14 gennaio 2021

Affascinato dal violino. Intervista a Gabriele Pieranunzi

 

Intervista a Gabriele Pieranunzi

Un talento singolare, una tecnica eccellente, Gabriele Pieranunzi, primo violino al Teatro San Carlo di Napoli, possiede una grinta da solista e una fama internazionale pur rimanendo fedele alla sua “Orchestra”. È uscito da poco il suo ultimo album Mozart. Piano quartet in G minor K 478 – Schumann. Piano quartet in Eflat major op.47, registrato con Rocco Filippini, violoncello, Francesco Fiore, viola, Alfons Kontarsky al pianoforte; un’incisione importante, un’esecuzione formidabile, quattro artisti di diversa scuola e generazione affiatatissimi. Fra le incisioni del violinista napoletano il Concert for violino, piano and String quartet in D major Op.21 – String quartet in C minor op.35, capolavoro di Chausson, con Pieranunzi, la pianista Jin Ju e i Philharmonia Chamber Players (entrambi i CD sono pubblicati da Aulicus Classics). Simpatico e schietto Gabriele Pieranunzi così riassume la sua carriera artistica «Casualità, tutto accade per caso».

 

Maestro, lei propone un repertorio da solista, ma continua a lavorare in orchestra

Nel 1999, dopo un concerto a Birmingham diretto da Gianandrea Noseda, il San Carlo mi offrì un lavoro come primo violino per una produzione. Non sapevo cosa fare, avevo solo suonato nell’Orchestra giovanile europea diretta da Claudio Abbado ma, nonostante i numerosi concerti internazionali da solista, non ero sereno. Ho accettato la proposta dell’Orchestra per staccare dalle tournée e sono rimasto.

 

Come si è avvicinato al violino?

Mio padre è stato un chitarrista noto nella Roma degli anni Cinquanta, Sessanta, per la guerra non si era diplomato al Conservatorio, un autodidatta molto dotato che suonava jazz. Mamma era cantante, mio zio violinista, mio fratello suonava già il pianoforte (Enrico Pieranunzi, fra i maggiori pianisti jazz internazionali, nda), la musica mi piaceva, a cinque anni non si sceglie e così mi sono trovato fra le mani lo strumento che allora dava maggiori possibilità di lavoro. Ne sono rimasto affascinato, suonarlo non mi ha mai pesato, da bambino mi appassionava quanto il gioco del calcio.

 

E quando ha capito che sarebbe stato un professionista?

Mio fratello mi suggerì di partecipare ad alcuni concorsi, a sette anni mi sono reso conto che volevo essere un violinista. Non ho mai desiderato altro, ma nei temi scolastici, per non sembrare diverso dagli altri, immaginavo professioni più normali.

 

Il vostro ultimo album unisce Mozart e Schumann

È la registrazione di un concerto del 1999; con me e Francesco Fiore, amico e collega, c’erano Filippini e Kontarsky, due monumenti della musica da camera, furono loro a scegliere il repertorio. Quell’esecuzione ha accompagnato la nostra vita, per questo ho deciso di pubblicarla.

 

Quale legame, se c’è, fra i due brani?

Forse il tratto comune di queste pagine musicali, scritte in epoche diverse, è il continuo cambio d’umore, stato d’animo, atteggiamento; pensiamo a Mozart, tutto accade con una rapidità sorprendente e crea una sequenza. Il quartetto di Schumann rivela una soluzione di continuità che contraddistingue la sua produzione, momenti di lirismo, pochi di giovialità, attimi in cui emerge la follia della sua dolorosa esistenza.

 

Ernest Chausson è poco conosciuto dal grande pubblico e da noi poco eseguito

Non ha scritto molto, Poème op. 25 per violino e orchestra è il suo brano più noto, perché è nel repertorio dei maggiori violinisti. Il Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi, unica composizione scritta per questa formazione, è straordinaria e particolare, si avverte la fascinazione dell’autore per alcuni stili, compositori. Il primo movimento rileva un’ipertrofia di scrittura che ricorda Wagner con cromatismi continui, successione di temi che tolgono il respiro; nel secondo improvvisamente si torna ad arie che riportano a Couperin, Rameau, il terzo è una marcia funebre. Se si osserva in filigrana il quarto si ritrovano Fauré, Saint-Saëns, Massenet: è come se Chausson, uomo schivo e con poca fiducia in sé stesso, volesse fare una meravigliosa sintesi della musica, delle epoche, degli autori che amava.

 

Sua moglie (Loana Stratulat, nda), violinista all’Orchestra del San Carlo, ha studiato a Bucarest. Vi sono differenze nella vostra formazione?

Dopo il diploma mi sono perfezionato con Ştefan Gheorghiu, uno dei migliori insegnanti di violino al mondo, erede della scuola di Enescu e discendente della grande scuola russa. Loana proviene dalla tradizione leggendaria dell’Est Europa; Claudio Abbado diceva che «lì sono nati grandi strumentisti d’arco». Il premio George Enescu di Bucarest continua a lanciare nuovi talenti del violino; in Italia il premio Paganini è scomparso da anni, a lui non dedicano più strade o piazze come ad altri compositori che hanno reso celebre la nostra musica, il nostro Paese. In Romania essere un violinista è un valore, questo fa la differenza fra una didattica e l’altra.

 

Immagine: Gabriele Pieranunzi (foto di Grazia Lissi)

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