Voltaire

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Voltaire

Paolo Casini

Protagonista dell’Illuminismo

Geniale e versatile scrittore dell’Illuminismo francese, François-Marie Arouet detto Voltaire praticò, per oltre un sessantennio e con costante successo, i più vari generi letterari di moda nel Settecento. Si dedicò, infatti, a poesia, tragedia, satira, epistola, commedia, storiografia politica e di costume, trattato e racconto filosofico, divulgazione scientifica, saggio e dialogo di propaganda politico-ideologica, pamphlet, dizionario d’idee. Nonostante la varietà dei temi, negli scritti di Voltaire è sempre presente un’impronta di ironia, arguzia e spirito critico che dà unità sia al suo stile letterario sia al suo progetto di vita politica, intellettuale e morale

Dal «Dio crudele» all’Essere supremo

Prima di diventare celebre con lo pseudonimo di Voltaire, François-Marie Arouet le Jeune fu scolaro dei gesuiti nel migliore collegio di Parigi – dove era nato nel 1694 da una ricca famiglia borghese –, nel quale apprese le pratiche della devozione cattolica e poté osservare l’uso mondano della religione. Dal padre, avvocato di rigide tendenze gianseniste, aveva invece ereditato l’immagine ascetica del «Dio crudele», teorizzata dai teologi dissidenti della tradizione della scuola di Port Royal. Il movimento religioso del giansenismo sosteneva che l’uomo, dopo il peccato originale, non è più in grado di compiere il bene con le sue sole forze: attratto dalla vita terrena e carnale, non può salvarsi se non con l’aiuto di Dio; i teologi giansenisti insistevano anche sulla predestinazione dell’uomo e sull’espiazione dei peccati. Voltaire visse quindi nella propria coscienza il conflitto, allora assai diffuso, tra la morale assai flessibile dei gesuiti e la severa virtù dei giansenisti.

I suoi primi scritti – i componimenti poetici d’occasione o i sonanti versi alessandrini della tragedia Edipo e della narrazione epica La lega o Enrico il Grande – condannano le guerre di religione divampate in Francia tra i secoli 16° e 17°, invitano alla tolleranza tra le varie religioni, esaltano i valori laici e mondani della pace e del benessere borghese. La sua autentica inquietudine religiosa si stemperò con gli anni nel credo deista, razionalista e non confessionale, avverso all’ateismo militante di altri philosophes.

L’esempio inglese

Per essersi burlato di un nobile cavaliere, il giovane Voltaire fu pubblicamente bastonato e condannato alla reclusione nel carcere parigino della Bastiglia. La condanna fu presto commutata in esilio, che Voltaire scontò a Londra. Il soggiorno londinese, durato circa tre anni, trasformò il poeta in un entusiastico ammiratore della cultura filosofica, politica, letteraria e scientifica inglese e in un propagandista dei diritti civili e della libertà di pensiero dominanti oltre Manica. Le Lettere filosofiche (1732), brillante esercizio giornalistico d’informazione rivolto a un ampio pubblico, illustrano il regime di tolleranza religiosa e di libertà d’opinione instaurato in Inghilterra in seguito alla rivoluzione del 1688 (rivoluzioni inglesi).

La costituzione parlamentare, il pensiero politico liberale di John Locke, l’empirismo filosofico, il metodo sperimentale e la sintesi scientifica di Isaac Newton erano – secondo Voltaire – gli esempi da seguire, gli antidoti al dominio oppressivo, feudale e conformistico che l’assolutismo monarchico-religioso imponeva alla Francia. Rientrato in patria, il filosofo ebbe per breve tempo la carica di storiografo di corte, ma la sua irrequietezza e l’irriverenza polemica lo costrinsero nuovamente ad allontanarsi da Parigi e a rifugiarsi con l’amica Émilie du Châtelet nel castello di Cirey in Champagne.

Nel rifugio di Cirey

Accanto a Émilie, cultrice di fisica e di matematica, traduttrice in francese dei Principi matematici della filosofia naturale di Newton, Voltaire approfondì i propri interessi filosofici e scientifici, ma si dedicò anche alla ricerca storica, all’analisi critica della Sacra Scrittura, alla polemica religiosa e politica. Trascorse quasi un quindicennio a Cirey, dove continuò a comporre commedie e tragedie, alla cui rappresentazione nel teatro del castello spesso prendeva parte come attore: una tragedia di ambiente crociato, Maometto o il fanatismo (1741), dedicata al papa Benedetto XIV, apparve a stampa accompagnata da una benevola lettera di Sua Santità.

Mise a fuoco la propria morale epicurea (epicureismo) e borghese in componimenti poetici, come Le mondain, il Discorso in versi sull’uomo; nel Poema sul disastro di Lisbona, evocante il terribile terremoto che colpì la capitale portoghese nel 1755, le riflessioni sulla provvidenza divina si intrecciano con il rifiuto dell’ottimismo metafisico del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz e del poeta inglese Alexander Pope, sostenitori della tesi secondo la quale il male è pura apparenza e «tutto è bene», se si tiene conto della finalità che domina il mondo fisico e morale.

Nei racconti filosofici tracciò eleganti apologhi su un’ampia gamma di temi politici, economici, morali, metafisici, o legati alle scienze della natura. In Candido mise in scena una trasparente autobiografia intellettuale e morale, sotto la veste brillante e ironica di un racconto scandito dagli eventi tragicomici di un antieroe: le vicende si articolano secondo il contrappunto di avventure e disavventure che mostra in concreto la vanità della metafisica ottimista di Leibniz. Il racconto si conclude con la massima consolatoria «coltiviamo il nostro giardino».

Divulgazione illuministica

L’opera più impegnativa composta negli anni di Cirey, La filosofia di Newton, è una brillante divulgazione dell’ottica, della fisica e dell’astronomia più recente «messa alla portata di tutti» – o, fu detto per scherno, «alla porta di tutti» –, scritta in serrata polemica contro la fisica cartesiana dei vortici (Cartesio), ancora autorevole in Francia. Nell’ampio prologo ‘metafisico’ Voltaire fa propria una versione deistica e senza dogmi delle credenze religiose di Newton, alle quali dedicò altri scritti e dialoghi.

Sul fronte opposto, per screditare le confessioni tradizionali, negò nella Bible enfin expliquée l’attribuzione a Mosè della Genesi e l’ispirazione divina degli altri libri biblici.

Dalla corte al castello

Dopo la scomparsa di Émilie Châtelet, Voltaire accentuò il suo distacco dalla Francia e si recò alla corte di Prussia. Il re Federico II – verseggiatore in francese, filosofo, despota illuminato ed eroe della guerra dei Sette anni – si considerava discepolo del filosofo, con il quale aveva intrattenuto fin dalla giovinezza una fitta corrispondenza. Ma l’idillio tra maestro e discepolo ebbe breve durata alla corte di Sans-Souci presso Potsdam, tra beghe e rivalità personali che culminarono nel feroce attacco di Voltaire contro Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, presidente dell’Accademia delle scienze berlinese.

Infranto il sogno del dispotismo illuminato, Voltaire girovagò tra varie corti tedesche e compose alcuni dei suoi capolavori, come i racconti Zadig o il destino, Memnone o la saggezza umana, Micromega, la raccolta di articoli del Dizionario filosofico, con il sottotitolo La ragione in ordine alfabetico, in cui si passano in rassegna in forma breve ed efficace i più vari aspetti dell’ideologia dei lumi (Illuminismo).

In antitesi alla decadenza delle istituzioni, Voltaire esaltò le quattro età felici dell’umanità, le età di Pericle e di Augusto, il Rinascimento italiano e l’epoca di Luigi XIV: a quest’ultimo dedicò Il secolo di Luigi XIV, una magistrale narrazione della vita, dei costumi, delle vicende civili, politiche e religiose della Francia sotto il lungo regno del Re Sole. Per il resto, Voltaire affermava che «la storia non è che un quadro di delitti e di sventure»; ma in altri scritti, come il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, storia universale redatta in antitesi con le concezioni provvidenziali degli eventi, e le Annales de l’Empire, non è assente la fede nel progresso.

Nei suoi ultimi anni Voltaire si rifugiò nel castello di Ferney, al confine tra la Francia e Ginevra, e di lì orchestrò una campagna di stampa per il trionfo delle riforme, dall’abolizione della pena di morte alla revoca dei diritti feudali e, sia pure in forme moderate, fu l’interprete privilegiato della crisi dell’antico regime. Morì a Parigi nel 1778, dove la pubblica apoteosi riservata al patriarca del partito filosofico si caricò di tutte le aspirazioni del terzo stato, nell’imminenza della rivoluzione.

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