● Economia e innovazione

Lo scoppio di un nuovo shock economico, scaturito dalla diffusione del Covid-19, ha sollevato diversi interrogativi sull’adeguatezza istituzionale dell’unione monetaria europea. Tuttavia, malgrado la mancanza di un un’unione fiscale e di efficaci meccanismi di risoluzione e di coordinamento, l’eurozona ha già dimostrato, contro le aspettative, di essere capace di attivare meccanismi ‘involontari’ di coordinamento e condivisione dei rischi in presenza di crisi esistenziali, come accaduto durante la crisi del debito sovrano (Schelkle, 2018: 361-363). Sarà questa capacità confermata con il concretizzarsi dell’impatto economico del Covid-19? E qual è il risultato che l’Europa dovrebbe raggiungere nella gestione della crisi?

Certo è che, se lo shock dovesse rivelarsi, come molti economisti prospettano, una nuova crisi di sistema per l’Europa e non solo, quest’ultima diventerà, potenzialmente, un’importante occasione per superare la repulsione di alcuni stati membri ad ulteriori modificazioni dell’assetto istituzionale dell’eurozona.

L’eurozona del pre-Covid–19

La problematicità dell’assetto dell’unione monetaria è stata evidenziata in larga scala a partire dal 2009 con l’infliggersi della crisi del debito sovrano, che ha dimostrato l’incapacità strutturale dell’eurozona di rispondere efficacemente a shock di sistema, oltre che la rischiosità di una mancanza di coordinamento nelle politiche fiscali degli stati membri (Alcidi e Gros, 2015: 49).

Nel tentativo di rispondere a questa incapacità strutturale, l’introduzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) ha cercato di ovviare alla mancanza di un sistema di risoluzione permanente che garantisse stabilità finanziaria (Pessoa, 2017: 19-20). Analogamente, l’implementazione nella legislazione europea del six-pack e del two-pack nell’ambito di un Semestre Europeo, oltre che alla creazione del Fiscal Compact, ha portato alla realizzazione, seppur parziale, di un meccanismo di coordinamento delle politiche fiscali. A completare il quadro, la creazione dell’unione bancaria (sebbene incompleta) ha assicurato un meccanismo di coordinamento e supervisione del settore bancario.

Con le dovute limitazioni del caso, le risposte fornite dall’Unione alla crisi del debito sovrano dimostrano le capacità di reazione della stessa a crisi esistenziali. Osservando il bicchiere mezzo pieno, l’Europa si trova oggi ad affrontare una potenziale crisi di sistema con: un settore bancario meglio capitalizzato e più liquido; un mercato dei derivati più trasparente; un MES che garantisce assistenza agli stati membri; una banca centrale europea che, in presenza di programmi di adeguamento, è abilitata all’acquisto di infinite quantità di bond nazionali – come dimostrato dalla recente introduzione del Pandemic Emergency Purchase Programme da €750 mld, in aggiunta all’esistente Asset Purchase Program da €120 mld, come rilevato da Bénassy-Quéré e i suoi coautori. Dunque, le banche oggi sono rafforzate e la possibilità di sostanziali differenze nel rendimento dei mercati obbligazionari dei diversi stati membri è diminuita (ibid). Le problematiche rimarranno, tuttavia, dal punto di vista fiscale. I motivi sono principalmente due: le ristrette dimensioni del budget europeo e la fragilità sistemica dettata dalla mancanza di un’unione fiscale. Questa è, chiaramente, la metà vuota dello stesso bicchiere, la quale richiama gli stati membri ad un efficace coordinamento e ad una condivisione dei rischi per contrastare lo shock economico.

Quali risposte allo shock posto dal Covid-19?

In un contesto dove il coordinamento è, sì, migliorato, ma è de facto ancora limitato (Darvas e Leandro, 2015), l’eurozona dovrà dimostrare di poter assicurare una risposta adeguata alle problematiche poste dalle misure di stimolo fiscale degli stati membri – servite a coprire parte delle perdite derivanti dalla chiusura delle attività produttive. In tal senso, la decisione storica presa dalla Commissione di congelare la procedura di infrazione per il superamento della soglia percentuale del rapporto deficit-PIL nella valutazione di conformità alle regole dettate dal Patto di Stabilità, è stata un’esigenza primaria. Ciononostante – appurata la mancanza di una volontà comune per la creazione di un Eurobond – al fine di evitare rischiose accumulazioni di debito a cui far fronte successivamente alla crisi, Paul De Grauwe si è appellato alla possibilità di un diretto finanziamento dei disavanzi nazionali da parte della BCE, attraverso operazioni sul mercato primario. Il finanziamento del disavanzo prenderebbe la forma di una ‘liquidità-elicottero’, ove la banca centrale, utilizzando il budget nazionale come intermediario, predispone somme di liquidità ad imprese e privati sotto forma di bond perpetui (titoli senza scadenza) a basso tasso o, addirittura, a tasso zero. Questo strumento, oltre ad evitare la possibilità di una nuova crisi del debito e una potenziale crisi bancaria, aiuterebbe a contrastare la spirale deflazionaria in cui le economie europee sono entrate (ibid). Inoltre, l’immissione di ulteriore liquidità nell’economia reale (imprese, lavoratori, liberi professionisti ecc.) – oltre a giovare coloro che hanno subito perdite a causa del lock-down – ridurrebbe il rischio di una nuova crisi del settore immobiliare, colpito in maniera diretta dalla potenziale sospensione dei pagamenti dei canoni di affitto e di mutuo. Affinché questo avvenga, tuttavia, gli esperti legali dovranno trovare una via per aggirare la restrizione imposta dal TFUE in merito alla possibilità per la BCE di ricoprire un ruolo da prestatore di ultima istanza, e dunque effettuare operazioni nel mercato primario.

Si stima che il lock-down dei vari paesi europei impatterà il settore privato per oltre il 60%; il che significherebbe, in media, un impatto sul PIL del 15% nel primo trimestre e del 22% nel secondo trimestre, secondo J.P. Morgan. Questo, in aggiunta al costo delle eventuali misure discrezionali dei singoli paesi, oltre che ai fondi di emergenza, potrebbe significare un impatto medio sul PIL annuale dell’eurozona del circa 9-9,5%. In uno scenario di tali dimensioni, una risposta efficace può prendere forma solo tramite tentativi di coordinamento e di cooperazione tra gli stati membri. Il più grande ostacolo sarà posto dall’abilità dei governi a promuovere la crescita. I risultati si prospettano variegati, in virtù delle differenti caratteristiche delle economie europee e delle diverse capacità e margini di manovra dei loro governi. Per questo motivo, in sede di Consiglio Europeo, gli stati membri dovranno garantire un piano di condivisione del rischio e di mutualizzazione dei costi imposti dalla crisi, affinché le prospettive di crescita delle singole economie non rimangano deteriorate in maniera grave o addirittura irreversibile, generando ripercussioni a livello europeo. Tale mutualizzazione, al momento, può prendere forma solo tramite un tentativo di solidarietà tra gli stati membri, ossia con trasferimenti diretti tra paesi – processo che potrebbe realizzarsi richiamando l’articolo 122(2) del TFUE.

Da un punto di vista istituzionale, in linea con quanto argomentato da Schulmeister (2012: 420), l’eventualità di una crisi sistemica metterà in luce la necessità di una risposta sistemica. Tale risposta si potrebbe tradurre nella creazione di un meccanismo di risoluzione permanente ­­­– ossia un meccanismo unico europeo che, riunendo le risorse degli stati membri ed incanalandole verso una politica fiscale coordinata, assicuri, con costi minimi per i contribuenti e l’economia reale, una risoluzione ordinata dei danni delle economie colpite da eventuali shock. Esso potrebbe prendere la forma di un Fondo Monetario Europeo, il quale, superando l’assetto intergovernativo del MES, ricoprirebbe anche il ruolo di analisi della sostenibilità del debito nei singoli stati membri, oltre che stabilire un’agenda per le riforme. A quest’ultimo, così come proposto da Lucrezia Reichlin, andrebbe integrato uno specifico fondo anti-crisi, il quale assicurerebbe una ulteriore fonte di stabilità sistemica per l’eurozona, necessaria per affrontare questa ed eventuali crisi future.

L’impatto economico della nuova crisi sanitaria ha dimostrato avere tutte le caratteristiche per trasformarsi in una crisi economica di portata globale.

L’Unione Europea ha già dimostrato di poter progredire in maniera positiva in tempi di crisi, cogliendo l’opportunità per la creazione di nuove istituzioni e nuovi meccanismi che garantissero maggiore stabilità all’eurozona.

La speranza è che, in una situazione dove l’imprevedibilità delle ripercussioni economiche di questo nuovo virus è altissima, le risposte degli stati membri, oltre che dei principali attori europei, non tardino ad arrivare.

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Bibliografia

Alcidi, C., & Gros, D. (2015). EMU governance and the limits of fiscal policy coordination in Redesigning European Monetary Union in Light of the Eurozone Crisis_,_ 47-56. Barcelona Centre for International Affairs.

Darvas, Z. M. and Leandro, Á. (2015). The limitations of policy coordination in the euro area under the European Semester (No. 2015/19). Bruegel Policy Contribution.

Pessoa, A. (2017). The Euro Zone Crisis: A Fable or merely Organizations without the Adequate Institutions?. Revue d'économie politique127(1), 1-24.

Schelkle, W. (2018). The political economy of monetary solidarity: revisiting the Euro experiment. Wirtschaft und Gesellschaft44(3), 335-367.

Schulmeister, S. (2013). The European Monetary Fund. Revue de l'OFCE, (1), 389-424.

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