Zoroastrismo

Enciclopedia delle scienze sociali (1998)

Zoroastrismo

Gherardo Gnoli

Introduzione

Col termine 'zoroastrismo' si designa la più antica delle religioni viventi fondate da un profeta della cui storicità non si hanno seri motivi di dubitare: Zoroastro o Zarathustra. La prima di queste forme nominali, passata in tutte le lingue europee, deriva dalla grecizzazione del nome iranico, mentre la seconda, utilizzata da Friedrich Nietzsche, si avvicina di più all'originale Zarathuštra, presente nella raccolta dei testi religiosi che va sotto il nome di Avestā, scoperta presso i Parsi in India da Abraham Hyacinthe Anquetil-Duperron nella seconda metà del XVIII secolo. Altri termini a volte utilizzati per designare questa religione sono 'parsismo' e 'mazdeismo'. Il primo è improprio perché, derivando dal nome dei Parsi o 'Persiani', discendenti delle comunità zoroastriane trasmigrate dall'Iran in India, dopo la conquista araba della Persia nel VII secolo, esclude i loro correligionari non indiani, e cioè gli zoroastriani rimasti per secoli, fino ai nostri giorni, in Iran. Il secondo può essere fuorviante perché, derivando dal nome del dio Ahura Mazdā, finisce implicitamente col negare che sia mai esistita una religione 'mazdea' prima di Zoroastro: il che è tutt'altro che certo. Anzi è possibile che in Zoroastro si debba vedere soprattutto un grande riformatore religioso che fondò una nuova religione sul ceppo di una tradizione tendenzialmente monoteistica dominata dalla figura di una divinità già almeno in parte simile a quella dello Ahura Mazdā zoroastriano.

Zoroastro, secondo ogni verosimiglianza, visse tra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C., probabilmente tra il 618 e il 541, quando l'altipiano iranico, tra le sue regioni più orientali e quelle degli attuali Fars e Azerbagian, era ancora sotto l'egemonia dei Medi e stava per passare sotto quella dei Persiani. Lo zoroastrismo ha quindi una storia di circa 2.600 anni, che ha inciso largamente sulla tradizione religiosa, con profonde trasformazioni nelle pratiche, nelle dottrine e nella relazione stessa della religione con la società e con l'organizzazione statale.

Le fasi principali della storia dello zoroastrismo sono essenzialmente quattro: a) quella dell'insegnamento racchiuso nei 'Canti' (Gāthā) di Zoroastro, cinque composizioni poetiche in complessivi diciassette capitoli della sezione dell'Avestā denominata Yasna ('offerta, sacrificio'); b) quella del periodo del primo Impero persiano, sotto la dinastia achemenide (VI-IV secolo a.C.), e del periodo ellenistico e partico (III secolo a.C.-inizi del III secolo d.C.); c) quella del periodo del secondo Impero persiano, sotto la dinastia sassanide (224-650 d.C.); d) quella del periodo successivo alla conquista araba dell'Iran fino ai nostri giorni, in cui lo zoroastrismo conta circa 120.000 fedeli: più di 60.000 in India, specialmente a Bombay e nel Gujrat; 2.500 in Pakistan; oltre 20.000 in Iran; 10.000 in America del Nord; 7.000 in Gran Bretagna, e altri soprattutto in Australia, Nuova Zelanda, Hong Kong, ecc.

Le fonti

L'Avestā. - La raccolta di testi denominata Avestā, dal mediopersiano Abestāg, di incerta etimologia - forse 'elogio (di Ahura Mazdā)' (Christian Bartholomae) o 'ingiunzione (di Zoroastro)' (Walter Bruno Henning) -, è giunta fino a noi in modo parziale e frammentario. Innanzi tutto si deve tenere presente che i testi che vi sono confluiti, grazie a una canonizzazione del IV secolo d.C., sono diversi per epoca e anche per lingua: i diciassette capitoli che costituiscono i Canti di Zoroastro (Yasna 28-34, 43-46, 47-50, 51, 53), alcune preghiere tradizionali (Yasna 27, 13-15 e 54.1), altri sette capitoli in prosa (Yasna 35-41) sono in una lingua diversa da quella del restante Avestā, più arcaica anche se non sempre necessariamente più antica.La tradizione orale, costantemente curata dal clero zoroastriano, ha avuto un ruolo fondamentale nella trasmissione del testo. L'Avestā quale oggi lo conosciamo risale a una redazione scritta in epoca sassanide mediante un alfabeto creato ad hoc (Harold Walter Bailey, Walter Bruno Henning, Georg Morgenstierne). Non abbiamo alcuna prova certa dell'esistenza di una redazione scritta più antica di quell'epoca. Non è possibile risalire oltre un archetipo del IV secolo, da collocarsi probabilmente sotto il regno di Shapur II (309-379). Lo studio della tradizione manoscritta mostra come si debba risalire a un manoscritto di base del IX secolo (Karl Hoffmann e Johanna Narten), mentre il più antico dei manoscritti noti è del 1288.

Il corpus giunto fino a noi consiste in un insieme di testi e frammenti eterogenei, raccolti per esigenze liturgiche, anche se non sempre di natura rituale. Vi distinguiamo le seguenti parti: 'L'offerta' o 'Il sacrificio' (Yasna), composta da settantadue capitoli da recitarsi durante la cerimonia omonima, dedicata al sacrificio di haoma, il succo di una specie di Ephedra mescolato con una miscela di latte e di un altro vegetale; '(La preghiera a) tutti i patroni' (Wisprad), suddivisa in ventiquattro sezioni, con invocazioni ai 'patroni' (ratu) delle diverse categorie di esseri animati e inanimati; 'Il piccolo Avestā' (Khorda Avestā), breviario per laici utile per le preghiere quotidiane; 'I trenta giorni' (Sīh-rōzag), in due versioni, una breve e una meno breve, dedicati ciascuno a una specifica entità degna di culto (yazata); 'Gli inni' (Yašt), ventuno testi prevalentemente poetici, dedicati a varie entità e molto diversi l'uno dall'altro per struttura, epoca, stile ed estensione; 'La legge di abiura dei demoni' (Widēwdād), una sorta di Levitico dello zoroastrismo, in cui Ahura Mazdā risponde alle domande di Zoroastro, importante, salvo i primi due capitoli, specialmente per le regole di purificazione e le pratiche di espiazione; oltre venti serie di frammenti e testi minori, fra i quali riveste un particolare valore il 'Libro degli scritti' (Hādōkht nask), che tratta della sorte dell'anima dopo la morte.

I libri pahlavici. - La letteratura religiosa zoroastriana in lingua mediopersiana o pahlavica (pahlavī: nel senso di 'eroico, antico'), soprattutto del IX secolo d.C., rappresenta, con l'Avestā, la fonte più importante per lo studio dello zoroastrismo. Oltre allo Zand, e cioè alla versione pahlavica dell'Avestā e al suo commento, sono particolarmente importanti: 'Gli atti della Religione' (Dēnkard), una enciclopedia prevalentemente teologica in nove libri, dei quali sono andati perduti i primi due e gli inizi del terzo, di difficile interpretazione a causa dello stile complesso e oscuro; 'La creazione primordiale' (Bundahišn), in trentasei capitoli che contengono un compendio delle conoscenze sulla cosmogonia, sulle vicende dell'umanità, sulla configurazione della Terra, sugli astri e sulle loro influenze, sull'alternarsi delle stagioni, sul calendario, sulla storia sacra suddivisa in dodici millenni, ecc.; 'Le sentenze religiose' (Dādestān ī dēnīg) e la rivāyat 'tradizione' che le accompagna e 'Le sentenze dello Spirito della Sapienza' (Dādestān ī Mēnōg i Xrad), opere di notevole rilievo teologico e per il pensiero filosofico e morale; 'La soluzione definitiva dei dubbi' (Škand-gumānīg wizār), trattato apologetico che contiene un'interessante critica dell'Islam, del giudaismo, del cristianesimo e del manicheismo; 'Il libro di Ardā Wirāz' (Ardā Wirāz nāmag), definito la 'Divina Commedia iranica', un'opera molto popolare tradotta in varie lingue, integralmente dedicata alla descrizione di un viaggio nell'aldilà compiuto da un uomo giusto che, grazie agli effetti di una pozione di vino e giusquiamo, riesce a separare da vivo la sua anima dal corpo per sette giorni e sette notti e a visitare il paradiso, la zona intermedia e l'inferno e a confermare le principali verità della fede; 'La interpretazione del Bahman Yašt' (Zand ī Wahman Yasn) e 'Il memoriale di Jāmāsp' (Ayādgār ī Jāmāspīg), testi apocalittici; 'Le selezioni di Zādspram' (Wizīdagīhā ī Zādspram) e 'Le lettere di Manuščihr' (Nāmagīha ī Manuščihr), opere che trattano argomenti vari, di cosmologia, di morale, di psicologia, composte alla fine del IX secolo da due sacerdoti fratelli, Zādspram e Manuščihr. A queste si possono aggiungere molte altre opere di argomento religioso o anche profano, come 'Il trattato delle mille sentenze' (Mādayān ī hazār dādestān), fondamentale testo di diritto per l'epoca sassanide.

Altre fonti. - Le fonti primarie zoroastriane continuano ben oltre la fioritura della letteratura pahlavica del IX secolo. Soprattutto presso i Parsi dell'India è fiorita una letteratura religiosa in persiano, in gujrati (lingua indiana del Gujrat) e in inglese fino ai nostri giorni. In persiano, inoltre, ci sono giunte alcune opere di notevole importanza sia per la leggenda di Zoroastro ('Il libro di Zoroastro', Zarātušt nāma, del XIII secolo) sia per la storia della religione in epoca sassanide ('La lettera di Tansar', Tansar nāma, tradotta in persiano da una versione araba di un testo pahlavico).

Ricche di elementi di grande rilievo per la ricostruzione dello sviluppo storico dello zoroastrismo sono anche le fonti epigrafiche iraniche, in particolar modo le iscrizioni degli Achemenidi e dei Sassanidi, come pure le fonti archeologiche e iconografiche, per lo più di difficile interpretazione.

Alle fonti iraniche devono aggiungersi infine le fonti greche (Erodoto, Senofonte, Ctesia, Strabone, Plutarco, ecc.), ebraiche (alcuni passi del Deutero-Isaia, dei Libri dei Re, di Esdra, Nehemia, Ester e Daniele), cristiane (siriache, armene, oltre che bizantine) e arabe; le ultime, cristiane e musulmane, sono spesso fortemente polemiche.

Gli studi sullo zoroastrismo

Le prime notizie su Zoroastro e sui magi risalgono all'antichità classica. Già nel V secolo a.C. si trova un riflesso, in Xanto di Lidia, della dottrina cosmologica dei 12.000 anni (v. sotto) legata alla figura di Zoroastro. L'immagine di Zoroastro che prevalse presso i Greci fu quella che si affermò nell'Accademia platonica: un saggio, caposcuola dei magi persiani, assertore del dualismo. Ben presto Zoroastro venne considerato un conoscitore dei segreti dei due mondi, maestro della 'magia' intesa come culto degli dei, un astrologo, un taumaturgo. Fu sostanzialmente questa la figura di Zoroastro che rivisse nell'Umanesimo e nel Rinascimento, nella tradizione ermetica occidentale e in buona parte nell'Illuminismo.

Presso i cristiani, invece, Zoroastro ebbe alterna fortuna: dalla figura del profeta che aveva preannunciato l'avvento del Messia, facendone il centro dell'insegnamento di cui si avvertiva un'eco nei magi evangelici, all'immagine esecrata di un impostore, esperto di una volgare e menzognera magia, fondatore di un clero che predicava un rozzo e assurdo dualismo, praticava l'incesto (v. sotto) e perseguitava la Chiesa di Cristo. A capovolgere l'immagine di Zoroastro presso i cristiani furono senza dubbio fattori politici determinati dalla contrapposizione di Roma, o di Bisanzio, alla Persia sassanide: i cristiani furono considerati nell'Impero iranico come sudditi infidi o come agenti più o meno occulti della potenza rivale. Verso la fine del XVIII secolo, che si era aperto con la grande sintesi di Thomas Hyde basata su tutte le fonti allora disponibili, Anquetil-Duperron, con la scoperta dell'Avestā, pose le fondamenta del vero e proprio studio scientifico dello zoroastrismo. Da allora in poi la religione di Zoroastro è stata studiata da storici dell'antichità, da filologi esperti nel campo delle lingue indoiraniche, da storici delle religioni. La frammentarietà delle fonti e le enormi difficoltà che in alcuni casi, come in quello delle Gāthā, esse frappongono a una interpretazione filologicamente corretta sono le cause principali della grande varietà di opinioni che ha caratterizzato fino a oggi la storia degli studi su quasi ogni aspetto importante della natura, dello sviluppo e della dottrina stessa dello zoroastrismo. Le opere citate nella bibliografia forniscono un quadro esauriente delle diverse tendenze affermatesi negli studi zoroastriani, da Martin Haug e James Darmesteter fino alla metà circa di questo secolo - contrassegnata dalla polemica di Walter Bruno Henning contro le tesi fondate sulla comparazione etnologica di Henrik Samuel Nyberg - e fino a oggi, e cioè fino al più netto e radicale contrasto sulle origini dello zoroastrismo e sulla storicità stessa di Zoroastro presente, ad esempio, nelle posizioni di Mary Boyce e di Jean Kellens. Caratteristiche di tale varietà di opinioni sono le più note opere di sintesi sullo zoroastrismo e sulle religioni dell'Iran antico, assai diverse anche per impianto, pubblicate a partire dagli anni sessanta da Jacques Duchesne-Guillemin (v., 1962), Marijan Molé (v., 1963), Geo Widengren (v., 1965) e Mary Boyce (v., 1975-1982 e 1987).

Gli aspetti sociali dello zoroastrismo sono stati più volte al centro della ricerca, sotto diversi punti di vista. Nel messaggio delle Gāthā si è voluto vedere il trapasso dalla vita nomade a quella sedentaria (così, tra gli altri, Edgar Reuterskiöld nel 1914), oppure la lotta degli umili e dei poveri contro una proterva aristocrazia guerriera (Antoine Meillet nel 1924, contestato da Otto Gunther von Wesendonk nel 1927). Così pure del dualismo tipico della dottrina zoroastriana, che secondo alcuni sarebbe il riflesso di un'antica contrapposizione di ahura e daiva (asura e deva in India), si è tentato di trovar le tracce in una struttura duale della società, sopravvissuta nei primi secoli dell'Islam in alcune zone dell'Asia centrale (Sergei P. Tolstov nel 1951). Da parte sua Henrik Samuel Nyberg ha posto fortemente in rilievo il ruolo della comunità religiosa nell'Iran antico e nello zoroastrismo primitivo, mentre Stig Wikander nel 1938 si è sforzato di ricostruire un Männerbund ario o indoiranico quale sfondo socioculturale in cui prese forma per contrasto la nuova religione zoroastriana. Successivamente Georges Dumézil ha cercato di spiegare la teologia dello zoroastrismo primitivo coi parametri dell'ideologia tripartita degli Indoeuropei, e quindi con la tripartizione delle classi sociali, in una serie di studi che hanno esercitato una larga influenza anche tra gli iranisti (in particolare Jacques Duchesne-Guillemin, Stig Wikander, Geo Widengren, Marijan Molé).

Il problema della posizione dello zoroastrismo nella vita sociale è stato esaminato soprattutto dagli storici dell'Iran sassanide, come ad esempio Arthur Christensen, per il fatto che fu proprio a partire dal III secolo d.C. che si formò una vera e propria Chiesa di Stato quale uno dei due pilastri - l'altro era la monarchia - sui quali era fondata la società iranica. Gli studi sullo zoroastrismo dopo la conquista araba dell'Iran si sono invece soffermati sul valore della religione quale fattore di coesione etnica e sociale. Perduto il suo ruolo di sostegno al potere politico, esso si trasformò in un potente stimolo alla solidarietà e al mutuo soccorso presso comunità gelose della propria identità sia nell'Iran musulmano sia, in misura ancora maggiore, in India.

La dottrina e il rito

Caratteri essenziali dello zoroastrismo sono un dualismo metafisico, etico e rituale, che pervade tutta la concezione del mondo e della vita, e la venerazione di un dio supremo, Ahura Mazdā ('Il Signore Saggio') nella forma più antica del nome, Ohrmazd nella forma più recente, già attestata in mediopersiano. Ahura Mazdā è un dio creatore e benefico, al vertice di un sistema di entità tra divine e angeliche, nelle quali è possibile scorgere le tracce - almeno in alcune - di un politeismo primitivo. Egli è un nemico implacabile delle potenze malefiche e distruttive che hanno la loro maggiore espressione in Angra Mainyu ('Lo Spirito Malefico'), nella forma antica, e Ahriman in quella più recente e diffusa del nome, principe delle tenebre, non vero e proprio creatore ma piuttosto generatore di una congerie di mostri e fantasmi relegati sul piano virtuale, mentale, ideale dell'esistenza.

Tratto caratteristico del dualismo zoroastriano è infatti, oltre alla lotta di due Spiriti simmetricamente contrapposti (e non quindi dello spirito contro la materia), la distinzione ontologica di due diversi piani dell'esistenza o due diversi stati dell'essere: lo spirituale e il materiale (nella terminologia tecnica pahlavica il mēnōg e il gētīg), considerati non come due mondi incomunicanti ma invece come intimamente connessi da un rapporto di causa (il mēnōg) ed effetto (il gētīg). Lo stato spirituale, che è essenzialmente mentale o ideale, è il seme o il germe di quello materiale o manifestato in una forma di vita che cade sotto i sensi fisici. La perfetta simmetria dei due Spiriti si realizza solo sul piano spirituale ma è spezzata su quello materiale perché Ahriman, essendo per sua natura distruttivo e mortifero, è incapace di trasferire la sua 'creazione' sul piano concreto della vita materiale. In quest'ultimo egli, animato da una incoercibile invidia per la creazione di Ohrmazd, potrà solo cercare di insinuarsi per inquinarlo e contaminarlo con il suo 'assalto' (il termine è tecnico: in pahlavico ēbgat). Per il dualismo zoroastriano la vita umana e universale, di per sé opera positiva del creatore Ohrmazd, è minacciata dai continui tentativi di irruzione di un potere spirituale malefico. Di qui la costante presenza in esso - in tutti i periodi della sua storia ultramillenaria - di un robusto senso morale, che si traduce nella rigorosa osservanza della regola espressa dalla formula tradizionale 'buoni pensieri, buone parole, buone azioni'.

La lotta senza quartiere che ogni fedele seguace della Buona Religione (bēhdin) deve sostenere per opporsi all'aggressione del Male non è fine a se stessa, ma è destinata ad avere un grandioso successo finale. È proprio mediante lo strumento della creazione materiale, che rappresenta una rottura nella simmetria del dualismo, che Ohrmazd riuscirà ad avere il sopravvento su Ahriman. Poiché ogni creazione cade sotto le categorie dello spazio e del tempo, la consumazione del tempo predestinato della durata della stessa creazione (9.000 anni, dopo 3.000 anni iniziali di separazione dei due Spiriti) comporterà l'annientamento di Ahriman. Escatologia e soteriologia sono intimamente connesse nello zoroastrismo. Alla scadenza dei 12.000 anni della storia universale il Male sarà espulso dalla creazione, che vivrà in uno stato di perfetta esistenza spirituale e materiale, dopo un grande giudizio finale.

Per quanto riguarda l'escatologia individuale, lo zoroastrismo prescrive di credere in una esistenza ultraterrena, a cui sono legati un culto delle anime dei trapassati e una complessa ideologia funeraria che dà forma a una speciale pratica rituale. Lo zoroastrismo impone anche di credere al giudizio individuale delle anime, al paradiso e all'inferno, oltre che a una zona intermedia per coloro le cui colpe equivalgono ai meriti, e alla resurrezione dei morti dopo l'avvento del Salvatore venturo (il Saošyant) e il giudizio finale che condannerà ogni forma di male all'annientamento.

L'intera storia della vita e della creazione è suddivisa in tre grandi periodi: l'originario e perfetto; il presente in cui si insinua il potere di Ahriman, che inquina e corrompe ogni manifestazione di vita; il futuro in cui il regno di Ohrmazd vivrà in uno stato di assoluta perfezione. In quest'ultimo terra e cielo si uniranno, il mondo sarà trasfigurato, i corpi saranno luminosi e brillanti, le tenebre saranno dissolte, il fuoco brucerà senza fumo, uomini e donne potranno unirsi senza procreare e non si ciberanno più di carne. Perfino i dannati all'inferno si salveranno, perché potranno tornare sulla terra ormai pura e perfetta accanto ai giusti, una volta che avranno pagato per i loro peccati. L'annientamento finale del Male comporta infatti la fine di ogni tormento e di ogni punizione.

Il dio dello zoroastrismo non agisce da solo ma si serve di una serie di collaboratori, umani, angelici o semi-divini (riflesso, questi ultimi, di antiche divinità pagane, come Mithra e Anāhitā). La concezione di Dio è particolarmente elevata e complessa. Zoroastro concepì Ahura Mazdā come contornato da una corte di virtù a un tempo divine e umane (gli 'Immortali Benefici', Ameša Spenta): 'Buon Pensiero' (Vohu Manah), 'Verità' (Aša), 'Potenza' (Khšathra), 'Devozione' (Ārmaiti), 'Integrità' (Haurvatāt) e 'Immortalità' (Ameretāt). Si tratta a un tempo di astrazioni e di entità, conformemente a una tendenza caratteristica del pensiero religioso zoroastriano, inclini a trasformare in persone concrete concetti teologici astratti.

Pur avendo alle origini tratti che lo contrapponevano nettamente al ritualismo indoiranico, lo zoroastrismo divenne ben presto una religione ritualistica e, nel culto e nelle usanze rituali, fortemente conservativa. Rigide regole di purità rituale, già almeno in parte presenti all'epoca di Erodoto, erano mirate a salvaguardare il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria da ogni contaminazione, effetto dell'assalto di Ahriman. La morte e la sua opera di decomposizione devono essere tenute lontane dagli elementi della creazione divina. Perciò le salme, ad esempio, non possono essere inumate o bruciate perché non è lecito contaminare la terra o il fuoco. Esse devono essere esposte su apposite costruzioni (dakhma) note come 'torri del silenzio' agli avvoltoi che ne consumeranno carni e umori. Le sole ossa vengono conservate in ossari.

A parte il rito funebre, a colpire la fantasia dei non zoroastriani, in particolar modo cristiani o musulmani, è stata certamente la speciale cura del fuoco, il più grande simbolo dello zoroastrismo, venerato come manifestazione della potenza divina e della vita presente in tutto il creato, nel seme umano come in quello animale. Per questi motivi gli zoroastriani furono a volte impropriamente ritenuti adoratori del fuoco, essendo i loro luoghi di culto dei templi o delle 'dimore del fuoco' (ātaškada in persiano).

Oltre al fuoco, la liturgia ha altri due principali protagonisti: il cordone sacro (kusti), simbolo della Religione, con cui l'orante si cinge tre volte la vita per ricordare il triplice impegno per i buoni pensieri, le buone parole e le buone azioni, e lo haoma (così in avestico; in pahlavico hōm), la bevanda che si prepara durante il servizio dello yasna e che il sacerdote consuma alla sua conclusione. In forma edulcorata e simbolica lo yasna conserva nel rito di haoma gli elementi di un antico ritualismo indoiranico (ad esempio il soma in India) che contemplava l'uso di bevande inebrianti e del sacrificio animale, condannato da Zoroastro.

Il rituale abbraccia ogni aspetto della vita; l'individuo è seguito dalla sua iniziazione, all'età di sette anni in India o poco più in Iran, fino alla morte. Significativamente l'iniziazione è definita dai Parsi una nuova nascita (naojot), mentre la morte è concepita come un doloroso e difficile trapasso, pieno di pericoli, verso una nuova esistenza. Numerose sono le pratiche purificatorie alle quali possiamo associare la confessione dei peccati. La liturgia segue naturalmente anche le scansioni del tempo nell'anno, nei mesi, nelle settimane, nei giorni e nelle cinque tempora (gāh) quotidiane che richiedono particolari preghiere. Lo zoroastrismo trasformò antiche feste stagionali che vennero riformate per onorare Ahura Mazdà e i sei Ameèa Spenta. La prima di esse è quella del Capodanno o 'Nuovo Giorno' (nawruz in persiano), verosimilmente un'antica festa di primavera, a cui era tradizionalmente legata la figura di Yima, re dell'età dell'oro.

Sviluppo storico dello zoroastrismo

Lo zoroastrismo, sorto nella prima metà del VI secolo a.C. in una regione orientale dell'altopiano iranico (è difficile essere più precisi), divenne molto verosimilmente - ma la questione è controversa - la religione dei sovrani della dinastia degli Achemenidi durante il primo Impero persiano, non senza subire trasformazioni al contatto con le civiltà del Vicino Oriente, segnatamente con quella mesopotamica, a cui risale la formazione di una tendenza religiosa fondata sulle speculazioni sul tempo-destino che va sotto il nome di zurvanismo (da Zurvān, nome del tempo divinizzato). Dopo le conquiste di Alessandro Magno, che causarono una drastica rottura della tradizione, e il successivo periodo della dominazione dei Seleucidi, lo zoroastrismo riprese un posto di relativa preminenza sotto il regno dei Parti con la dinastia degli Arsacidi (II secolo a.C.-III secolo d.C.), diventando poi la religione ufficiale del nuovo Impero persiano sotto la dinastia dei Sassanidi. È a quest'ultimo periodo che risalgono gran parte dell'assetto dottrinario, la definizione di un canone delle Scritture, l'organizzazione gerarchica del clero dei magi (originariamente, molti secoli prima, la tribù sacerdotale dei Medi). Con la conquista araba, alla metà del VII secolo, si avviò un processo di islamizzazione del mondo iranico che culminò con l'esodo di parte della residua comunità zoroastriana dall'Iran verso l'India, dapprima verso il Gujrat e successivamente, soprattutto nei secoli XVII e XVIII, verso Bombay. Le comunità zoroastriane rimaste nell'Iran musulmano, in un primo tempo specialmente numerose nella provincia del Fars, sono state per secoli concentrate intorno ai centri di Yazd e Kerman, fino a quando, in tempi recenti, non si è costituita anche a Teheran una comunità relativamente numerosa.

Religione conservativa al massimo grado, lo zoroastrismo è passato tuttavia attraverso modificazioni profonde. Sorto con le caratteristiche di un messaggio spirituale propugnante una rivoluzione religiosa e morale non dissimile da quelle del buddhismo e del cristianesimo nei confronti di religiosità ritualistiche e legalistiche, lo zoroastrismo, in origine essenzialmente dualistico e a un tempo monoteistico, non tardò molto ad assorbire forme di religiosità tradizionali dure a morire soprattutto presso i gruppi sacerdotali, che finirono col dare nuova legittimazione a un politeismo sia di matrice iranica sia d'ispirazione straniera, mediante una speculazione teologica tendenzialmente sincretistica ed eclettica. La stessa concezione dualistica originaria, nel contempo etica e metafisica, subì modifiche di rilievo al contatto con la religiosità astrale di Babilonia. La risposta che Zoroastro aveva dato all'eterno problema del male con la concezione, ricca di valore paradigmatico, della scelta tra bene e male compiuta da due Spiriti contrapposti dominati dal Dio creatore della luce e della tenebra, del cielo e della terra, del giorno e della notte, ecc., si affievolì nel suo significato etico, manifesto nel ruolo assegnato all'uomo e al suo libero arbitrio, in una versione sempre più fatalistica del mondo e della vita.Il XX secolo è testimone di un'altra grande trasformazione avviatasi, in verità, già nel secolo precedente, tanto per il contatto della evoluta comunità parsi dell'India con gli studiosi occidentali (vanno menzionati, oltre al francese Anquetil-Duperron nel XVIII secolo, il missionario scozzese John Wilson nella prima metà del XIX secolo e, successivamente, il tedesco Martin Haug e l'americano A.V. Williams Jackson) quanto per l'influsso esercitato sugli spiriti più inquieti di essa, insofferenti verso un tradizionalismo troppo rigido e chiuso alle tendenze spirituali e intellettuali del mondo moderno. Fu così che in questo secolo teosofia, spiritismo e varie forme di occultismo ed esoterismo si diffusero tra gli zoroastriani dell'India, tra i quali prese piede anche la massoneria. Non furono pochi i Parsi che, attratti dai metodi della filologia e della storia, studiarono nelle università europee e americane: tra essi Kharshedji Rustamji Cama che studiò a Erlangen con Friedrich Spiegel. A Cama è intitolata la più importante istituzione parsi non confessionale dedicata allo studio dello zoroastrismo: il K.R. Cama Oriental Institute di Bombay fondato nel 1916, a cui sono state più o meno direttamente collegate molte altre figure di studiosi parsi, quali - tra i molti altri - Jivanji Jamshedji Modi, Maneckji Nusservanji Dhalla, Tehmuras e Behramgore Anklesaria, Kavasji Kanga. Grande influenza ebbe sulla comunità parsi l'opera di Dhalla, discepolo a New York di Williams Jackson e autore di sintesi significative, pervase di spirito religioso e ricche di contraddizioni tra ortodossia e rinnovamento, pubblicate nella prima metà del secolo, sulla teologia e sulla storia dello zoroastrismo. Gli zoroastriani di questo secolo hanno rafforzato l'idea monoteistica a scapito della concezione dualistica, al fine di porre al riparo la loro religione dalle confutazioni soprattutto di cristiani e musulmani. Lo zoroastrismo moderno, però, non ha conosciuto solo travagli teologici. La liturgia, la pratica devozionale, le regole che definiscono l'assetto di una comunità religiosa sentita come essenzialmente etnica (v. sotto) sono state tutte oggetto di revisione e dibattito, in cui si sono scontrati atteggiamenti e mentalità tradizionalistiche e modernistiche.Il campo sul quale si sono maggiormente confrontati tradizionalisti ortodossi e riformisti innovatori è stato quello delle pratiche funerarie e conseguentemente del culto stesso degli spiriti dei morti (fravaši). Molti altri, inoltre, sono stati gli aspetti della religiosità tradizionale che hanno diviso le comunità zoroastriane nei tempi moderni: le pratiche purificatorie, l'assetto del calendario religioso, la concezione etnica e non proselitistica della religione (v. sotto).

Uno spiccato senso del commercio e un'attitudine straordinaria al lavoro sono stati alla base di una crescita economica e politica della comunità indiana ben più fortunata di quella persiana. I Parsi, favoriti dalla coscienza della loro identità etnica, religiosa e culturale, hanno trovato nel governo britannico un naturale alleato, con cui hanno instaurato una collaborazione fruttuosa, ripagata dagli Inglesi anche con il conferimento di titoli nobiliari e di sostanziali privilegi.La fine del dominio britannico ha messo in crisi la posizione politica dei Parsi, che in maggioranza non sono stati favorevoli all'indipendenza, e ha determinato il loro riflusso verso Bombay dai vari posti nei quali erano stati chiamati dall'amministrazione imperiale. Essi non hanno perduto tuttavia la loro posizione di grande rilievo nell'economia dell'India e del Pakistan. In Iran la dinastia Pahlavi aveva favorito, nel quadro di una politica intesa a ricollegarsi culturalmente al passato preislamico e nazionale, il ritorno o l'immigrazione degli zoroastriani. Oggi, dopo la Rivoluzione islamica, essi non sono perseguitati, ma il governo impone loro di adeguarsi alle sue direttive politico-religiose.

Gli aspetti sociali dello zoroastrismo

L'insegnamento di Zoroastro ha un preminente valore etico e sociale che lo zoroastrismo ha preservato in tutti i periodi della sua storia. La comunità dei fedeli che si riconoscevano nel messaggio delle Gāthā era coesa da un vincolo che le dava una fisionomia autonoma. Tale vincolo, che univa gli individui che facevano parte di tale comunità definiti 'bisognosi, poveri' (drigu) e 'amici' (frya), era costituito dalla Religione (daēnā in avestico; in pahlavico dēn) intesa come somma delle 'religioni' o visioni religiose di tutti i fedeli, che miravano a essere dei buoni 'seguaci della Verità' (ašavan in avestico; in pahlavico ahlaw). La 'Religione mazdea' non era quindi tanto o soltanto una dottrina religiosa quanto una grande catena di pensieri, parole e azioni, diretti alla realizzazione di un unico fine di salvezza individuale e collettiva, singola e universale.

La letteratura religiosa pahlavica del IX secolo riflette concezioni, costumi e pratiche di notevole rilievo per la vita della società iranica, anche del precedente periodo sassanide. Al di là degli aspetti più direttamente politici del rapporto tra la religione e la regalità, tra la Chiesa e la Corona - forte e più volte ribadito a livello ideologico -, anche nell'Iran sassanide il clero zoroastriano fu geloso custode di una morale che, almeno nelle intenzioni, non ignorava alcuni principî fondamentali della solidarietà sociale, a difesa dei deboli e dei poveri, con particolare riguardo alle vedove e agli orfani. Si hanno varie testimonianze, epigrafiche e letterarie, di fondazioni caritatevoli (ruwānagān in pahlavico), letteralmente '(fondazioni pie) per l'anima', per il beneficio delle anime dei defunti. Il diritto sassanide regolava con particolare cura la diversa tipologia di queste fondazioni istituite per opere di carità, definendone fin nei dettagli natura e funzioni.

Divenuto minoritario nell'Iran musulmano o trasformatosi in una minoranza etnica e sociale nell'India induista e musulmana, lo zoroastrismo accentuò i valori etici del vincolo comunitario. Più volte si è visto nella pratica della carità e nella liberalità una caratteristica virtù dello zoroastriano moderno, dedito con impegno all'espansione delle strutture economiche e sociali della sua comunità, a vantaggio non solo dei suoi correligionari, ma anche più in generale del suo prossimo. Ciò è stato reso possibile dalla diffusa convinzione, nello zoroastrismo, che la ricchezza, se amministrata con onestà e con generosità, è tanto apprezzabile quanto una prole numerosa. La felicità spirituale e materiale, propria e degli altri, è un obiettivo da perseguire con operosa perseveranza. La religione è quindi stimolo all'affermazione del bene e della giustizia qui sulla terra: non è rinunciataria e ascetica, ma socialmente attiva per la valorizzazione della vita terrena quale premessa e strumento per raggiungere uno stato futuro di perfezione non solo spirituale ma anche mondana, nel cosiddetto 'corpo futuro' (tan ī pasēn). Le fondazioni caritatevoli fra gli zoroastriani dell'Iran e ancor più, per le loro maggiori disponibilità, fra i Parsi sono uno dei maggiori motivi di orgoglio dello zoroastrismo moderno e contemporaneo, anche di quello della diaspora nei paesi in cui si sono stabilite, come in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, nel Canada, in Australia, a Hong Kong, ecc., comunità di fedeli provenienti soprattutto dall'India. Frutto di tale attività caritatevole sono stati ospedali, scuole, ospizi per anziani, organizzazioni di vario genere a favore degli indigenti.

Vincolo di solidarietà etnica e sociale, la religione si è legata sempre più alla stirpe, divenendo una sorta di patrimonio genetico della comunità zoroastriana, fino al punto di determinare la convinzione che il sangue e la discendenza sono fattori costitutivi della continuità e della purezza della tradizione religiosa. Questo è uno dei problemi principali dello zoroastrismo moderno e una delle cause del suo complessivo indebolimento. Ancora oggi si dibatte con singolare passione se l'appartenenza alla comunità religiosa possa o non possa prescindere dall'identità di stirpe e di religione, dal momento che l'antropologia tradizionale annovererebbe la 'religione' (dēn) tra i costituenti dell'essere umano nella sua individualità. La questione della conversione allo zoroastrismo di individui nati in un'altra religione è infatti uno degli argomenti del dibattito teologico e socioreligioso tra innovatori e tradizionalisti, i quali ultimi non ammettono matrimoni religiosamente misti o conversioni da altre religioni.Un antecedente del vincolo stirpe-religione si può vedere nella chiusura quasi endogamica del sacerdozio zoroastriano in epoche antiche e certamente nel periodo sassanide, in cui l'usanza del matrimonio consanguineo (khvaētvadatha in avestico; in pahlavico khwēdōdah) era non solo ammessa, ma anche considerata tra le pratiche più raccomandabili e moralmente meritorie. Pietra di scandalo per i non zoroastriani, tale usanza è stata progressivamente abbandonata, fino a scomparire del tutto e a essere negata da teologi e studiosi zoroastriani che l'hanno considerata come il frutto di una fallace e tendenziosa interpretazione storica. (V. anche Religione).

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