Dopo il grattacielo più alto del mondo, la pista da sci nel deserto e l’arcipelago artificiale a forma di palma a Dubai è la volta di una replica ‘king size’ del Taj Mahal, il cenotafio fatto costruire con più di vent’anni di lavoro da Shah Jahan nel 17° secolo in onore dell’amata moglie Mumtaz Mahal. Il nuovo complesso dovrebbe essere grande quasi quattro volte l’originale e avere una ben più prosaica destinazione vacanziero-commerciale – un hotel da 300 stanze, negozi e appartamenti –, candidando Dubai come meta ideale per i viaggi di nozze. Ma non è tutto: il Taj Arabia si inserisce in un faraonico progetto (è proprio il caso di dirlo, visto che sono previste anche le piramidi) di un’intera area, la Falconcity of Wonders, che racchiuderà le riproduzioni delle ‘sette meraviglie’ del mondo in chiave moderna: dal Colosseo alla Grande muraglia, dalla torre Eiffel alla torre di Pisa, da Venezia ai giardini pensili di Babilonia. Una sorta di gigantesco parco giochi a tema – The world in a city, recita lo slogan di Falconcity –, un patrimonio culturale componibile ‘fatto in casa’ a tempo di record (dovrebbe essere completato nel 2014), secoli di storia concentrati in un battito di ciglia. Si producono così volumi senza anima, estranei al contesto, un sistema artificiale di architetture nel quale il concetto di originale e di copia appare desueti e privo di senso; ma anche la capacità di osare e di sperimentare, di ricercare un dialogo e un equilibrio con il territorio, di ascoltare e interpretare lo spirito del luogo, la spinta propulsiva in avanti sembrano qualità non significative in favore di un più asettico copia-incolla.