**Pensiero politico
**

Questo articolo fa parte del ciclo di approfondimenti su momenti e protagonisti della tradizione liberale italiana promosso dalla sezione di Pensiero Politico.

Nell’autunno del 1945, durante la complessa e delicata fase di gestazione dell’Italia repubblicana, una delegazione di circa quindici persone, tutte esponenti dell’antifascismo e in prevalenza giuristi, si recò a Londra al fine di scoprire il paese considerato, a torto o a ragione, il luogo di origine della democrazia. Il viaggio, del resto, fu organizzato dal British Council proprio allo scopo di far sì che uomini formatisi sotto un regime dittatoriale conoscessero, per esperienza diretta, la natura e il funzionamento delle istituzioni democratiche. Fra i membri della delegazione vi era anche Norberto Bobbio, che più di cinquant’anni dopo, in una bella pagina della sua Autobiografia, avrebbe rievocato il viaggio mettendone in luce le ragioni e gli aspetti salienti. In particolare, lo studioso torinese ricorda qui la visita alle sedi dei Tories e del Labour Party e l’incontro coi rispettivi segretari, nonché l’invito alla Camera dei Lords e alla Camera dei Comuni; rammenta inoltre di aver assistito «a una tornata elettorale, in un collegio dove si svolgeva una by-election», e fatto conoscenza col celebre politologo laburista Harold Joseph Laski (Bobbio 1999, pp. 88-89).

Ciò che più conta, tuttavia, è che i giorni trascorsi sul suolo inglese sortirono due ulteriori importanti effetti: da un lato, contribuirono a rafforzare in Bobbio l’interesse e la sensibilità per il tema della democrazia, che, centrale nel dibattito politico-culturale italiano del tempo, aveva già iniziato ad affrontare nelle sue prime collaborazioni coi giornali (Bobbio 1999, p. 88); dall’altro lato, crearono le condizioni affinché egli conoscesse e apprezzasse The Open Society and Its Enemies di Karl Popper, pubblicato nel 1945 dall’editore londinese Routledge (Popper 1945). In realtà, Bobbio, sempre nell’Autobiografia, afferma di non ricordarsi bene se il libro gli «fosse capitato tra le mani» perché glielo «aveva dato Giulio Einaudi per una eventuale traduzione», oppure perché se «lo era portato dall’Inghilterra» (Bobbio 1999, p. 93). In ogni caso, sembra indubbio che la scoperta, da parte sua, del pensiero politico popperiano nascesse sul terreno dell’«apertura al mondo anglosassone» (Losano 2018, p. 107), verso il quale Bobbio, in linea con la cultura azionista e buona parte dell’antifascismo democratico, nutrì vivo interesse e ammirazione sincera. Se a ciò si aggiunge che, come asserito dallo stesso Bobbio, la lettura di The Open Society gli impartì una lezione sulla democrazia mai più dimenticata, si capisce bene perché, una volta rientrato a Torino, decise di parlarne ai lettori italiani dedicandogli una recensione e un saggio breve (Bobbio 2006, p. 157).

Apparsa nel 1946 sulla «Rivista di Filosofia», la recensione mette in chiaro che lo studioso, pur non nascondendosi i difetti del libro – quali, ad esempio, gli accenti paradossali, le argomentazioni non sempre persuasive e il tono libellistico delle pagine su Hegel -, lo giudica positivamente. A suo dire, infatti, The Open Society è «una lezione di sobrietà dopo tanti orpelli ideologici e tanta metafisica saccenteria, un invito alla chiarezza in mezzo a tanto medioevale oscurantismo, e forse anche un atto di modestia, nonostante l’asprezza della polemica, in mezzo a tanta orgogliosa sicurezza a destra e a sinistra». Questo giudizio, su cui si conclude la recensione, è preceduto e consegue coerentemente dall’analisi della sostanza critica e speculativa del libro, che Bobbio individua nei seguenti quattro motivi: la «negazione della società chiusa», che, considerata alla stregua di un «ordinamento sociale primitivo», si conserva grazie «ad un’autorità d’ordine religioso o mitico, ad un’obbedienza cieca e negatrice di ogni personalità, in definitiva ad una concezione irrazionalistica della vita e dell’uomo»; l’elogio della società aperta, dove gli individui valgono come persone e contano «per il grado di responsabilità» con cui affrontano «i compiti della vita sociale»; la battaglia contro lo storicismo, ossia contro quelle correnti filosofiche che pretendono «di trarre leggi universali dal corso della storia allo scopo di predire il futuro» e, in questo modo, «confondono la profezia con la storia, la passione moralistica con la scienza, la filosofia della storia con la sociologia»; la critica di ogni forma di irrazionalismo, concepito «come il più pericoloso alleato del totalitarismo sotto forma di richiamo all’unità perduta della tribù, e quindi come il più grave ostacolo al progresso civile» (Bobbio 1946, pp. 204-206).

Il nesso fra totalitarismo e richiamo all’unità tribale, soltanto accennato nella recensione, acquista ben altra importanza nel saggio breve, intitolato Società chiusa e società aperta e pubblicato sulla rivista «Il Ponte» nello stesso 1946. Il saggio è interessante per diversi ordini di ragioni, su cui vale la pena richiamare l’attenzione: innanzitutto, inaugura la più che cinquantennale collaborazione di Bobbio alla rivista fiorentina, fondata l’anno prima da Piero Calamandrei e destinata a diventare presto un punto di riferimento per quanti, come lo studioso torinese, si riconoscono nei valori del socialismo liberale; poi, attesta che nell’immediato dopoguerra Bobbio ha una concezione etica della democrazia, basata «sul riconoscimento dell’uomo come persona» e ancora lontana da quella procedurale, che abbraccerà soltanto in seguito, sulla scorta degli insegnamenti di Hans Kelsen (Bobbio 1999, pp. 87-88); infine, mostra che il suo interesse per il Popper politico non è di natura esclusivamente intellettuale, poiché riflette anche, se non soprattutto, le preoccupazioni circa il presente e il futuro delle democrazie liberali, costantemente minacciate dall’«eterna tentazione» di «ritornare al tribalismo», caratterizzante ogni società umana e trasversale alle diverse forme di governo. A ben vedere, infatti, Società chiusa e società aperta è tutto fuorché una semplice recensione di The Open Society (Gisondi 2020, p. xxxiv), dal momento che prende le mosse dal libro di Popper per fare una riflessione sulla natura degli stati totalitari e, correlativamente, di quelli democratici. Si tratta di una riflessione appassionata e a tratti intensa, tutta imperniata sul ricorso alle coppie concettuali dicotomiche e oppositive, che diverrà, negli anni a venire, la cifra della metodologia di analisi adottata da Bobbio (Portinaro 2008, p. 69, nota 8; Gisondi 2020, p. xxxv); e fra queste dicotomie vi è quella stato totalitario/società chiusa-stato democratico/società aperta, di cui lo studioso sottolinea alcune caratteristiche care alla tradizione liberale, quali la «morale fondata sulla responsabilità individuale», le positive implicazioni sociali dell’iniziativa singolare e la fiducia nel potere critico della ragione (Bobbio 2005, pp. 46, 48-49).

Sotto questo profilo, va detto che il ragionamento bobbiano si sviluppa lungo tre “assi” concettuali distinti ma organicamente connessi. In primo luogo, Bobbio afferma che il «ritorno al tribalismo» è il miglior criterio per spiegare e condannare il fenomeno del totalitarismo; ai suoi occhi, infatti, gli stati totalitari sono organizzazioni guerriere e militari, le cui radici affondano «in quegli stessi motivi psichici e sociali che hanno presieduto al sorgere delle organizzazioni statali primitive, nate appunto per la difesa del gruppo e per l’offesa degli altri gruppi». Detto altrimenti, lo stato totalitario è per Bobbio una società chiusa: «alla sua base è un gruppo che si crede isolato o si isola volontariamente, e concepisce tutta la vita sociale in funzione della difesa o dell’attacco nei confronti degli altri gruppi». In secondo luogo, Bobbio, da buon realista immune e ostile alle facili illusioni, mette in guardia dal credere che la caduta rovinosa dei totalitarismi abbia segnato la fine della società chiusa. Consapevole del fatto che dietro i rivolgimenti politico-istituzionali si nascondono persistenze di lunga durata, pronte a palesarsi quando le circostanze storiche lo permettono, lo studioso osserva che la società chiusa «è una tentazione perenne di quell’uomo primitivo che sonnecchia in ciascuno di noi e si desta e si scatena nei momenti di sconquasso sociale». Non a caso Bobbio – e con questo veniamo al terzo “asse” – è dell’avviso che tale tentazione alberghi in ogni aggruppamento umano, compreso quello democratico, come, a suo avviso, dimostra «la politica delle zone d’influenza» decisa dai «rappresentanti delle grandi democrazie»; i quali, agendo al pari di capi-tribù, «si rinchiudono gli uni di fronte agli altri in un atteggiamento di diffidenza ostile e perversa» (Bobbio 2005, pp. 46-48).

Scritte alla luce livida dell’alba della guerra fredda, queste parole fanno da preludio alle considerazioni conclusive di Società chiusa e società aperta, che veicolano un messaggio netto e inequivocabile, sotto forma di disgiunzione secca: la democrazia, qualora ceda al fascino dello spirito tribale, è condannata «a ritirarsi e a decadere», poiché essa «o è la società aperta in contrapposto alla società chiusa, o non è nulla, un inganno di più». Ed è a questo proposito che Bobbio manifesta la propria insoddisfazione verso una concezione puramente strumentale e formale della democrazia, che, identificandola con l’insieme degli accorgimenti, dei princìpi e delle strutture giuridici approntato dalla tradizione liberal-democratica, ne perde di vista il «significato profondo». Bobbio non potrebbe essere più chiaro al riguardo: «Dietro al suffragio universale, alla garanzia dei diritti dell’individuo, al controllo dei poteri pubblici, all’autonomia degli enti locali, al tentativo di organizzazione internazionale degli stati» sta l’anelito verso la società aperta, vale a dire «la concezione che l’uomo non è mezzo ma fine, e che quindi una società è tanto più alta e più civile quanto più accresce e rinvigorisce […] il senso della responsabilità individuale». In conclusione, sembra plausibile credere che la lettura attenta di The Open Society and Its Enemies abbia insegnato a Bobbio che la democrazia, se vuole essere vera e sincera, deve saper combinare la sapienza giuridica e la tensione etico-politica della cultura liberal-democratica: «Una democrazia che non sia il rivestimento formale di una società aperta, è una forma senza contenuto, cioè una falsa democrazia, una democrazia ingannevole e insincera» (Bobbio 2005, pp. 48-49). Questo insegnamento, giova ripeterlo, proviene anche dal viaggio a Londra dell’autunno 1945, dunque dall’incontro con una cultura politico-istituzionale che non solo soddisfa il bisogno – avvertito da Bobbio e da molti suoi contemporanei – di ampliare gli orizzonti intellettuali e liberarsi così dall’angustia della Weltanschauung fascista; ma consente inoltre di apportare nuova linfa vitale alla tradizione liberale italiana, segnatamente a quella crociana, considerata da molti (Bobbio compreso) come inadeguata ad affrontare le sfide del secondo dopoguerra e i compiti richiesti dall’organizzazione di una democrazia liberale (Panichi 2016, p. 152).

Immagine: Karl Popper. Immagine di pubblico dominio.

Bibliografia

Bobbio, N. (1946), «Rivista di Filosofia», 3-4, 1946, pp. 204-206.

Bobbio, N. (1999), Autobiografia, Laterza: Roma-Bari.

Bobbio, N. (2005), Società chiusa e società aperta, in Cinquant’anni e non bastano. Scritti di Norberto Bobbio sulla rivista «Il Ponte» 1946-1997, Il Ponte Editore: Firenze.

Bobbio, N. (2006), De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi: Torino.

Gisondi, M. (2020), Il contributo di Bobbio al «Ponte» di Calamandrei, in N. Bobbio-P. Calamandrei, Un «Ponte» per la democrazia. Lettere 1937-1956, Edizioni di Storia e Letteratura: Roma.

Losano, M.G. (2018), Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci: Roma.

Panichi, A. (2016), Né con gli apologeti né con i detrattori. Norberto Bobbio lettore e interprete di Benedetto Croce, in «Storia e Politica», viii, 1, 2016, pp. 125-160.

Popper, K. (1945), The Open Society and Its Enemies, 2 vols., Routledge: London.

Portinaro, P.P. (2008), Introduzione a Bobbio, Laterza: Roma-Bari.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Argomenti

#Popper#Bobbio#democrazia#Liberalismo