Celare al mondo la propria vera natura, i propri pensieri, lo spirito che anima l'essere umano e lo rende solido nell'ethos; celare tutto questo, addirittura, a sé stessi. Come Odisseo che, per tornare a Itaca, è costretto ad assumere mille identità, persino l'angosciante vuoto che si spalanca sotto l'appellativo di Nessuno; divenire multicolore per celare quell'indefinibile (e inesprimibile) sfumatura che la lontananza da casa ha impresso, come un marchio impossibile da cancellare, nel suo animo.

È questa l'atmosfera che pervade, con una nota di profonda inquietudine, i gesti e la vita di Martin Bora, il detective protagonista di La strada per Itaca, ultimo romanzo pubblicato da Ben Pastor per i tipi di Sellerio (traduzione di Luigi Sanvito).
L'autrice, già docente universitaria di Scienze Sociali presso numerose università americane, con un'attività di ricerca dedicata ai temi più svariati, non ultimo l'archeologia classica, affianca alle pubblicazioni di carattere erudito e tecnico un'interessante attività di romanziere, legata soprattutto ai temi del mistery e del romanzo di guerra, che si sviluppa attraverso alcuni cicli, il più famoso dei quali è quello che vede Martin Bora come protagonista.
Capitano dell'esercito tedesco assegnato, durante la seconda guerra mondiale, all'Abwehr (il servizio di controspionaggio del Terzo Reich), colto e raffinato, Martin Bora è un personaggio dolorosamente scisso fra l'assoluto rispetto dell'onore militare, retaggio di un'antica famiglia con una tradizione radicata e profonda, e la repulsione altrettanto forte per le idee, gli uomini e le azioni di cui il nazismo ha intriso la società tedesca, trovandosi così nella posizione ambigua e rischiosa di chi è costretto a nascondere, dietro l'apparenza perfetta dell'ufficiale, il dubbio morale più radicale, che egli tuttavia riesce a mettere in atto, e a sfogare, attraverso l'attività di detective, chiamato a risolvere i casi più aggrovigliati coi quali la guerra, nella sua atroce ambiguità, ha irrorato il mondo, sfregiandone la compattezza e l'integrità come un fiotto di acido la perfezione del volto umano.
In viaggio diplomatico a Mosca poche settimane prima dell'invasione tedesca (in realtà in missione per il controspionaggio), Bora riceve da Berija in persona uno strano incarico: recarsi a Creta per procurargli alcune casse di pregiatissimo vino greco. Appena giunto sull'isola, il capitano viene coinvolto nelle indagini su un massacro perpetrato, così sembra, da un gruppo di paracadutisti tedeschi ai danni di un gruppo di civili, fra i quali compare Alois Villiger, studioso svizzero legato all'Ahnenerbe (la famigerata “Società di ricerca dell'eredità ancestrale”) e quindi direttamente al terribile Heinrich Himmler.
Lo spaesamento disumano che lo stato di guerra provoca nel protagonista, sospeso fra esigenze antitetiche e inconciliabili fra loro, nel paesaggio cretese sprofonda nelle lontananze viscerali del mito, confondendo i gesti e le azioni di Bora con quelli di Odisseo e Teseo: come il primo, costretto affinché il nostos si realizzi realmente a negare sé stesso e le proprie certezze e idee, e proprio così paradossalmente ad avere una chance in più di ritrovare la propria fisionomia e la via verso casa, anche se questa dovrà passare per gli orrori dell'invasione dell'Unione Sovietica; come il secondo, sperduto in un labirinto fatto di reticenze e ritmi arcaici, legato al filo rosso di un'Arianna poco affidabile (un'archeologa americana), pronto ad affrontare il Minotauro che lo attende al centro di quei corridoi tortuosi e accecati da una luce troppo intensa, con il sottile terrore che l'avversario, alla fine, non sia altro che un'esatta copia della propria figura.
Ben Pastor tratteggia con cura, intrecciando abilmente i diversi piani del romanzo di genere e quelli del romanzo di introspezione psicologica, un protagonista la cui immagine, in qualche modo, deve molto forse a quella di Ernst Jünger, anch'egli come Bora un intellettuale in contatto con Heidegger (nel romanzo una riflessione di quest'ultimo sulla verità diviene un riferimento fondamentale per il Capitano, che brancola nel buio) e attraversato da contraddizioni e illuminanti intuizioni. Come quella che, nelle ultime pagine di La strada per Itaca, ruota attorno ai privilegi, semplice e naturale spiegazione, come il mare o il fuoco nel pensiero dei presocratici, di ciò che è al principio delle azioni dell'uomo e dell'orrore che le intride, ben lontana da qualsiasi idealismo il quale, come una maschera di cartone levigata e asciutta, ne nasconde l'espressione amara e stravolta.

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