CODAZZI, Viviano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CODAZZI (Codacci, Codazzo, Codozo, Codagora, Codaora, Codahorra), Viviano

Giuseppe Scavizzi

Nacque a Bergamo da Maffeo, anch'egli bergamasco, fra il 1603 e il 1604, nonostante un documento del 1657 (Bertolotti, 1881, p. 95) lo dica cinquantenne. Verso il 1620 si allontanò da Bergamo (Prota Giurleo, 1953, p. 77), ma non è chiaro se si stabilì subito a Napoli o se si fermò a Roma. L'affermazione del De Dominici (1763) ch'egli avrebbe portato a Napoli, da Roma, un'Architettura, con figure di M. Cerquozzi, è ritenuta una prova di tale soggiorno da Longhi (1955), Brunetti (1956) e Briganti (1966).

Questo soggiorno, che sarebbe durato dal 1620 al 1634, quando il C. è documentato a Napoli, situerebbe l'attività del pittore in armonia con i primi tentativi di vedutismo di S. Scorza, A. Tassi, con la teorizzazione dello stesso offerta dalla famosa lettera di V. Giustiniani (G. G. Bottari, Raccolta di lettere..., VI, Roma 1768, pp. 247-253), e soprattutto indicherebbe il tentativo di innestare sulla veduta urbana tradizionale un tipo di realismo caravaggesco quale nasceva appunto negli anni Venti a Roma con i bamboccianti. Longhi (1955) sostiene la datazione a questi anni di un gruppo di opere (delle quali fa parte il Bagno della collezione Incisa) messo insieme dal Briganti (1950); la collaborazione sarebbe principalmente col Cerquozzi e, in qualche caso, con François Perrier (anche la Brunetti tende ad attribuire a questi anni intorno al '30 opere di collaborazione con il Perrier e con Jan Miel).

Nessun'opera però può essere datata con certezza a questo primo ipotetico periodo romano, e perciò la questione rimane aperta; altri giudicano la testimonianza del De Dominici non probante, negano questo soggiorno romano e qualsiasi collaborazione col Cerquozzi anteriormente al '47; e sostengono infine per il C. una formazione interamente napoletana (Salerno, 1976).

Nel 1634 il C. risulta essere stabilito a Napoli (D'Addosio, 1913, p. 46). Una Veduta di palazzo Gravina a Napoli (Longhi, 1955, ill. 23), impressionante per il realismo intimista, ma anche per la resa fedele e obbiettiva dell'ambiente urbano, sembra appartenere a questo primo periodo. Al 1641 sono datati due quadri del Museo di Besançon eseguiti in collaborazione con Domenico Gargiulo. La amicizia con il Gargiulo dovette essere particolarmente stretta, com'è attestato dalle fonti letterarie e dalle opere; ma il C. cercò la collaborazione anche di altri artisti contemporanei, e sono in molti ad arguire ch'egli dipingesse gli sfondi architettonici dei quadri con Storie romane, ora al Prado, eseguiti nel decennio 1635-45 per il viceré di Napoli da Aniello Falcone, da Lanfranco e dal Gargiulo stesso. Il C. non si limitò alla produzione di quadri di cavalletto, ma svolse in pieno il suo ruolo di prospettico e quadraturista su grande scala. Per la Probatica piscina del Lanfranco ai SS. Apostoli dipinse, non prima del '44, una grandiosa architettura che emula la tradizione romana del Tassi ma con effetti pittorici e monumentali più marcati. A S. Martino lavorò lungo tutto il periodo del soggiorno napoletano (Faraglia, 1892; Causa, 1973).

Due prospettive nella sacrestia, tuttora in loco - su disegni o idee di Cosimo Fanzago che mediò la commissione -, furono eseguite a partire dal '44: particolarmente interessante la scalinata con la loggia di Pilato nell'EcceHomo dello Stanzione, "una realizzazione nuova, audace, prospetticamente perfetta, di un deciso gusto pittorico" (Brunetti, 1956, p. 66). Un'altra prospettiva figurava, in S. Martino, nella cappella del Tesoro, ma fu distrutta per far luogo all'affresco del Giordano.

Inoltre, come ha indicato sempre la Brunetti, condusse a fresco alcune parti architettoniche del soffitto dello Stanzione in S. Paolo Maggiore, terminato nel 1644.

A Napoli doveva essere bene introdotto nell'ambiente. C. Fanzago gli tenne a battesimo la figlia Caterina nel 1638 (Prota Giurleo, pp. 78 s.). Partecipò agli "onorati simposi" in casa di Angelo Pepe con letterati ed artisti. Del resto il De Dominici ci dà un elenco breve ma molto significativo delle maggiori collezioni partenopee che possedevano opere sue. Particolare interesse per la sua opera sembra avesse Gaspare Romer, per il quale eseguì con il Gargiulo una serie di Storie del Vecchio Testamento. Fra il '39 e il '44 fu incaricato di dipingere per il viceré duca di Medina de las Torres quattro quadri con la collaborazione del Gargiulo: sono probabilmente gli stessi oggi al Prado, diversi da quelli menzionati sopra ma anche essi con soggetti anticheggianti: un Amfiteatro romano, un Circo, un Ginnasio.

L'opera di questi tre lustri napoletani è molto varia e vi si riconoscono diverse matrici culturali. Da un lato il C. segue la tradizione della prospettiva e del quadraturismo rinascimentali, forse conosciuti in patria tramite Ottavio Viviani. Dall'altro il pittore può essere stato influenzato dalla tradizione della "veduta ideata" con il suo precoce e preromantico interesse per le rovine, quale si era sviluppata a Roma per opera quasi esclusivamente di pittori fiamminghi, tedeschi e francesi (ad esempio, con B. Breenbergh e C. van Poelenburg). Infine, un influsso sicuro viene dal vedutismo realistico sviluppatosi nell'ambiente dei bamboccianti. E tuttavia il C. non è semplicemente la somma di queste tendenze. Quale che sia la data delle sue prime opere, il C. appare decisamente un innovatore. Se si considera infatti non tanto la sua opera di quadraturista quanto quella di pittore di vedute, appare chiaro che il C. inaugura un genere che si differenzia da tutte le tradizioni anteriori, basato su una visione di vedute architettoniche e rovine rese con geometrica precisione, con effetti drammatici di luci e di ombre, con singolare senso della realtà quotidiana, con semplice ed umile capacità di osservazione di una verità intima e popolare. Nel C. si ha così una completa trasformazione della tradizione architettonico-prospettica tardorinascimentale sotto l'effetto del realismo della tradizione caravaggesca; con lui si ha "il punto più vivo, il traguardo più moderno della veduta... [il] vedere la realtà di un luogo, di un'ora, di un insieme momentaneo di azioni senza storia, naturali, quotidiane" (Briganti, 1966).

La rivoluzione del 1647a Napoli creò problemi anche al Codazzi. Durante i moti si ritirò col Gargiulo in un convento, il che gli causò noie dalle quali lo liberò lo intervento del Romer presso il viceré. A causa di mancati pagamenti per i lavori a S. Martino - ai quali seguì una lite che si risolse solo dopo la sua morte - finì col trovarsi in condizioni di povertà. Ritornò a Roma, dove forse era già stato saltuariamente negli anni precedenti, e vi si stabilì a partire probabilmente dal '48. Nel '49risultava risiedere con la famiglia nel vicolo di S. Andrea delle Fratte; l'anno seguente si spostò in via dei Greci, in un'abitazione che occupò poi fino alla morte.

A questo periodo romano appartengono alcune delle opere più celebri del C., come il Bagno Incisa, la Rivolta di Masaniello della Spada, le due Architetture dellaPitti, la serie di Rovine nelle collezioni Spada e Pallavicini, l'Arco di Tito del Museo di Roma. Al 1660 è datata una sua Veduta di piazza del Popolo (Soria, 1961); del '63 sono le Rovine del Museo di Arezzo; del '64 l'Architettura della Galleria nazionale di Roma (già collezione Chigi: Boll. d'arte, XLIII [1958], pp. 379 s.); del '68 la Veduta del porto di Civitavecchia con le figure di Filippo Lauri (ill. 32, in Brunetti, 1956).

Collaborò con una varietà di pittori, fra i quali in particolare il Cerquozzi (Pascoli, 1730), Jan Miel, ma anche G. B. Castiglione (fra il '49 e il '50) se si accetta la ipotesi del Soria, ripresa dal Salerno (1976), di una loro collaborazione in due quadri della Gal. Pallavicini. La sua produzione è vasta: i Chigi possedevano molte sue opere; nell'inventario dei quadri Colonna del 1783ben diciassette sono del C. (il Carpegna, 1956, ha fornito documenti comprovanti la notevole presenza del C. nelle vecchie collezioni romane). Lo stile di questa fase romana differisce sensibilmente dallo stile del periodo napoletano.

Il Soria nota nelle opere di questi anni una maniera più sobria, ma anche più grandiosa e "classica". D'altro lato, al "tono generale assai forte" lamentato dal Lanzi (il quale notava anche che "ciò che rende i suoi quadri meno pregevoli è qualche durezza e il troppo uso del nero") si sostituiscono nuovi valori tonali e atmosferici. L'eccessiva rigidezza del disegno e degli effetti d'ombra si viene temperando in effetti pittorici e atmosferici, in linea con l'evoluzione della pittura del tempo. Nell'Arcodi Tito del Museo di Roma, una delle sue ultime opere, il Longhi (1955) nota che le ombre più tenere introducono al Canaletto.

Nonostante questa intensa attività il C. era ancora censito come povero nel 1657. Egli risiedette a Roma salvo brevi assenze - intorno al '53, forse dal 1659 al '66 - fino alla morte, avvenuta il 5nov. 1670.

Aveva sposato il 3maggio 1636 Candida Miranda, napoletana (Prota Giurleo, 1953, p. 77) e nel 1657 aveva sette figli, due dei quali, Niccolò e Antonio, furono pittori.

Il C. fu quasi ignorato dalla critica antica, senza dubbio per la sua eccessiva specializzazione che lo escludeva dal novero dei "grandi". Il De Dominici lo definiva "celebre pittore di prospettive", ma non gli dedicava una biografia. Neanche il Lanzi gli dedica spazio, e tuttavia lo stima "quasi il Vitruvio di questa classe di pittori". Da questa assenza di informazione seguono le distorsioni del nome, che diviene Codagora a partire dal Baldinucci (ma le varianti Codaora, o Codahorra in Spagna, sono anche comuni), la confusione, durata con fasi alterne fino ad oggi, con l'altro e più antico prospettico bresciano Ottavio Viviani, e infine la sdoppiatura del personaggio (Codagora-Codazzi) talora operata, a partire dallo Zani. Oggi il C. non è visto soltanto come "prospettico", ma come il grande inventore della veduta realistica, un Caravaggio e Canaletto insieme, per dirla col Longhi. La sua influenza è stata riscontrata a Roma nell'opera di A. Tassi, F. Gagliardi, A. Salucci, G. Ghisolfi; a Napoli in quella di L. Coccorante, A. M. Costa, G. Greco. Lo stesso Claude Lorrain forse non fu insensibile al suo influsso (Kennedy, 1972), che comunque sembra arrivare fino a Pannini, Canaletto e Bellotto. Fuori di Italia, un suo influsso è avvertibile su J. Lemaire in Francia; e un seguito in Spagna, abbastanza ampio, è stato rilevato dal Soria.

Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno, VI, Firenze 1728, pp. 191, 359; L. Pascoli, Vite de' pittori,scultori ed architetti moderni, Roma 1730, I, p. 33; B. De Dominici, Vite de' pittori,scultori ed archit. napoletani, III, Napoli 1763, p. 203; C. G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi... in Genova, Genova 1780, pp. 198, 234, 236; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, a cura di M. Capucci, I-III, Firenze 1968-1974, ad Indicem (sub voce Codagora); P. Zani, Encicl. metodica... delle Belle Arti, I, 6, Parma 1820, p. 261; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma..., Milano 1881, II, pp. 95 s.; N. F. Faraglia, Notizie di... artistinella chiesa di S. Martino…, in Arch. stor. per le provv. napoletane, XVII (1892), pp. 657-678 passim; L. Ozzola, Le rovine romane nella pittura del XVII e XVIII secolo, in L'Arte, XVI (1913), pp. 112 ss.; G. B. D'Addosio, Documenti inediti..., in Arch. stor. per le provv. napolet., XXXVIII (1913), pp. 45 ss.; R. Longhi, La rissa all'ambasciata di Spagna, in Paragone, I (1950), 1, pp. 31 s., tav. 8; G. Briganti, P. van Laer…, in Proporzioni, III (1950), pp. 191-198; Id., I Bamboccianti (catal.), Roma 1950, pp. 3539; U. Prota Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 76-81; R. Longhi, V. C. e l'invenzione della veduta realistica, in Paragone, VI (1955), 71, pp. 40-47; N. di Carpegna, Paesisti e vedutisti a Roma nel'600 e '700 (catal.), Roma 1956, p. 17; E. Brunetti, Situazioni di V. C., in Paragone, VII (1956), 79, pp. 48-69 (con regesto del docum. e bibl. completa); A. Marabottini, in Il Seicento europeo (catal.), Roma 1956, pp. 106 s.; Besançon,le plus ancien Musée de France (catal.), Paris 1957, nn. 25, 26; Boll. d'arte, XLIII (1958), pp. 380 s. (not. d'acquisto), E. Brunetti, Some unpublished works by C., Salucci,Lemaire and Patel, in The Burlington Magaz., C (1958), pp. 311 ss.; F. Strazzullo, La chiesa dei SS. Apostoli, Napoli 1959, p. 41; O. Marini, Un'opera ined. di V. C. e M. Cerquozzi, in Paragone, X (1959), 113, pp. 43 s. (il Colosseo); F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze 1959, ad Indicem; R. Longhi, C. e l'Antologia, in Paragone, XI (1960), 123, pp. 41 s. (Sosta alla osteria della Mezzaluna, Hartford, Conn., Wadsworth Atheneum); Id., F. Baldinucci sul C. e sul Cerquozzi,ibid., pp. 47 ss.; M. Soria, Velazquez and Vedute Painting in Italy and Spain 1620-1750, in Arte antica e moderna, 1961, pp. 442 s.; F. Haskell, Mecenati e pittori, Firenze 1966, ad Indicem; A. E. Perez Sanchez, Pintura ital. del s. XVII en España, Madrid 1965, pp. 257-262; G. Briganti, Gaspar van Wittel e l'origine della veduta settecentesca, Roma 1966, ad Indicem; G. Byam Shaw, Paintings by Old Masters at Christ Church (catal.), Oxford 1967, n. 147, tav. 108; The Burlington Magazine, CX (1968), Suppl., tav. XVIII (scena napoletana con figure di D. Gargiulo); The Bowes Museum, Barnard Castle, Catalogue of Spanish and Ital. Paintings, Durham 1970, pp. 87 s.; La Collezione Roberto Longhi, Firenze 1971, n. 96; B. F. Fredericksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Cent. Ital. Paintings…, Cambridge, Mass., 1972, p. 55; I. G. Kennedy, Claude and Architecture, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXV (1972), pp. 268 ss.; R. Causa, L'arte nella certosa di S. Martino…, Napoli 1973, ad Indicem; T. Fomiceva, Pictures by V. C., in Soobèâcenija Gosùdarstvennogo Ermitaûa, 1974, pp. 7 ss.; M. Marini, Pittori a Napoli 1610-1656..., Roma 1974, pp. 119 s.; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni…, Firenze 1974, pp. 21, 31, 77 e n. 367; M. Marini, V. C. Il Capriccio dal vero, in Ricerche di storia dell'arte, III (1976), pp. 121-136; L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1976, II, pp. 504-511; M. L. Strocchi, Il gabinetto... del gran principe Ferdinando a Poggio a Cajano, in Paragone, XXVII (1976), 311, p. 118, n. 148; C. Wright, Old Master Paintings in Britain, London 1976, p. 40; Lettere e altri documenti intorno alla storia della pittura, Mozambano 1976, pp. 9, 50; F. Zeri, Italian paintings in the Walters Art Gallery, Baltimore 1976, II, n. 340 e ad Indicem; The Origins of the Ital. veduta (catal.), Providence, R. I., 1976, n. 38; G. Biavati, NiccolòViviano..., in Paragone, XXX (1979), 353, pp. 77-90; Id., "Paesaggio con figure"…, in Boll. dei Musei civici genovesi, I (1979), 2, pp. 93 s., 104, 106, 113 fig. 1, 121 fig. 9; J. Bousquet, Recherches sur le séjour des peintres français à Rome..., Montpellier 1980, ad Indicem; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 155 (con bibl.).

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