ZOOTECNIA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Zootecnia

Alessandro Giorgetti

(XXXV, p. 1014; App. II, ii, p. 1140; III, ii, p. 1148; IV, iii, p. 873; V, v, p. 830)

Negli ultimi anni in campo zootecnico sono stati compiuti enormi progressi nei settori dell'alimentazione e della nutrizione animale, della genetica, della riproduzione, delle tecnologie di allevamento, fino alle applicazioni biotecnologiche, che hanno rivoluzionato la gestione dell'allevamento e consentito incrementi quantitativi poderosi delle produzioni, spesso accompagnati da sensibili miglioramenti degli aspetti qualitativi delle stesse.

Per es., si può ricordare che la razza bovina Frisona, detentrice di tutti i record di produzione di latte, alla fine dell'Ottocento aveva produzioni intorno ai 1600÷1800 kg per lattazione, mentre oggi, nei paesi temperati, si superano agevolmente i 7000 kg, e sono frequenti allevamenti con medie di stalla intorno ai 10.000 kg; i valori europei di un secolo fa sono oggi superati anche in zone climatiche svantaggiate per la produzione del latte, come quelle intertropicali, dove si possono registrare valori superiori ai 2000 kg per lattazione, sempre che siano garantite adeguate norme igieniche e l'alimentazione sia corretta, da un punto di vista quantitativo e qualitativo. Esempi analoghi si possono fare per quanto concerne la produzione della carne: nei bovini specializzati sia l'incremento medio di peso giornaliero sia l'indice di conversione degli alimenti sono migliorati, dall'inizio del 20° secolo, quasi del 50% e nei suini quasi del 100%. In campo avicolo, agli albori del secolo, la razza Livornese bianca era in grado di deporre non più di un centinaio di uova all'anno per gallina; oggi la produzione media si avvicina alle 300 uova l'anno. Nei polli da carne il consumo di alimenti per chilogrammo di incremento di peso è diminuito di circa il 60%, e il raggiungimento del peso di macellazione avviene in un tempo due volte inferiore rispetto a 100 anni fa.

Questi progressi non sono dovuti a una determinata scoperta scientifica o a un'applicazione tecnologica innovativa in un settore specifico. Rappresentano piuttosto il risultato di progressivi sviluppi paralleli nella genetica, nella nutrizione animale, nella medicina veterinaria e nelle tecnologie di allevamento che, insieme, hanno contribuito al miglioramento delle produzioni, talora con piccoli passi, talaltra con grandi salti innovativi, spesso in relazione a parallele evoluzioni di discipline legate alle scienze mediche umane. Queste, a loro volta, hanno tratto spunto dalle esperienze condotte in campo zootecnico: basti pensare alle nuove frontiere della riproduzione, e in particolare all'inseminazione strumentale, alla fecondazione in vitro, al trasferimento embrionale e alla pseudoclonazione, tecnologie ormai acquisite nell'allevamento animale e che hanno invece un'applicazione limitata in campo umano (v. biotecnologia, App. V e in questa Appendice). Queste nuove tecnologie, e ancora di più le possibilità di manipolazione genetica, hanno aperto una serie di problemi di natura etica la cui soluzione, che rappresenta una delle sfide principali del nuovo millennio, vedrà probabilmente ridisegnare i rapporti tra uomo e scienza, al fine di conciliare un progresso scientifico e tecnologico sempre più veloce con una maturazione individuale e collettiva che si muove con tempi e valori differenti (v. bioetica, in questa Appendice).

Evoluzione dell'agricoltura e innovazioni tecnologiche

Le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche, che rappresentano il substrato sul quale è stata costruita la z. industriale, sono state a loro volta favorite dall'evoluzione nell'intero comparto agricolo e più in generale nell'organizzazione del lavoro e nella società; hanno rappresentato perciò, da un lato, la risposta ai mutamenti in atto e, dall'altro, il motore che ha alimentato o accelerato tali trasformazioni.

L'agricoltura dei paesi sviluppati ha subito nel corso del 20° secolo profonde modificazioni che hanno portato verso una meccanizzazione sempre più spinta, una drastica diminuzione del numero degli addetti, una progressiva specializzazione aziendale e produttiva. In campo zootecnico questi mutamenti hanno determinato due ordini di risultati, non sempre positivi. Il primo è la forte e progressiva perdita di importanza degli animali da lavoro: il cavallo in Europa settentrionale, nel Regno Unito e nell'America Settentrionale; il bovino di razze da lavoro nell'Europa centrale e meridionale. Il cavallo ha subito una drastica diminuzione di importanza, anche numerica, ed è stato relegato essenzialmente in un ruolo sportivo o ludico. Nella specie bovina sono state favorite le razze specializzate per la produzione della carne o del latte, mentre hanno subito un forte ridimensionamento, fino ad arrivare in certi casi alla quasi estinzione, alcune razze rustiche a duplice o triplice attitudine, fornitrici di soggetti da lavoro, oggi praticamente scomparsi ma che in tutta la prima metà del 20° secolo avevano avuto una grande importanza economica nell'ambito di una z. che faceva perno sull'azienda agraria tradizionale. Anche l'allevamento dei suini e degli avicoli ha subito una profonda trasformazione, da attività agricola ad attività tipicamente industriale, con la nascita e l'affermazione dei cosiddetti allevamenti senza terra, dove l'alimentazione degli animali è svincolata dalle produzioni aziendali (che spesso non esistono) ed è generalmente basata su preparati dell'industria mangimistica. Infine, gli ultimi decenni hanno visto il maturare dell'acquacoltura come attività tipicamente zootecnica, svincolata dalla pesca. L'esempio dell'Italia è emblematico di questi mutamenti: la scomparsa della mezzadria, che ha determinato una profonda crisi delle razze bovine a duplice attitudine (carne e lavoro), la politica comunitaria e la diffusione della meccanizzazione hanno determinato l'affermazione delle razze da latte, e in particolare della Frisona, che rappresenta oggi l'elemento portante della bovinicoltura nazionale. Così alcune razze bovine autoctone sono praticamente scomparse e altre sono quasi giunte alla soglia dell'estinzione; resistono, con alcuni segni di ripresa collegati a una sempre più pressante richiesta di prodotti di qualità, alcune razze a sviluppo tardivo (emblematiche la Piemontese, la Chianina e la Marchigiana), che in anni recenti hanno iniziato a interessare anche mercati stranieri per le ottime caratteristiche sensoriali e dietetiche delle loro carni. Anche l'ovinicoltura si è in gran parte orientata verso razze a maggiore attitudine lattifera, e lo stesso si è registrato nell'allevamento caprino. Sia nel settore avicolo sia in quello della suinicoltura si sono affermate razze specializzate di provenienza straniera, e soprattutto ibridi commerciali più idonei ai nuovi sistemi di allevamento caratterizzati da uno spinto livello tecnologico. A causa delle profonde trasformazioni di tutto il comparto agricolo, sono praticamente scomparsi l'asino e il mulo, che, come il bue, bovino castrato di razze da lavoro o ad attitudine multipla, avevano accompagnato l'uomo per secoli. In poco più di mezzo secolo in Italia si è quindi profondamente trasformata la composizione etnica del patrimonio animale allevato, in termini sia di incidenza percentuale delle diverse specie, sia di tipi genetici all'interno delle specie (50 anni di meccanizzazione agricola, 1995).

Il secondo punto cruciale dell'evoluzione agrozootecnica, strettamente correlato alla specializzazione produttiva, sia per quanto riguarda i genotipi allevati sia per l'organizzazione aziendale, è rappresentato dalla dicotomia nei sistemi di allevamento, particolarmente marcata in Italia ma presente anche in altri paesi: da un lato la progressiva concentrazione della z. intensiva, sempre più meccanizzata e tecnologicamente evoluta, nelle zone di pianura più favorite, in termini sia di fertilità, sia di infrastrutture e di servizi; dall'altro lo sviluppo dell'allevamento estensivo nelle aree marginalizzate di collina e di montagna con specie e razze autoctone, rustiche. È in questo stesso ambito che, accanto alla diffusione dell'ovinicoltura e della bovinicoltura da carne, si è registrato anche il sorgere di forme più o meno estensive di allevamento o di gestione razionale di ungulati selvatici (cinghiale, cervo, daino, capriolo), sia per la produzione della carne sia con finalità turistiche o turistico-venatorie.

L'evoluzione della z. registratasi in Italia ha molti punti in comune con quella, in alcuni casi pressoché contemporanea, in altri precedente o di poco successiva, registratasi negli altri paesi sviluppati. In molte aree del mondo in via di sviluppo si stanno invece vivendo oggi le vicissitudini legate alle trasformazioni del sistema produttivo e i problemi connessi già affrontati dall'Italia negli ultimi decenni. È auspicabile che in tali paesi si faccia tesoro degli errori compiuti nei paesi industrializzati, in vista di una migliore salvaguardia delle popolazioni animali autoctone, della conservazione della biodiversità e più in generale della salvaguardia biologico-ambientale.

Alimentazione e nutrizione animale

La scienza dell'alimentazione e della nutrizione animale si è sviluppata grazie agli enormi progressi verificatisi parallelamente nella chimica biologica e nella fisiologia animale. I settori più significativi sono quelli relativi all'approfondimento delle conoscenze sulla composizione chimica degli alimenti, sul loro valore nutrizionale e sul metabolismo animale; alla valutazione dei fabbisogni nutritivi per le diverse specie e per le diverse produzioni; alla scoperta delle funzioni delle vitamine e degli oligoelementi; al chiarimento delle funzioni del rumine. Tali settori hanno contribuito a far luce sui tanti punti oscuri che caratterizzavano l'allevamento nel secolo scorso e a dare dignità di scienza alla nutrizione animale, prima basata su conoscenze in gran parte empiriche.

Anche se l'importanza dell'alimentazione è nota fin dalle epoche più remote, è relativamente recente la piena comprensione del fatto che l'ottimizzazione delle produzioni presuppone un'alimentazione 'corretta' diversa a seconda della specie, della razza, dell'attitudine produttiva, e che ciò a sua volta necessita di conoscenze approfondite sia dei reali fabbisogni nutritivi degli animali, sia della composizione chimica degli alimenti e dei processi di trasformazione a cui questi vanno incontro nell'organismo. La scienza della nutrizione ha dato risposte sulle modalità di tali trasformazioni e sul significato metabolico delle diverse sostanze assorbite, tanto che oggi siamo in grado di alimentare correttamente tutte le specie domestiche e conoscere a priori il risultato, in termini produttivi, dell'impiego di una certa dieta per una certa categoria di animali.

Il valore nutrizionale degli alimenti e i fabbisogni nutritivi degli animali. - Tra i diversi parametri che descrivono un alimento, quello più importante è il valore nutritivo, che esprime la quantità di energia effettivamente disponibile per un animale.

È in primo luogo necessario considerare i diversi passaggi ai quali l'energia di un alimento è sottoposta prima di essere utilizzata dall'animale: dall'energia lorda (EL), contenuto energetico totale misurabile in bomba calorimetrica, all'energia netta (EN), unica quota effettivamente disponibile per l'animale, attraverso le due tappe intermedie: energia digeribile (ED) ed energia metabolizzabile (EM), in corrispondenza delle quali si hanno perdite, materiali e/o energetiche. L'energia netta, che rappresenta solo una parte, generalmente inferiore al 50%, dell'energia lorda, viene utilizzata dall'animale in primo luogo per il mantenimento delle proprie funzioni vitali (metabolismo basale, termoregolazione, attività fisica volontaria). Solo la parte eventualmente eccedente tale quota può essere impiegata per scopi produttivi; da qui la distinzione, comune nel razionamento degli alimenti per animali, tra quota di mantenimento e quota di produzione.

Nonostante il buon livello di conoscenze su questi argomenti già raggiunto nella prima parte del 20° secolo, da un punto di vista applicativo tutto rimase sostanzialmente immutato fino ai primi anni Cinquanta. Si deve a K.L. Blaxter (1919-1991) l'avvio di un processo di rinnovamento nelle scienze della nutrizione di importanza pari a quello compiuto mezzo secolo prima da O. Kellner; egli infatti mise in luce e spiegò la variabilità, spesso rilevante, nell'ambito di uno stesso alimento, dell'energia metabolizzabile e dell'energia netta. Già E.B. Forbes negli anni Trenta aveva evidenziato che l'energia metabolizzabile di un alimento non è costante ma diminuisce con l'aumentare del livello nutritivo, cioè con la quantità di alimento consumato, e che, parallelamente, l'incremento metabolico unitario dello stesso alimento aumenta all'aumentare dell'ingestione; di conseguenza l'energia netta unitaria dello stesso alimento diminuisce a mano a mano che aumenta il livello nutritivo. Blaxter approfondì e ampliò queste tematiche nella seconda metà del Novecento e verificò che l'efficienza di utilizzazione dell'energia metabolizzabile in energia per il mantenimento e per l'accrescimento aumenta in maniera pressoché lineare in funzione della concentrazione nutritiva di un alimento, cioè del rapporto tra energia e sostanza secca della stessa. Invece il rendimento di trasformazione dell'energia metabolizzabile in energia netta per la lattazione evidenzia un aumento, per valori compresi tra 5 e 10 MJ di energia metabolizzabile per kg di sostanza secca, e poi una diminuzione. Le ricerche della scuola di Forbes prima e di quella di Blaxter poi dimostrarono un concetto acquisito pienamente solo nella seconda metà del 20° secolo: l'energia netta (o valore nutritivo) di un alimento non è una sua proprietà intrinseca ma varia in funzione della quantità di alimento consumata e del tipo di produzione, oltre che, come era già noto, in funzione della specie animale utilizzatrice (Borgioli 1983, 1985²).

Negli ultimi anni sono stati anche messi in luce effetti associativi tra i diversi alimenti componenti una dieta mista: in molti casi l'associazione tra un alimento facilmente digeribile e a elevato valore nutritivo con un altro, povero e scarsamente digeribile, si traduce in un miglioramento energetico complessivo; in altri casi si può avere un peggioramento complessivo. Di conseguenza il valore nutritivo di una dieta mista spesso non è la semplice media ponderata del valore nutritivo dei singoli costituenti.

La qualità proteica e le moderne espressioni del valore nutritivo. - Oltre alle innovazioni indotte da Kellner e da Blaxter, un terzo momento significativo nella corretta interpretazione del valore nutritivo degli alimenti è stato il riconoscimento dell'importanza del contenuto azotato anche per i ruminanti e delle interrelazioni tra energia e proteina.

A partire dalla seconda metà del Novecento, gli studi sul valore proteico degli alimenti cominciarono ad andare di pari passo con quelli sul valore energetico. Su queste basi sono stati messi a punto diversi sistemi di valutazione ancora in vigore; i primi, nati negli anni Sessanta e Settanta, sono stati quello britannico dell'energia metabolizzabile, direttamente basato sugli studi di Blaxter, e quello francese dell'INRA (Institut National de la Recherche Agronomique), sempre basato, sia pure con piccole revisioni, sulle equazioni di Blaxter, ma con espressione in energia netta. Sistemi molto simili sono stati proposti in Svizzera e nei Paesi Bassi. Nei sistemi francese (poi adottato dall'Italia negli anni Ottanta), svizzero e olandese, contrariamente a quello britannico, i contenuti energetici degli alimenti sono espressi in termini di energia netta, sono diversi a seconda del tipo di produzione (carne e latte) e dipendono dal rapporto tra EM ed EL (metabolizzabilità) e dal livello nutritivo; anche i fabbisogni sono espressi come energia netta, di lattazione o di accrescimento-ingrasso. Tutti i sistemi però, compreso quello britannico, prendono in considerazione anche gli aspetti qualitativi della proteina. L'ultimo proposto, che viene dagli Stati Uniti, considera le proteine anche nella sua denominazione: Cornell net carbohydrate and protein system.

Nonostante alcuni sforzi compiuti, non si è riusciti a standardizzare la valutazione degli alimenti e dei fabbisogni nutritivi degli animali, cosicché oggi nel mondo sviluppato vengono usati 4÷5 metodi differenti. È un'eredità che questo secolo lascia al successivo: trovare finalmente un soddisfacente metodo comune di espressione, sia per il valore nutritivo sia per il valore proteico degli alimenti destinati ai ruminanti.

Le tecnologie di allevamento

L'innovazione tecnologica più importante in campo zootecnico è rappresentata dalla cosiddetta stabulazione libera, tecnologia di allevamento sviluppatasi negli USA negli anni intorno alla Seconda guerra mondiale e diffusasi nel mondo per l'allevamento delle vacche da latte e, seppure in minor misura, delle pecore, delle capre e anche delle vacche a prevalente attitudine alla produzione di carne. La stabulazione libera consiste nell'allevamento in stalle aperte, strutture modulari spesso costruite con materiali prefabbricati standardizzati, all'interno delle quali la superficie disponibile per gli animali è organizzata in tre aree: di alimentazione (coperta), di esercizio (scoperta) e di riposo (coperta e delimitata da pareti più o meno estese a seconda del clima).

La stabulazione libera, nei confronti della stabulazione fissa tradizionale, con animali allevati in stalle chiuse e tenuti 'alla posta', consente due ordini di vantaggi. Il primo è di natura economica: si hanno consistenti risparmi nella progettazione e nella costruzione delle stalle e, non meno importanti, nella riduzione della manodopera per accudire gli animali. Il secondo, ancora più importante, è legato al migliore stato igienico-sanitario degli animali, per la maggiore possibilità di movimento e di vita all'aria aperta, anche in questo caso di tipico allevamento intensivo, e di conseguenza per la maggiore possibilità di utilizzazione delle radiazioni solari, in particolare della componente ultravioletta; tutti questi fattori determinano un maggior benessere degli animali, che poi si traduce in un miglioramento delle produzioni. È opportuno sottolineare che la stabulazione libera ha rivoluzionato l'allevamento di bovini da latte, e in molti paesi (tra cui l'Italia) ha segnato il trionfo della razza Frisona.

Il complemento naturale della stabulazione libera per le vacche da latte è rappresentato dalla sala di mungitura, per la raccolta meccanica del latte. La mungitura meccanica, che libera l'uomo da un lavoro faticoso, è più economica della mungitura manuale negli allevamenti medi o medio-grandi e garantisce elevati livelli igienici del prodotto; inoltre rappresenta una buona 'ginnastica funzionale' se correttamente eseguita. Di conseguenza ha avuto un grande sviluppo nell'ultimo trentennio, rivelandosi innovazione tecnologica destinata ad avere un sempre più ampio e capillare sviluppo negli allevamenti da latte, di tutte le specie, in tutto il mondo.

Il miglioramento genetico e le moderne tecnologie riproduttive

È difficile quantificare il contributo della genetica al miglioramento delle produzioni animali. Senza dubbio su queste hanno influito anche i progressi della medicina veterinaria, che hanno permesso di esercitare un miglior controllo delle malattie, e quelli, non meno importanti, nei campi dell'alimentazione e nutrizione animale, e delle tecnologie di allevamento. È comunque indiscutibile che una parte consistente del miglioramento produttivo è dovuta alla selezione genetica e alla possibilità di larga diffusione di genotipi migliorati grazie alle biotecnologie riproduttive. Il genotipo completo di un animale, comprendente milioni di geni, non è per il momento conoscibile, e quindi non si possono avere informazioni sufficienti sul numero, la posizione e il comportamento dei diversi geni che presiedono una produzione; d'altro canto una corretta valutazione genetica è indispensabile alla scelta (selezione), tra tutti gli individui di una popolazione, dei soggetti migliori, portatori dei geni in grado di favorire le migliori produzioni, che devono essere destinati alla riproduzione. Il problema della selezione genetica è stato così risolto negli anni attraverso una stima, il più possibile accurata, del valore genetico di un individuo, per un determinato carattere quantitativo, sulla base delle informazioni che si possono trarre dalle espressioni fenotipiche dell'animale stesso o di suoi parenti.

Nel corso degli ultimi decenni sono stati utilizzati sistemi di valutazione dei riproduttori sempre più perfezionati, che prendono in considerazione le caratteristiche produttive degli ascendenti o della progenie o dei collaterali o più combinazioni di queste, oltre alle caratteristiche proprie dell'individuo.

Tra i metodi classici di valutazione genetica, senza dubbio più affidabili sono quelli che fanno riferimento all'esame delle caratteristiche produttive della progenie (progeny test), perché si tratta di stime 'desuntive', che in un certo modo 'dimostrano' il valore o merito genetico di un riproduttore attraverso la verifica delle performances produttive dei suoi discendenti. Invece la stima che fa riferimento ai soli ascendenti (genealogia) può essere solo 'presuntiva' perché non è dato sapere a priori quanto del valore genetico di un antenato può essere stato ereditato da un discendente, soprattutto quando si considerano caratteristiche che si esprimono in un solo sesso, come la produzione del latte. In altri termini non si può fare molto affidamento su elevate produzioni delle nonne e della madre di un toro per esprimersi con certezza sul 'merito' del toro stesso, che non produce latte, senza verificare, a posteriori, il suo valore esaminando le produzioni di un numero adeguato di figlie; ciò è tanto più vero in quanto la produzione di latte è caratterizzata da valori assai modesti di ereditabilità (rapporto tra varianza genetica e varianza totale) a causa della grande influenza dei fattori ambientali su tale carattere. Per questa ragione i tori delle più importanti razze a prevalente attitudine lattifera sono stati valutati per molti decenni sulla base di prove di progenie. Ma anche su animali, come i maiali, tipicamente da carne, carattere a relativamente elevata ereditabilità, nel quale cioè la quota di variabilità dovuta a cause genetiche ha importanza pari se non superiore a quella dovuta a cause ambientali, le prove di progenie hanno fornito risultati straordinari. In Danimarca per decenni la selezione sulla razza Landrace è stata effettuata attraverso prove di progenie, che hanno determinato un consistente miglioramento della produzione e consentito l'affermazione a livello mondiale di questa razza, pregiata per la produzione di carne povera di grasso sottocutaneo.

Tra i metodi di stima del valore genetico i più moderni e accurati, in particolare per i bovini, specie 'difficile' a causa della distanza tra le generazioni e dello scarso numero di figli per genitore, sono però quelli che prendono in considerazione tutti i fenotipi disponibili di una popolazione: il più diffuso, da una quindicina di anni, è il cosiddetto modello animale BLUP (Best Linear Unbiased Prediction), dal quale sono poi derivati altri sistemi simili utilizzati in anni molto recenti su diverse razze. Questo metodo era stato in realtà proposto da C.R. Henderson della Cornell University già negli anni Sessanta, ma divenne effettivamente applicabile sui tori di razze a prevalente attitudine lattifera solo negli anni Settanta. Infatti, poiché nei sistemi di valutazione come il BLUP si fa ricorso alla matrice di parentela di tutti gli individui di una popolazione, ci si trova spesso a considerare numerosi rapporti di parentela; è evidente perciò che questi sistemi hanno trovato applicazione e sviluppo solo quando sono stati realizzati elaboratori elettronici e pacchetti software adeguati. Recentemente, oltre che nelle razze da latte, metodi assimilabili al BLUP hanno cominciato a essere utilizzati anche nelle razze a prevalente attitudine alla produzione della carne.

Oltre alla selezione, un fattore condizionante il progresso genetico è rappresentato dalle modalità di impiego dei riproduttori. Anche in questo campo sono stati fatti enormi progressi, soprattutto grazie ad alcune applicazioni biotecnologiche. Tra queste la più importante è senza dubbio l'inseminazione strumentale, meglio conosciuta con il termine improprio di fecondazione artificiale (Bonadonna 1981; v. biotecnologia: Le tecniche di fecondazione in vitro, App. V).

Numerosi scienziati hanno studiato la composizione ottimale di mestrui diluitori, consentendo di produrre molte dosi da una sola raccolta di seme; tra questi in particolare merita una menzione G.W. Salisbury della Cornell University (Salisbury, van Demark 1961), che negli anni Quaranta mise a punto un mestruo diluitore a base di tuorlo d'uovo e citrato di sodio, divenuto molto comune in tutto il mondo (Corrias 1988). Tuttavia i progressi più significativi si devono alla scuola britannica di C. Polge e L.E.A. Rowson che per prima, a metà del 20° secolo, mise a punto il metodo di congelamento dello sperma a bassissima temperatura, in azoto liquido (-196°C), svincolando così la riproduzione dai limiti imposti dal tempo e dallo spazio.

L'inseminazione strumentale e il congelamento del seme hanno rappresentato un'innovazione tecnologica di enorme rilevanza per il miglioramento genetico, impensabile fino a pochi decenni fa. Tra l'altro essa ha reso possibile l'ottenimento contemporaneo di un numero adeguato di figlie da uno stesso toro per l'esecuzione di programmi di valutazione genetica che si avvalgono dell'esame delle caratteristiche dei discendenti, e ha consentito un enorme aumento del differenziale selettivo e quindi dell'intensità di selezione (Perry 1960³). La rapida diffusione di questa tecnica in tutto il mondo è in gran parte dovuta alla sua relativa semplicità, accompagnata da risultati comparabili a quelli della monta naturale e da vantaggi economici indiscutibili, oltre a quelli, già ricordati, di tipo genetico. Senza dubbio essa è destinata a essere sempre più utilizzata in futuro, come efficiente strumento di diffusione di genotipi animali migliorati, soprattutto quando saranno risolti i problemi legati al congelamento del materiale spermatico di specie 'difficili', come la suina e, in misura minore, la ovina. Inoltre potrà essere la più rapida via di introduzione di quelle variazioni genetiche risultate positive, ottenute attraverso transgenesi (Polge 1995).

L'uso dell'inseminazione strumentale con seme congelato di provenienza alloctona può peraltro porre il problema della salvaguardia di razze autoctone, scarsamente produttive perché poco specializzate e quindi a rischio di estinzione. Un suo uso non oculato può inoltre comportare il rischio di un'eccessiva parentela tra gli animali componenti una razza-popolazione. Questo rischio può essere peraltro evitato usando, come è la tendenza attuale, un numero elevato di riproduttori, selezionati per caratteristiche diverse e quindi portatori di genotipi sufficientemente diversificati. La stessa tecnica può anche rappresentare un mezzo per la salvaguardia delle razze in via di estinzione e più in generale per la conservazione della biodiversità, se le autorità competenti nei vari paesi avranno l'accortezza di creare apposite banche del seme dalle quali poter eventualmente attingere in futuro.

Un'altra tecnologia riproduttiva importante, che ha raggiunto la soglia di applicabilità commerciale solo alla fine degli anni Settanta, è quella del trasferimento embrionale (TE), o embryo-transfer.

Si devono all'unità di riproduzione animale della Animal Research Station di Cambridge, diretta da sir J. Hammond fino al 1955 e successivamente da T.Mann, alcune delle più importanti scoperte sulle possibilità di applicazione del TE, sull'embriologia dei mammiferi e sulle tecniche di manipolazione genetica in ovocellule ed embrioni di specie zootecniche. Anche se il primo vitello da TE fu ottenuto da E.L. Willet nel 1951 nel Wisconsin (Corrias 1988), la tecnica divenne operativa in gran parte a seguito delle scoperte della scuola di Cambridge. In particolare, alla fine degli anni Sessanta L.E.A. Rowson, R.M. Moor e R.A.S. Lawson (1969) misero a punto metodologie rigorose per l'ottenimento di gravidanze a seguito di TE, e nuovamente Rowson, insieme a I. Wilmut (1973), ottenne il primo vitello derivato da embrione congelato. Negli anni Ottanta, infine, ebbero un grande impulso gli studi sulla possibilità di maturazione in vitro degli ovociti e sulla fecondazione in vitro, che hanno aperto nuove opportunità (Niemann 1995).

I problemi del TE in vivo a livello applicativo sono essenzialmente legati a una relativa complessità e a costi ancora elevati. Ciò dipende dal fatto che le risposte individuali al trattamento superovulatorio sono molto variabili, come variabili sono le percentuali di attecchimento degli embrioni. Nonostante che in questi ultimi anni siano stati fatti molti progressi, soprattutto nel riconoscimento dei fattori più importanti nel determinare il successo o l'insuccesso del TE (qualità degli embrioni, qualità delle vacche riceventi, abilità dell'operatore), molto resta ancora da fare per garantire il contenimento dei costi e una più ampia diffusione della tecnica, con tutto vantaggio per il miglioramento genetico. Molto dipenderà anche dalla piena padronanza dei processi di congelamento-scongelamento degli embrioni e dallo sviluppo ulteriore delle tecniche di produzione in vitro, con particolare riferimento alla maturazione dei follicoli preantrali e alla successiva fecondazione degli ovociti e coltura in vitro degli embrioni (v. anche biotecnologia, in questa Appendice).

L'utilizzazione dei follicoli preantrali, e in particolare dei primordiali, consentirebbe di ampliare enormemente l'accesso al materiale gametico ricavabile da una femmina, con ricadute di grande importanza sia da un punto di vista economico sia da quello del miglioramento genetico e della conservazione della biodiversità.

Le più recenti biotecnologie riproduttive

Negli ultimi anni sono stati fatti tentativi di sviluppo di tecnologie per la predeterminazione del sesso e per la moltiplicazione embrionale. La prima è in stato di sviluppo avanzato solo nei pesci, mentre le ricerche sono ancora relativamente arretrate nel vasto gruppo dei mammiferi, tra cui quelli di interesse agricolo. Infatti il metodo di preselezione del sesso più promettente e applicabile sembra quello della separazione degli spermatozoi con cromosoma X da quelli con cromosoma Y attraverso tecniche di citometria a flusso, che tuttavia forniscono un numero di cellule separate ancora insufficiente per un impiego su larga scala in inseminazione strumentale. La moltiplicazione embrionale, con la separazione in due o più parti di embrioni in stadi precocissimi di sviluppo, è già stata realizzata a livello sperimentale. I futuri sviluppi prevedono l'affinamento delle tecniche per il trasferimento di nuclei dalle cellule totipotenti allo stadio di morula (32÷64 cellule) in ovociti enucleati e quindi lo sviluppo di un numero elevatissimo di gemelli omozigoti, tecniche che finora hanno dato scarsi risultati in termini di vitalità embrionale e spesso una produzione di neonati sovradimensionati (Seidel 1995).

Infine, un settore molto recente riguarda la clonazione (v. App. V e in questa Appendice), meccanismo attraverso il quale si possono ottenere animali con identico patrimonio genetico utilizzando nuclei di cellule differenziate. Nel febbraio 1997 è stato pubblicato un lavoro del gruppo di ricercatori del Roslin Institute di Edimburgo, coordinati da I. Wilmut, in cui si riportano i risultati sull'ottenimento di organismi completi utilizzando nuclei di cellule fetali e addirittura di una cellula adulta di parenchima mammario: la pecora Dolly (Wilmut, Schnieke, McWhir et al. 1997). Fino ad allora si riteneva che le cellule differenziate di un organismo superiore non potessero riconvertirsi in cellule totipotenti, in grado così di dare origine a un intero organismo; la scoperta apre perciò la strada a un insieme di applicazioni, alcune discutibili sul piano etico, delle quali è abbastanza arduo comprendere tutte le implicazioni.

Agrobiotecnologie e produzioni animali

Le moderne acquisizioni nel settore della biologia molecolare hanno innescato un processo rivoluzionario nelle scienze biologiche del quale è difficile intravedere tutte le potenzialità e considerare le varie implicazioni, anche di natura etica. Nel campo specifico delle biotecnologie applicate alle produzioni animali, nel corso degli ultimi vent'anni si sono andati sviluppando altri due importanti settori oltre a quello della sfera riproduttiva: miglioramento delle caratteristiche nutrizionali degli alimenti e incremento delle produzioni delle specie allevate.

Al primo settore si riferiscono strategie riguardanti la manipolazione genetica delle piante coltivate (v. anche ingegneria genetica, in questa Appendice), tendenti alla produzione di foraggere transgeniche, con caratteristiche desiderabili e pressoché universalmente accettate, come la resistenza agli stress climatico-ambientali e alle malattie; e altre che invece pongono seri problemi di accettabilità, come la tolleranza agli erbicidi, per le implicazioni economiche e politiche oltre a quelle, ancora non completamente valutabili, di sicurezza sanitaria. Sempre nello stesso settore appaiono molto interessanti e promettenti i tentativi di migliorare il valore nutritivo e la qualità proteica degli alimenti, sia direttamente attraverso l'introduzione nelle piante foraggere di geni esogeni, sia indirettamente attraverso il miglioramento dell'efficienza della flora batterica ruminale, incrementandone, per es., le capacità cellulosolitiche (Dell'Orto, Cattaneo 1994). Campi di ricerca recenti, che potrebbero avere importanti sviluppi, riguardano il trasferimento di geni batterici, che codificano per le capacità cellulosolitiche, nel genoma degli animali (transgenesi), al fine di aumentare le capacità digestive dei monogastrici nei confronti dei polisaccaridi strutturali.

Si entra così nel complesso e discusso settore della manipolazione genetica, le cui tecniche mirano all'ottenimento di animali transgenici, o comunque geneticamente mutati, più efficienti nella trasformazione degli alimenti, più utili per ottenere produzioni più elevate o di migliore qualità, oppure più resistenti a stress biotici o abiotici. L'incorporazione di geni alloctoni, o addirittura provenienti da microrganismi, nel genoma dei mammiferi è però indubbiamente più ardua dell'incorporazione inversa, che già ha dato ottimi risultati pratici per la sintesi di molecole, come l'insulina, a costi relativamente modesti.

Per introdurre geni estranei nel genoma animale si deve per ora immettere direttamente DNA nel nucleo dell'ovocita immediatamente dopo la fecondazione. Questo metodo non consente di prevedere dove il gene estraneo sarà incorporato, e ovviamente i risultati sono estremamente variabili e scarsamente o per nulla controllabili, oltre al grosso svantaggio che il numero di animali transgenici ottenibili è assai modesto. L'alternativa potrebbe essere la coltivazione di cellule embrionali totipotenti staminali, l'introduzione al loro interno di DNA eterologo e l'utilizzazione, per clonazione, solo di quelle dove l'incorporazione è riuscita in maniera soddisfacente. È però ancora un settore a livello sperimentale che attende ulteriori sviluppi nel nuovo secolo e che comunque necessita di un'adeguata regolamentazione legislativa. Al secondo settore appartengono tecniche di manipolazione della crescita e della composizione corporea, a livello istologico, delle specie allevate. In questo ambito si fa riferimento a strategie che prevedono somministrazione diretta dell'ormone della crescita di origine ricombinante o la stimolazione alla produzione endogena dello stesso ormone attraverso la somministrazione di fattori rilascianti esogeni. Altri approcci coinvolgono la sfera immunitaria, con i tentativi di immunizzazione passiva con anticorpi che si oppongono allo sviluppo degli adipociti e quindi alla deposizione di grasso.

Alcune di queste applicazioni sono fortemente contrastate da ampi settori dell'opinione pubblica e dello stesso mondo della ricerca, tanto che le legislazioni europee hanno provveduto al divieto delle somministrazioni ormonali esogene agli animali in produzione zootecnica. Il progresso scientifico e tecnologico si muove però a una velocità maggiore degli adeguamenti legislativi, e ciò rischia di creare vuoti all'interno dei quali si possono collocare abusi o fattori di rischio. La stessa brevettabilità dei genotipi transgenici apre problemi di natura etica la cui soluzione rappresenta una pesante eredità per le generazioni future.

Produzioni animali e paesi in via di sviluppo

Le innovazioni tecnologiche in campo zootecnico hanno interessato solo parzialmente i paesi in via di sviluppo, in gran parte compresi nella fascia del tropico biologico (±30° di latitudine). Ciò può contribuire a spiegare le produzioni marcatamente inferiori, sia come quantità sia come qualità, che si registrano in questi paesi rispetto a quelli sviluppati, nonostante che l'allevamento rappresenti per molti di questi una voce importante nel PIL, e per alcuni la principale. Le mancate innovazioni sono in gran parte da imputarsi alla povertà di infrastrutture, ai problemi economici, politici e sociali delle comunità, alla carenza di preparazione professionale e di assistenza tecnica. Questi fattori hanno aggravato una situazione già obiettivamente difficile per quanto riguarda le risorse genetiche animali, generalmente di scarso valore produttivo perché raramente coinvolte in programmi razionali di miglioramento, e le risorse alimentari naturali, caratterizzate da scarsità o cattiva qualità delle foraggere (tropico superumido) o da marcata stagionalità nelle produzioni (tropico subumido e semiarido).

Tuttavia, anche laddove le innovazioni tecnologiche hanno trovato spazio e sono state accompagnate da introduzione di materiale genetico alloctono migliorato, non si è raggiunto un livello produttivo paragonabile a quello dei paesi temperati. Un fattore fortemente condizionante e non modificabile è infatti rappresentato dal clima, e in particolare dall'associazione temperatura-umidità. Solo in anni relativamente recenti si sono comprese a fondo le relazioni tra animali e ambiente climatico: la bioclimatologia e la fisioclimatologia sono infatti scienze nate nel Novecento, sviluppatesi in particolare negli ultimi cinquant'anni. Esse hanno permesso di chiarire alcuni motivi di risposte insoddisfacenti di animali di grande valore genetico, e alimentati correttamente, in ambienti climatici tropicali, e le ragioni per cui introduzioni 'affrettate' di germoplasma migliorato in questi ambienti abbiano sortito effetti negativi in termini di produttività e spesso disastrosi per la conservazione della diversità biologica e dell'ambiente.

Le conoscenze di fisioclimatologia, unitamente alle recenti acquisizioni in campo genetico, potranno però determinare sensibili progressi in gran parte dei paesi in via di sviluppo, se la volontà politica e le strategie di sviluppo terranno conto del germoplasma animale e vegetale autoctono e della necessità di coordinamento tra adeguamento infrastrutturale, da un lato, e innovazione tecnologica e miglioramento genetico, dall'altro. Nei paesi tropicali e subtropicali, infine, può avere grande rilevanza l'acquacoltura. L'allevamento delle specie ittiche, sia nelle acque interne sia lungo le coste e addirittura, con tecnologie di avanguardia, in pieno mare (maricoltura), rappresenta probabilmente una delle conquiste più importanti della z. nel 20° secolo, in grado in un prossimo futuro di fornire contributi rilevanti e soprattutto per i paesi caldi, climaticamente favoriti in quest'attività. Se lo sviluppo delle tecnologie di allevamento delle specie acquatiche proseguirà con il ritmo incalzante degli ultimi anni e se sarà possibile l'assorbimento di tali tecnologie nei paesi in via di sviluppo, l'acquacoltura potrà concorrere significativamente ai tentativi di soluzione del problema della fame nel mondo, oltre a rappresentare un fattore importante di conservazione delle specie ittiche e degli ambienti acquatici, interni e marini.

La qualità dei prodotti: una strategia per il Duemila

Il consumatore moderno esprime una crescente domanda di qualità. L'esigenza di produrre alimenti caratterizzati da alti livelli qualitativi, sia dal punto di vista delle caratteristiche sensoriali sia da quello delle proprietà dietetiche, ha coinvolto tutti i settori produttivi alimentari tra cui quello zootecnico. Dopo la corsa verificatasi nei primi decenni del Novecento per aumentare la quantità unitaria delle produzioni, da qualche anno ci si sta rivolgendo verso il miglioramento della qualità, anche perché i surplus nei paesi sviluppati impongono nuove strategie. Da questo punto di vista possono giocare un ruolo importante, non soltanto su scala nazionale, le numerose razze autoctone di specie domestiche, in particolare ruminanti che, sia per caratteristiche sensoriali dei prodotti (carne, latte), sia per caratteristiche di salubrità legate al modesto contenuto in grasso della carne e soprattutto alla qualità dei componenti lipidici, incontrano sempre maggior favore nel consumatore europeo e cominciano a interessare anche z. extracontinentali. Il vecchio principio di 'produrre il massimo' si sta perciò evolvendo nel nuovo 'produrre il meglio al minor costo'. Dopo la 'massimizzazione' delle produzioni, favorita dal miglioramento genetico e dalla tendenza all'estrema specializzazione produttiva delle specie allevate, oggi si ricercano, da un lato, la contrazione dei costi e, dall'altro, produzioni di elevato valore qualitativo che, in risposta alle esigenze del consumatore, possono anche remunerare adeguatamente il produttore. In questa ottica stanno riprendendo vigore le razze o le popolazioni quantitativamente meno produttive, perché meno specializzate, ma fornitrici di alimenti di grande pregio. È un processo lento ma inarrestabile: dopo l'omologazione degli ultimi decenni e il trionfo di pochi tipi genetici nell'ambito delle diverse specie, si va verso la ricerca della specificità, primo vero requisito qualitativo, accompagnata da caratteristiche sensoriali molto elevate e da proprietà dietetiche sicure, in grado di garantire il consumatore. Qualità, perciò, vista non soltanto come 'sicurezza' nel consumo, parametro che dovrebbe essere caratteristico di tutti gli alimenti commercializzati, ma come 'promotrice di salute'.

In un contesto analogo si pongono le moderne produzioni biologiche. La z. biologica, nata in anni recenti, ma già ben organizzata a livello europeo e nazionale, sta aprendo nuove frontiere di imprenditorialità svincolate dalla vecchia legge di massimizzazione delle produzioni, e sta incontrando crescente interesse da parte dei consumatori, sempre più preoccupati della 'sicurezza' di ciò che mangiano. Produzioni di qualità e produzioni biologiche stanno già in questi ultimi anni trovando punti di incontro sempre più stretti. Sarà il 21° secolo che vedrà coniugare queste due tendenze, per alcuni aspetti parallele, con lo sviluppo dei controlli e delle certificazioni in tutte le fasi della filiera produttiva e con la riscoperta, in campo animale, di genotipi locali in gran parte 'dimenticati'.

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