Yin e yang

Dizionario di filosofia (2009)

yin e yang Termini cinesi usati per esprimere ogni sorta di relazione dialettica fra due o più cose, processi, fenomeni, ecc., risultante dalla unicità e al contempo dalla essenziale natura mutevole del tutto e quindi di ogni singola entità. Non si tratta di rigorose e rigide categorie ontologiche, giacché una stessa cosa può essere naturalmente sia yin sia yang, come manifestazione di una particolare relazione in una determinata circostanza od occasione. L’etimo di yin e yang rivela, più di altri casi, l’immagine e il senso recati dall’uso invalso dei due termini: yin in origine indicava il versante oscuro, adombrato, settentrionale e yang quello luminoso, assolato, meridionale di una stessa collina o altura. Così yin e yang affermano il legame necessario fra le cose, certo per distinguerle singolarmente, ma soprattutto per denotare la natura mutevole delle loro relazioni. Il cosmo stesso è stato generato dal dao (➔), proprio in virtù della interazione di yin e yang, cosicché questa attività è senza fine, è un modus essendi del dao medesimo. Tutto è dunque inteso e si manifesta secondo la dinamica relazione di yin e yang, evidente e immediatamente percepibile in ogni rapporto di complementarità, come per es. quelli di terra-cielo, autunno-primavera, inverno-estate, notte-giorno, inazione-azione, femmina-maschio, ministro-sovrano, sotto-sopra, ecc. Non è una condizione o uno stato immutabile, assoluto; ma, al contrario, il mutamento è la comune certezza: il ministro è yin rispetto al sovrano, ma è yang in relazione ai sudditi; e così ancora, yin dell’autunno lentamente e inesorabilmente diviene yang della primavera e così in una perpetua continuità. Ogni cosa o fenomeno, diversamente detto, ha in sé il seme della propria alterità, non per esaurirsi in essa, ma per affermare sempre e ovunque il mutamento e la continuità del tutto. È evidente come tale concezione risulti radicalmente lontana da qualsivoglia dottrina dualistica, così familiare invece alla tradizione metafisica occidentale, che al mutamento di ogni realtà contrappone per l’appunto la trascendenza e l’immutabilità dell’assoluto, all’apparenza degli esseri fenomenici la sola realtà dell’essere supremo, alla molteplicità delle cose l’unicità e indivisibilità dell’Uno. Intorno al 3° a.C., la consolidata dottrina di yin e yang si mescolò sia con quella delle «cinque fasi» (wu xing), ossia legno, fuoco, terra, metallo e acqua, sia con quella degli «otto trigrammi» (bagua) e dei 64 esagrammi del Classico dei mutamenti (Yijing, ➔), sviluppando un complesso e armonico sistema cosmologico di correlazioni a cui tutto è in ultima analisi riconducibile. L’azione di yin e yang dispensa a ogni cosa del cosmo i benefici di tale armonia, sicché l’ordine naturale, con la ciclicità dei propri cambiamenti, diffonde ovunque stabilità e continuità. L’agire stesso dell’uomo influisce direttamente e sensibilmente sulla stabilità dell’armonia cosmica, tanto che all’insorgenza di qualsiasi calamità naturale o anche di ogni rivolta umana lo sguardo di tutti si volge spontaneamente alla condotta dell’imperatore, uomo per eccellenza e quindi assoluto custode umano proprio di quell’ordine. La dottrina di yin e yang è comune alla civiltà cinese in tutta la ricchezza delle sue espressioni; tuttavia ha avuto uno sviluppo singolare e unico tanto nel taoismo, e in partic. nella scuola dei Maestri celesti (Tianshi dao) e nell’«alchimia interiore» (neidan), quanto nella tradizione confuciana sia di epoca Han (secc. 3° a.C


3° d.C.) sia di epoca Song (secc. 10°-13°).

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