Firenze, estate del 1360: prende avvio un'impresa che segnerà in profondità la storia culturale europea, il recupero del testo dei due grandi poemi omerici, l'Iliade e l'Odissea. I protagonisti di questa straordinaria operazione, resa necessaria dalla perdita della conoscenza del greco, sono tre: Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca e un monaco dalle abitudini inurbane e dall'aspetto «orrido», Leonzio Pilato. Boccaccio lo aveva chiamato a Firenze in quell'anno, ufficialmente per insegnare il greco nello Studio universitario, ma in realtà perché eseguisse la traduzione e il commento dei due poemi. Leonzio si mette all'opera subito e dopo parecchi mesi riesce a concludere il suo lavoro, confezionando i volumi e mettendoli a disposizione di chi li aveva così fortemente voluti. Boccaccio, però, decide di non tenerli per sé, ma di mandarli a colui che aveva incoraggiato quell'iniziativa, l'amico e maestro Francesco Petrarca. Nei primi mesi del 1366, mentre si trovava a Venezia, Petrarca riceve i libri tanto desiderati: in una lettera di ringraziamento al Boccaccio scrive che con l’arrivo di Omero si sono allietati gli altri autori latini e greci riuniti nella sua biblioteca. I manoscritti di mano di Leonzio, contenenti il testo greco corredato dalla sua traduzione interlineare latina, sono visibili presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Uno di quei codici reca con sé un segreto appena svelato da Marco Cursi, docente di Paleografia dell'Università "La Sapienza" di Roma, nonché tra i massimi esperti della scrittura del Certaldese. Nei margini della copia dell'Odissea - ms. Gr. IX.29 - sono riemerse alcune annotazioni autografe di Giovanni Boccaccio, eccezionali testimonianze del suo modo di leggere e intendere Omero.

Abbiamo raggiunto lo studioso, per avere informazioni più dettagliate sulla scoperta. In quali circostanze è avvenuto il ritrovamento?
«Come spesso accade in casi del genere, mi ero recato in Marciana con l'intenzione di consultare altri manoscritti; in questo periodo sto studiando la scrittura di Pietro Bembo. Prima di cominciare, però, ho avuto l'idea di dare una rapida occhiata ai codici omerici di Leonzio, che non avevo mai visto prima d’ora. Ho iniziato con quello contenente l'Odissea e dopo aver scorso una sessantina di carte ho avuto una grande sorpresa: sotto i miei occhi è apparsa una nota autografa del Boccaccio! A quel punto i piani di lavoro sono totalmente cambiati: quel codice mi ha tenuto incollato al tavolo per molte ore... Quel codice era già noto per la presenza di cinque postille autografe di Francesco Petrarca, ma nessuno vi aveva mai individuato la mano di Boccaccio».

Come si può essere certi che si tratti proprio della mano di Boccaccio?
«Il riconoscimento è avvenuto su base paleografica, grazie ad un confronto con altri esempi noti della sua mano. Negli anni passati mi sono occupato a lungo della scrittura del Boccaccio e non possono esservi dubbi sulla loro assegnazione all'autore del Decameron. In ogni modo ho in corso di preparazione un saggio, destinato ad una rivista scientifica, in cui procederò ad una dimostrazione puntuale dell'autografia».

Nel manoscritto vi sono altri segnali della lettura del Boccaccio?
«Sì, uno dei suoi ultimi interventi è il disegno di una manicula, ovvero un segno d'attenzione a forma di manina per evidenziare un passo ritenuto particolarmente significativo. Al proposito è opportuno ricordare che Boccaccio era anche un abile disegnatore; di recente insieme a  Sandro Bertelli abbiamo riportato alla luce un bellissimo ritratto di sua mano raffigurante proprio Omero, in forma di poeta incoronato, posto al termine di una grande silloge dantesca da lui confezionata, oggi conservata nella Biblioteca Arcivescovile di Toledo».

Quante sono le postille boccaccesche e qual è il loro contenuto? 
«Una quindicina circa. Sono di contenuto prevalentemente esegetico e funzionale a stabilire paralleli con Virgilio; vi è anche una lunga nota in cui viene segnalata un'incongruenza nell'articolazione cronologica delle vicende narrate nell'Odissea. In realtà però l'errore non è contenuto nell'originale omerico, ma dipende dalla traduzione approssimativa di Leonzio! Forse per questo motivo la nota è stata successivamente depennata, probabilmente dallo stesso Boccaccio».

Quanti autografi boccacceschi ci sono noti?
«Boccaccio fu uno scrivente instancabile; di lui possediamo una lettera privata e ben 33 codici: 22 parzialmente o integralmente autografi, e 11 postillati, ovvero volumi non confezionati di sua mano, ma passati per il suo scrittoio, poiché recano sue notazioni. L'Omero marciano è il dodicesimo postillato, e forse il più prezioso. Innanzitutto per il numero delle postille, eccezionalmente alto rispetto alle abitudini boccaccesche; di solito infatti egli interviene con molta parsimonia, con rare note verbali o figurate. Secondariamente per l'importanza del testo che viene commentato e per la natura stessa degli interventi esegetici. Un ultimo elemento di interesse è dato dalla tipologia grafica, la cosiddetta “mercantesca”, la scrittura d'uso di Boccaccio».

Prima accennavi al fatto che vi sono anche postille di Petrarca; i due letterati apposero le notazioni mentre lavoravano insieme sul codice omerico o in tempi diversi?
«Non è semplice rispondere a questa domanda: Boccaccio potrebbe averle aggiunte mentre il codice era ancora nel suo scrittoio, o forse mentre Leonzio procedeva con la traduzione, ma non è da escludere che furono apposte dai due amici nel corso di un soggiorno comune, dopo il 1366, quando il codice era già in casa di Petrarca. Al proposito è interessante osservare che pure nelle note petrarchesche tornano i rimandi a Virgilio. La circostanza non è dimostrabile, ma mi piace immaginare Boccaccio e Petrarca seduti intorno a un tavolo a parlare di poesia, e con loro il "ritrovato" Omero».