Welfare state

Dizionario di Storia (2011)

welfare state


(ingl. «Stato del benessere») Espressione entrata nell’uso in Gran Bretagna negli anni della Seconda guerra mondiale, indica il complesso (detto anche Stato sociale) di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato che interviene, in un’economia di mercato, per garantire assistenza e benessere ai cittadini, modificando e regolamentando la distribuzione dei redditi generata dalle forze del mercato. Fino alla Rivoluzione industriale gli interventi di protezione sociale si manifestarono come assistenza alla povertà, mentre nel corso del 19° sec., a seguito del processo di industrializzazione e del sorgere della «questione sociale», si definì un sistema di assicurazioni sociali per fronteggiare le situazioni di disagio dei lavoratori e costruire il consenso sociale. Fino alla me­tà del 20° sec. gli interventi vennero indirizzati a determinate categorie sociali. I primi provvedimenti a carattere universale (anticipati negli anni Trenta dal New deal negli USA e dai governi socialdemocratici in Svezia) furono attuati in Gran Bretagna con il piano Beveridge (1942), che estendeva la protezione a tutti i cittadini indipendentemente dai contributi versati, e con l’introduzione (1946-48) del sistema della sicurezza sociale, affermatosi negli anni Sessanta e Settanta anche negli altri Paesi industriali. Dagli anni Ottanta del 20° sec. il w.s. si è ridimensionato, poiché la sua universalizzazione e l’allungamento della vita media hanno provocato un’eccessiva espansione della spesa pubblica. Gli obiettivi del w.s. sono: assicurare un tenore di vita minimo a tutti i cittadini, dare sicurezza a individui e famiglie in presenza di congiunture sfavorevoli, garantire a tutti i cittadini l’accesso ai servizi fondamentali, come per es. istruzione e sanità. I suoi strumenti sono corresponsioni in denaro, in partic. nelle fasi non occupazionali del ciclo vitale (vecchiaia, maternità ecc.) e nei casi di incapacità lavorativa (malattia, invalidità, disoccupazione ecc.); erogazione di servizi in natura (per es., istruzione, sanità, abitazione ecc.); concessione di benefici fiscali (per carichi familiari, acquisto di un’abitazione ecc.); regolamentazione di certi aspetti dell’attività economica (per es., locazione di abitazioni a famiglie a basso reddito, assunzione di invalidi ecc.). Da un punto di vista teorico-speculativo, si distinguono due possibili modelli di protezione sociale: il modello «bismarckiano», che prende il nome dal cancelliere tedesco O. von Bismarck, il quale introdusse (1883-89) la prima forma di assicurazione sociale per i lavoratori dell’industria, e quello «beveridgiano», dal nome di W.H. Beveridge, l’economista inglese che, come si è detto, teorizzò un sistema di sicurezza sociale esteso a tutti i cittadini dello Stato. Nel primo modello è centrale il principio per cui le prestazioni previdenziali sono finanziate esclusivamente mediante la contribuzione versata dai lavoratori (che ne saranno poi i destinatari) e sono proporzionate ai livelli di reddito raggiunti; invece il secondo modello prende a riferimento come soggetto protetto non il lavoratore ma il cittadino, attraverso la predisposizione di un sistema di tutela universalistico finanziato mediante la fiscalità generale. Nella realtà politica degli Stati europei si riscontrano, piuttosto, differenti ibridi di tali modelli.

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