, ibid. 1959, pp. 265-266; XXXIV, ibid. 1962, p. 287; XLI, Roma 1979, p. 68. Indispensabile l'opuscolo curato dalla Fondazione Giorgio Cini, V. C. nel primo anniversario della scomparsa, Venezia s.a. [ma 1978], in particolare gli interventi di G. Andreotti, B. Visentini, I. Siciliano. Utili sono gli articoli e i necrologi apparsi su quotidiani e periodici in occasione della morte e del primo anniversario della scomparsa, specialmente: F. Benvenuti, Un uomo indipendente, in Il Gazzettino, 20 sett. 1977; L. Valiani, C., personaggio già entrato nella storia, in Corriere della sera, 20 sett. 1977; A. Luciani, Ricordo del conte C., in Gente veneta, 24 sett. 1977; C. Merzagora, Due italiani e la loro eredità, in Il Gazzettino, 25 maggio 1978; V. Branca, V. C. uomocapolavoro, in Corriere della sera. 16 sett. 1978. Per l'attività imprenditoriale e finanziaria, rilevanti appaiono gli interventi pronunciati dallo stesso C.: Giuseppe Volpi; l'uomo, in G. Volpi. Ricordi e testimonianze, Venezia 1959, pp. 11-22; Intervento, in Associazione degli industriali della provincia di Venezia, Interventi tenuti in occasione delle cerimonie per il cinquantenario di Porto Marghera, Venezia s.a. [ma 1967], pp. 23-40. Importanti sono gli atti costitutivi, gli statuti, le relazioni annuali, i bilanci delle società, alcuni dei quali a stampa, come: Atto costitutivo, e statuto dell'Adriatica società anonima di navigazione, Venezia 1937; Credito industriale di Venezia, Relazione e bilancio dell'esercizio 1936, Venezia 1937; Società adriatica di elettricità, Assemblea straordinaria 6 agosto 1964, s.l. né a. [ma Venezia 1964]. Si veda ancora: P. Fortunati, La Provincia di Ferrara, in G. Pietra-P. Fortunati A. de Polzer, Primi lineamenti di statistica corporativa, II, Il problema demografica-agrario del Veneto e del Ferrarese, Padova 1935, pp. 48. 52; E. Conti, Dal taccuino di un borghese, Milano 1946, p. 655; E. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari 1966, pp. 135 s.; A. Gervasoni, IlVaiont e le respons. dei manager, Milano 1969, p. 21; W. Dorigo, Una legge contro Venezia. Natura, storica, interessi nella quest. della città e della laguna, Roma 1973, pp. 193-194, 226-227; P. Corner, Il fascismo a Ferrara..., Bari 1974, pp. 319-320; C. Chinello, Storia di uno sviluppo capitalistico. Porto Marghera e Venezia. 1951-1973, Roma 1975, pp. 114, 83-84; G. Toniolo, Iprotagonisti dell'intervento pubblico. Oscar Sinigaglia, in Economia pubblica, V(1975), 8-9, pp. 19-22; A. Castagnoli, La crisi economica degli anni Trenta in Italia: il caso della SIP, in Riv. di storia contemp., V(1976), p. 337; G. Mori, Per una storia dell'industria italiana durante il fascismo, in Il capitalismo industriale in Italia, Roma 1977, p. 230; Id., Materiali, temi ed ipotesi per una storia dell'industria nella regione Toscana durante il fascismo (1923-1939), ibid., p. 396; L. Scalpelli, L'Ilva alla vigilia del piano autarchico per la siderurgia (1930- 1936), in Ric. storiche, VIII (1978), p. 245; G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo pubblico delle banche miste (1930-1934), in Industria e banca nella grande crisi, 1929-1934, a cura di G. Toniolo, Milano 1978, pp. 287-288; C. Chinello, Porto Marghera. 1902-1926. Alle origini del "Problema di Venezia", Venezia 1979, p. 152; S. Roano, G. Volpi. Industria e finanza tra Giolitti e Mussolini, Milano 1979, pp. 88, 243; C. Sartori, Giuseppe Volpi di Misurata e i rapporti finanziari del gruppo SADE con gli U.S.A. (1918-1930), in Ricerche storiche, IX (1979), p. 431; G. Toniolo, L'economia dell'Italia fascista, Bari 1980, pp. 57-58, 303. Per le cariche pubbliche, di notevole interesse gli scritti del C. in Civiltà (Rivista della Esposizione universale di Roma): Significato e aspetti dell'Esposizione universale di Roma, 21 apr. 1940, pp. 11-14; L'Esposizione di Roma in tempo di guerra, 21 apr. 1941, pp. 5-8. Fondamentale l'articolo Gi. Bot.[tai], Approvazioni e disapprovazioni, in Critica fascista, XIII (1935), pp. 237-238. Di particolare rilievo l'abbondante memorialistica e diaristica: G. Castellano, Come firmai l'armistizio, di Cassibile, Verona 1945, p. 45; J. Di Benigno, Occasioni mancate. Roma in un diario segreto, 1943-1944, Roma 1945, pp. 47, 286; C. Senise, Quando ero capo della polizia (1940-1943), Roma 1946, p. 267; U. Cavallero, Comando supremo. Diario 1940-43, Bologna 1948, p. 425; E. Tolomei, Memorie di vita, Milano 1948, pp. 693-694, 701, 725-726, 729-730; E. Dollmann, Roma nazista, Milano 1951, pp. 135, 137-138, 243-244; E. Caviglia. Diario (aprile 1925-marzo 1945), Roma 1952, pp. 397-398; F. Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, II, 1936-1940, Milano 1953, p. 386; F. Anfuso, Da palazzo Venezia al lago di Garda (1936-1945), Bologna 1957, pp. 283-284; N. D'Aroma. Mussolini segreto, Bologna 1958, p. 232; U. Ojetti, Cose viste. 1921-1943, Firenze 1960, p. 1531; p. Monelli, Roma 1943, Milano 1963, pp. 115, 146, 439-441; F. S. Nitti, Diario di Prigionia. Meditazioni dell'esilio, in Scritti politici, V, a cura di G. De Cesare, Bari 1967, p. 71; G. Bottai, Vent'anni e un giorno (24 luglio 1943), Milano 1977, pp. 263, 291; C. Ciano, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1980, pp. 37, 62, 138, 524 s. Si veda inoltre: R. Battaglia, La crisi ital. del 1943 e gli inizi della Resistenza, in Risorg. e Resist., a cura di E. Ragionieri, Roma 1964, pp. 167-168; Id., Storia della Resistenza italiana. 8 settembre 1943-25 aprile 1945, Torino 1964, pp. 25, 56, 59, 180; R. Zangrandi, 1943. 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, pp. 52, 59, 72, 112; L. Cortesi, Lotta Politica e continuità dello Stato nel 1943, in Movimento operaio e socialista, XV(1969), p. 351; F. W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino 1970, pp. 198, 217, 280, 283-285, 448-450. 465, 578; G. Bianchi, Perché e come cadde il fascismo. 25 luglio crollo di un regime, Milano1972, pp. 281-282, 311, 435, 745-750, 754-757, 796, 804; E. Santarelli, Storia del fascismo, III, Roma 1973, p. 241, 254; E. Brunetta, Correnti polit. e classi sociali alle orig. della Resist. nel Veneto, Vicenza 1974, pp. 53-54; R. De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso. 1929-1936, Torino 1974, pp. 171-172; A. Tamaro, Venti anni di storia, III, Roma 1975, p. 63; G. B. Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico, Milano 1976, p. 254; G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Bari 1977, pp. 171-172, 174; M. Reberschak, La Proprietà fondiaria nel Veneto tra fascismo e Resistenza, in Società rurale e Resistenza nelle Venezie. Atti del Convegno di Belluno 24-26 ottobre 1975, Milano 1978, p. 144, Per gli interessi culturali ed il legame con Venezia: V. Cini, Intervento, in Comune di Venezia-Fondazione Giorgio Cini, Atti del Convegno internazionale "Il Problema di Venezia". Venezia, 4-7 ott. 1962, Venezia 1964, pp. 175-185; Institut de France. Académie des beaux-arts, Installation du comte C. comme associè étranger. Séance du mercredi 9, octobre 1968, Paris 1968. Ancora: La Fond. G. Cini nell'isola di San Giorgio Maggiore, Venezia 1951, p. 10; G. Damerini, L'isola e il cenobio di San Giorgio Maggiore, Venezia 1956, p. 255; G. Piovene. Viaggio in Italia, Milano 1957, pp. 30-33; Restauri all'isola di San Giorgio Maggiore, Venezia 1964, p. 7; UNESCO. Rapporto su Venezia, Milano 1969, pp. 107, 273; Venezia 1951-1971. Venti anni di attività della Fondazione Giorgio Cini, s.l.né a. [ma Venezia 1971], pp. 39, 55; S. Meccoli, La battaglia per Venezia, Milano 1977, pp. 33, 37-42.

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