HERZOG, Werner

Enciclopedia del Cinema (2003)

Herzog, Werner

Altiero Scicchitano

Nome d'arte di Werner Stipetic, regista cinematografico e teatrale tedesco, nato a Sachrang (Baviera) il 5 settembre 1942. Poeta di folli avventure condannate in partenza, con Aguirre ‒ Der Zorn Gottes (1972; Aguirre furore di Dio) si affermò come uno dei maggiori esponenti del Neuer Deutscher Film. Il suo primo film Lebenszeichen (1968) era stato accolto al Festival di Berlino con il premio speciale della giuria per l'opera prima. H. ha ottenuto poi due riconoscimenti al Festival di Cannes: nel 1975 per il film Jeder für sich und Gott gegen alle (1974; L'enigma di Kaspar Hauser) ha avuto il Gran premio speciale della giuria, e nel 1982 il Premio per la regia di Fitzcarraldo.

Trascorse l'infanzia in una sperduta fattoria bavarese e a undici anni si trasferì con la madre a Monaco, dove frequentò il ginnasio. Dopo un lungo viaggio in Iugo-slavia e Grecia iniziò giovanissimo a progettare film e scrivere sceneggiature, realizzando alcuni cortometraggi nei primi anni Sessanta. Tra il 1964 e il 1966 soggiornò negli Stati Uniti e in Messico, mantenendosi con difficoltà; tornato in patria, debuttò nel lungometraggio con Lebenszeichen. Tra i suoi lavori successivi si sono segnalati Auch Zwerge haben klein angefangen (1970; Anche i nani hanno cominciato da piccoli), che si avvaleva di attori non professionisti, tutti nani, e Land des Schweigens und der Dunkelheit (1971; Il paese del silenzio e dell'oscurità), ritratto di una sordocieca, Fini Straubinger. Con Aguirre ‒ Der Zorn Gottes H. si impose definitivamente: il film narra l'impresa parzialmente autentica del conquistador Don Lope de Aguirre, che scompare nella foresta amazzonica alla ricerca del leggendario El Dorado, e segnò l'inizio della collaborazione con l'attore Klaus Kinski, sorta di alter ego stralunato e violento del regista. Con Kinski H. girò altri quattro film: Nosferatu ‒ Phantom der Nacht, noto anche come Nosferatu ‒ Fantôme de la nuit (1979; Nosferatu, il principe della notte), Woyzeck (1979), Fitzcarraldo e Cobra verde (1987). Al difficile rapporto con l'attore e alla sua personalità istrionica e caratteriale, H. ha dedicato un documentario, Mein liebster Feind ‒ Klaus Kinski (1999; Kinski ‒ Il mio nemico più caro). Altra figura importante del cinema di H. è l'attore non professionista Bruno S. (Bruno Schlenstein), il povero di spirito protagonista di Jeder für sich und Gott gegen alle e di Stroszek (1977; La ballata di Stroszek).

Nel 1974 H. intraprese un viaggio a piedi da Monaco a Parigi per andare a trovare Lotte H. Eisner, collabo-ratrice della Cinémathèque française e madrina del Neuer Deutscher Film. Dal pellegrinaggio verso l'amica malata trasse un libro-diario, Vom Gehen im Eis: München-Paris 23.11. bis 14.12.1974 (1978; trad. it. Sentieri nel ghiaccio, 1980). È solo uno dei tanti aneddoti che illustrano la vita e l'opera di H., ambedue intese come sfida costante alle leggi umane e naturali, costellate di imprese impossibili, tanto fascinose e moralmente ambigue quanto votate al fallimento. Emblematica in tal senso la figura del soldato Aguirre che, ribellatosi alla Corona di Spagna, uccide il proprio superiore e trascina i compagni attraverso le Ande e la foresta amazzonica verso il mitico Paese dell'oro. Durante la navigazione, la malattia e nemici invisibili sterminano il piccolo esercito, finché Aguirre rimane solo su una zattera alla deriva invasa da scimmiette, ultimi sudditi di un dittatore pervaso dal delirio di onnipotenza, dall'ossessione di mettere in scena la Storia come altri mettono in scena uno spettacolo teatrale, come sottolinea lo stesso personaggio. All'epoca, il film fu interpretato come metafora del nazismo (cupa presenza implicita nella sua opera, che H. ha affrontato direttamente in Invincibile, 2001) e l'equazione Aguirre-Hitler ricevette l'avallo dello stesso regista. Ma il cinema di H. è da vedersi anche come l'autoritratto di un regista tormentato ‒ da molti definito il più romantico del Neuer Deutscher Film, con evidenti influssi dell'Espressionismo, e in particolare dell'opera di Friedrich Wilhelm Murnau ‒ e in preda a continue (e forse ricercate) difficoltà produttive, a tensioni con troupe e attori, a condizioni di riprese avventurose fino all'estremo limite fisico, spesso ambientate in esterni inospitali (deserto, montagna, fiume). Il film diventa così un oggetto inafferrabile, in bilico tra finzione e documentario, come in Fitzcarraldo, che narra la scalata di un battello sui fianchi di una montagna, effettivamente realizzata tra violentissimi litigi con Klaus Kinski e accuse di sfruttamento degli indios, in modo tale che la fatica di Sisifo viene rivissuta doppiamente, sullo schermo e nella vita. La ricerca visionaria di una sacralità del paesaggio e l'idea di un cinema come testimonianza del perdurare di civiltà millenarie sull'orlo della scomparsa contraddistinguono anche la notevole attività documentaristica di H., che la componente deliberatamente mitica (e la sussistenza, in taluni casi, di un esile filo narrativo, puro pretesto a giustificazione del viaggio) rende di fatto inclassificabile: dalla rivisitazione del Popol Vuh in Fata morgana (1971), ambientato nel Sahara, in Kenia, Tanzania, nei Paesi del Golfo della Guinea e nelle Canarie, all'Australia degli aborigeni in Wo die grünen Ameisen träumen (1984; Dove sognano le formiche verdi), dalla Patagonia di Schrei aus Stein (1991; Grido di pietra) al Kuwait martoriato dalla guerra del Golfo in Lektionen in Finsternis (1992; Apocalisse nel deserto).

Tutti i personaggi di H., anche i più segnati da volontà di potenza, non sembrano padroni delle proprie azioni, ma attraversati dal destino, come Kaspar Hauser, interpretato dall'alienato Bruno S. Non a caso, in Herz aus Glas (1976; Cuore di vetro), tra paesaggi ispirati all'opera del pittore C.D. Friedrich, deambulano personaggi interpretati da attori non professionisti parzialmente sotto ipnosi. Pazzi, storpi, violenti, nani, sordociechi sono l'umanità deviante che la società ha rimosso e che H. fa riemergere alla luce, con tutta la sua carica sofferente e contraddittoria di tenerezza (Land des Schweigens und der Dunkelheit) e crudeltà (Auch Zwerge haben klein angefangen), ma anche portatrice di una percezione 'diversa' del reale, che la cinepresa osserva intensamente, nella sua qualità di ottusa fisicità, interrogandone la perturbante essenza. Così come fissa gli occhi iniettati di sangue e malinconici di Kinski/Nosferatu, mostro per eccellenza del cinema tedesco, e che H., pur memore della lezione di Murnau, trasforma in dolente maschera di una condizione umana che la cultura borghese ha preferito occultare.

Bibliografia

F. Grosoli, Werner Herzog, Firenze 1981, 2000³.

Werner Herzog, a cura di E. Monteleone, Venezia 1981.

E. Carrère, Werner Herzog, Paris 1982.

R. Fischer, P. Taggi, J. Hembus, Il nuovo cinema tedesco, 1960-1986, Roma 1987, passim.

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