Ci sono date che segnano il destino di un Paese, rimanendo indelebili nella memoria e nella coscienza collettiva. L’8 settembre 1943 rappresenta per l’Italia una di queste, un dramma dalle molte sfaccettature, un evento che segnò la fine delle ostilità contro gli Alleati e la conseguente fine dell’alleanza con la Germania nazista, ma soprattutto segnò l’inizio di una delle pagine più dolorose per il nostro Paese: la guerra civile.

L’Italia, agli inizi di quell’anno, era ormai un Paese al collasso, non più in grado di sostenere lo sforzo bellico. Durante l’estate cominciò quindi a maturare la decisione, presa dal re e dagli alti comandi dell’esercito, di abbandonare la Germania e uscire dalla guerra. Nei mesi di luglio e agosto, nella massima segretezza, i capi del governo italiano cercarono, spesso goffamente, di prendere contatti con gli Alleati per negoziare la resa. Si arrivò così al 3 settembre dove a Cassibile, in Sicilia, l’Italia e l’alleanza anglo-americana nelle persone del generale Giuseppe Castellano e del generale Walter Bedell Smith firmarono un armistizio, noto come “armistizio breve”. Le clausole dell’accordo, tenuto all’inizio segreto, prevedevano la resa incondizionata del nostro Paese.

Il 7 settembre arrivarono a Roma due ufficiali americani con il compito di comunicare al governo italiano che il giorno successivo, il generale Eisenhower avrebbe annunciato ciò che era stato deciso solo qualche giorno prima. Tra grande confusione e incertezza si giunse così all’8 settembre. Vale la pena riassumere la cronistoria di quel mercoledì di fine estate.

Il maresciallo Pietro Badoglio, posto a capo del governo dopo la caduta e l’arresto di Mussolini, avvenuto il 25 luglio, stava cercando in tutti i modi di rinviare la comunicazione dell’armistizio, ma le informazioni date dai due ufficiali americani e le pressioni di Eisenhower resero impossibile ogni tentativo di rimandare. Quel giorno si susseguirono decisioni confuse e situazioni a dir poco imbarazzanti, una riunione del consiglio della corona venne convocata d’urgenza al Quirinale. Dopo vari tentennamenti si decise di darne comunicazione ufficiale. Prima della riunione era stato ordinato di preparare al Quirinale un microfono collegato all’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), ma l’ordine non era stato eseguito. Così Badoglio, cambiatosi con abiti civili, fu costretto a raggiungere in macchina la sede della radio per registrare l’annuncio di resa. Verso le 19.30 il maresciallo fece il suo ingresso nella sede della radio di Stato. Nel giro di pochi minuti registrò un breve messaggio, mentre la programmazione veniva interrotta per mandare in onda alcune marce militari. Verso le 19.40, lo speaker Giovan Battista Arista annunciò Badoglio e poco dopo la sua voce registrata lesse il proclama con cui il Regno d’Italia annunciava la resa. Ultimo dettaglio che rende ancora più drammaticamente grottesca la vicenda.

Dopo il discorso passarono diverse ore di calma apparente. Fu un’illusione, già nel corso della notte i tedeschi cominciarono a prendere posizione con l’ordine di disarmare gli italiani.

Alle cinque di mattina del 9 settembre, Badoglio passò i poteri di primo ministro al ministro degli Interni Umberto Ricci e salì sul convoglio di automobili diretto a Pescara dove lo aspettavano il re, la famiglia reale e numerosi generali e altri dignitari nell’intento di lasciare Roma; al Quirinale non rimase più nessuno, nemmeno i carabinieri. In quel giorno d’estate che volgeva al termine sprofondò l’Italia che credeva di essere un Paese vero. Gli anni successivi saranno i più duri e vedranno una nazione lacerata dalla guerra civile e dall’occupazione tedesca.

Oggi, l’8 settembre ancora incarna le croniche divisioni dell’Italia. Alcuni ricordano l’anniversario come giorno di libertà e riscossa contro il nazismo, altri come un giorno macchiato dalla vergogna e dal tradimento.

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