Valle del Marecchia, provincia di Rimini, entroterra del Montefeltro. Il mare è distante ma si è ugualmente immersi tra le onde: sono quelle in pietra e in terra dei colli e dei picchi, delle rupi e dei boschi. Non lo penseresti mai, eppure qui ‒ inerpicata a 583 m slm ‒ si trova la più piccola e meno nota ex capitale d’Italia: siamo a San Leo, assurto dal 962 al 964 a capoluogo del regno di Berengario II. Da tempo immemore il borgo è sovrastato dall’arcigna fortezza, aggrappata con le unghie e con i denti a un inaccessibile sperone calcareo, l’antico Mons Feretrius. Il forte sembra sorvegliare in cagnesco qualunque attività del paese: una suggestione cupa, giustificata dalla memoria di eventi tragici che sopravvive vivida nonostante il passare dei secoli. Il castello infatti fu tomba e prigione di personaggi come Cagliostro e Felice Orsini; oggi ‒ non pago della propria fosca nomea ‒ ospita un museo della tortura capace di fare rabbrividire anche i più temerari.

Frequentato da Dante e da s. Francesco, il borgo deve il suo attuale nome a s. Leone, che evangelizzò la zona nei primi secoli del cristianesimo; prima di allora, si chiamava Montefeltro e costituiva il capoluogo dell’omonima contea. Insieme alla sua rocca fu conteso nel VI secolo da Goti e Bizantini; con Carlo Magno fu incluso nelle donazioni allo Stato Pontificio; dopo l’occupazione longobarda e le vicende di re Berengario (assediato e sconfitto proprio qui da Ottone I) passò di mano in mano, conquistato e poi perduto dalle famiglie più potenti della storia italiana: i Montefeltro, i Malatesta, i Medici, i Della Rovere, i Borgia. Nel XVII secolo tornò nelle proprietà della Chiesa; nel 1860 fu definitivamente conquistato dalle truppe italiane.

Tracce evidenti della sua storia si riconoscono ancora oggi in un pugno chiuso di vie e nella piazza centrale: è facile raggiungerla una volta oltrepassata l’unica porta di accesso; non è difficile immaginare perché costituisca l’epicentro sociale e religioso del paese. Qui, in poche occhiate, si succedono gli edifici più importanti per la comunità: i palazzi nobiliari, la torre civica, la pieve di S. Maria Assunta, il duomo di S. Leone. Queste chiese sono chiamate le due cattedrali e si ammirano fianco a fianco: la prima è uno degli edifici più antichi del Montefeltro e fu costruita nel VII-VIII secolo in pietra arenaria su un antecedente tempio pagano. Ancorata alla roccia, è una chiesa in stile romanico, con lavorazioni di maestranze comacine. Presenta un’austera facciata rivolta verso un ripido pendio, un portone di ingresso laterale, una cripta a crociera e tre absidi. Custodisce un pregevole ciborio in marmo datato 882, intitolato alla Vergine e al duca Orso. Nel sacello sotto le navate riposarono fino al 1014 le spoglie di s. Leone, poi asportate da Enrico II per recarle in Germania (ove però non giunsero mai); sulla parete esterna destra è murato un interessante bassorilievo, forse attribuibile al periodo umbro-sabellico (VIII secolo a.C.).

Anche il duomo è aggrappato al masso che lo sostiene e anche questo edificio presenta un portone di ingresso laterale. Sul preesistente nucleo altomedievale fu edificata (1173) la struttura che vediamo oggi con riferimenti romanici e gotici. Poco distante svetta la torre civica, sorta nel XII secolo come postazione di vedetta. In poche decine di metri ecco quindi palazzo Medici (1521), palazzo Della Rovere (XVII secolo) e palazzo Nardini, dove nel 1213 il conte Orlando Cattani incontrò s. Francesco per donargli il monte della Verna, luogo dove fu edificato l’omonimo santuario.

Una passeggiata tra le vie ed è ora di salire alla fortezza, l’edificio simbolo di San Leo, da cui si apprezza un panorama a volo d’aquila su tutto il paesaggio circostante: valli, fiumi, declivi, boschi di querce e castagni, altri borghi appollaiati su altri picchi. L’aspetto attuale della rocca si deve a Federico III da Montefeltro, che nel XV secolo incaricò l’architetto Francesco di Giorgio Martini di ampliare la struttura preesistente e di adattarla alle tecniche belliche difensive del tempo. Il complesso con i bastioni e le piazze d’armi ‒ che ospitano anche alcuni cannoni utilizzati nella Seconda guerra mondiale ‒ suscita una certa impressione, sebbene le emozioni più forti si vivano entrando. All’interno ci attendono infatti una vasta collezione di armi e le celle di tortura, dove sono esposti numerosi e terrificanti strumenti di supplizio. A chi non tremano le gambe non resta infine che recarsi alla Cella del Pozzetto, angusta stanzetta di 9 mq senza porta e con una sola finestrella. La si può vedere da uno spioncino o attraverso le grate della botola da cui veniva calato il cibo per gli sfortunati detenuti. Tra gli altri, qui fu imprigionato per quattro anni e mezzo Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, che nel 1795 vi morì dopo atroci sofferenze. È garantito: tra queste impenetrabili mura di roccia viene presto il desiderio di una boccata d’aria fresca. Torniamo all’aperto, quindi, e facciamo un bel respiro mentre la mente va, indugiando sulle vicende e le memorie di santi, letterati, patrioti, alchimisti avventurieri. Destini incrociati nel tempo, in un piccolo borgo arroccato quassù, tra le colline del Montefeltro.

Crediti immagine: TrismegistusDAC [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], attraverso Wikimedia Commons

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