Il 40% delle specie di impollinatori, come le api e le farfalle, dopo centinaia di milioni di anni di esistenza trascorsi a passare da un fiore all’altro garantendo uno dei più importanti servizi all’ecosistema terrestre, sono a rischio di estinzione a causa dei cambiamenti climatici, dei pesticidi, dell’urbanizzazione e di numerose altre attività antropiche invasive.

Già da anni questo gravissimo problema viene denunciato da diversi studi scientifici, e il numero di ricerche e iniziative è proporzionale alla preoccupazione: la UE, per esempio, nel 2015 ha dato vita ai progetti European red list of bees e Status and trends of European pollinators (STEP) per monitorare la situazione nel nostro continente; nel 2016 è uscito Pollinators vital to our food supply under threat, dell’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services, sulla situazione globale; negli Stati Uniti nel 2017 è stata pubblicata dal Center for biological diversity una ricerca sistematica sulla situazione americana dal titolo Pollinators in peril.

Anche se le cause di tale fenomeno, infatti, non sono ancora del tutto chiare, assolutamente evidenti sono invece le conseguenze: dall’impollinazione dipendono, almeno parzialmente, il 75% delle colture alimentari nel mondo, il 90% di piante e fiori selvatici e un’enorme quantità di altri prodotti non alimentari. Insomma, è palese che, se le lasciassimo scomparire, le api porterebbero via con sé molti alimenti necessari alla nostra sopravvivenza e l’impoverimento alimentare sarebbe assai rilevante (scomparirebbero per esempio patate, cipolle, fragole, cavolfiori, pepe, caffè, zucca, carote, girasoli, mele, mandorle, pomodori, cacao, oltre ovviamente al miele). Non stupisce quindi lo sconcerto destato nel 2006 dall’improvvisa morte di moltissimi di questi insetti nel Nord America, quando per la prima volta si assistette a quella che oggi viene definita la sindrome dello spopolamento degli alveari, che ha investito poi altre zone del mondo, soprattutto in Europa. Altrettanta angoscia suscitarono nel 2014 le immagini di milioni di contadini cinesi impegnati nella impollinazione manuale, che resero visibili al mondo le immediate conseguenze del problema. Non si tratta di un’estinzione qualsiasi, non di un fenomeno le cui conseguenze non sono ancora percepibili, ma di qualcosa che già ci ha investiti in pieno.

In Europa, già dal 2013, alcuni pesticidi considerati più dannosi, come quelli della classe dei neonicotinoidi, sono soggetti a forti restrizioni e sono forse destinati a un bando completo. Si stanno anche ripensando la destinazione dei suoli e le modalità di cultura. Ma oltre a tali iniziative, che hanno l’obiettivo di salvare queste specie, sono anche in corso da tempo diversi progetti per sostituire la loro fondamentale funzione, nella prospettiva più drammatica che la strage non si riesca a fermare. Da qualche anno si susseguono infatti ricerche e brevetti per creare impollinatori artificiali. Negli Stati Uniti, per esempio, dopo molti anni di studi, nel 2017 è stato presentato dall’università di Harvard il RoboBees, un microrobot capace di volare autonomamente e in prospettiva anche di impollinare i fiori; in Giappone, sempre nello stesso anno, è stato compiuto un altro tentativo nel medesimo senso, basato sugli studi biotecnologici, dal National institute of advanced industrial science and technology (AIST), che potrebbe giungere anch’esso all’obiettivo in una decina di anni. Da ultimo, infine, anche aziende del tutto private si stanno cimentando in tale impresa: è di questi giorni infatti la notizia di un brevetto depositato dalla multinazionale statunitense Walmart, che riguarda la creazione di microdroni per l’impollinazione, muniti di sensori e telecamere che li guiderebbero verso i raccolti. Non si sa quanta fiducia possa attribuirsi a questi ambiziosi progetti – si calcoli che un’ape, al giorno, visita 7000 fiori – e benché affascinanti dal punto di vista tecnologico certo non attutiscono l’angoscia che questo fenomeno ci provoca, ma forse potrebbero contribuire almeno parzialmente al superamento della crisi.

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