Recensione a Mariana Mazzucato (2020), Non sprechiamo questa crisi, Editori Laterza.

● Economia e innovazione

L’idea che dalla “crisi” possa emergere un rinnovamento non è nuova nella teoria economica. Già Joseph Schumpeter, nel suo Capitalism, Socialism and Democracy (1942), evidenziava il concetto di “distruzione creatrice”: ovvero la capacità del sistema capitalistico di produrre cambiamento e innovazione a partire proprio dalla distruzione di ciò che, nel tessuto industriale, è ormai obsoleto, o in “crisi”.

In modo simile, una parte della letteratura economica ha argomentato come anche le crisi di “sistema” possano essere foriere di rinnovamento.1 Infatti, inducendo una riallocazione delle risorse da settori meno produttivi ad altri potenzialmente più innovativi, le crisi potrebbero favorire la convergenza dell’economia su un sentiero di maggiore crescita di lungo periodo, liberando risorse precedentemente impiegate in modo meno efficiente. L’operare stesso del meccanismo di mercato fornirebbe in questo senso “via” e “mezzi” per la risoluzione delle congiunture negative e per il conseguimento di una maggiore crescita potenziale. Per riprendere Leibniz, sembrerebbe indicare la strada verso il “migliore dei mondi possibili”.

La questione è senza dubbio ampia. Al di là degli effetti riallocativi, le conseguenze di breve termine delle crisi hanno effetti dirompenti sul tessuto socio-economico e possono arrivare a compromettere la stessa crescita potenziale.2 “Stabilizzare l’instabilità”3 nel breve termine senza inibire la crescita di lungo periodo è stato in questo senso uno dei temi di maggior dibattito fra gli economisti, che ha prodotto non solo proposte e soluzioni di policy differenti ma spesso anche visioni del mondo tra loro opposte.

E’ questo il perimetro in cui si inserisce il breve saggio di Mariana Mazzucato, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose dello University College of London, attualmente anche consulente economico del Governo italiano.

Non sprechiamo questa crisi, connettendosi idealmente alle considerazioni iniziali, contribuisce al dibattito - più propriamente, alla “battaglia delle idee” - su quale “debba” essere l’impostazione del nostro sistema economico. Non solo per rispondere in modo efficace alle crisi pandemica, climatica e “di diseguaglianza”, oggi dilaganti, ma anche per evitare nuove congiunture negative e per costruire un futuro che sia più sostenibile e inclusivo, a rimedio delle contraddizioni e sperequazioni attuali. In altre parole, per far sì che la “triplice crisi del capitalismo” (ambiente, pandemia, disuguaglianza) costituisca un punto di discontinuità per il modo in cui si intende l’operare del sistema economico. Poiché, pur riconoscendo come il sistema-mercato abbia un ruolo fondamentale nel promuovere lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita,4 il punto è evitare che questa concezione si cristallizzi nella visione “panglossiana” del Candide di Voltaire: di chi, credendo appunto di vivere nel “migliore dei mondi possibili”, risulta vittima di un sempre maggior numero di sventure e drammi.

Devono essere sì riconosciute le potenzialità del mercato, ma anche che queste non sempre sono una panacea.

Il libro ripercorre le idee di fondo portate avanti dall’autrice in altri contributi. Pur con alcuni limiti argomentativi e di impostazione, che rendono l’esposizione talvolta schematica, esso fornisce una panoramica esaustiva dei concetti discussi più approfonditamente in Lo stato innovatore (2014), Ripensare il capitalismo (2017), Il Valore di tutto (2018), volendo arrivare, difatti, a una sintesi subito comprensibile dello stato dell’arte della discussione, “applicata” in primo luogo alla crisi pandemica.

Come si è detto, argomento centrale è il ruolo dello Stato. O meglio, “quale” ruolo lo Stato debba avere all’interno del sistema economico. In una dimensione (fortunatamente) distante dallo scontro ideologico con cui, spesso, tale ruolo viene dibattuto, il libro affronta proposte di merito e di metodo. Il punto di partenza sono le debolezze e le idiosincrasie che la crisi pandemica ha messo in luce in modo ben maggiore rispetto al passato. Infatti, se per le crisi degli ultimi decenni il dibattito si è incentrato prevalentemente sull’entità e l’impostazione della funzione di “stabilizzazione” dello Stato - ovvero se e in che modo utilizzare le politiche monetaria e fiscale per rispondere alle fasi di recessione economica - la crisi pandemica ha evidenziato in modo più netto come sia lo Stato stesso, la sua dimensione di “bene pubblico”, a dover essere riportata al centro del dibattito. Non solo perché uno Stato dotato di una pubblica amministrazione efficiente, di un sistema sanitario universale, di un apparato scolastico più inclusivo e motore di mobilità sociale, può essere più resiliente e capace di fronteggiare i danni risultanti dalle crisi senza effetti permanenti sul tessuto socio-economico; ma anche perché per affrontare crisi di portata straordinaria come quella climatica, l’inerzia operativa dei mercati può non essere sufficiente, ad esempio per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni e di contenimento delle temperature. Similmente, è auspicabile non solo che lo Stato promuova la crescita economica di per sé, ma anche, e soprattutto - con obiettivi sociali e ambientali di lungo periodo - che esso contribuisca più incisivamente a determinare la stessa “direzione” della crescita, in un’ottica sostenibile e inclusiva.

L’idea maestra è quella di missione. Un approccio mission-oriented volto a promuovere innovazione, sostenibilità ambientale e inclusione sociale può essere, nell’idea dell’autrice, il modo più efficace per rendere il sistema economico più resiliente ed equo. Un obiettivo che passa attraverso uno Stato “investitore di prima istanza”, o per dirla con le parole di Keynes (1936), che operi una “socializzazione dell’investimento” a sostegno, ad esempio, della ricerca pubblica e della riconversione verde; che si ponga cioè non solo nell’ottica di rimediare ai cosiddetti “fallimenti del mercato” con interventi marginali a rimedio di asimmetrie informative, esternalità o free-riding;5 piuttosto, che agisca come market shaper, ovvero contribuisca a “plasmare” i mercati stessi seguendo missioni strategiche e canalizzando i relativi investimenti, nell’ottica della sostenibilità e di una crescita inclusiva.

Il libro affronta poi altre idee e proposte, finalizzate in generale a neutralizzare il meccanismo di “socializzazione dei rischi e privatizzazione dei guadagni” che ha portato, nell’idea dell’autrice, all’estrazione di valore e non alla sua creazione e distribuzione condivisa. Sono alcuni esempi il “dividendo di cittadinanza”, relativo ai guadagni di potenziali investimenti pubblici di venture capital a sostegno di start-up e imprese innovative, e la definizione di nuovi schemi di partenariato pubblico-privato, che promuovano sinergie e investimenti nell’economia reale tramite rapporti “simbiotici” e non parassitari. Inoltre, l’orientamento strategico delle imprese a cui vengono forniti sussidi per l’emergenza, da condizionare a obiettivi di sostenibilità ambientale e a orientamenti aziendali di lungo periodo (in opposizione alla pratica di massimizzazione del valore nel breve termine).

In sostanza, quindi, un impianto argomentativo che è mirato a riportare lo Stato “al centro”, come attore di politica pubblica e di indirizzo della politica economica, secondo obiettivi di creazione di valore e sostenibilità. Per rendere il sistema economico più resiliente ed equo. Per un futuro più inclusivo e sostenibile.

Pur con alcuni limiti di esposizione, Non sprechiamo questa crisi fornisce una prima panoramica delle sfide che si pongono di qui innanzi e sul modo in cui affrontarle. Rimanendo consapevoli della complessità e delle molteplici argomentazioni in campo, è un utile contributo alla battaglia delle idee sul futuro del nostro sistema economico.

Immagine: Licenza CreativeCommons, ©James Duncan Davidson
1 Si veda Snowdon, Vane (2005), Ch. 6 (“The real business cycle school”)  per approfondimenti.
2 Tramite il cosiddetto meccanismo di “isteresi”. Si veda Snowdon, Vane (2005), Ch. 7 (“The new Keynesian school”) per approfondimenti.
3 Per riprendere l’espressione di Minsky (2008).
4 Si veda CoreEcon (2020) Cap. 1 per approfondimenti.
5 Si veda CoreEcon (2020) Cap. 12 per approfondimenti sui cosiddetti “fallimenti di mercato”.

Bibliografia

CoreEcon (2020), Economics for a changing world: https://www.core-econ.org/the-economy/book/text/0-3-contents.html

Mazzucato, M. (2018), Il valore di tutto: Chi lo produce e chi lo sottrae nell'economia globale, Laterza: Roma-Bari.

Mazzucato, M. (2014), Lo Stato innovatore, Laterza: Roma-Bari.

Mazzucato, M., Jacobs, M. (2017), Ripensare il capitalismo, Laterza: Roma-Bari.

Minsky, H. (2008), Stabilizing an Unstable Economy, McGraw-Hill Education.

Keynes, J. M. (1936), Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, Palgrave Macmillan.

Schumpeter, J. (1942), Capitalism, Socialism and Democracy, Harper Perennial Modern Classics.

Snowdon, B., and Vane, H. R. (2005), Modern Macroeconomics: Its Origins, Development And Current State, Edward Elgar Pub.

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