Istituzioni

La nomina di Christine Lagarde alla presidenza della Banca Centrale Europea, giunta del tutto inaspettata, ha fatto seguito a un dibattito molto interessante tra le posizioni dei vari candidati sui principali quotidiani che si occupano di affari europei. Gli aspiranti alla carica forse più importante dell’intera Unione si dividevano tra falchi, colombe e candidati di compromesso. A complicare il gioco, il fatto che la scelta della presidenza della BCE si sia tenuta contemporaneamente alla nomina del presidente della Commissione Europea, innescando un gioco di scambi e di negoziazioni serrate tra le varie cancellerie nazionali. Questo quadro presuppone un fatto molto importante, vale a dire che il nome del presidente sia importante per determinare il futuro delle politiche monetarie della BCE, e ciò contrasta con l’assunto dell’indipendenza della Banca Centrale. Se infatti la scelta del presidente è così importante, come si può dire che la politica monetaria della BCE sia indipendente da considerazioni di carattere politico?

Se l’indipendenza della banca centrale è sempre stata vista come un fatto di depoliticizzazione, ossia un fenomeno che relega le questioni politiche in una posizione marginale, la crisi economica ha enfatizzato il ruolo politico della presidenza della BCE. Questo fatto è dovuto a un fattore fondamentale: a livello europeo la politica monetaria è l’unico strumento disponibile per la risoluzione delle crisi, dato che le politiche fiscali restano di competenza esclusiva degli stati membri. Le norme europee infatti vincolano gli stati a rispettare severi vincoli di bilancio, quindi essi stessi hanno una ridotta possibilità di sfruttare le politiche fiscali per risolvere localmente le crisi. Queste norme sono state adottate progressivamente: innanzitutto i parametri di Maastricht, nel 1992, che vincolano gli stati a restare entro i limiti del 60% del rapporto debito/PIL e del 3% del rapporto deficit/PIL. In seguito, lo Stability and Growth Pact, implementato nei primi anni dell’Unione Monetaria, che prevede il rispetto di Obiettivi di Medio Termine (MTO) per ciascuno stato affinché raggiunga i parametri di Maastricht, in particolare il 60% del rapporto debito/PIL, da cui sono lontani un gran numero di stati membri. Infine, le norme successive alla crisi economica: il “six pack” del 2011, composto da una direttiva e cinque regolamenti, che istituisce gli uffici parlamentari di bilancio e crea strumenti preventivi e correttivi per un maggior rispetto delle regole fiscali; il Treaty of Stability, Coordination and Governance, trattato intergovernativo del 2012, noto per la sua parte denominata “fiscal compact”, che, tra le varie cose, impegna gli stati a inserire norme di pareggio di bilancio nelle costituzioni; infine, il “two pack” del 2013, composto da due regolamenti, che potenzia gli strumenti creati dal “six pack” e dal TSCG. Questo imbrigliamento, che serve a garantire il rispetto delle regole e a evitare che il fallimento di uno stato metta a repentaglio l’intera unione economica e monetaria, hanno l’effetto collaterale che gli stati non possono usare le politiche fiscali con funzione strutturale, ossia di risoluzione delle crisi.

Pertanto, è dalla Banca Centrale che ci si aspettano azioni concrete per la risoluzione delle crisi, pena il rischio della dissoluzione dell’unione monetaria. Queste considerazioni sono state ampiamente dimostrate dall’attivismo del presidente uscente Mario Draghi, sia nelle politiche in senso stretto, che nel ruolo che la BCE ha assunto nei confronti delle altre istituzioni europee. Sul versante delle politiche, cruciali per la risoluzione della crisi sono stati il programma delle Outright Monetary Transactions, con cui la BCE si è impegnata ad acquistare titoli di stato a breve termine degli stati in condizione di grave crisi finanziaria, sia il Quantitative Easing, con cui ha acquistato titoli di stato dei membri della zona euro al fine di riavvicinare il tasso di inflazione al 2%. Tali politiche non solo hanno avuto ricadute importanti sulle economie degli stati membri, ma sono anche state politicamente contestate. Ad esempio, il governatore della Bundesbank Jens Weidmann si espresse in modo contrario sul Quantitative Easing dicendo che esso avrebbe messo in discussione l’indipendenza della Banca Centrale, rendendola più suscettibile a pressioni politiche. Questo dimostra, ancora una volta, l’importante ruolo politico della presidenza della BCE.

Sul fronte del rapporto con le altre istituzioni europee, la crisi ha significato l’aumento considerevole del potere della BCE di dettare l’agenda di riforma dell’Unione Economica e Monetaria, di plasmare le posizioni delle istituzioni e degli stati membri, e di influenzare gli esiti delle negoziazioni. L’esempio principale è quello della creazione dell’Unione Bancaria. La BCE è infatti stata determinante per creare il consenso sulla creazione di due di tre pilastri dell’Unione Bancaria, vale a dire il sistema unico di risoluzione delle crisi e il sistema unico di supervisione. All’appello manca ancora il sistema unico di garanzia sui depositi bancari, nonostante la BCE abbia in diverse occasioni sottolineato l’urgenza di istituirlo. La BCE ha anche fatto pressione affinché l’Eurozona si dotasse di un potere fiscale che affianchi la politica monetaria nella gestione delle crisi economiche, come mostrato nel noto rapporto dei cinque presidenti pubblicato nel 2015.

L’economista McNamara, ripercorrendo la storia della moneta unica, mostra quali sono gli spazi per la politica nella gestione dell’euro. La creazione dell’euro ha infatti eliminato la necessità di mantenere stabili i tassi di cambio tra le valute degli stati europei da parte delle singole banche centrali nazionali, e ha quindi istituzionalizzato un luogo dove possono contrapporsi visioni differenti: il consiglio direttivo della BCE, che comprende i 19 governatori delle banche centrali nazionali dell’area euro, i quali a loro volta rispondono a sollecitazioni provenienti dai rispettivi governi e riflettono diversi approcci teorici alla politica monetaria. Il ruolo della presidenza è quindi implicitamente quello di costruire un consenso tra i membri del consiglio direttivo, promuovere una cultura comune di politica monetaria e avere la sensibilità di capire le differenze nazionali per prevenire contestazioni alle scelte di politica monetaria a livello degli stati membri. Un compito tutt’altro che meramente tecnico.

Queste considerazioni, analizzate in breve, mostrano quanto il ruolo del presidente della Banca Centrale Europea sia importante dal punto di vista politico. Esso è molto diverso dal ruolo che avevano i governatori delle banche centrali nazionali prima dell’introduzione dell’euro. Essi infatti, in regimi di cambi fluttuanti subivano le pressioni della politica, che era interessata a controllare il tasso di inflazione con finalità elettorali, mentre in regimi di cambi fissi avevano il ruolo di garantire la stabilità dei tassi di cambio. Nell’Unione Economica e Monetaria invece la Banca Centrale non è affiancata da un contraltare politico, e l’euro è una valuta sufficientemente grande per non essere una componente passiva di un sistema di cambi fissi, pertanto la presidenza si trova a giocare un ruolo inedito. Tale ruolo va quindi ben al di là della presunta indipendenza della Banca Centrale, ed è destinato a rimanere prioritario fintanto che l’Unione non acquisirà poteri fiscali propri che consentiranno ad altre istituzioni sovranazionali di contribuire alle risoluzioni delle crisi. È quindi naturale che il processo di nomina del presidente della BCE sia soggetto a intensi negoziati tra gli stati membri, e che le parti più svantaggiate siano compensate con vantaggi su altri fronti, come dimostra l’assegnazione della presidenza della Commissione alla tedesca Von der Leyen. Questo rientra, per usare un’espressione del politologo Andrew Moravcsik, nell’attuale “compromesso costituzionale” dell’Unione, ed è destinato a rimanere tale finché nuovi assetti istituzionali non saranno costituiti.

Per saperne di più:

McNamara, Kathleen R. The Currency of Ideas: Monetary Politics in the European Union. Ithaca, N.Y.; London: Cornell UP, 1998. Print. Cornell Studies in Political Economy.

Brunnermeier, Markus Konrad, Harold James, and Jean-Pierre Landau. The Euro and the Battle of Ideas. Princeton, 2016.

Adolph, Christopher. Bankers, Bureaucrats, and Central Bank Politics: the Myth of Neutrality. Cambridge University Press, 2013.

McNamara, Kathleen R. "Economic Governance, Ideas and EMU: What Currency Does Policy Consensus Have Today?*." JCMS: Journal of Common Market Studies 44.4 (2006): 803-21.

James, Harold, Mario Draghi, and Jaime Caruana. Making the European Monetary Union: The Role of the Committee of Central Bank Governors and the Origins of the European Central Bank. Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2012.

European Commission. The Five President's Report: Completing Europe's Economic and Monetary Union. 22 June 2015. https://ec.europa.eu/commission/publications/five-presidents-report-completing-europes-economic-and-monetary-union_en

Iversen, Torben; Soskice, David; and Hope, David. "The Eurozone and Political Economic Institutions." Annual Review of Political Science 19.1: 163-85.

Moravcsik, Andrew. "The European Constitutional Compromise and the Neofunctionalist Legacy." Journal of European Public Policy 12.2 (2005): 349-86.

Chang, Michele. ‘The Constraints of Central Bank Independence: The European Central Bank’s Unconventional Monetary Policy and Incremental Accountability in the Euro Crisis’, Journal of Contemporary European Research, 2019, 15(2):143-161.

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