● Scenari internazionali

Intervista a Francesco Giumelli, professore associato di Relazioni Internazionali presso l’università di Groningen. Esperto di sanzioni ONU e UE, è autore dei libri 'Success of Sanctions: Lessons Learned from the experience of the EU' (Routledge/Ashgate) e 'Coercing, Constraining and Signalling: Explaining UN and EU Sanctions after the Cold War' (ECPR Press).

Che tipo di sanzioni esistono al giorno d'oggi, quali sono quelle più utilizzate? Quando funzionano e quando no?

Le sanzioni come strumento di politica estera esistono da molto tempo. Negli ultimi vent’anni l’attenzione di accademici e policy makers si è concentrata soprattutto su quelle che vengono chiamate sanzioni mirate, mentre in passato si utilizzavano sanzioni più generalizzate  come per esempio embarghi totali. Con la fine degli anni Novanta e soprattutto dopo l'11 settembre, si è affermato a livello internazionale il principio della responsabilità dell’individuo. Si è infatti registrato un consistente incremento nell’impiego di sanzioni mirate ai danni di singoli individui, gruppi di persone, partiti politici, aziende e addirittura interi settori produttivi ritenuti strategici per determinati soggetti. In particolare, si è rilevata una sempre maggiore attenzione per i comparti che riguardano beni dual use, cioè beni prodotti ad uso civile, ma che possono essere utilizzati anche a scopo militare. Ovviamente tenere una lista completa delle tecnologie dual use è un compito molto difficile poiché fare la distinzione tra uso civile e uso militare al giorno d’oggi non è semplice: una volta, se una cosa sparava era un'arma e se non sparava non era un'arma, mentre oggi invece anche un algoritmo può essere utilizzato a scopo militare.

Vi è poi una vasta gamma di sanzioni finanziarie che in generale consistono in restrizioni di pagamenti e trasferimenti di denaro da e verso singoli individui o gruppi di persone. In questi giorni si parla poi molto di congelamento dei beni personali. I governi possono optare per il congelamento dei beni e alcuni di essi stanno addirittura valutando come procedere per la confisca dei beni stessi. Un altro esempio di sanzione mirata che si focalizza sull’individuo sono i famosi travel bans, cioè le restrizioni all'accesso al territorio.

Vi sono in ultimo dei provvedimenti che, pur non essendo in teoria sanzioni vere e proprie, in pratica hanno lo stesso scopo: per esempio, la limitazione o l’annullamento degli aiuti esteri, che tecnicamente non è una sanzione perché non viene decisa con la stessa procedura per attivare le sanzioni prevista dall’UE in ambito PESC.

Bisogna poi sfatare il mito che in passato venissero imposti solo embarghi totali e che invece oggi si usano solo sanzioni mirate: ciò non è vero. Passando dal Sudafrica alla Rhodesia del Sud, e addirittura nel caso della Germania di Hitler e dell’Unione Sovietica, la comunità internazionale è raramente ricorsa ad embarghi: le sanzioni si focalizzavano invece su settori specifici dell’economia. L’eccezione è forse il caso dell’Iraq negli anni Novanta, quando sono state applicate sanzioni generalizzate di portata tale da segnare il destino di un paese per anni a venire. Le sanzioni contro la Russia hanno quindi un significato notevole: pur non avendo la portata di un embargo totale, sono però molto dure rispetto a quello che si è visto negli ultimi decenni.

Si può dire che le sanzioni sono efficaci? In primo luogo è importante specificare come le sanzioni non siano che uno dei tanti strumenti della politica estera. Raramente sono utilizzate da sole, quindi è difficile misurare il loro impatto in maniera precisa. Il presupposto della letteratura accademica è che, una volte imposte le sanzioni, se i ‘cattivi’ continuano a fare i ‘cattivi’ allora queste misure non funzionano. Questo metro di misura però non si applica praticamente a nessun altro strumento utilizzato in politica estera: nelle relazioni internazionali raramente esiste un silver bullet, un’unica soluzione sufficiente a risolvere una crisi o una situazione complessa. Le sanzioni vanno intese pertanto come uno strumento collocato all’interno di una strategia più ampia.

Spesso nella letteratura si arriva alla conclusione che le sanzioni non siano in grado di portare al desiderato cambio di comportamento da parte dell’individuo o dello stato bersaglio. Ci sono però un paio di considerazioni da fare: di solito, quando le sanzioni vengono usate per la prima volta, la crisi è già in fase acuta; si tratta quindi di una situazione complessa e difficile da risolvere nel breve termine.

Molti sostengono che le sanzioni più efficaci sono quelle che non vengono imposte, cioè di cui viene minacciato l’uso, ma che di fatto non vengono mai applicate: un deterrente credibile, invece che un meccanismo punitivo, che esercita una pressione tale da indurre il target a negoziare e raggiungere un accordo per scampare alle sanzioni stesse. Nell’applicare i concetti di coercizione e deterrenza è però necessario ricordarsi che a seconda che il target sia un intero governo o un singolo individuo, la logica con cui vengono valutate le sanzioni è diversa: alcuni provvedimenti possono essere efficaci contro un governo, ma non contro un individuo e viceversa.

Le sanzioni possono essere molto utili perché esercitano una tripla funzione di coercing, constraining e signalling. Per coercing si intende una spinta al cambiamento di intenzioni nello stato/individuo bersaglio che, di conseguenza, porta ad un cambiamento della condotta sanzionata. Per constraining si intende invece il rendere un comportamento sanzionato (per esempio l’invasione dell’Ucraina) non sostenibile dal punto di vista economico oppure addirittura tecnicamente impossibile. In quest’ultimo caso quindi non si ottiene un cambiamento nella volontà del bersaglio, ma lo si rende di fatto incapace di portare avanti il comportamento sanzionato, per esempio rendendo una campagna militare eccessivamente costosa. La terza funzione di signalling consiste nell’effetto simbolico delle sanzioni. I simboli sono molto importanti in politica estera. E applicare sanzioni è un modo efficace per segnalare in maniera inequivocabile quali comportamenti sono considerati accettabili e quali no.

Nel complesso dunque le sanzioni sono state e sono ancora molto utili. Certamente però l’effettivo cambiamento di comportamento del bersaglio non può essere l'unico metro di giudizio per valutarne l’efficacia.

Come sono regolate le sanzioni da un punto di vista normativo a livello multilaterale, UE e nazionale?

Nel diritto internazionale, le sanzioni sono regolamentate dalla Carta delle Nazioni Unite nel capitolo 7,  il quale prevede che esse possano essere adottate in seguito ad una violazione della pace, ad un atto di aggressione o ad una minaccia alla pace. Il capitolo 7 stabilisce inoltre che l’uso della forza può essere autorizzato solo dopo che le sanzioni sono state considerate e utilizzate. Le sanzioni quindi non sono uno strumento puramente simbolico, ma anche necessario da un punto di vista normativo. Secondo la Carta, l’ONU, in quanto associazione di stati, può imporre sanzioni agli stati membri. Non vi è però menzione di sanzioni mirate contro singoli individui o gruppi. Per questa ragione all’interno del Consiglio di Sicurezza vi è una contrapposizione tra gli stati che approvano le sanzioni mirate e quelli che invece le considerano il prodotto di un allargamento delle competenze del Consiglio di Sicurezza.

A livello UE, le sanzioni cadono nell’ambito della PESC. La decisione di imporre sanzioni è presa all’unanimità, mentre per definire la lista di individui target delle sanzioni basta una maggioranza semplice. L’Italia  in particolare si rifà alle decisioni prese in ambito UE. Le sanzioni economiche/commerciali sono imposte direttamente dall’Unione visto che il commercio è una competenza esclusiva dell’UE. Sanzioni riguardanti il commercio di armi o l’applicazione di travel bans invece vengono implementate dai singoli stati membri.

Qual è la novità delle sanzioni imposte alla Russia?

Per quanto riguarda la lista di sanzioni imposte alla Russia, si fa quasi prima a dire cosa non è stato sottoposto a sanzione. Le sanzioni individualmente imposte contro la Russia non sono una novità di per sé, quello che è nuovo è che sono state imposte tutte insieme e contro uno stato così grande e membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Inoltre, la velocità con la quale queste sanzioni sono state approvate e imposte è obiettivamente senza precedenti. Quindi la vera novità sta nell’entità del bersaglio e nella tempistica con cui le sanzioni sono state applicate.

La domenica prima che ci fossero i primi interventi in Donbass nessuno pensava che eventuali sanzioni avrebbero raggiunto questa portata. È per questo che non penso sia giusto dire che l’effetto deterrente delle sanzioni abbia fallito nel caso di Putin. Le sanzioni in questo caso non sono state annunciate in maniera sufficientemente credibile da renderle una minaccia verosimile per l’avversario.

La Russia è soggetta a sanzioni dal 2014: tra le ‘vecchie’ sanzioni che non sono mai state rimosse, c’è per esempio il blocco di tutti gli scambi commerciali verso e dalla Crimea che non passino per Kiev, alcune restrizioni finanziare per un certo numero di banche circa il rifinanziamento su mercati esteri, e anche un export ban riguardante alcune tecnologie per l’estrazione di petrolio e gas.

Dopo gli eventi di fine febbraio,  la lista di persone sotto sanzioni è stata estesa fino a contare piu’ di 800 individui, un numero considerevole se si tiene presente la grande concentrazione di potere nelle mani di pochi che caratterizza la società russa. Un’ altra misura introdotta nelle ultime settimane è l’esclusione delle banche russe dal sistema SWIFT che può avere qualche effetto nell’immediato, ma ha più che altro un valore simbolico, visto che alla fine si tratta di un meccanismo di trust building tra banche e non impedisce i trasferimenti di denaro. L’esclusione dal sistema SWIFT era già stata usata come misura contro l’Iran.

Le novità assolute introdotte a seguito dell’invasione dello scorso febbraio sono il congelamento delle riserve della Banca centrale, una misura molto complessa e senza dubbio durissima, e l’aggiunta dei nomi di Putin e Lavrov alla lista degli individui sanzionati. Ovviamente quest’ultima misura ha un valore simbolico, ma è comunque notevole visto che non sono tanti i capi di Stato che sono state sanzionati direttamente e il nome di Putin va ad aggiungersi ad un ristretto club molto ‘interessante’ composto da Maduro, Gheddafi, ecc.

È importante infine considerare l’effetto secondario delle sanzioni. Il clima di incertezza che si è venuto a creare ha indotto e sta ancora inducendo molte aziende straniere a lasciare il paese, non solo per paura di possibili sanzioni secondarie imposte da USA o UE, ma proprio per la situazione senza precedenti che le sanzioni hanno creato.

Ha detto prima che le sanzioni possono portare a un cambiamento di ‘intenzioni’, ma più spesso portano ad una diminuzione delle risorse disponibili che impedisce allo stato bersaglio di portare avanti l’azione ‘sanzionata’, in questo caso, l’invasione dell’Ucraina. Che probabilità ci sono che le presenti sanzioni portino Putin a questo punto senza dover ricorrere a uno stop totale delle importazioni di idrocarburi dalla Russia?

Questo ovviamente dipende da come si sviluppa lo scenario nel breve e nel medio periodo. Non è detto che le sanzioni attuali portino ad un collasso totale dell’economia russa, perché la Russia è grande. Dal 2014 in poi hanno trovato modi per contro-bilanciare, almeno in parte, l’effetto delle sanzioni attraverso, per esempio, il re-routing degli scambi commerciali attraverso paesi terzi – non è un caso che proprio questi giorni alcune sanzioni siano state imposte anche alla Bielorussia. Per la Russia molto dipende da come si comporteranno i paesi dell’Asia centrale e anche gli altri BRICS, Brasile, India, Cina e Sud Africa. Se questi paesi sceglieranno di non allinearsi con le sanzioni imposte dall’Occidente, daranno alla Russia un po’ di respiro e allo stesso tempo faranno aumentare il costo derivante dall’imposizione di sanzioni per l’Occidente.

Considerata l’entità delle sanzioni è possibile che la Russia si veda costretta a porre fine all’invasione se non per una nuova volontà di raggiungere un accordo (il cambiamento di intenzione citato in precedenza), almeno per una mancanza di risorse necessarie a sostenere uno sforzo bellico molto dispendioso.

Infine, un altro aspetto da tenere sotto controllo è il comportamento degli oligarchi. Fino ad ora, gli oligarchi hanno chiaramente beneficiato della forte centralizzazione di potere impostata da Putin. Se però per gli oligarchi diventasse difficile accedere ai loro asset, probabilmente il loro sostegno a Putin inizierebbe a vacillare.

Quindi io credo che le sanzioni siano necessarie se non fondamentali come uno degli strumenti di una strategia più ampia. Non possono diventare però un modo per distruggere la Russia.  Perché se questo è presentato come scopo ultimo dell’Occidente, allora non bisogna stupirsi se la risposta russa alle sanzioni si concretizzerà in azioni militari ancor più violente.

Gli effetti delle sanzioni sulla popolazione civile. C'è il rischio che delle sanzioni così pesanti portino a una situazione di effettiva sofferenza per la popolazione civile paragonabile a quello che abbiamo visto per esempio in Iraq negli anni 90?

Assolutamente sì. È impossibile imporre sanzioni così dure senza che esse colpiscano in maniera significativa la popolazione civile. Per fare un esempio concreto, se per il clima di incertezza creato dalle sanzioni i container della Maersk smettono di arrivare in Russia, vengono a mancare beni fondamentali, come l’insulina e altri medicinali essenziali. Quindi, se da un parte è fondamentale che la comunità internazionale si mostri unita nella sua opposizione all’invasione dell’Ucraina, dall’altra è necessario stabilire fino a che punto è legittimo colpire anche la popolazione civile russa.

È un equilibrio molto difficile da trovare e il caso delle sanzioni contro l’Iraq negli anni Novanta ne è la prova. Paradossalmente, le sanzioni senza precedenti che sono state imposte contro Bagdad hanno addirittura rafforzato il regime di Saddam, che è stato molto abile nel centralizzare il controllo delle poche risorse disponibili, aumentando la dipendenza della popolazione nei confronti del regime.

Bisogna quindi chiedersi se interrompere le importazioni di gas significherebbe dare un ultimo colpo di grazia all’economia russa, e se questo è veramente l’obiettivo che si vuole raggiungere. Senza considerare poi che una simile decisione avrebbe dei costi altissimi anche per l’Europa. Più che allargare lo spettro delle misure in atto contro la Russia (broadening), dovremmo concentrarci sul rafforzamento delle sanzioni esistenti (deepening), cioè nel chiudere le ‘scappatoie’ che consentono agli attori bersaglio di aggirare le restrizioni imposte dalle sanzioni. Allo stesso tempo, dovremmo investire più sforzi nello stabilire un dialogo con la società civile, magari prendendo in considerazione una potenziale sospensione delle sanzioni a quegli attori che si rendono disponibili a instaurare un dialogo (il cosiddetto processo di de-listing).

Bisogna assicurarsi che le sanzioni non vegano applicate in maniera indiscriminata e illimitata, ma che invece il loro impatto si concentri su quegli individui o su quel gruppo di individui che veramente hanno la responsabilità e i mezzi per alterare il corso del conflitto.

Data dell'intervista: 15 marzo 2022.

Crediti immagine: Pixabay, Creative Commons CC0 1.0 Universal

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