Atlante

Eugenia Romanelli

È founder e direttrice della testata giornalistica ReWriters, di cui è proprietaria, e presidente dell’omonima Associazione culturale, unica licenziataria del cultural brand ReWriters. Dopo aver diretto la versione italiana della rivista internazionale Time Out, fondato e diretto l’e-zine Bazarweb.info coedita da Rai Eri e La Stampa, fondato e diretto il primo inserto culturale de Il Fatto Quotidiano “SmarTime”, creato il canale Ansa Viaggi, fondato la prima scuola europea delle scritture, dedicata a Ursula Le Guin, attualmente scrive per Vanity Fair, è blogger per Il Fatto Quotidiano e L’Espresso ed è autrice Treccani. Ma soprattutto è l’anima del Movimento Culturale ReWriters. Tra le docenze, ha insegnato scrittura creativa a La Sapienza e all’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico; giornalismo, new media, business writing e social media writing alla Luiss di Roma e alla Scuola di Scienze aziendali di Firenze; ha diretto il laboratorio “Advanced Communication” all’Università di Firenze (progetto Nemech); ha creato e diretto il Master in “Nuovi giornalismi e blogging” al Centro sperimentale di fotografia Adams. Per l’Ordine dei Giornalisti, organizza corsi di aggiornamento sul tema della deontologia e della privacy. Come Amministratore unico dell’agenzia di comunicazione ACT!, premiata nel 2005 dalla Regione Lazio come “Migliore impresa creativa”, ha vinto il premio DONNAèWEB del Premio Web Italia patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal ministero per l’Innovazione e le tecnologie per aver creato il miglior sito dell’anno, per l’ideazione del primo Cultural Brand italiano e per avere fondato la prima galleria d’arte contemporanea digitale italiana. Tra le pubblicazioni, saggi e romanzi: Il corpo della terra, la relazione negata (Castelvecchi, 2020), Mia (Castelvecchi, 2019), Web, social ed etica. Dove non arriva la privacy: come creare una cultura della riservatezza (ETS Edizioni, 2018), La donna senza nome (Castelvecchi, 2015), È scritto sul corpo (De Agostini, 2013), 2BX (De Agostini, 2012), Vie di fuga (Dino Audino, 2011), Tre punto zero (Dino Audino, 2011), Con te accanto (Rizzoli, 2009), Sfide da vincere (Giunti, 2008), Bazar Cultural brand: comunicare sempre (Rai Eri, 2007), Tecniche di comunicazione creativa: il metodo Bazar (Rai Eri, 2005), La traversata di Emma Costa Rubens (Marotta 2004), Vladimir Luxuria (Castelvecchi, 2002), Trop Model (Ed. Borelli 2001). Per altre informazioni di carattere enciclopedico, è su Wikipedia, versione italiana e inglese.

Pubblicazioni
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Lunedì a Roma il concerto di Nyman

Una musica ariosa, a tratti barocca, che si regge su travolgenti progressioni di archi, sulla ripetizione insistita di frasi elementari e su melodie antiche da adagio settecentesco: chi è? Sì, è lui, Michael Nyman, e lunedi 16 maggio sbarcherà all’Auditorium Parco della Musica di Roma con una performance degna dello stato dell’arte della sua carriera. “L’autore assicura che ciò che andiamo ad ascoltare è esattamente quello che lui intendeva esprimere. Per coloro che hanno già avuto modo di ascoltare Michael Nyman al pianoforte, questo è un esempio perfetto di quanto entusiasmo il compositore metta nella sua esecuzione. Minimalista? Ci sono brani pieni di melodia e liricità in questa esecuzione”. Lo scrive The Guardian, all’unanimità con la critica internazionale, e quella italiana è in attesa più che trepidante di dire la sua.

Nel suo programma pianoforte solo di lunedi, si potranno ascoltare in un live mozzafiato molti dei brani più noti che hanno emozionato l’intero globo terrestre, da Lezioni di piano alle colonne sonore di Le Bianche Tracce della Vita (the Claim), Il Diario di Anna Frank, Gattaca, Wonderland e Prospero’s Book. I brani, infatti, sono quasi tutti tratti dalle sue raccolte di musica per pianoforte solo (The Piano Sings e The Piano Sings 2, pubblicate sulla sua etichetta MN Records).

Con l’occasione vale la pena ripercorrere le tracce di questo artista, indubbiamente tra i massimi compositori viventi, maestro indiscusso del minimalismo (termine da lui applicato per la prima volta alla musica nel 1968), insieme a Philip Glass, Steve Reich, John Adams e Wim Mertens, ma anche molto versatile, coi lavori importanti per enti lirici, cinema, compagnie di danza e teatro. Indimenticabile, oltre a Lezioni di piano (quasi due milioni di copie vendute), anche le musiche per L’ultima tempesta di Peter Greenaway, tra i capolavori musicali del Novecento. Fu lui stesso a confidare, anni fa, la genesi della sua ispirazione: “Nasce da un'angoscia musicale molto personale – disse – la musica per me è potenza, passione, istinto, dolore”. Ed ecco che suoni molto diversi tra loro si fondono e contaminano, in un’orgia di folk, elettronica, musica sacra e classica, sempre molto suggestiva.

Si può dire, però, le contrapposizioni fanno parte del suo stesso percorso formativo, visto che, dopo un diploma alla Royal Academy of Music e King’s College di Londra, si mise a studiare musica folklorica romena. Mai sazio di stimoli, nel 1974 si dedicò alla critica musicale pubblicando il saggio Experimental Music: Cage and Beyond: due anni dopo, la sua Decay Music rivisitava la lezione "slow-motion" di Steve Reich e quella ambientale di Brian Eno, tracciando nuove traiettorie armoniche.

È sempre in questi anni, anche, che nacque la Michael Nyman Band (orchestra per cui Nyman ha poi concepito quasi tutta la sua musica) e il sodalizio con il regista inglese Peter Greenaway, che lo posizionò nell’olimpo dei compositori neoclassici. "Greenaway - racconta il compositore - mi chiedeva un commento sonoro a una sequenza di cinque minuti e io lo scrivevo, ma non mi ha mai detto che cosa volesse. Il nostro, in un certo senso, era un lavoro alla pari. Un regista pensa di dirigere anche il compositore e questo non va tanto bene... Con Greenaway non ho mai dovuto implorare un po' di libertà creativa, perché questa è una cosa molto normale con lui. Oggi mi rendo conto di avere avuto un grande privilegio a lavorare con un regista che mi consentiva semplicemente di farmi sedere al pianoforte e comporre la musica che volevo per accompagnare le sue immagini".

Negli anni ’90, la collaborazione con il regista Michael Winterbottom (Wonderland e The Claim) portò l’artista a immaginare un concept album decisamente innovativo: lo stesso tema si ripete in una serie di variazioni e ogni brano porta il nome di un personaggio del film, ma con una coerenza interna che è squisitamente musicale. Si trattò di uno dei culmini della sua produzione.

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A Roma la fiera degli editori indipendenti

“Più libri più liberi” è il nome (denso) della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria promossa e organizzata da AIE – Associazione Italiana Editori, che si tiene ogni anno a Roma, all’interno del bellissimo Palazzo dei Congressi. Dal prossimo 4 dicembre, per 5 giorni, eccola che torna con un’orda di appuntamenti “Per amore dei libri”, come recita il claim dell’edizione 2015, la quattordicesima, per lanciare una nuova sfida alla contemporaneità. A riunirsi sono gli editori underground, piccoli rispetto ai grandi ma decisamente più impegnati nella difficile operazione di cambiare il corso della storia della cultura italiana. Vera avanguardia nostrana, questo manipolo di visionari ha imparato a sognare con i piedi per terra e sforna idee, progetti e proposte realistiche e sostenibili, a tal punto da spaventare i macrosistemi di vendite e consumi, che sempre più si trovano a fare i conti con le nuove nicchie di mercato, più veloci, più competitive.

“Sono editori piccoli – spiegano gli ideatori – ma agguerriti, competenti e dinamici, pronti ad affrontare i nuovi scenari che vive oggi l’editoria italiana interpretando un ruolo d'avanguardia culturale ed editoriale, setacciando i mercati nazionali e internazionali, esplorando nuovi orizzonti di mercato prima dei grandi, scoprendo i bestseller, le tendenze, gli autori e le letterature di domani”. Un lavoro di scouting oggi più che mai essenziale in un'epoca segnata da megafusioni industriali, crisi di vendite nella grande distribuzione, boom dell'e-commerce e rilancio delle librerie indipendenti.

Gli intellettuali italiani troveranno pane per i loro denti, ma anche studenti, appassionati, giovani curiosi e lettori abituali, oltre naturalmente agli scrittori, aspiranti tali o già affermati, agli agenti letterari, e agli addetti ai lavori in generale. Eh sì, perché il Caffè Letterario ospiterà incontri, conferenze, tavole rotonde, reading, spettacoli e laboratori diventando protagonista di un’eccellente maratona nell’industria culturale italiana.

A inaugurare la manifestazione, venerdì 4 dicembre alle 10.30, il politologo francese Bernard Guetta, prima star tra le tantissime (vedi il programma sul sito): “Ospiteremo le promesse della nuova letteratura internazionale, ma anche gli autori italiani più amati, i fumettisti, gli YouTubers, e poi attori, giornalisti, saggisti, politici, intellettuali, scienziati, sempre in un approccio basato sulla trasversalità del linguaggio e dei contenuti”. Qualche nome tanto per gradire? Stéphanie Hochet e Cécile Coulon, Alain Mabanckou, Morten Brask, Friedrich Ani, Natasha Fennell, Marcelo Figueras, Julia Glass, Julian Herbert, Scott Spencer, Valeria Luiselli, Merritt Tierce, Alejandro Zambra, Erri De Luca, Andrea Camilleri, Paolo Poli, Ascanio Celestini, Caterina Bonvicini, Giuseppe Culicchia, Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois, Raffaele La Capria, Antonio Manzini, Dacia Maraini, Niccolò Ammaniti, Luca Bianchini, Goffredo Fofi, Nicola Lagioia, Francesco Piccolo, tra gli altri.

Vera novità, infine, il debutto della neonata web radio RadioLibri.it. Gli smanettoni e socialmaniaci, invece, troveranno gli aggiornamenti in tempo reale su www.plpl.it e con #peramoredeilibri e #piulibri15.

 

Foto di Musacchio e Ianniello.

 

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Al via a Roma Feminism. Fiera dell’editoria delle donne

In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui movimenti nazionali e internazionali, da #QuellaVoltaChe a #Metoo, portano sotto i riflettori le donne, ma anche la violenza, le molestie e gli abusi contro le donne, nasce a Roma Feminism. Fiera dell’editoria delle donne in Italia.

Il protagonismo femminile sembra inaugurare una nuova era delle nostre società, e forse l’evento-simbolo con cui può essere identificata è quel vestito nero con cui si sono presentate le attrici (e anche molti uomini in segno di solidarietà) alla 75a edizione dei Golden Globes, a sostegno delle vittime delle violenze denunciate in quello che è diventato lo “scandalo Weinstein”. Da Meryl Streep ad Asia Argento (che assicura la sua presenza alla fiera capitolina), una folla di donne, più o meno note, si è alzata in piedi in tutto il pianeta per dire basta. E mentre il termine femminismo è stato designato parola del 2017 dal prestigioso dizionario americano Merriam-Webster, e per la copertina della rivista più importante dell’anno il TIME ha scelto le attiviste di #Metoo, da Rose McGowan a Tarana Burke, il 2018 sembra promettere di passare alla storia come l’anno dell’empowerment delle donne, di tutte le donne.

Intanto, per l’appunto, alla Casa internazionale delle donne di Roma, dall’8 all’11 marzo, va in scena questa prima edizione di Feminism, forse mai come adesso “necessaria”: «Dove sono le donne? – spiegano le organizzatrici – Con questa maratona no-stop a base di libri, le voci delle donne si leveranno, insieme e diverse, come strumenti di un’orchestra: scrittrici, editrici, giornaliste, bibliotecarie, traduttrici, autrici ecc. per raccontare il mondo dal punto di vista femminile».

Per quattro giorni, l’ex Reclusorio per donne del Seicento, oggi a rischio di chiusura, ospiterà settanta stand di editrici o di editori con collane dedicate alle donne, come Donzelli, Empiria, E/O, Fandango, Luciana Tufani, ManifestoLibri, Meltemi, minimum fax, Nottetempo, Sinnos, Vanda ePublishing ecc., oltre a incontri, conferenze, performance, presentazioni, eventi. «L’intento principale – spiega Maria Palazzesi – è di mettere in evidenza, attraverso dei focus, tutti i passaggi della filiera del libro d’autrice: le scelte editoriali, la stesura del testo, la produzione, la promozione, la distribuzione e l’attività critica e divulgativa di testate specifiche, sia cartacee che on-line, avvalendosi di testimonianze e dibattiti. Del resto, siamo noi donne le maggiori consumatrici e lettrici di libri, fin da bambine».

Questa prima edizione vedrà la luce grazie al lavoro di Maria Palazzesi e Giovanna Olivieri dell’Associazione Archivia, Anna Maria Crispino della rivista Leggendaria, Marina Del Vecchio della Casa internazionale delle donne e Stefania Vulterini della collana “Sessismoerazzismo” di Ediesse edizioni, con Iacobelli editore e ODEI. Osservatorio Degli Editori Indipendenti come sostenitori. «L’obiettivo – spiega Marina Del Vecchio – è far emergere il libro come strumento principe per la crescita e la diffusione della coscienza culturale delle donne».

Dunque libri e non solo: il fittissimo calendario di eventi affronta temi storici e di estrema attualità come l’eco-femminismo, le testimonianze di detenute e agenti di polizia penitenziaria, l’emblematica storia delle donne nei manicomi dell’Italia fascista, le relazioni con le scrittrici migranti dal mondo arabo, il lesbismo e i diritti delle donne spiegati alle bambine. Nel diluvio di testimonianze, anche Maria Rosa Cutrufelli, Cecilia D’Elia, Ilaria Drago, Alessandra Pigliaru, Giorgia Serughetti, e Lidia Ravera che inaugurerà la Fiera.

Se da una parte le presentazioni di ManifestoLibri vedranno Asia Argento come madrina, l’evento forse più interessante è “Scum” di Valerie Solanas, pubblicato in America nel 1967 e per la prima volta tradotto integralmente in Italia da Vanda ePublishing. Stiamo parlando di un’artista d’avanguardia, rivoluzionaria e femminista, lesbica, prostituta e mendicante, stiamo parlando di colei che sparò a Andy Warhol, sì, ma anche di uno dei più interessanti “non luogo” nel canone letterario anglo-americano.

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Festival Ro_map a Roma: il Circo Massimo rivive in digitale

Far dialogare passato e presente. Anzi no. Di più: passato e futuro. Sembra questa l’intenzione dell’artista digitale Maxime Houot e del collettivo francesce Coin (e di tutto il Festival Ro_map) che, il 9 e 10 settembre dalle 20.30 a mezzanotte, metterà in scena a Roma l’installazione “Globescope” in prima nazionale. La scenografia non è però un dettaglio: il Circo Massimo. Infatti si tratta di un mutuo scambio, e a goderne è l'umanità intera. Il minimalismo digitale si fonderà col monumentalismo cinetico della Roma Caput Mundi e, tra 256 sfere luminose su 2000 metri quadrati controllate da un sistema wireless che le fa vibrare, lo spazio urbano carico di storia, simboli e cultura verrà digitalizzato e ri-immaginato. 

Avveniristico? Futuribile? Gli aggettivi servono a poco: sperimentare la grande arena romana come fosse una superficie digitale, un tecno-scape in movimento, è un’esperienza (come tutte, del resto) che va vissuta. “Distribuiti casualmente – spiega l’ideatore Michele Cinque - ogni punto, ogni pixel che compone l’opera è interconnesso con gli altri, attraverso i suoni e i movimenti di luce che li attraversano”. La matematica, il suono, la luce trasformeranno quindi lo spazio che, senza mutare i suoi confini fisici, verrà espanso fino a creare nel visitatore una visione surreale.

Ma il Festival RO-map, dedicato proprio al rapporto fra nuove tecnologie e spazi cittadini, non finisce qui. L’altra diva sarà Piazza Navona, l’11 e il 12 settembre (dalle ore 21): sulla facciata della chiesa di Nostra Signora del Sacro Cuore, gioiello del tardo Rinascimento capitolino, verrà proiettato uno show di video mapping. Gloria, questa volta, per Apparati Effimeri, collettivo italiano noto in tutto il pianeta per le mirabolanti mappature video, tra i pochi al mondo (e unici in Italia) a realizzare contenuti in stereoscopia 3D. Ecco che, grazie agli occhialini 3D che saranno distribuiti nella piazza, la chiesa diventerà un piano pittorico dove leggere scrittura immateriale di forme e colori, e gli spettatori potranno ammirare la trasformazione delle architetture della chiesa immaginando un’altra Roma.

Non male la provocazione del festival (realizzato con il sostegno di Roma Capitale e Siae, sponsorizzato da Banca Popolare Etica, in partnership con l’Ambasciata del Brasile a Roma): affidare a raffinate macchine sceniche hi-tech la memoria storica. E allora? Davvero al passato ci si può solo sottomettere? Davvero non può essere cambiato? Davvero il presente è così distante dal già accaduto? Davvero la Storia segue un tempo lineare? La risposta degli artisti è la stessa della fisica quantistica: no.

 

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Glamda: a Roma una festa di creativi

Sabato 17 ottobre, al celebre Lanificio 159 di Roma, location underground e crossover, va in scena l’opening party di Glamda, marchio doc che sostiene e promuove i giovani creativi internazionali. Per l’occasione, niente meno che il progetto Fatuus: tre artisti che spaziano dalla fotografia al teatro, dalla video arte alla produzione musicale (Teatri Tra i Binari/Va Kuum/Gianni). Inutile dire che si respira aria di Art-on, Festival di Arte Pubblica alla sua prima edizione, un format itinerante ideato e organizzato dal Progetto Artistico Libertà per connettere arte, comunità e spazio urbano. “Tra i progetti proposti - spiegano i creativi di Glamda - uno in particolare ci ha colpito per l'equilibrata ed armoniosa collaborazione di discipline artistiche: Fatuus è un progetto di ricerca artistica che parte da immagini, suoni e azioni ambientate nel Chianti”.

In consolle un altro artista internazionale, Andrew Butler: produttore, dj e songrwriter newyorkese, è stato tra i fondatori del celeberrimo progetto “Hercules and Love Affair”, una delle band di punta della scena colta della dance internazionale. Butler ha pubblicato quest'anno il suo primo singolo, “You Can Shine”, che ospita la voce di Richard Kennedy: “Spero di aver creato qualcosa di nuovo - dice Butler - spesso la house music è ricca di soul, ma è molto raro ascoltare una grande voce influenzata dal gospel su suoni techno esplosivi”.

Non da meno Flavia Lazzarini, resident di Glamda: dj, remixer, producer, è una delle dj italiane più apprezzate della contemporaneità internazionale, anche per l’ostinato uso del vinile. Responsabile della rubrica musicale del sito ufficiale della Rai, e dj resident per la trasmissione televisiva Sex and the City, firma il progetto Glamda, serie di eventi dedicati specificamente al clubbing con la mission di promuovere e sostenere i giovani creativi internazionali sulla scia della sua etichetta indipendente Glamnight Records, oggi vero punto di riferimento online per artisti dj, producer, musicisti, compositori, vocalist e per chiunque sia impegnato a condividere il proprio progetto musicale indipendente, nell'ambito dell'elettronica, nu-indie e house.

Sabato sera, occhio, verranno stampati con un numero limitato di 1000 poster da collezionare: l’occasione è ottima per conoscere alcuni tra i più interessanti creativi internazionali tra illustratori, fotografi, street artists, tatuatori, pittori e designers. Buon divertimento!

 

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In Italia Damien Rice, il più radical dei cantautori

«Dolcissime ballate, rabbia prorompente e versi sublimi. Questo è Damien Rice» (The Guardian). «La maniera in cui riesce ad incantare il pubblico con le sue gemme folk è unica» (Rolling Stone). «Rice si fa notare con una voce potente tanto melodica quanto aggressiva» (The New York Times). Non si può che aggiungersi al coro. Il 26 luglio a Roma, a calcare il palco della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, niente meno che l’autore della strafamosa “The Blower’s Daughter”, scelta come colonna sonora del film Closer, nominato agli Oscar nel 2004. È stato un concerto a dir poco folgorante, a cominciare dalla scenografia minimale: lui, la chitarra, il palco. Intorno solo vento, fumo, e teli neri. Tutto perfetto, insomma, per esaltare quella voce inconfondibile, profonda, dolce, a volte roca a volte in levare. 

Ma non solo. La sorpresa, infatti, c’è stata: la voce, in un paio di brani e in quello finale, ha cominciato a rifrangersi su sé stessa insieme agli strumenti usati in sequenza (varie chitarre, un flauto, un campanellino, una fisarmonica..), e il canone tecnologico in effetto Droste è culminato, come in un labirinto di suoni, in un’esplosione di effetti sonori e light design davvero suggestiva. E poi gli interventi in prosa: un paio di discorsi, qualche battuta, un racconto drammatico sulla sua infanzia, e la gag degli spermatozoi che, come simbolo di vita e vitalità, vorrebbero disperdersi ovunque. Notevole anche il pezzo del bis, senza microfono, nella ricerca spasmodica di un contatto quasi carnale col pubblico. Anzi carnale, dato che Damien, travolto da sé stesso e dal proprio talento, ha poi invitato tutti a salire sul palco, rischiando di essere divorato dall’entusiasmo dei fan. E invece, la magia: guidati dall’artista, tutta la Cavea raccolta tra palco e parterre, ha intonato, proprio come il gioco appena ascoltato, un canone a tre voci da lacrime agli occhi.

Dopo la tappa del 27 luglio al Teatro Antico di Taormina, giovedì 30 luglio sarà la volta del Castello Scaligero, a Villafranca di Verona. In ballo c’è “My Favourite Faded Fantasy”, autoprodotto con l’aiuto di Rick Rubin, terzo album di questo giovane musicista dalla faccia ruvida e il sorriso dolcissimo, proprio come le note che compone. Uscito nell’ottobre scorso, ha coinvolto tutto il mondo e anche Milano, dove ha fatto innamorare il pubblico del Gran Teatro Linear4Ciak. Erano ben 8 anni che Rice non emetteva suono: strano, dopo i capolavori di “O” e di “9”. Perché? Lo si comprende ascoltandolo, promesso. Questo «mix perfetto di arte, personalità e presenza scenica» (Los Angeles Times), «il più emozionante e incoerente cantautore al mondo» (Newsweek), è infatti un maestro dell’anticonvenzionale, e per questo non rispetta alcun canone, nemmeno le aspettative di critica, pubblico e produttori in attesa.

Follia pura nella logica del mercato musicale internazionale, soprattutto se, come è accaduto nel 2002 a “O”, si rimane per ben 80 settimane nella UK Top Album Chart e 10 settimane nei Billboard 200, vendendo oltre 2 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo (1 milione solo in UK). E non basta, perché nello stesso anno conquista una nomination ai Brit Award e agli NME Award, e diventa il primo artista irlandese a vincere il prestigioso Shortlist Music Prize. Dopo “soli” quatto anni, esce “9”, e di nuovo è un tripudio di critica e pubblico, tanto che l’artista viene nominato ai Brit Awards come miglior artista Internazionale. Memorabile il tour mondiale tutto sold out che culminò alla Wembley Arena a Londra (il tour porta alla pubblicazione di un album dal vivo, “Live From the Union Chapel”).

Questo artista bizzarro, radical, sognatore e poeta, bravissimo, è anche impegnato sui diritti civili, tanto che ha pubblicato il singolo “Unplayed Piano” a supporto della “Free Aung San Suu Kyi 60th Birthday Campaign”, campagna su iniziativa globale per la liberazione del Premio Nobel per la Pace Birmano.

 

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Lavorare e comunicare in rete. Incontri a Pisa e Firenze

Come saremo nel 2048? Per scoprirlo, basta puntare barra a dritta su Pisa dove, dal 6 al 9 ottobre, 200 eventi in 18 location sparse per la città racconteranno tutto su etica robotica e mondo del lavoro, sullo stalking in rete e la sicurezza informatica, sulla mobilità smart nelle città, e sul mondo del game. Un vero e proprio omaggio ai 30 anni dall’invio del primo segnale digitale. Firenze invece (18 e 19 novembre) vanta un corso di formazione dell’Università (ultimi 10 posti, iscrizioni chiuse il 25 ottobre) con tanto di attestato per inserirsi nel mondo della comunicazione, del social media management, dei nuovi giornalismi digitali e dell’advertising 2.0: conferenzieri stellari da tutto il mondo, tra cui Teresa Masterson, corrispondente di NBC California, Rory Cappelli, di Online News Association, e Stefania Maurisi, della squadra di Assange – Wikileaks. Ma cominciamo dal principio.

“Tessuti Digitali” è il titolo della sesta edizione di Internet Festival (ingresso gratuito), vera e propria maratona tra dibattiti, incontri, workshop e laboratori, suddivisi nelle sezioni Media Digitali, Economia e Startup, Gaming, T-Tour, Scena Digitale, Visioni, Trame, Cibo Divino, Sport, tutti focus tematici dedicati all’innovazione, compresa quella della cultura con Future Museum, competitor della fiorentina Nemech, promoter di Advanced Communication. Tra gli ospiti anche Lucia Annunziata, Antonella Di Lazzaro, Dino Amenduni, Andrea Di Benedetto, Massimo Giacon, Cecilia Laschi, Valerio Pagliarino, Ernesto Assante e Gino Castaldo. Ai 30 anni della prima connessione italiana a Internet - avvenuta proprio a Pisa grazie ai ricercatori del CNUCE CNR - sarà dedicato anche l'evento “30 anni da 30 e lode: come Internet ci ha cambiato la vita e come ce la cambierà ancora”, organizzato da Riccardo Luna, con Carlo Ratti, Stefano Quintarelli, Joshua Held, Anna Masera, Davide D'Atri, Federico Bastiani, Benedetta Arese Lucini e Ivana Pais. Seguirà poi la proiezione del documentario di Alice Tomassini e Riccardo Luna “Login. Il giorno in cui l’Italia scoprì Internet”. Sulla Cybersecurity e sul lavoro in era digitale interverranno Franco Gabrielli, Marco Carrai, Claudia Fusani, Susanna Camusso, Riccardo Staglianò e Robin Hanson. Da non perdere le performance del progetto RONDA, con i robot indossabili, Gomorra 360, Virtual Reality ambientato nelle location della seconda serie di Gomorra, e la tavola rotonda sui risultati dello studio europeo #SilenceHate sull’odio in rete. La Regione Toscana sarà presente a Pisa con un programma di appuntamenti focalizzati sul tema degli Open Data, e idem a Firenze, dove patrocina l’intero programma.

Due week end, quelli di Pisa e Firenze, utilissimi per informarsi e formarsi sia in area culturale e museale (Advanced Communication ospita anche Elisabetta Stefanelli, capo cultura di Ansa, che parlerà di cultura e beni museali in rete), sia in media digitali: in entrambe le città si indagheranno le sfide al giornalismo e lanciate dall’informazione delle community online, ma mentre Tessuti Digitali si preoccuperà di informare sul panorama internazionale (interventi di Mario Calabresi, Fabio De Caro, Francesco Bernabei, etc), Advanced Communication ha incarico di formare gli iscritti su come viralizzare i contenuti, come distribuirli e confezionarli, come creare conversioni sui social, come fare business con l’informazione, come reperire i dati nel deep web, come scrivere in modo efficace, come utilizzare le licenze creative commons e i nuovi diritti d’autore digitali.

La Toscana, così, sembra farsi portavoce dell’Italia che cambia e si rinnova, dell’innovazione sociale, e si fa carico di un messaggio fondamentale: bisogna acquisire competenze e aggiornarsi se si vuole diventare protagonisti della contemporaneità.

 

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Librì, una “scuola nella scuola”

In pochi mesi la neonata casa editrice Librì ha conquistato il cuore di 20 mila insegnanti e 500 mila bambini e sembra davvero mantenere le promesse fatte a sé stessa: cambiare la cultura italiana in una generazione. Stiamo parlando di un nuovo progetto educativo, una sorta di “scuola nella scuola” che l’audace Librì, timonata da una donna, Cristina Zannoner, sta lanciando in tutta Italia: “Basta, bisogna fare qualcosa, dobbiamo rimboccarci le maniche e trascinare a forza il nostro paese fuori dalla crisi e dalle sue arretratezze – spiega Zannoner. E lo si può fare per davvero solo partendo dall’educazione”.

Target di Librì sono anche i piccolissimi, infatti alle educatrici che ne fanno richiesta, la casa editrice manda gratuitamente i kit anche alle scuole materne: “Nel kit le insegnanti trovano una guida per come usare i materiali e vari oggetti, di solito dei libri illustrati o dei giochi o dei concorsi da fare in classe, tutti sempre a tema educativo”. Temi effettivamente fondamentali per uno sviluppo virtuoso di qualsiasi personalità ma anche del mondo stesso: promozione della gentilezza, rispetto delle diversità, sostenibilità ambientale, educazione finanziaria e alimentare, etc.

Non solo, a breve anche una collana di libri per bambini a distribuzione Giunti per aiutarli ad elaborare emozioni e concetti delicati come il lutto, o a fare prevenzione sugli abusi. “Se educhiamo i nostri figli al rispetto e alla difesa della vita in tutte le sue declinazioni ed espressioni - dice Zannoner - essi saranno degli adulti responsabili, virtuosi, attori di buone pratiche in qualsiasi aspetto della loro esistenza, dalla gestione delle risorse a quella degli affetti, saranno lavoratori onesti, imprenditori etici, creativi intelligenti”.

Basta aprire il sito di Librì per capire come le fondamenta del progetto siano proprio una sorta di “nuova etica della contemporaneità”: in primo piano, infatti, la “Carta etica” a cui chiunque voglia interrelarsi con loro deve aderire: non-discriminazione, pari opportunità, condivisione di risorse, valore di scambio, creazione di nuovi immaginari inclusivi, empowerment dei soggetti più deboli, fino alla determinazione di fondare una nuova imprenditoria impegnata a favorire la ristrutturazione e lo sviluppo del paese in tutte le sue potenzialità.

Nelle classi che ne fanno richiesta, arrivano anche kit per partecipare a concorsi educativi, con un tema a scelta e preziosi premi in palio, come lavagne e altri materiali didattici utili a migliorare la vita in aula. “Nessuna competizione con la scuola pubblica - assicura Zannoner - semplicemente diamo una mano, perché l’Italia è piena di insegnanti volenterosi e capaci ma che non sempre si trovano nelle condizioni di poter alzare il livello della didattica, entrare in profondità di alcune materie, coinvolgere i ragazzi su questioni importanti che magari non fanno parte dei programmi”

Anche gli adolescenti sono bersaglio di quest’impresa ambiziosa, infatti Librì ha appena chiuso un accordo con Blasteem, piattaforma italiana, per cui produrrà contenuti “+”, appunto con l’obiettivo di sensibilizzare i giovanissimi a tematiche che non siano solamente “un consumo compulsivo e random di spazzatura digitale”.

Insomma, una casa editrice “diversa”, non solo per il fatto di essere formata per il 95% da donne, ma soprattutto per un modo non convenzionale di fare business e per l’idea di una innovazione sociale a partire dagli strumenti più antichi, i libri e la cultura: “La cultura e l’educazione – conclude Zannoner – sono l’arma più affilata contro il degrado in cui rischiamo di sprofondare tutti quanti se non reagiamo a questo stallo epocale nel quale siamo rimasti impantanati. Se non cambia l’immaginario su cui costruiamo i nostri valori ormai sempre più logori e corrotti, nessuna politica potrà mai avere presa”.

 

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Nemech: la tecnologia al servizio della cultura

Non poteva che essere Firenze, città d’arte per eccellenza, la culla del primo progetto italiano che mette le più aggiornate tecnologie digitali al servizio dell’arte e della cultura. Si chiama Nemech (New Media for Cultural Heritage), ed ha sede in uno dei più avvenieristici poli culturali della città: l’ex carcere femminile Le Murate, oggi ristrutturato con vetro e acciaio per un dialogo virtuoso tra la contemporaneità e il suo (impegnativo) passato. Si tratta di un Centro di Competenza della Regione Toscana istituito presso l’Università di Firenze nell’ambito del piano per il potenziamento del sistema di trasferimento tecnologico regionale. “Ha per obiettivo – spiega il suo fondatore, il prof. Alberto Del Bimbo - lo studio e l’applicazione delle tecnologie multimediali e dell’informazione social-mediatica 2.0 per la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e degli istituti e delle attività presenti nel territorio toscano e nazionale, per la sperimentazione di nuove e migliorate modalità di fruizione, e per la promozione e la qualificazione dell’offerta culturale e delle attività connesse”.

All’inaugurazione del 22 luglio, presso la bellissima sala vetrata delle Murate, in Piazza Madonna della Neve, parteciperanno personalità e studiosi da tutto il mondo, pronti a illustrare le nuove infrastrutture tecnologiche e i progetti del Centro. Da settembre, poi, prenderà il via un programma di formazione interdisciplinare permanente sui nuovi media e sulle tecnologie digitali per i beni culturali, aperto agli studenti: “Nemech sarà anche una scuola che formerà gli studenti – continua Del Bimbo – per diventare i professionisti di ultima generazione nel campo dell’arte, della cultura e della comunicazione. Oggi dobbiamo intendere il patrimonio nostrano in modo diverso, capace di interagire con le nuove tecnologie e con la contemporaneità. Sono cambiati i fruitori e il modo di fruire di arte e cultura, non si può non prenderne atto: significherebbe lasciar morire secoli di storia”.

In un contesto di smart citiesesmart communities, sembra dunque necessario “svecchiare” anche arte e cultura, sia per favorirne la comprensione da parte del visitatore, sia per integrarle nell’economia del territorio. “Per questo – spiega Del Bimbo – oltre ai corsi, alle sessioni di laboratorio e ai seminari sui più recenti sviluppi della ricerca e delle realizzazioni del settore, abbiamo inserito anche un’area dedicata alla comunicazione avanzata: senza “socialmedializzarle”, l’arte e la cultura rischiano di staccarsi come iceberg dalla nostra generazione, lasciandoci al buio”.

Tutto è organizzato “all’americana”: i moduli formativi, che potranno dare crediti professionali, saranno selezionabili individualmente o in serie tematiche, con costi molto competitivi sul mercato. I corsi saranno articolati in cinque ambiti formativi e uno “special topics”: “Web and mobile technologies”, “Video and Graphics”, “3D Thecnology and application”, “Emerging and future technologies”, “Evolutionary Communication”. Come anticipa l’evento del 22, i docenti coinvolti arrivano da tutti e cinque i continenti, e sono specializzati nel trattare temi del prossimo futuro, tra cui anche nuove materie come gli spazi interattivi multimediali, il sound design, i sistemi di computer vision, l’internet of things, fino ai nuovi giornalismi multimediali: “L’area della comunicazione verrà affidata a una donna, giornalista e docente Luiss, specializzata nei nuovi giornalismi e da anni impegnata nella ricerca sulle nuove tecnologie applicate alla comunicazione”.

Appuntamento dunque al 22, con gli interventi, oltre del Presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani, del Rettore Alberto Tesi, del prorettore Marco Bellandi e del professore Alberto del Bimbo, del dott. Carlo Francini (Unesco), della prof. Margherita Sani (Istituto Beni Culturali Bologna), del prof. Herbert Maschner (Idaho State University, USA), della prof. Rita Cucchiara (Univ. Modena e Reggio Emilia), oltre a tanti altri.

 

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Pordenone: festival del documentario d'inchiesta

Finalmente un documentario sui figli delle famiglie arcobaleno. Protagonisti Gus, Ebony, Matt e Graham, tutti bambini tra i 10 e i 12 anni, cresciuti di coppie gay e lesbiche. A girarlo una regista attenta, Maya Newell, cresciuta essa stessa da due mamme. Si intitola “Gaybay Baby” ed è una buona occasione per cercare risposte alle infinite domande che stanno attanagliando la contemporaneità, soprattutto italiana. Il racconto, emozionante e vero, mette in scena cosa significa essere una famiglia “nuova”, e si sofferma sulle difficoltà che è necessario affrontare nel confronto col pregiudizio della comunità in cui si vive. Straordinaria la narrazione, resa ancora più intensa dall’assunzione del punto di vista dei bambini.

Il film sarà proiettato durante il festival Cinemazero Le Voci dell’Inchiesta di Pordenone, che quest’anno torna a farsi sentire coi suoi temi di irriverente attualità tra il 13 e il 17 aprile. È da nove edizioni che questo festival è impegnato ad aprire uno sguardo sulla contemporaneità più scottante – dai cambiamenti del costume all’evoluzione geo-politica internazionale, dalle trasformazioni sociali, ai nuovi linguaggi mediatici fino alla situazione dell’ambiente che ci circonda – e ad oggi si può affermare che ci è riuscito, diventando uno degli appuntamenti più originali del panorama italiano. In particolare, quest’anno, il cardine attorno al quale ruoteranno gli incontri e gli omaggi ai protagonisti del cinema e del giornalismo, è il “cinema del reale”: oltre trenta incontri tra gli eventi e le proiezioni di documentari italiani e internazionali, selezionati nei più importanti festival del mondo (IDFA, Scheffield Doc/Fest, Götheborg, Toronto, Tribeca, New York Doc, etc), molti dei quali in anteprima assoluta per l’Italia.

Oltre al tema delle nuove famiglie, si toccheranno i fronti più innovativi del giornalismo e dell'analisi politica con l’anteprima nazionale di “Requiem for the American Dream”, un dialogo durato 4 anni tra i registi Peter Hutchison, Kelly Nyks, Jared P. Scott e il filosofo, linguista e attivista politico Noam Chomsky. Ma anche la terribile questione del fenomeno migratorio che sta attraversando l’Europa, con “The fog of Srebrenica”, film che racconta la vita di oggi dei sopravvissuti al più grande massacro avvenuto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale, o con l'incredibile anteprima nazionale di "Walls": esperienza cinematografica rarissima, con la sua potenza visiva (ha la menzione speciale ai festival di San Sebastian e all'IDFA di Amsterdam), raggiunge i confini ai quattro angoli del mondo, Spagna e Marocco, U.S.A e Messico, Sud Africa e Zimbabwe, Israele e Palestina.

Guantanamo’s child”, canadese, porta invece in scena il primo bambino processato dagli USA dalla fine della Seconda guerra mondiale (ha passato una decina d’anni a Guantanamo per un’accusa mai pienamente provata), mentre con “Crocodile Gennadiy” (arrivato dal festival di Tribeca in prima nazionale) si resta in area sovietica: il protagonista prende con sé i giovani senzatetto che trova, li carica nel suo furgone e li obbliga a disintossicarsi nella sua clinica-fattoria, con grande buonafede e altrettanta mancanza di autorizzazione (alla fine degli anni ‘90 c'erano circa 160 mila ragazzini senza casa che vivevano per le strade dell'Ucraina, esposti allo sfruttamento sessuale, alla tossicodipendenza e all'HIV). L’argomento must del festival è però l’ecologia, e lo chef-attivista austriaco David Gross presenterà un’altra anteprima nazionale, “Wastecooking: make food, not waste”, ricette dalla spazzatura contro lo spreco alimentare.

Infine, l’omaggio alla grandissima Liliana Cavani, di cui è meno conosciuta la produzione documentaristica d'inchiesta, proprio quella che, coi suoi 12 lavori, segnò l'esordio della sua carriera cinematografica: sabato 16 aprile la regista incontrerà il pubblico per parlare degli inediti che verranno proiettati.

 

www.voci-inchiesta.it

 

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Santa Bronx, l’eredità di Alberto Dubito

Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin, morto tragicamente appena ventenne nel 2012, era un poeta, musicista, fotografo, street artist eccezionale, tanto che aveva vinto il Poetry slam nazionale, proprio due anni prima di andarsene. Ma ha lasciato un’eredità importante, in uscita il 23 febbraio, dal titolo Santa Bronx.  

Si tratta di un cd-book, ossia un doppio oggetto d’arte declinato in un volume di poesia e in un cd musicale. Alberto Dubito, infatti, faceva parte del duo rap Disturbati dalla CUiete (l’altro autore di Santa Bronx), con il musicista Davide “Sospé” Tantulli, e insieme hanno scritto e musicato questa toccante opera d’arte multimodale e multimediale capace di esprimere fino in fondo le tensioni e le speranze di una generazione di “pentole a pressione” (drammaticamente simbolizzata nella parabola esistenziale dell’autore scomparso).

Prima uscita di una nuova collana di Squilibri editore – Canzoniere, concepita per poesia con musicaSanta Bronx mescola frasi, suoni e immagini per esprimere (riuscendoci) rabbie, delusioni, speranze, sogni di un’intera generazione. Il curioso titolo è il nome che Alberto Dubito ha dato a un quartiere di una delle molte periferie da lui percorse: «Sono periferie arrugginite – spiega l’editore – luoghi corrosi da miliardi di passi, incrostati da disillusioni infinite, irrimediabilmente intaccati alle fondamenta, città addormentate e narcotizzate, ma sono anche l’unico luogo dove sia possibile ridare senso a parole ormai logore, suonare una musica che non accompagni la lotta, ma che sia, essa stessa, lotta».

Un’opera dunque che è un urlo di rivolta, speranza e disperazione, ma anche un oggetto artistico originale e maturo, sia sul piano poetico che su quello musicale, nonostante la giovane età dei suoi autori. Non a caso, Alberto Dubito macinava una grande varietà di influssi poetici, da Leopardi ai Public Enemy, da De André fino alla poesia sperimentale, da Dada a Zanzotto e agli Assalti Frontali, piegandoli però a costruzioni nuove, assolutamente personali e inconfondibili.

Altrettanto sorprendente è, sul piano musicale, la varietà delle citazioni che fa dei Disturbati dalla CUiete una posse rap assolutamente sui generis: se è hip hop l’ispirazione di fondo, è anche vero che trovano comodamente spazio rock e jazz, elettronica e dub, fino al drum&bass, all’heavy metal e al punk.

Con una densa introduzione di Lello Voce e un poetry comics di Claudio Calia, ispirato ai testi e alle musiche di Dubito e dei Disturbati dalla CUiete, Santa Bronx sarà il fiore all’occhiello della nuova collana Canzoniere, diretta da Lello Voce (coordinamento), Gabriele Frasca (poesia), Frank Nemola (musica) e Claudio Calia (comics e disegni), che ha l’obiettivo di «riportare la poesia dove abitava prima del suo lungo esilio nei generi letterari, quando era una disciplina orale, fondata sul ritmo e la musicalità e impensabile senza l’abbraccio di una comunità e il calore di una comunicazione diretta». Una collana di poesia con musica, dunque, perché «la poesia nasce musica, non già accompagnata dalla musica», come si legge nel manifesto. Una collana che si sposa perfettamente con le attività di un editore come Squilibri, votato alle musiche di tradizione orale e, più di recente, alla canzone d’autore.

Non ovvio ma efficace il passaggio di accompagnare ogni volume con inserti di comics e disegni affidati alle più importanti matite della grafica nazionale e internazionale: «Vogliamo realizzare dei Poetry comics, il più recente dei dialoghi che la poesia ha messo in atto e che è ormai diffuso in molte parti del mondo», annuncia la squadra di Canzoniere, che intanto guarda ai nuovi movimenti culturali oltrefrontiera come lo spoken word.

 

Alberto Dubito - Disturbati dalla CUiete, Santa Bronx, Squilibri, 2017, pp. 64

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Teatri di vetro. Contemporaneità e nuovi linguaggi artistici

Lei è Roberta Nicolai, un direttore artistico disabituato al convenzionale, a tutto ciò che è stato già detto, già visto, già rappresentato. E il suo mestiere lo fa bene, a giudicare da questa decima edizione di “Teatri di vetro – Festival delle arti sceniche contemporanee”, promosso dall’associazione Triangolo Scaleno Teatro, realizzato con il sostegno del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, con il contributo di Roma Capitale in collaborazione con la SIAE. Via al debutto il 14 settembre, con palcoscenici diffusi e calcati fino al 22 ottobre: Teatro Vascello, M.A.C.R.O., Fondazione Volume!, Carrozzerie n.o.t, Centrale Preneste, nelle librerie Giufà, Koob e Tuba, per poi proseguire in vari centri culturali della Regione Lazio (Civita Castellana, Calcata, Bolsena, Trevignano Romano e Tuscania). Un’orgia di contemporaneità e di futuribile attraverso i linguaggi multidisciplinari di teatro, danza, musica, arti visive e incontri trasversali. “Festeggiamo oggi il nostro difetto di massa – il claim della Nicolai - il rilascio, la diminuzione, la fragilità. Con l’augurio che questa perdita si rinnovi sera dopo sera. A riprova che qualcosa ancora succede, che uno scambio con il resto dell’universo può ancora accadere”.

Oggi punto di riferimento nel panorama teatrale nazionale, luogo stabile di confronto e di sperimentazione sui linguaggi del contemporaneo, il festival promette un’edizione mozzafiato, a cominciare dal titolo, “Difetto di massa”: “È un’espressione scientifica – spiega Nicolai - che definisce come in un sistema non chiuso la massa totale sia inferiore rispetto alla somma delle masse dei componenti; la massa persa è equivalente all’energia scambiata con il resto dell’universo”.

I 45 spettacoli con quattrodici debutti nazionali oltrepassano i confini disciplinari, dialogano con il fumetto e la letteratura, utilizzano fonti letterarie e visive traducendole in opere originali che si muovono tra l’artigianalità tradizionale della scena e le recenti tecnologie. “L’obiettivo – spiega Nicolai – è l’inclusione delle forme del contesto artistico, la riflessione sul presente, sugli spazi e i modi della convivenza, sulle deformità di una realtà sempre meno comprensibile”.

Imperdibili, tra gli altri, Film – Macchina della vista e dell'udito di Opera, site specific per Fondazione Volume!, performance supportata da un impianto tecnologico sperimentale che avvolge un olio su tela lungo 30 metri coniugando artigianalità artistica e robotica; il nuovo lavoro di Teatro Sotterraneo che parte da Il giro del mondo in 80 giorni per approdare ad analizzare i meccanismi televisivi del quiz interattivo; il fumetto Scarabocchi di Maicol&Mirco nella trasposizione teatrale di Teatro Rebis.

Le dipendenze dall’alcol, dai social, dai media, sono campo d’indagine per le formazioni under 35, MF con Beviamoci Su_NO Game e Frigoproduzioni con Socialmente, mentre, per quanto riguarda la danza, da tenere d’occhio il debutto nazionale de Gli orbi, (da I sette peccati capitali di Bosch) “orbi perché non ci vediamo più, perché mancanti, assenti, privi dell’energico spirito vitale, personaggi che hanno sulle spalle l’infame carico dell’umanoide contemporaneo”. Il corpo, devastato dalla vita e da una società dai valori appannati e inconsistenti, è al centro della ricerca del pluripremiato coreografo Enzo Cosimi che prosegue la sua indagine sulla bellezza con Corpus hominis coinvolgendo questa volta omosessuali anziani.

Per quanto riguarda la musica, lasceranno a bocca aperta le sperimentazioni elettroniche: nuovi dischi e nuove etichette discografiche in prima assoluta. L’album di Enklav Soundsystem, ad esempio, spazia tra un’anima di fondo più calda e ossatura techno e industrial, un’elettronica di interzona dove il confine tra accessibilità da dancefloor e la sperimentazione si fa sottile.

Infine, pienone assicurato per la performance in prima nazionale “si serve il numero...” - ufficio per la dieta dell'immaginazione dei S’odinonsuonare: nasce da un'analisi critica della burocrazia come nuovo rituale contemporaneo e restituisce una diversa improvvisazione sonora per ogni singolo spettatore.

 

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Tutti pazzi per il Lego. Torna a Roma Nathan Sawaya

Centoventi sculture giganti di mattoncini Lego, una vera e propria gioia per gli occhi. Per lo meno per gli appassionati delle più famose costruzioni giocattolo della storia dell’infanzia occidentale (europea, per l’esattezza, dato che l’azienda produttrice, fondata nel 1916, è danese). La mostra, inaugurata pochi giorni fa al Palazzo degli Esami di Roma, resterà aperta fino al 28 gennaio e promette sorprese ed emozioni, come la Batmobile in scala reale, o Batman, Superman, Wonder Woman, Joker e Harley Quinn in 3D. L’artista, l’americano pluripremiato Nathan Sawaya, è oggi uno dei più importanti rappresentanti del pop contemporaneo ed è il primo ad aver trasposto i mattoncini Lego in opera d’arte. Già la personale The art of the brick, esposta in 75 città e 6 continenti, ha ispirato milioni di amanti dell’arte in tutto il mondo ed è stata definita dalla CNN come una delle 10 mostre da vedere in assoluto, ma adesso, con The art of the brick: DC Super Heroes, Sawaya torna a Roma con un elemento in più: dare dimensione umana al Supereroe. «Come Superman, ognuno di noi ha una sua storia. Questa collezione mette in mostra proprio gli elementi della vita di un supereroe, compresi quelli che ci trascinano nel pieno dell’avventura  – spiega Nathan Sawaya. Non vedevo l’ora di tornare a Roma dopo il calore ricevuto con The art of the brick».

Classe 1973, è ovviamente uno di quei bambini che hanno passato i primi anni di vita sdraiati per terra a costruire qualsiasi cosa dettasse l’immaginazione assemblando mattoncini Lego: «Da bambino passavo intere domeniche mattina sul pavimento a giocare con i Lego mentre guardavo i cartoni DC Super Friends. Pensavo che i personaggi delle mie città di mattoncini avessero dei super poteri tali da sconfiggere i nemici – che solitamente identificavo con le bambole di mia sorella. Per me, quindi, questa nuova mostra è un sogno che diventa realtà: è un onore aver potuto re-immaginare questi personaggi e le loro storie».

Pazza gioia dunque per adulti nostalgici, fanatici dell’arte contemporanea, fan della pop art e bambini: potranno tuffarsi in una spettacolare Gotham City di 2000 mq nel cuore della Capitale e sognare in libertà, tra ricordi e nuove suggestioni. «È la combinazione fortunata della fantasia e capacità dell’artista con un mondo alternativo, nel quale proprio con gli eroi del Bene e del Male abbiamo combattuto da piccoli e ci siamo allenati a combattere nella lotta della vita», dice il curatore italiano, Fabio Di Gioia.

Avvocato newyorkese, Sawaya ha debuttato dieci anni fa, e adesso i critici d’arte del globo sono ai suoi piedi: espone nei principali poli d’arte in tutto il mondo e nel 2015 le sue sculture erano in primo piano sul tappeto rosso degli Oscar e la sua statuetta di Lego nelle mani di Emma Stone, Oprah, Neil Patrick Harris e Meryl Streep. Vera chicca, per i maniaci dell’artista, la collaborazione con Lady Gaga nel video per l’album ARTPOP, dove compare l’opera Yellow.

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Una nave di libri

Un’esperienza decisamente non convenzionale quella che ad aprile, per l’undicesima volta, organizza la rivista Leggere:tutti, diretta dalla giornalista Annalisa Nicastro ed edita da Agra Editrice: una maratona no stop di presentazioni di libri nel bel mezzo del Mediterraneo, a bordo di una nave da crociera, alla presenza degli scrittori contemporanei più seguiti.

Negli anni sono rimaste indelebili le parole ispirate al mare pronunciate dai parapetti di questa nave dagli scrittori invitati, come quelle di Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Diego De Silva, Melania Mazzucco, Marc Augé, Donald Sassoon, Giordano Bruno Guerri, Nicola Lagioia, Chiara Gamberale, Valerio Varesi, Carmine Abate, Loredana Lipperini, Emanuele Trevi, Valeria Parrella, Massimo Lugli. Così come quelle degli attori, cantautori o registi che sono intervenuti, da Isabella Ragonese a Ivan Cotroneo, fino a Mimmo Calopresti, Teresa De Sio, Mimmo Locasciulli.

Anche quest’anno, dal 21 al 25 aprile 2020 il mensile Leggere:tutti – che quest’anno festeggia i suoi 15 anni – organizza “Una nave di libri per Barcellona”, che prenderà il largo dal porto di Civitavecchia per puntare barra a dritta verso la Spagna, con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona. Solo una sosta, a Porto Torres, e poi, la sera del 22 aprile, l’attracco a Barcellona.

Grande emozione per partecipanti e scrittori che, il 23 aprile, potranno vivere la grande festa di s. Giorgio, in cui si festeggia la Giornata mondiale del libro, detta anche Giornata del libro e delle rose, proclamata dall’UNESCO nella data simbolica in cui ricorre l’anniversario della morte degli scrittori Miguel de Cervantes e William Shakespeare. Barcellona infatti si riempie di rose e libri, in una festa con poeti e scrittori che anima l’intera città: «È usanza che in questo giorno gli uomini regalino una rosa alle donne e siano contraccambiati con un libro – spiega Annalisa Nicastro, che anticipa qualche nome dei tanti che saliranno a bordo in questa nuova edizione – anche se chissà che nel 2020 non possa avvenire anche il contrario, in fondo siamo in un’era di rivisitazione dei luoghi comuni dell’immaginario tradizionale».

Il programma si preannuncia molto ricco: dalle anticipazioni della direttrice sappiamo che ci saranno Massimo Carlotto con il suo nuovo libro La signora del martedì, il generale dei Carabinieri Roberto Riccardi, scrittore di gialli di successo, che presenterà il saggio Detective dell’arte in cui racconta le storie di alcuni furti di opere d’arte e il lavoro d’indagine per il loro recupero; il giornalista Gaetano Savatteri che in anteprima presenterà il suo nuovo libro, David Riondino con il suo Sussidiario, che rappresenta molto bene il carattere ecclettico dell’autore. Ma anche la presentazione di Il corpo della terra. La relazione negata, in uscita il 27 febbraio per Castelvecchi, punto di partenza per un movimento trasversale di intellettuali, scienziati, accademici, artisti, giornalisti, influencer, storyteller, blogger e opinion leader impegnati nel sensibilizzare la collettività italiana su un tema planetario e archetipico: la possibilità di sopravvivere sulla Terra. Un libro decisamente evocativo del viaggio è La rotta delle Nuvole di Peppe Millanta, scrittore e musicista, che presenterà in anteprima il suo nuovo libro. Vittorio Russo, capitano di lungo corso, presenterà il suo personale Uzbekistan, laddove l’Alessandro Magno che affiora è molto distante dall’immagine oleografica veicolata dalle tante opere, spesso pseudostoriche, scritte su di lui.

Spazio anche alla musica e al cinema con la cantautrice Grazia Di Michele, che parlerà del libro autobiografico Apollonia, e Carlotta Rondana, tra le protagoniste dell’ultimo film di Ferzan Özpetek La Dea Fortuna. L’attrice presenterà il suo Molo 23 e commenterà alcune scene del film. Non mancherà il buon cibo, non solo quello preparato dagli chef della Nave, ma anche quello “raccontato” dallo chef Renato Bernardi e dalla conduttrice televisiva Adriana Volpe, autori del volume Così mi piace, e attraverso la pièce teatrale La ricetta perfetta è quella che alla fine si scrive di Gianni Zagato, scritta in occasione dei 200 anni dalla nascita di Pellegrino Artusi, interpretata per l’occasione dall’attore Gino Manfredi.

«La nave sarà il palco per reading, spettacoli teatrali, proiezione di film, dibattiti e altre sorprese – spiega la Nicastro – ma anche la città di Barcellona sarà una protagonista importante, a cominciare dalla passeggiata nella Barcellona Letteraria fino agli incontri all’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona».

 

Crediti immagine: Soloviova Liudmyla / Shutterstock.com

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Resolution 808. A caccia di criminali di guerra in ex Iugoslavia

A venticinque anni dall’istituzione del Tribunale penale internazionale per crimini di guerra in ex Iugoslavia (ICTY, International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia), il IX Festival della Diplomazia porta per la prima volta il Italia una mostra con foto e documenti inediti. Dal 18 ottobre al 9 novembre 2018, nella suggestiva sede di Officine Fotografiche Roma, Daria Scolamacchia cura lo sconcertante percorso che imprimerà in modo indelebile il nostro immaginario.

Realizzata con il contributo dell’ambasciata dei Paesi Bassi in Italia e del Festival della Diplomazia, la mostra presenta il dietro le quinte dell’ICTY (istituito nel 1993 con la Risoluzione 808 del Consiglio di sicurezza dell’ONU): interni, archivi, ritratti di molti protagonisti ed interviste esclusive. Gli autori, il fotografo Martino Lombezzi e la giornalista Jorie Horsthuis, presentano un affresco unico del Tribunale, che negli ultimi venticinque anni ha incriminato centosessantuno persone, condotto decine di processi, e che normalmente è chiuso al pubblico. «È l’occasione per scoprire la storia del luogo in cui sono stati processati criminali di guerra come Milosevic, Karadzic e Mladic – spiega la curatrice – e dove la storia contemporanea dei Balcani è stata riscritta».

Bob Reid, capo delle operazioni dell’ufficio del pubblico ministero, è netto: «Un tribunale come questo non sarebbe mai esistito al giorno d’oggi, sicuramente sarebbe stato posto il veto dal Consiglio di sicurezza. La geopolitica è cambiata molto dagli anni ‘90, e questo rende l’eredità della nostra istituzione ancora più unica». Molto interessante il suo punto di vista, se si pensa che Reid è arrivato all’Aia nel 1994 come ufficiale di polizia australiano, quando l’ICTY era ancora in una fase preparatoria: «L’idea di istituire un tribunale era molto idealistica. La guerra infuriava ancora, i leader erano ancora al potere. Come potremmo ottenere qualcosa da loro? Nessuno credeva che potessimo farcela davvero. Ma ce l’abbiamo fatta».
Le foto ci catapultano dentro luoghi incredibili. Come la cella frigorifera nell’enorme caveau al terzo piano dove, oltrepassando il cartello “accesso ristretto”, a bassa temperatura per assicurarne la conservazione sono archiviate 9,1 milioni di pagine di prove insieme a floppy disk, mappe militari ed esumazioni.

Ci sono anche fotografie che mostrano dove sono conservati i diari di Mladic: «Li abbiamo trovati nel suo appartamento a Belgrado – spiega Reid – dove li aveva nascosti dietro un muro finto. Quando li ho visti per la prima volta, ero elettrizzato: lì dentro è scritto tutto: dov’era, in quale data e con chi ha parlato. È una prova molto importante».

Tuttavia, le sentenze non sembrano portare alla riconciliazione tra i popoli dei Balcani: «È molto doloroso vedere che leader come Mladic, Prlic e Haradinaj siano ancora percepiti come eroi nei loro paesi d’origine – dice Serge Brammertz, il procuratore capo. Un dormitorio studentesco in Serbia è stato intitolato a Radovan Karadzic. Questo è un peso per le nuove generazioni».

Una mostra, dunque, davvero importante: «Il tribunale ha pronunciato la sua ultima sentenza lo scorso novembre – spiega Scolamacchia. Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito serbo bosniaco, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità per il massacro di Srebrenica e molti altri crimini di guerra commessi dalle sue truppe durante la guerra del 1992-1995, è stato condannato all’ergastolo. Dopo questo importante e lungamente atteso giudizio, l’ICTY ha chiuso i battenti, mettendo fine a 25 anni di indagini sui crimini di guerra».

A prendere il posto dell’ICTY adesso c’è il MICT (Mechanism for International Criminal Tribunals), Meccanismo residuo per i tribunali internazionali, responsabile della conduzione e del completamento di tutti i procedimenti di ricorso, del programma di protezione per vittime e testimoni, dell’applicazione delle sentenze e della gestione e conservazione degli archivi.

«Il progetto “Resolution 808” documenta gli ultimi mesi di lavoro dell’ICTY dietro le quinte – conclude la curatrice – e racconta le storie delle tante persone che hanno lavorato al suo interno: dall’addetto alle fotocopie al presidente, dalla guardia al procuratore capo, tutti hanno storie personali da condividere. Lombezzi e Horsthuis hanno lavorato per mesi per ottenere l’approvazione del Tribunale per questo progetto: hanno avuto la possibilità di visitare aree normalmente chiuse, come le aule dei tribunali e le celle di detenzione, e di condurre interviste approfondite con molte figure di spicco».

 

Crediti immagine: UN International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia? Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0) , attraverso www.flickr.com

 

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Torna a Roma il Festival della Diplomazia

Torna anche quest’anno a Roma il Festival della Diplomazia, giunto alla sua decima edizione, organizzato con il patrocinio del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, della rappresentanza in Italia della Commissione europea e di Roma Capitale. Una maratona no-stop che, dal 17 al 25 ottobre, toccherà la città intera, con 80 eventi in programma, relatori provenienti da oltre 30 Paesi del mondo, 30 diverse location, 8 università coinvolte insieme a un’ampia rete di istituti di ricerca di politica internazionale.

Tra i tanti temi di politica internazionale affrontati, centrale sarà laDiplomazia del Bene”, fondata sul lavoro di quelli che sono disposti a sacrificarsi per principi opposti a quelli che guidano i terroristi: accettare la pluralità umana, amare la bellezza, rifiutare una concezione del mondo che ci divide in base a religioni, culture e nazionalità. Se le nostre società cominciano a conoscere e riconoscersi nelle storie di chi mostra umanità, esprime solidarietà, supporta una cooperazione internazionale inclusiva e sostenibile, allora forse il “Bene” può divenire una grande forza di attrazione e portare alla sconfitta di chi sfrutta la propria posizione dominante per compiere i più crudeli atti contro l’umanità.

Si tratta quindi di una grande battaglia culturale, la stessa che guida gran parte del mondo contemporaneo nel promuovere valori che partono dall’amore per tutta l’umanità e gli esseri viventi, cominciata ben prima dell’allarme del 2018 da parte del panel delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale e che oggi unisce intellettuali, scienziati, accademici, artisti, giornalisti, influencer, storyteller, blogger e opinion leader nel sensibilizzare la collettività italiana su un tema planetario e archetipico: la possibilità di sopravvivere sulla Terra.

Alla decima edizione del primo festival di settore in Europa dedicato alla diplomazia, alla geopolitica e alle relazioni internazionali, il confronto verterà su tutte le più controverse questioni aperte, analizzate attraverso un’inedita lente di ingrandimento da parte di chi muove le fila della politica estera: cambiamenti climatici, quindi, ma anche nucleare, migrazioni, guerra dei dazi, dittatura degli algoritmi, intelligenza artificiale, politiche spaziali.

In ricco programma di dibattiti, incontri, proiezioni, mostre ed eventi declinati lungo tre tracce principali: la sfida della governance, la doppia faccia della tecnologia, tra big data e questioni etiche, la questione planetaria dello sviluppo sostenibile. In particolare si segnala Berlino, cronache dal Muro di Ezio Mauro, in scena al teatro Palladium il 23 ottobre, con una conferenza-opera teatrale che ripercorre le vicende che hanno segnato la recente storia europea a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Officine Fotografiche ospiterà un nuovo progetto per immagini dedicato alle migrazioni e all’identità, mentre il cinema Apollo 11 sarà sede di una rassegna documentaria intitolata The Doc Side of Diplomacy per raccontare il mondo, dal futuro politico del Venezuela al dramma dell’immigrazione.

 

Festival della Diplomazia, Roma, dal 17 al 25 ottobre 2019

 

Crediti immagine: ArtisticPhoto / Shutterstock.com

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Bam! Raduno europeo dei viaggiatori in bici

Non importa la tua meta, ma chi sei durante il viaggio. È lo slogan e lo spirito del BAM!, il primo raduno europeo dei viaggiatori in bicicletta, vera e propria festa per gli amanti delle due ruote di ogni genere e specie. Da chi si allena tutti i giorni, a chi ha in mente un grande viaggio a pedali, da chi si trova con gli amici per un giro sulle strade bianche intorno a casa, a chi non vede l’ora che arrivi il bel tempo per farsi un weekend alla giusta velocità, tutti i BAMmisti hanno una cosa in comune: il piacere di trattare la propria vita come una strada da percorrere, salita o discesa che sia, con la sola forza motrice di sé stessi, senza timore degli ostacoli, siano essi pioggia, vento o fatica. La prima edizione si è tenuta a luglio dello scorso anno a Livigno e hanno partecipato tanti pedalatori di varie nazionalità e età, nonostante i passi impegnativi per arrivare al Piccolo Tibet.

Quest’anno invece BAM! scende in pista dal 6 all’8 maggio, in provincia di Venezia, a Noale, alla rocca medievale. Un luogo decisamente suggestivo: il castello del XIII secolo, nucleo originario su cui si è sviluppato il centro fortificato, struttura un tempo solo macchina da guerra, oggi, dopo il restauro delle mura, è diventata una sede perfetta per manifestazioni. Saranno moltissime le iniziative: dai workshop dedicati alla meccanica, al bike-packing, all’autocostruzione, alla fotografia dalla sella, alle ricette da fare in viaggio (con la lezione di bike-cooking dello chef Cristiano Sabatini), fino alla presentazioni di libri, film, concerti e spettacoli. E ancora, “yoga for bikers”, una mostra di foto, un concerto a misura di ciclisti (sorpresa!) e uno speech-contest, ossia un concorso di narrazione e racconti: massimo 7 minuti per convincere la giuria che il proprio viaggio in bici o il proprio sogno di viaggio in bici meritano il primo premio.

Per non parlare degli ospiti internazionali, tra cui gli avventurieri in bicicletta Willy Mulonia, Michela Ton, Loris Giuriatti, e Davide Stanic, che condivideranno le loro avventure ed esperienze di bici. Inoltre, all’area expo verranno presentate tutte le piccole e le grandi novità, e alla sera tutti a dormire nel camp all’interno del castello di Noale che, ma non ditelo a nessuno, è un ex cimitero.

Ma veniamo al dunque: pedalare tutti insieme. Le proposte sono per tutti i gusti, e si va dai due percorsi alla scoperta delle strade bianche e degli angoli meno noti del Veneto di 100 e 150 Km, a uno più facile, di 40 Km, con soste gourmet, per le famiglie e le persone meno allenate. La chiave è sempre quella: non importa la meta, non importa la performance, non importano tempi o record, non ci sono limiti da superare o capacità da dimostrare. Si pedala per conoscere sé stessi, per conoscere altri come noi. Per stare bene.

Il programma completo dell’evento si trova al sito: www.bameurope.it

 

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Come spiegare il terrorismo ai bambini

Il camion di Halloween sulla ciclabile di New York, il disastro di Marsiglia del primo ottobre scorso, l’attacco nella stazione di Parsons Green a Londra di settembre, l’attentato di agosto a Barcellona, o quello al concerto di Ariana Grande a Manchester, poco prima, e poi i fatti di Nizza, Parigi e Bruxelles. Le immagini bombardano (appunto) chiunque, in TV, sui social, su internet, negli smartphone, alla radio.

È possibile difendere i bambini? Molto difficile. È infatti probabile che sentano un discorso, una tensione, o vedano un pezzo di video, di una foto. Il primo che tentò di spiegare il terrorismo ai più piccoli dopo la strage di Parigi fu Astrapi, giornalino per bambini francese, che uscì con un’edizione speciale di due pagine per trovare le parole per dirlo. A loro, proprio a loro, che non hanno il concetto mentale di “terrorismo”. Filomena Albano, garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, dopo l’attacco di Manchester fece un toccante post su Facebook per i bambini, incitandoli a non avere paura. E poi, come non pensare poi al bellissimo Il terrorismo spiegato ai nostri figli, uscito qualche mese fa, del grande Tahar Ben Jelloun?

Da qualche settimana, intanto, nelle librerie è arrivato Dopo il temporale, un libro che appunto spiega ai bambini che cosa sia il terrorismo. Vero gioiello, il testo è scritto niente di meno che da Hélène Romano, psicoterapeuta e psicopatologa specializzata in traumi infantili, con le illustrazioni di Adolie Day. Adatto per i bambini e le bambine dai sei anni in su, le  quindici tavole di parole e disegni accompagnano non solo i più piccoli, ma anche gli adulti (genitori, maestre, educatori e figure di riferimento in generale) a trovare le parole per raccontare che cosa accade, dentro e fuori di noi, quando c’è un attentato terroristico.

Si tratta di uno strumento importante, perché quando un bambino entra in contatto con immagini o concetti che riguardano un attentato, ma anche se sentono la paura e la preoccupazione di genitori e figure di riferimento, entrano in uno stato di ansia insopportabile, proprio per il fatto di non avere le risorse per comprendere ciò che sta accadendo: “La clinica ci racconta che tutti i bambini sono stressati quando si verifica un attacco terroristico, anche se non sono coinvolti direttamente – spiega Matteo Bianchini, esperto di educazione affettiva e relazionale e docente alla facoltà di Scienze di formazione dell’Università di Firenze, ma anche mediatore familiare –. Infatti i più piccoli sono estremamente reattivi ai cambiamenti di umore di chi li circonda, ed è importante dire loro la verità, attraverso un linguaggio accessibile, per metterli in condizioni di capire, e quindi di governare le emozioni. Il grande valore di questo libro è proprio il mettere in racconto i sentimenti della protagonista, completamente smarrita di fronte agli sconvolgimenti del suo quotidiano e alle reazioni dei suoi familiari, per lei incomprensibili”.

L’editore, la psicopedagogista Maria Cristina Zannoner, spiega: “L’ambizione di questa collana – è dare risposte comprensibili alle domande complesse che pongono i bambini, e che spesso mettono in difficoltà gli adulti, sia i genitori che le maestre. Noi li chiamiamo ‘libri amici’, oggetti che diventano compagni di viaggio dei bambini verso la conoscenza di sé e del mondo in cui si vive, senza paura ma con consapevolezza”. Come più volte ha ripetuto anche la psicoanalista Silvia Veggetti Finzi, scampata lei stessa da bambina al nazismo, guidare i bambini ad attraversare la loro angoscia significa insegnare loro a superare le emozioni negative che necessariamente si troveranno a vivere durante le loro vite. “Fondamentale, naturalmente – aggiunge Francesco Fagnani, curatore del libro e dell’intera collana dedicata ai bambini e alle loro paure, Collilunghi –, che il racconto sia costruito da un team di “professionisti dell’infanzia”, che cioè abbia le competenze e le abilità per aiutare i bambini a trasformare le loro paure in coraggio e speranza, e non, al contrario, che crei in loro una fissazione statica dell’evento traumatico”.

 

Crediti immagine: Bogdan Sonjachnyj / Shutterstock.com

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Da Israele arriva Mamanet, lo sport per mamme

Attenzione attenzione, arriva in Italia il Mamanet, una nuova disciplina sportiva riservata solo alle Milf, ossia alle mamme che vogliono mantenersi in perfetta forma fisica. Già, perché chi l’ha detto che per sfornare figli occorra appendere l’appeal al chiodo?

Il nuovo sport arriva direttamente da Israele, dove la tendenza è letteralmente esplosa e ha raggiunto una popolarità da oltre 10 mila tesserati, anzi tesserate. In campo vanno esclusivamente le donne, mentre mariti e figli sono in tribuna a fare il tifo. Si tratta di una pratica molto simile alla palla rilanciata: una rete di pallavolo, sei atlete in campo, palla bloccata e schiacciata dall’altra parte a mo’ di terzo tempo del basket. L’idea geniale è di Ofra Abramovich, che, arrivata nei mesi scorsi a Roma invitata dall’AICS e dall’ambasciatore di Israele in Italia Naor Gillon, ha spiegato insieme al presidente del Coni Lazio Riccardo Viola: “È una filosofia tutta nuova, pensata per aggregare e rendere possibile l’attività fisica anche a chi non ha mai praticato uno sport di squadra o non è in forma smagliante per un parto recente, o una vita risucchiata dagli impegni familiari”.

Tornare a essere protagoniste della propria vita, insomma. Concetto azzeccato, tanto che adesso il Mamanet si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo. “La voglia di aggregazione e di divertirsi – spiega Monica Zibellini, responsabile di Mamanet Italia – ha trasformato semplici casalinghe in atlete a tutti gli effetti”. Anche il presidente dell’Aics Bruno Molea è entusiasta, e sottolinea le grandissime potenzialità della disciplina anche nello Stivale. E in effetti le città italiane si stanno attrezzando: maggio vanta un tutto-esaurito di iscrizioni a Forlì (al Palazzetto dello Sport ha preso il via il I Trofeo Mamanet Città di Forlì), Torino e Asti. “Si può dire che sia un progetto sociale prima che uno sport – afferma Silvia Musso, referente Mamanet Asti. L’obiettivo è, infatti, dare la possibilità alle mamme di ritagliarsi del tempo per sé e dedicarsi a un’attività sportiva di squadra. È un gioco semplice: anche le donne che non hanno familiarità con lo sport o che sono inattive da tempo possono praticarlo. È un movimento che credo cambierà il ruolo della donna nello sport e nella società”.

Il bello di questo sport, va sottolineato, è anche il suo fair play: non sono ammessi insulti, atti violenti, offensivi o canzonatori, e l’arbitro può decidere di sospendere l’azione di gioco se si registrano comportamenti inadeguati delle giocatrici o del pubblico : “Un gioco – spiega Zibellini - diventa canale per diffondere importanti messaggi contro la violenza”.

A Torino è anche arrivata la squadra del Brener, rappresentativa israeliana nella Mamanet League Israeliana della città di Kfar Saba dove la lega del cachibol ha sede e prende il nome dalla scuola elementare in cui studiano i figli delle atlete, formata da otto delle dieci giocatrici e guidata da Dina Soroker. “Siamo convinte – ha dichiarato Anna Maria Battista, presidente dell’AICS Torinese – che il Mamanet possa rappresentare una nuova opportunità per esprimere al meglio il diritto di tutti allo sport come strumento per il benessere psicofisico, la tutela della salute, la formazione della persona, l’integrazione e le pari opportunità e il contrasto a razzismi e la violenza”.

E allora un in bocca al lupo alle nostre nuove atlete, tutte mamme che conciliano impegni lavorativi e famiglia con la passione per il Mamanet: dottoresse, manager, impiegate che insieme alla passione per lo sport condividono amicizie, viaggi, interessi, divertimenti, feste in una comunità di donne e di famiglie.

 

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Fotografia: a Parigi una mostra onora i netturbini

Già il luogo è evocativo, l’Hôtel de Ville di Parigi, il bellissimo monumento storico vicino alla Senna che ospita il municipio della città. E non è un caso se la bella mostra della fotografa Sélène de Condat, Les artisans de la propreté, è stata inaugurata proprio qui, alla presenza del sindaco Anne Hidalgo: si tratta di un lavoro che ha per soggetto gli "artigiani della pulizia" della capitale, e a loro è dedicato questo toccante omaggio di un’artista coraggiosa. De Codat, infatti, ha trascorso un anno della sua vita insieme a questi uomini e donne che, con le loro scope, le loro tute, le loro spazzatrici avveniristiche, il loro sudore e la loro stanchezza, di giorno e di notte fanno brillare strade, vicoletti, piazzali e boulevard della Ville Lumiere.

Con questa mostra la città ha voluto ringraziare i suoi netturbini che, dopo i tragici eventi del 13 novembre scorso, hanno con pazienza ripulito la città dai terribili segni lasciati dagli attentati terroristici, “dimostrando un alto valore civico e umano”.

Per tutto il 2016 l'esposizione ruoterà nei venti arrondissement parigini, con grande soddisfazione dell’artista che dice: “In inverno come in estate, le loro scope spazzano polvere, passi e i ricordi, e le loro mani magiche riescono a cancellare ogni vandalismo, anche quelli contro le preziose opere d’arte. Per questo li considero eroi moderni della nostra civiltà occidentale post-industriale, gli artefici dell’ecologia e i guardiani del patrimonio multisecolare parigino”.

Lo sguardo di Sélène de Condat si declina nei suoi scatti in un crescendo di suggestioni in cui si riesce a leggere l’esperienza nel campo delle arti dello spettacolo, durante la quale, giovanissima, già trovava ispirazione nella contrapposizione tra luce e ombra, consistenza e sfumatura, movimento e istante, così caro a Gaston Bachelard. I luoghi, i personaggi, gli oggetti delle sue fotografie raccontano frammenti di vite capaci di farsi icone e archetipi umanistici. La scelta del bianco e nero aiuta a rendere plastici i corpi e gli spazi e a formulare quel linguaggio universale in cui il tempo è eterno e avvolge intera l’umanità. In particolare, in questa mostra emerge lo stile inconfondibile dell’artista, per cui l’opera è aperta e continuamente in trasformazione, grazie all’interazione emotiva con i suoi spettatori.

Applausi dunque a questa fotografa irriverente e audace, vera paladina dei mestieri dimenticati, che fonda molta della sua ricerca sui contrasti simbolici del lavoro inteso come strumento e fine di ogni essere umano.

 

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Howtan Re all'Expo: piccoli pezzi di un mondo nuovo

Il mondo ha la possibilità di sconfiggere la povertà, le malattie, l'inquinamento e migliorare la qualità della vita di ogni essere umano che abita il pianeta, parola di Nazioni Unite (guarda il video). Con questa certezza, e condividendo gli stessi obiettivi del Millennio, l’artista italo-persiano Howtan Re ha lanciato il progetto Patch for Future, rappresentato da una sua opera gigantesca che inaugurerà il prossimo ottobre all’interno del teatro del padiglione KIP International School all’Expo di Milano. “The Globe”, questo il titolo dell’opera-monumento, è una grande sfera che rappresenta il mondo ed è fatta dalle patch di Patch for Future, ossia dai pezzetti di stoffa (30x30 cm) realizzati durante l’Expo da tutti coloro che hanno voluto costruire un “piccolo pezzo del nuovo mondo”: “Il mio lavoro – spiega l’artista – simboleggia la volontà e il desiderio di costruire insieme il futuro: il risultato finale apparirà come un globo costituito da tanti sogni, speranze e visioni; un puzzle che racconterà le nostre intenzioni per gli anni che verranno”. 

La sfera “interattiva” sarà completata per il lancio del Fondo internazionale per lo sviluppo di KIP International School, organizzazione indipendente che favorisce la collaborazione tra governi nazionali, governi regionali e locali, Sistema delle Nazioni Unite, organizzazioni multilaterali, università, fondazioni e altre organizzazioni pubbliche e private per promuovere la conoscenza, le innovazioni, le politiche, le ricerche-intervento e la formazione in coerenza con gli obiettivi e i valori della Piattaforma del Millennio delle Nazioni Unite. Insieme a KIP, anche Symbola (Fondazione per promuovere un nuovo modello di sviluppo orientato alla qualità, in cui si fondono tradizione, territorio, ma anche innovazione tecnologica, ricerca, design), Leresa e IOV Italian Organic Vegetables, veicolata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

All’inaugurazione (Padiglione S01) anche il lancio da parte di KIP del Comitato di promozione di un Sistema mondiale di cooperazione per lo sviluppo dei territori patrocinato da Expo 2015 e Ministero per l’Ambiente. “Non solo – continua Howtan Re – verranno anche premiati i vincitori del concorso di Patch for Future tra gli oltre 1.600 ragazzi e ragazze partecipanti e circa 100 classi italiane che hanno disegnano la loro visione del futuro ispirata agli 8 Obiettivi del Millennio. Abbiamo voluto sensibilizzare i più giovani, eredi del mondo che lasceremo, su temi importanti come la tutela dell’ambiente o la lotta alla fame e alla povertà”. Il Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, Davide Faraone, ha commentato così l’iniziativa: “Le nuove generazioni sono il nostro futuro, i loro punti di vista e le loro prospettive sono fondamentali per immaginare in che modo affrontare le sfide che il domani ci riserva. Noi abbiamo il compito di fornire a questi ragazzi risorse e ambienti adatti a stimolare il loro desiderio di domani. Cominciamo a farlo dalla scuola, la facciamo poi con l’università e con la ricerca. Lo facciamo anche con progetti come Patch for Future che danno la possibilità a questi giovani di ragionare su temi quali la sostenibilità e la parità di genere e di esprimere le loro idee a proposito”. Howtan Re conclude: “Patch for Future è un progetto che torna a considerare l’arte come un medium espressivo trasversale, in grado di mettere in connessione istituzioni e cittadini, adulti e ragazzi, passato e futuro attorno a temi dirimenti per il mondo”.

 

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Inconscio e politica: a Roma il Forum europeo sull’immigrazione

Sabato 24 febbraio 2018, alla Biblioteca nazionale centrale - Sala conferenze, si è aperto il Forum europeo di Roma 2018. Il titolo è eloquente: Lo straniero. Inquietudine soggettiva e disagio sociale nel fenomeno dell’immigrazione in Europa. Sono decisamente questi, infatti, i temi basilari per comprendere i fatti di attualità e di politica, e diventa di vitale importanza, per le nostre società e per il nostro mondo, distinguere, nominare, definire di quale natura, esattamente, sia costituito quel quid che fa deflagrare in mille pezzi ciò che di solito ci tiene insieme, quel collante culturale che di fatto è la nostra possibilità di identificazione collettiva.

Ecco perché gli attori del Forum sono non soltanto istituzioni, personalità della politica, della cultura, dell’arte, giornalisti e opinionisti, organizzazioni internazionali e associazioni attive nel sociale (FAO, Medici senza Frontiere, Caritas, Comunità di Sant’Egidio ecc.), ma anche l’Associazione mondiale di psicoanalisi, l’Eurofederazione di psicoanalisi e la Scuola lacaniana di psicoanalisi, tre soggetti che di fatto sono il motore portante dell’incontro, organizzato in collaborazione con la Biblioteca nazionale centrale di Roma e l’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza: «Un momento di riflessione è ormai urgente – ha spiegato Jacques-Alain Miller, uno dei curatori dell’evento – occorre un confronto aperto, un dialogo laico su quanto accade in questo momento nel mondo e in Europa sul tema immigrazione. Mai come oggi il tema dell’immigrazione è centrale nel dibattito pubblico e politico, in Italia e in Europa. Quotidianamente, addetti ai lavori e non si confrontano con parole come dialogo, identità, sicurezza, criminalità. L’immigrazione è un tema che non può essere banalizzato né affrontato superficialmente: è complesso e ricco di implicazioni, coinvolge il singolo e la collettività, genera incontro e dialogo ma anche paura e rifiuto».

Il Forum di Roma segue il Forum di Torino: «I Forum europei hanno lo scopo di continuare a porre l’interrogativo che Lacan aveva formulato sul rapporto tra inconscio e politica, e, parallelamente, sul posto che devono avere gli psicoanalisti nella città, nella polis, nella società», spiega Jacques-Alain Miller, erede testamentario dell’opera di Jacques Lacan. Insieme a lui anche Miquel Bassols, presidente dell’Associazione mondiale di psicoanalisi, Domenico Cosenza, presidente dell’Eurofederazione di psicoanalisi, e gli psicoanalisti Eric Laurent e Antonio Di Ciaccia, quest’ultimo traduttore e curatore dell’opera di Lacan in Italia.

La giornata è stata patrocinata, tra gli altri, da presidenza del Consiglio dei ministri, Senato della Repubblica, Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Institut français Italia, Institut français Centre Saint-Louis, Università degli Studi di Palermo, Biblioteche di Roma, Ordine degli psicologi del Lazio.

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La legge sul cyberbullismo: urgente un’educazione culturale

Intervista a Maria Chiara Parmiggiani

I più preoccupati sono i genitori: l’espandersi di comportamenti prevaricatori attraverso l’utilizzo della rete da parte di minori contro altri minori e il verificarsi di vicende di cronaca dall’epilogo terribilmente drammatico stanno diventando una vera e propria emergenza sociale. Tanto che anche il legislatore se ne sta facendo carico.

La Legge n. 71 del 29 maggio 2017 – spiega l’avvocato Maria Chiara Parmiggiani, dottore di ricerca presso l’Università di Parma dove collabora con la cattedra di diritto penale in materia di cyberbullismo e partner dello studio legale RPconsulting di Roma – contiene disposizioni a tutela dei minori per prevenire e contrastare il cyberbullismo. Si tratta di una novità che non ha creato un nuovo reato, ma ha attuato vari strumenti preventivi. Ritengo però che, accanto a una nuova legge, ci si adoperi per costruire una cultura del rispetto che consenta di coniugare il mondo digitale con la tutela della dignità umana.

 

In Italia tutto è cominciato nel 2006, anno del primo episodio di bullismo virtuale, il caso giudiziario Google-Vivi Down.

L’8 settembre di quell’anno una minorenne aveva caricato sul web un video durante il quale degli alunni adottavano comportamenti vessatori nei confronti di un compagno affetto dalla sindrome di Down. Nel video erano anche pronunciate frasi ingiuriose contro il ragazzo e contro l’associazione Vivi Down, onlus impegnata in attività di tutela e assistenza. Il video aveva ottenuto migliaia di visualizzazioni ed era stato rimosso dall’host provider a seguito della segnalazione della Polizia postale.

 

Qualche anno dopo, nel 2013, si è verificato un altro tragico evento: la morte di una quattordicenne di Varese, che si era tolta la vita gettandosi dal balcone della sua abitazione dopo aver visto sui social un video che la vedeva protagonista di un atto sessuale, girato e caricato sul web a sua insaputa.

L’espandersi di tali vicende, umane e giudiziarie, ha aperto la strada ad una nuova sensibilità collettiva che ha ritenuto intollerabili e allarmanti certi fenomeni, di fronte ai quali il legislatore non ha più potuto rimanere inerte: è così che, il 18 giugno 2017, è entrata in vigore la legge n. 71 del 29 maggio 2017. Una legge non tanto punitiva, quanto piuttosto preventiva, attraverso approcci sociologici, giuridici e pedagogici, per attuare un piano di intervento inclusivo e formativo, nella consapevolezza che un’efficace azione di contrasto al cyberbullismo non possa che passare attraverso una considerazione su larga scala del fenomeno.

 

Secondo una ricerca di Save the Children, due terzi dei minori italiani riconoscono nel cyberbullismo il principale pericolo che si insinua tra i banchi di scuola. Per il 72% dei ragazzi intervistati è una delle minacce più tangibili della nostra epoca, più della droga o del pericolo di subire una molestia da un adulto o del rischio di contrarre una malattia sessualmente trasmissibile.

Ruolo primario, infatti, viene riconosciuto alle “istituzioni scolastiche”: la cronaca ha dimostrato che è proprio la scuola l’ambiente aggregativo ove più nascono e si sviluppano i fenomeni di prevaricazione tra pari, attraverso la dinamica del “branco”, secondo cui un soggetto comincia l’attività denigratoria e gli altri la supportano o la incalzano con i loro contributi.

 

Dunque, dicevamo, non c’è una pena.

Per tale ragione non è possibile parlare dell’introduzione di un nuovo “reato” di cyberbullismo.

 

La legge prevede la possibilità di inoltrare un’istanza al titolare del trattamento, al gestore del sito Internet ovvero al Garante per la protezione dei dati personali per chiedere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato del minore vittima di episodi di cyberbullismo diffuso via Internet.

Si tratta di una previsione che, in linea con lo spirito della legge, dimostra la volontà dell’ordinamento giuridico di intervenire con urgenza per cancellare le conseguenze tangibili del fenomeno, eliminando il materiale offensivo pubblicato on line. Pur se pregevole, tale sistema rischia tuttavia di non essere in concreto capace di raggiungere il suo scopo. Anzitutto, perché tutti i termini indicati nell’art. 2 per i gestori dei siti e per il Garante sono di carattere ordinatorio, per cui privi di sanzione qualora non rispettati. Inoltre, poiché la celerità di condivisione e di diffusione dei dati su altri siti o social network rende particolarmente difficoltosa (se non talvolta impossibile) la totale cancellazione del materiale offensivo incriminato.

 

L’art. 4 prevede che ciascun istituto scolastico attui le linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo emanate dal MIUR, attraverso la formazione degli insegnanti, la presenza di un “docente antibullo”, la promozione di un ruolo attivo di studenti ed ex studenti (secondo un modello di peer education), l’attuazione di misure di sostegno e di rieducazione dei minori, anche in collaborazione con forze di Polizia, associazioni e centri di aggregazione giovanile.

Un’iniziativa fondamentale. Come anche l’art. 5, che attribuisce al dirigente scolastico il compito di adottare delle azioni di contrasto e di carattere educativo, informando i familiari.

 

Anche in questa legge troviamo il medesimo strumento di intervento istituito nel 2009 per lo stalking.

Si tratta dell’ammonimento da parte del questore, emesso all’esito di una procedura che consente di ottenere una rapida reazione dello Stato prima di innescare lo strumento penale. Lo scopo dell’ammonimento è quello di evitare la reiterazione di condotte di cyberbullismo ed il ricorso allo strumento penale, in linea con lo spirito preventivo/educativo della legge.

 

Come giudica questa legge?

Ho qualche perplessità riguardo alla scelta di destinare la nuova normativa ai soli minorenni. Nessuna misura è stata prevista per il diciottenne che, per varie ragioni, si trovi ancora a frequentare il contesto scolastico e che non potrà, quindi, accedere alle misure preventive e repressive previste dalla norma. Non è stata poi inserita una forma di riparazione ex ante che, sull’onda di analoghe statuizioni già presenti nel nostro ordinamento, poteva contemplare un effetto premiale in favore del cyberbullo che si ravvede e che si adoperi in tal senso prima di essere raggiunto dall’ammonimento.

 

Suggerimenti per migliorare?

L’impatto con la realtà di giovani sempre più esposti alle nuove tecnologie, di storie che balzano prepotentemente fuori dal web e che raccontano di un corpo deriso o di una dignità calpestata dimostra l’importanza e la necessità di un investimento culturale, che è premessa indispensabile di una società (reale e virtuale) più retta e più giusta. Per questo non basta normativizzare la privacy, ma occorre educare alla riservatezza e alla consapevolezza delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Forse, allora, la legge n. 71/2017 ha il merito di aver imboccato la via giusta.

 

Per capirne di più, a dicembre 2018, la casa editrice ETS (collana PQM dedicata alla psicologia giuridica) pubblicherà un libro dal titolo Dove non arriva la privacy. Come creare una cultura della riservatezza, in cui Parmiggiani ed altri autori approfondiranno questi ed altri temi, per una presa di consapevolezza su questo mondo, sempre più virtuale e liquido, in cui sta diventando urgente imparare a muoversi con destrezza per proteggere la propria riservatezza e rispettare quella degli altri.

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Le eroine dei cartoni animati giapponesi degli anni ’80

Contagiosa. Questa mostra è contagiosa, e non solo per i fanatici del pop, del camp e del kitsch o dei manga, ma proprio per tutti, sempre che si sia stati, almeno una volta in gioventù, amanti di un cartone animato giapponese. Ovvio che parliamo degli anni Ottanta e Novanta, l'età d’oro di L'incantevole Creamy, Magica Emi, Sandy dai mille colori, Lulù l'angelo dei fiori, Ransie la strega, Magica Doremi, Sailor Moon ecc.
Stiamo parlando della mostra, appena inaugurata a Modena, Parimpampùm. Le bambine magiche nelle figurine, che resterà esposta fino a metà luglio. Bella anche la location, Palazzo Margherita, dove le curatrici, Francesca Fontana e Thelma Gramolelli, approfondiscono uno tra i più importanti temi narrativi che hanno caratterizzato il boom dell’invasione degli anime in Italia: «Da album e figurine risalenti agli anni Ottanta e dai gadget coevi – spiegano – emerge l’importanza delle mahō shōjo, ragazze magiche che assumono sembianze diverse per affrontare piccoli e grandi problemi quotidiani».
È proprio in quegli anni, infatti, che i cartoni animati provenienti dal Paese del Sol Levante cominciano a popolarsi di mahō shōjo, fatto rilevante se si pensa che in quella generazione le ragazze giapponesi sarebbero diventate le donne emancipate del girl power degli anni Novanta, tra tematiche sentimentali e componenti fantasy.
«Queste eroine coraggiose – aggiungono le curatrici – compiono quasi sempre un percorso iniziatico che alla fine le porta a raggiungere una nuova consapevolezza di sé e delle proprie capacità». Il fenomeno è stato talmente potente che perfino gli Stati Uniti si ispirarono alle mahō shōjo giapponesi e cominciano a produrre cartoni animati - come JemLady Lovely - ispirati a linee di bambole (anche se in un processo speculare al Giappone, dove era invece il merchandising a ispirarsi ai cartoni).
Parimpampùm ha l’obiettivo non solo di divertire ed emozionare attraverso la memoria, ma anche di far luce su un particolarissimo archetipo di favole, miti e leggende capace di raccontare modelli universali, riconoscibilissimi da chiunque in ogni epoca e ad ogni latitudine. Ed ecco che, ad esempio, la piccola Yu di L'incantevole Creamy del 1983, trasformandosi nell’affascinante teen-idol Creamy (appunto con la formula “parimpampùm”), inaugura quel filone di eroine specializzate nel combattere il male in assenza di leadership maschile, che si declinerà nelle saghe di Magica Emi, Sandy dai mille colori, Bia, la sfida della magia, Lalabel, Lulù l'angelo dei fiori, Ransie la strega, Magica Doremi, fino a Sailor Moon e Card Captor Sakura.
Singolare anche il catalogo, che ricorda gli album di figurine, con testi delle curatrici Francesca Fontana e Thelma Gramolelli (ogni visitatore riceverà in omaggio una bustina contenente 6 figurine numerate, collegate ai rispettivi spazi vuoti sul catalogo), o la sezione complementare al Museo della Figurina, dove si potranno vedere un nucleo di giornalini femminili che vanno da inizio Novecento agli anni Cinquanta, provenienti dall’ampia collezione Tagliavini-Roccatagliati, donata al Museo della Figurina nel 1999: «Tenendo conto del contesto storico e sociale – spiegano Fontana e Gramolelli – è interessante notare come le direttrici delle testate, pur in un clima di valori tradizionali e cattolici, rimarchino frequentemente come anche per le donne sia necessaria una solida istruzione, strumento essenziale per la formazione di uno spirito critico e primo requisito per la conquista dell'emancipazione».
 

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Light tourism: tutti pazzi per i fari

È vero, dopo aver alloggiato al Faro Capo Spartivento, nella Sardegna sud-occidentale, sembra non valga più la pena di mettersi in moto per cercarne altri, di fari. E invece, non è così: il mondo riserva sorprese incredibili, in quanto ai romantici e trasognatissimi segnalatori marittimi, e il sempre più numeroso pubblico di appassionati può sbizzarrirsi se programmare un pellegrinaggio turistico alla ricerca dei più belli, oppure sceglierne uno, uno solo, cui dedicare quel vacuus, quella vacanza (anche interiore) dove cercare e magari trovare nuovi spazi, nuova creatività, al limitare di sé stessi, in quel misterioso limbo ambiguo tra la terra e il mare.

È forse la pervicace resistenza con cui queste audaci architetture di terra e acqua sopportano la furia delle intemperie, o forse il loro aspetto solitario e simbolico, o lo strano scorrere del tempo, quasi fermo, a creare quel magnetismo capace di sedurre tanti ammiratori. Oppure l’eroismo con cui i fari “restano”, sempre, di giorno e di notte, fedeli guide per ogni navigatore alla ricerca di qualcosa. Sta di fatto che sempre di più si sta sviluppando questa nuova branca del turismo: il lighthouse tour.

Se l’Italia vanta, oltre al lussuosissimo Capo Spartivento, i fari di Genova e di Livorno, i più antichi dello Stivale, veri e propri monumenti nazionali da visitare per il grande valore storico e architettonico (la Lanterna di Genova è stata anche prigione), insieme a quello di Trieste, inaugurato da un re, con una delle lanterne più grandi del mondo, in giro per il pianeta si può trovare qualcosa in più: la possibilità di “diventare” faro, soggiornandovi una quota di tempo sufficiente a sospendere, per un attimo, il ritmo stringente del quotidiano. Lasciando allora agli stranieri i nostri bellissimi fari (compresi Cozzo Spadaro, vero gioiello di architettura marittima, conservato in modo ineccepibile dalle cure del farista, e Capo Grecale, a presidio del più bel mare d’Italia), ecco dove puntare la propria rotta oltrefrontiera, e arrivare davvero alla finis terrae di sé stessi.

Il faro di Ile Louet, in Bretagna, (carantec@tourisme.morlaix.fr, si consiglia di prenotare almeno un anno in anticipo) è del XIX secolo e si trova su una minuscola isola rocciosa nel cuore della baia di Morlaix. Lo splendido cottage è selvaggio ma accogliente, e promette un tête-à-tête con il mare, vista l’assenza di connessione, linea telefonica, acqua corrente e collegamenti con la terraferma (ci si arriva solo con una barca di un pescatore). La Croazia invece ha il primato per numero di fari: per cominciare, il Grebeni e lo Savudrija. Il primo, arroccato su uno scoglio, promette una prima colazione panoramica indimenticabile, mentre il secondo, a 20 minuti da Trieste, è più intimo, col suo piccolo appartamento a 30 metri dall’acqua. Ma anche il Palagruza, decisamente il più mozzafiato del Mediterraneo, circondato solo dalle impervie pareti calcaree della scogliera e isolato da almeno quattro ore di navigazione da ogni forma di civiltà. O il Rt Zub, a 13 chilometri da Porec, sulla punta estrema della penisola, col suo appartamento circondato da bellissime spiagge ghiaiose. Infine, il Prisnjak, su un’isoletta dell'arcipelago di Muter, a 25 minuti di navigazione dalla terraferma. L’Ile Verte Maison Duphare, invece, è in un’isoletta di 45 abitanti del Canada, e guida ancora oggi dopo due secoli i naviganti lungo il golfo di St Lawrence. Le otto camere sono immerse nello splendore di una riserva naturale. Anche l’Olanda non è da meno e l’Harlingen, nel porto del pittoresco villaggio di pescatori, conserva una deliziosa lanterna art déco che ancora fa il suo mestiere, e tre lussuose suites. In Norvegia, poi, ci sono il Svinoy e il Molja: mentre il secondo, nella regione dei fiordi, è così arroccato su un minuscolo isolotto che si ha quasi la sensazione di essere spazzati via insieme le fragorose onde del mare, il primo può considerarsi a tutti gli effetti un’esperienza unica nella vita: il faro, infatti, è talmente incastrato tra gli scogli aguzzi che si riesce a raggiungere solo in elicottero, ma la cosa vale tutta la difficoltà e il costo per raggiungerlo. Infine, la Scozia: il Corsewall, vero gioiello di comfort e lusso, illumina l’ingresso della baia di Loch Ryan dal 1815, lo spettacolare fiordo scozzese, ancora adesso percorso dai traghetti che collegano la Scozia all'Irlanda del Nord.

Che dire ancora? Se è vero che i costruttori di queste architetture solitarie fuori dal tempo sono pressoché anonimi, “il risultato della loro azione creativa è dirompente, di successo e inventiva – come ha dichiarato Cristiana Bartolomei, uno dei massimi studiosi italiani di fari marittimi – e combina la metafisica della gravità e della levità, dell'oscurità e del chiarore, progetto finito dell'infinito. Al giorno appartiene la loro forte presenza a completamento del paesaggio; paradigma di solidità, certezza e dominazione, la loro figura intera testimonia la sfida dell'essere umano sulla natura. Alla notte appartiene l'ignoto della terra e la loro architettura si smaterializza e cede il passo al noto, un fascio intermittente, sfuggente, esile, attaccato, dirompente nel buio e nella solitudine del mare notturno che lascia spazio all'immaginazione e al desiderio di concludere il proprio viaggio".

 

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Lo sport per contrastare gli effetti della povertà infantile

I risultati dopo due anni di progetto ci sono e sono quantificabili. Stiamo parlando di ForGood. Sport è benessere, l’iniziativa della onlus Sport Senza Frontiere (SSF), che ha come mission l’inclusione dei bambini a rischio di emarginazione sociale attraverso lo sport. Il 29 maggio 2018, a Roma, al Salone d’onore del CONI, un’intera giornata verrà dedicata alle riflessioni sui risultati di questo progetto che inizialmente sembrava a molti “visionario” e che invece, oggi, professori e ricercatori dell’Università Tor Vergata possono documentare come iniziativa di spessore scientifico tale da orientare le prossime azioni politiche su questi temi.

«Lo testimonieranno i bambini coinvolti – spiega Alessandro Tappa, presidente della onlus –. Il convegno segna un momento importante nel dibattito italiano sull’inclusione, sulla salute, sulla povertà infantile e sul valore dello sport come leva per il benessere a 360 gradi non solo della vita di un individuo, a partire dalla sua infanzia, ma anche della società tutta». Cartelle cliniche alla mano, gli studiosi mostreranno infatti non solo l’impatto che l’attività sportiva ha avuto su questi bambini in termini di salute fisica, ma anche per quanto riguarda il benessere psicologico e la capacità di relazione: «In molte periferie urbane i bambini rischiano di crescere separati dal resto della società – spiega Sara Di Michele, psicologa, responsabile del progetto. Lo sport è un momento importante di aggregazione capace di educare, oltre che alla salute del corpo, anche al senso di sé in relazione alla comunità dei pari».

Il progetto ha offerto a circa mille minori un percorso di educazione alla salute integrato da uno screening e monitoraggio sanitario e da un counseling rivolto alle famiglie, insieme all’opportunità di frequentare dei corsi sportivi gratuiti presso le associazioni aderenti alla “rete solidale” di Sport Senza Frontiere. Il percorso è stato regolarmente monitorato dagli educatori di progetto (un project coordinator, un team di educatori-coordinatori, uno psicologo, un mediatore culturale, gli istruttori sportivi afferenti alla rete sportiva solidale SSF, e un team di medici) per verificarne i progressi in termini di coordinazione motoria, socialità, rispetto delle regole, integrazione col gruppo. Contemporaneamente lo screening sanitario ha misurato la trasformazione delle condizioni fisiche dei bambini nell’arco del biennio grazie ad una rete di poliambulatori locali ai quali sono state fornite specifiche attrezzature sanitarie.

Anche a Stefania Moramarco, ricercatrice al Dipartimento di medicina e prevenzione, facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Tor Vergata, preme sottolineare l’importanza di questo studio: «I risultati della ricerca dimostrano, sul fronte della salute, che le cause di un errato regime alimentare sono da ricercarsi nelle condizioni socio-economiche dei contesti familiari e quindi negli stili di vita. In breve, più si è poveri, peggio si mangia e meno si pratica sport. In Italia l’obesità infantile è in forte aumento e ha raggiunto ormai uno dei tassi più elevati tra i Paesi occidentali. Questo dato, allarmante di per sé, diventa drammatico se collegato all’aumento della povertà infantile nel nostro Paese con conseguente aumento di fenomeni di esclusione sociale».

Necessario, dunque, intervenire in maniera tempestiva e concreta, e ForGood dimostra come ci sia bisogno di iniziative creative e innovative: «È ormai acquisito che la pratica sportiva non costituisce soltanto un fattore importante di prevenzione dei danni e di tutela della salute, ma può essere un efficace strumento di integrazione e inclusione sociale – spiega il Prof. Fabio Bocci, docente di Pedagogia speciale alla facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università Roma Tre. Purtroppo, in questa Italia colpita dalla crisi economica, sono sempre meno le famiglie che possono permettersi un’attività sportiva regolare per i propri figli. E di fatto un bambino su cinque in Italia non fa sport».

Alessandro Tappa, anima e mentore di ForGood, ci ha creduto fin dall’inizio: «Lo sport ha lo straordinario potere di incidere profondamente sulle persone e quindi di influire sul cambiamento di tutta la società. Per questa ragione pensiamo che permettere a tutti di praticarlo, anche ai bambini più svantaggiati, elevi lo sport anche a veicolo di educazione, inclusione sociale e benessere di tutta la Comunità».

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Natale: un portale per acquisti responsabili

Si chiama Candy for Chance ed è perfetto per chi vuole essere protagonista di un Natale responsabile, attento ai diritti civili e sociali, al pianeta, alla povertà, alle donne, agli animali, ai bambini, ai paesi in via di sviluppo, e a tanto altro. Laico, per nulla ideologico, e nemmeno militante: Valeria Vantaggi, infatti, ha creato questo progetto per mettere in contatto consumatori e ONG in modo trasparente e veloce, e per dare una opportunità a chi è sensibile alle etiche planetarie per fare uno shopping intelligente e solidale. “Candy for Chance – spiega la giornalista di Vanity Fair nasce come portale: una semplice vetrina. Qui si va direttamente dal produttore, in modo da poter acquistare con la massima serenità e con la massima trasparenza”.

E allora pronti-via per tutti coloro che vogliono un albero ricco di pacchetti significativi, ossia con un significato: che non sia solo egotico e autoreferenziale, ma che tenga conto dell’esistenza di tutti, di tutte le culture, in ogni paese, in ogni condizione e declinazione. Già, perché la vita, a quanto pare, è un’unica grande rete interconnessa, e ogni presenza è collegata a tutte le altre e a ogni ambiente che le contiene.

La vetrina è semplice da navigare e da scoprire: si va per tematiche (donne, mafia, salute, diritti civili, bambini, ambiente, etc) o per paesi (Africa, Asia, Tibet, India, Guatemala, Amazzonia, etc), e ogni clik porta ai prodotti, tutti scelti anche in base a un gusto e un’estetica capace di dialogare con l’opulento occidente. Decisamente cool e trendy anche le sezioni: beauty, food, book, fashion, art&craft, jewelry, living. In pratica, Candy for Chance rappresenta uno stile di vita, un modo di stare al mondo, una presa di posizione e di responsabilità: felici insieme, tutti insieme, perché “Nessuno può essere felice, finché tutti non sono felici”, come diceva il filosofo indiano Swami Vivekananda, due secoli fa.

Infine, Candy for Chance offre l’opportunità di creare delle partnership virtuose: mette infatti in contatto varie ONG con chi può fare qualcosa per loro. “Ci sono progetti speciali – continua Vantaggi idee creative da supportare, grandi cause da sostenere, e uno spazio dedicato agli annunci, ma occhio che quelli sono a pagamento, per sostenere tutto il lavoro. E per questo, GRAZIE”. E grazie anche a questa giovane giornalista, classe 1971, milanese e filosofa, che, pure occupandosi per Vanity di argomenti “ameni” (noti i suoi servizi di moda, design, architettura, cibo, etc), a un certo punto si è ribellata al vuoto dell’effimero e, voilà, si è messa ad approfondirlo: “Era divertente, ma a un certo punto ho sentito che mancava qualcosa, come se a quegli stessi argomenti avessi bisogno di dare un peso specifico diverso. Così è nata l’idea di Candy for Chance. Mette insieme un po’ tutto: quello che so, i contatti che ho, ciò che mi piace e quello che vorrei che fosse. La realtà e il sogno. Il bello e il buono. In fondo basta poco: un po’ più di dolcezza, per una grande opportunità”.

 

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Nuove domande sulla libertà di manifestazione del pensiero

Il 10 agosto 2018 il nostro Codice in materia di protezione dei dati personali si è aggiornato e, tra le altre cose, ha rinforzato il concetto di dignità della persona. In un mondo social in cui siamo tutti voyeur ed esibizionisti, il rapporto tra la libertà di manifestazione del pensiero e il rispetto della dignità della persona diventa un rompicapo.

Riccardo Acciai, direttore del dipartimento Libertà di manifestazione del pensiero e cyberbullismo del Garante per la protezione dei dati personali, interviene a fare luce: «Le fake news, gli hate speech, il cyberbullismo, sono fenomeni che ci costringono a porci nuove domande sulla libertà di manifestazione del pensiero».

Oggi, infatti, chiunque riesce a esprimere liberamente il proprio pensiero: dalla rotativa si è passati a Internet, dalle notizie di interesse pubblico siamo nell’epoca dello show della vita privata sui social, da giornali, radio e TV siamo adesso dipendenti dallo smartphone, un contenuto che prima si esauriva con la sua stessa diffusione oggi diviene imperituro grazie al web, foto e video sono capaci di sostituire la notizia espositiva, gli interpreti delle varie forme di manifestazione del pensiero che prima erano giornalisti e commentatori, oggi sono i singoli utenti: «A tale evoluzione l’ordinamento ha tentato di porre, di volta in volta, dei rimedi, sia sotto il profilo normativo, sia sotto quello dell’adeguamento interpretativo. Ad esempio, il Garante è intervenuto sin dal 2008 per ordinare la deindicizzazione dai motori di ricerca di articoli ormai obsoleti e ritenuti lesivi dai singoli interessati e nel 2012 la Corte di Cassazione ha chiaramente riconosciuto il diritto delle persone coinvolte di vedere aggiornate nei vari siti online le informazioni a loro relative che avessero nel frattempo subito un’evoluzione».

Nel 2014, inoltre, la sentenza della Corte di giustizia dell’UE sul caso “Google Spain” ha chiarito il ruolo e i doveri dei motori di ricerca: «Sì, ed ha affermato con forza il diritto degli interessati, al ricorrere di determinate circostanze, di veder deindicizzati i contenuti non aggiornati. Pochi mesi dopo ulteriori precisazioni e adattamenti al riguardo sono stati indicati dal Gruppo dei Garanti europei con specifiche linee-guida, dando così ulteriore consistenza a quello che oggi viene comunemente indicato come diritto all’oblio».

Nonostante questa relativa rapidità di risposta normativa, spiega Acciai, ci troviamo di fronte a fenomeni che rischiano di ledere il rispetto della dignità della persona: «L’anonimato della Rete, il senso di impunità da questo stimolato, l’assenza, ancora una volta, di filtri, riempie gli scambi via web di contenuti sempre più duri, sempre più violenti, che, a seconda delle circostanze, danno origine a fenomeni di fake news, di hate speech, di cyberbullismo o, più in generale, di denigrazione o di odio per il prossimo».

Quali, le armi a disposizione per affrontare queste nuove sfide? «Anche in questa fase l’ordinamento sta rispondendo con una certa tempestività. Il Regolamento UE n. 679, ad esempio, con la sua diretta applicabilità all’interno di tutti i Paesi dell’Unione europea, uniforma il quadro normativo di riferimento e contribuisce a rafforzare un’area giuridica comune che può, in quanto tale, ottenere riconoscimento anche al di fuori di essa. Sotto il profilo operativo responsabilizza coloro che trattano dati (principio dell’“accountability”), chiedendo a essi non specifici adempimenti ma, più in generale, di fare quanto possibile per evitare eventi pregiudizievoli; impone di minimizzare i rischi anche mediante soluzioni di ordine progettuale o tecnico (principi della “privacy by design” e della “privacy by default”); stabilisce che sia il titolare del trattamento a provare, in caso di evento dannoso, di aver posto in essere ogni misura possibile per evitarlo (inversione dell’onere della prova). Il Regolamento, inoltre, reca a sostegno un forte apparato sanzionatorio che, consentendo di aggredire in alcuni casi fino al 2 o al 4% il fatturato globale di un’azienda, costituisce sicuramente un forte deterrente, adeguato, nella sua modularità, anche ai grandi protagonisti del mondo digitale».

E per il cyberbullismo? «Il nostro Paese si è recentemente dotato di una specifica legge, la n. 71 del 29 maggio 2017, che tende ad affrontare il problema attraverso un approccio improntato all’effettività, affidando al Garante per la protezione dei dati personali il potere di intervenire, su sollecitazione dell’interessato, ordinando l’immediata rimozione di post ritenuti espressione di sopraffazione».

Sono sufficienti questi interventi? «Tutti gli interventi dall’esterno sono soggetti al difficile compito di dover effettuare il bilanciamento fra i diversi diritti in gioco, evitando semplicistiche scorciatoie che potrebbero, appunto, ledere il diritto. Antonello Soro – presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali – per primo stigmatizza la ricorrente tentazione della soluzione penale (incriminando la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose) perché riduce un fenomeno così complesso ad una mera questione criminale, ma anche perché rende la magistratura un tribunale della verità, laddove in democrazia l’esattezza non è conseguibile se non con il limite del rispetto dell’altrui dignità, che traccia il limite di un’incomprimibile sfera di libera espressione, in cui dobbiamo saper accettare anche il rischio della falsità come controparte del pluralismo».

In fondo, anche in tema di cyberbullismo, la richiesta di rimozione di un determinato contenuto motivata con ragioni di protezione, potrebbe in realtà essere rivolta a far eliminare semplicemente un’informazione non apprezzata dall’interessato: «Esattamente. E, così facendo, porrebbe a rischio quella tutela del dissenso che, come dice il giurista Giovanni Pitruzzella, fa parte del regime costituzionale della libertà di informazione nelle democrazie pluralistiche».

Il parametro essenziale da prendere in considerazione, dunque, rimane il livello di minaccia alla dignità della persona: «È l’approccio dell’ordinamento, nel previo interessamento del gestore della piattaforma (o, in taluni casi, direttamente, dell’autore del contenuto ritenuto lesivo) e, in seconda battuta, dell’autorità pubblica che, in caso di fallimento dell’interpello preventivo, può essere chiamata a dirimere la controversia, effettuando il complesso vaglio del contenuto in questione per decretarne, a seconda dei casi, l’eventuale rimozione, deindicizzazione o anonimizzazione».

Eccoci dunque arrivati al punto, l’autoregolazione: «Tutti questi sforzi rimarranno poca cosa se non si agisce con risolutezza sulla consapevolezza degli utenti del web: di coloro che, gestendo in maniera distorta il fondamentale diritto di manifestazione del pensiero, così duramente conquistato, diffondono messaggi di odio o di emarginazione, ma anche di coloro che, con troppa disinvoltura, si espongono, a causa di un utilizzo non ragionato degli strumenti della Rete, alle insidie che questa – insieme alle sue enormi potenzialità – purtroppo comporta».

 

A dicembre 2018 la casa editrice ETS pubblicherà un libro dal titolo Dove non arriva la privacy. Come creare una cultura della riservatezza, in cui Acciai ed altri autori approfondiranno questi ed ulteriori temi, con suggerimenti pratici per una presa di consapevolezza sul mondo di domani, sempre più virtuale e liquido, in cui sta diventando urgente imparare a muoversi con destrezza.

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Pazzi per le perle: i musei del gioiello marino

Sono per la maggior parte donne, ma non solo. Gli estimatori delle perle, infatti, non necessariamente legano la loro passione alla possibilità di indossare il gioiello marino, piuttosto al simbolo di questo oggetto, creatura subacquea costituita di carbonato di calcio in forma cristallina. Bianca, nera, rosa, grigia, crema, viola, le perle hanno svariate qualità, dalle meno pregiate, coltivate nell’acqua dolce di laghi e fiumi, fino ad arrivare alle preziosissime “Perle di Tahiti”, straordinarie per la luce che riescono a emettere. Tra le tre categorie di perle “salate”, tutte provenienti dagli oceani o da alcune lagune, ci sono anche le Akoya, e le rare perle South Sea. I musei dedicati sono solo quattro, e almeno una volta nella vita vale la pena di vederne uno.

Il più famoso, è il Museo delle Perle Nere, nel centro storico di Papeete, accanto alla Cattedrale di Nostra Signora e al Parco Bougainville, sulla costa nord-occidentale dell'isola di Tahiti (mozzafiato il panorama sulla baia di Nanuu). Il museo vanta uno degli esemplari di maggiori dimensioni mai trovati al mondo, la famosa perla di Robert Wan, di 26 mm e 8,6 gr (www.robertwan.com). Ma facciamo un passo indietro: oltre alle Akoya, esistono alcune perle nere di fiume, ma senza dubbio sono le parle di Tahiti le nere più belle del mondo (anche se il valore di una perla non si distingue solo dal colore, ma anche dalla forma e dalla luce). Molti sanno che una perla si forma quando un corpo estraneo, come parassiti o pezzi di conchiglie, si ferma dentro a un mollusco (ostrica o vongola) che, per difendere i propri tessuti, avvolge tale frammento con vari strati di madreperla che poi, calcificandosi e combinandosi con altri minerali, crea questo gioiello luminescente. Forse però sono in pochi a sapere che le ostriche che creano le perle nere sono molto più delicate e in ogni coltivazione ne muoiono tantissime: il museo di Tahiti è un concentrato di queste rarissime perle (Poe Rava). Non solo: la sua capacità suggestiva è aumentata dal fatto che riesce a trasmettere l’alone di mistero che avvolge questi oggetti, al centro di numerosi miti, e sempre presente nelle storie dei pirati. Qui, l'importanza culturale delle perle viene spiegata attraverso documenti, mostre e opere d'arte: una misteriosa gemma che conferisce a chi la possiede o la indossa un particolare status sociale. Incredibile la collezione di molluschi di tutte le dimensioni, forme e colori, o il bikini di perle indossato da una danzatrice tahitiana..

Altro museo della perla si trova negli Emirati. L’Emirates NBD è nato grazie alla lungimiranza e alla generosità di Ali Bin Abdullah Al Owais, un illustre commerciante di perle degli anni '40 e '50, e di suo figlio, il Sultano Al Owais. Entrambi, infatti, vollero rendere giustizia al pericoloso e difficile mestiere dei pescatori di perle dato che, prima della scoperta del petrolio, era proprio questo la principale fonte di reddito del paese. In mostra dunque, oltre a magnifici gioielli e rari esemplari delle incredibili gemma marine, anche gli strumenti e gli attrezzi che si usavano per raccogliere e trasportare il prezioso carico. Le acque calde e poco profonde di questi mari continuano ancora oggi a produrre alcuni degli esemplari di migliore qualità al mondo (http://www.pearlmuseum.ae).

Terzo museo da non perdere è quello nell’Isola delle Perle di Mikimoto, nella Baia di Toba, in Giappone. Si possono ammirare meravigliose perle naturali e imparare molto sulla loro coltivazione, oltre che sulla vita e le vicende di Mikimoto Kokichi, il primo ad intraprendere, a metà Ottocento, la coltivazione delle perle. Sull’isola vi è inoltre una piazza, Pearl Plaza, dove è possibile acquistare gioielli di tutte le fogge realizzati solo con perle. Infine, da non perdere lo spettacolo delle donne amasan, “donne del mare”, che si tuffano come sirene nelle profondità del mare alla ricerca di perle, professione tradizionale che esiste da secoli (http://www.japancoolture.com/it/le_amasan_donne_del_mare).

Da ultimo, il Museum of Pearl Diving, nel Bahrain. Costruito nel 1937 come sede del Ministero della Giustizia e degli Affari Islamici, oggi ospita una splendida collezione sulla pesca delle perle, qui attiva fin dal 2300 a. C. e fonte principale di reddito del paese. Oggi gli affari sulla perla color avorio tipica di queste acque che, in profondità, sono quasi dolci, è rifiorita dopo il crollo negli anni ’30 del Novecento dovuto alla moda delle perle coltivate giapponesi. Tuttavia non si pratica più la pesca artigianale, pericolosissima per via gli squali e per le profondità da affrontare in immersione, per secoli causa di innumerevoli incidenti mortali.

Un consiglio? Un filo di perle bianche, con una sola perla nera.