31 agosto 2021

C’era una volta la RAI...in Tunisia

A Tunisi, accanto al Centro nazionale di telediffusione (ONT, Office National de la Télédiffusion), sorgono su un prato le parabole per le trasmissioni. Una visuale monotona per i dipendenti che vi si affacciano dai loro uffici, ma che cela, in parte, cinquant’anni di legami con l’Italia. Tra tutte, una parabola è più ingiallita ed è l’unica su cui è leggibile a chiare lettere il marchio di fabbrica RO.VE.R. «È italiana ed è la più vecchia che abbiamo qui. È una di quelle che ci ha donato la RAI intorno al 1989, quando cominciarono i lavori per estendere la visione di Rai 1 in tutta la Tunisia», spiega Habib Jabri, direttore dell’ONT a fine carriera. «L’abbiamo custodita gelosamente e oggi la utilizziamo per le frequenze di altri canali».

Habib Jabri mostra la rete di teletrasmissioni della Tunisia, Tunisi, 1 luglio 2021 (foto di Jacopo Lentini)

Jabri ha collaborato per anni con i suoi omologhi della TV di Stato italiana. Nel suo ufficio espone con orgoglio una foto scattata ad Ancona nel luglio 1998, in cui lui e altri ingegneri tunisini sono ritratti insieme ai responsabili Rai che tennero dei corsi di formazione. «Andammo anche a Firenze, Roma e Palermo. Erano tempi d’oro», spiega il direttore. «Grazie ai tecnici Rai abbiamo fatto le prime sperimentazioni di trasmissioni con le tecnologie digitale terrestre e satellitare. È stato il punto più alto della nostra esperienza professionale».

 

La cooperazione tra RAI e Tunisia, ormai finita, fu di lunga data. In occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960, le prime a cui partecipò il Paese africano, la RAI installò alla periferia di Tunisi, sul monte Boukornine, un ripetitore che permetteva alla regione della capitale di vedere l’evento sul primo canale della TV italiana, in seguito a un accordo stipulato con l’allora segretariato dell’informazione tunisino. Rai 1 arrivò così in Tunisia, prima ancora della nascita della TV di Stato locale che fu inaugurata ufficialmente solo nel 1966 e a quel tempo nominata Radiotelevisione tunisina (RTT, Radiodiffusion-Télévision Tunisienne). Se all’inizio ne era prevista solo la trasmissione temporanea, Rai 1 è rimasta sugli schermi tunisini gratuitamente e con continuità fino alla fine del 2010.

 

Fino al 1983, data della creazione del secondo canale della RTT, la TV tunisina trasmetteva per poche ore al giorno e per buona parte mandava in onda programmi della TV francese. «Furono rivolte molte critiche a questa programmazione, soprattutto da parte degli intellettuali che vi vedevano una forma larvata di neocolonialismo», spiega Manuela Malchiodi, ricercatrice sui media dell’Osservatorio di Pavia, in uno storico studio intitolato L’impatto della televisione italiana (Rai 1) sulla società tunisina, pubblicato nel dicembre 1992 nel trimestrale Africa dell’ex Istituto Italo-Africano. «Sulla stampa locale si aprì una serie di interventi sull’incapacità della televisione nazionale di far partecipare i tunisini alla vita collettiva e di formare un’opinione pubblica».

 

Il secondo canale, con produzione tunisina in lingua francese, rese il primo interamente in lingua araba, ma non migliorò la situazione. L’offerta era limitata, di scarsa qualità, talvolta una brutta copia dei programmi stranieri. Secondo Malchiodi, «in questo panorama Rai 1 consolidò il suo pubblico ed entrò stabilmente nella vita quotidiana di molti spettatori tunisini. Di fronte a questo successo i vertici Rai decisero di muoversi nuovamente sul fronte tunisino, dopo alcuni anni di inerzia».

 

Allo studio di Malchiodi del 1992 seguì il libro La Rai in Tunisia del 1995, di cui lei stessa è coautrice e curatrice. Si tratta delle uniche ricerche mai pubblicate sul tema, cosa che denota come i rapporti RAI-Tunisia siano passati in sordina in Italia e rimangano oggi pressoché sconosciuti, nonostante siano stati di rilievo per entrambe le parti.

 

Nel 1985, dunque, i governi italiano e tunisino stipularono un accordo per la creazione di una rete a diffusione terrestre per estendere Rai 1 a tutta la Tunisia. La rete fu terminata nel 1992 e il costo di circa 30 miliardi di lire fu sostenuto dall’Italia. Dall’inizio dei lavori e fino al 2010 ci furono a più riprese accordi di cooperazione Roma-Tunisi per cui la RAI si impegnava a formare i tecnici dell’ONT e a garantire le attrezzature necessarie alla rete. Nel 1997 quest’ultima versava già in cattive condizioni, poiché ai tunisini mancarono le risorse per manutenerla, e fu ristrutturata dalla RAI con 3 miliardi di lire. I lavori si conclusero ufficialmente nel 2000.

 

«Dal punto di vista tecnico, il valore della cooperazione con la RAI è stato elevatissimo per i tunisini, a cui abbiamo tenuto oltre diecimila ore di formazione intensiva e che mi chiedono ancora di organizzare dei corsi», spiega Luigi Maria Aliberti, già responsabile della ristrutturazione della rete RAI in Tunisia e oggi manager di RaiWay (l’ex divisione tecnica della RAI, divenuta società nel 2000). «Noi invece abbiamo esportato non solo le nostre competenze, ma l’industria italiana che fu coinvolta per la fornitura di materiali elettronici e per le teletrasmissioni. C’erano Irte, Italtech, R.V.R. e tante altre aziende. Su questa scia, oggi sono parecchie quelle nostrane del broadcasting che operano in Tunisia. Quando l’ONT bandisce appalti per forniture di materiali, buona parte delle aziende che presentano offerte sono italiane».

 

«Per noi gli italiani sono i pionieri delle teletrasmissioni», spiega Moez El Ghaieb, capotecnico dell’ONT. «A Roma imparai che negli anni Cinquanta anche gli americani vi si rivolgevano per studiare le tecnologie dell’epoca». Anche El Ghaieb ha partecipato alla formazione in Italia e per lui collaborare con la RAI «è stato come ritrovare dei vecchi cugini».

Moez El Ghaieb nella sala di controllo delle trasmissioni TV dell’ONT, Tunisi, 1 luglio 2021 (foto di Jacopo Lentini)

La presenza italiana in Tunisia ha infatti origini lontane. Nella seconda metà dell’Ottocento la comunità di emigrati italiani nel Paese africano era già importante e raggiunse circa 150.000 presenze a metà degli anni Trenta del Novecento. Ma all’indomani dell’indipendenza della Tunisia, nel 1956, molti italiani tornarono in patria e pochi rimasero, ormai della terza o quarta generazione.

 

«A Capo Bon (la regione settentrionale tunisina che “sporge” sul Mediterraneo), quando ancora non era arrivata la TV italiana, molta gente captava Rai 1 con delle antenne amatoriali, trovandosi a soli 150 km dalla Sicilia. Da quelle parti fu così che molti tunisini cominciarono a parlare italiano», prosegue El Ghaieb, che conclude: «i canali italiani sono sempre stati i più soddisfacenti, non solo per noi tecnici, ma anche per gli spettatori. “Guarda come si vede bene”, diceva la gente quando Rai 1 giunse dappertutto nel Paese. A parità di ricezione del segnale, la qualità delle trasmissioni italiane è sempre stata tra le migliori».

 

L’influenza della TV italiana si nota ancora oggi. Per un avventore italiano in Tunisia che sveli le sue origini, è facile sentire nominare «Pippo Baudo e Raffaella Carrà» da tunisini di ogni estrazione sociale che vogliono intavolare una conversazione.

 

Ma dietro i progetti culturali della RAI al di là del Mediterraneo, a un certo momento ci sarebbe stata anche la volontà del governo italiano di giocare un ruolo strategico nel Nordafrica, per cui la Tunisia era considerata una testa di ponte. Dal governo di Tunisi dipendeva anche l’accordo per la realizzazione del gasdotto Transmed, che dall’Algeria passa appunto per la Tunisia e raggiunge la Sicilia a Mazara del Vallo.

 

La prima linea di Transmed fu costruita tra il 1978 e il 1983, mentre i lavori per la seconda linea cominciarono nel 1997, lo stesso anno dell’inizio della ristrutturazione della rete RAI in Tunisia. Secondo Armando Sanguini, ex ambasciatore italiano in Tunisia dal 1997 al 2003 e oggi consigliere dell’Istituto  per gli Studi di politica internazionale (ISPI), «le due cose non erano una in funzione dell’altra, ma il gasdotto era uno degli elementi che suscitarono un forte interesse per il Maghreb in quegli anni. Nel frattempo la RAI attraversava un momento di lungimiranza e ambizione, provando a ergersi a voce del Mediterraneo e i suoi vertici credevano davvero nel “progetto tunisino”».

 

Per il consigliere ISPI questo sarebbe stato parte di una più ampia strategia di diplomazia culturale ed economica dell’Italia che negli anni Novanta voleva comprendere anche Algeria e Libia, ma che non decollò mai. «I tunisini capirono le nostre ambizioni e ce le fecero pagare, negoziando fortemente ogni accordo bilaterale con Roma. Come quelli del 1998 sul rimpatrio dei migranti tunisini irregolari, a cui Tunisi impose varie condizioni, e sulla creazione di società miste di pesca italo-tunisine per un equo sfruttamento delle acque internazionali».

 

La fine delle ambizioni italiane arrivò per una convergenza di fattori. Da un lato, nel 2010 la Primavera araba «cambiò completamente le dinamiche del Nordafrica», spiega Sanguini, mentre dall’altro, secondo Aliberti, con l’avvento della tecnologia digitale terrestre, «la rete RAI in Tunisia, di tipo analogico, era ormai superata. La Tunisia non fu più ritenuta strategica dai vertici Rai, che nel frattempo erano cambiati, e dal 2010 non fu rinnovata la domanda di trasmissione di Rai 1 all’ONT».

 

«Alla fine ha prevalso il nostro provincialismo», conclude Sanguini, nostalgico degli anni in cui l’Italia poteva riallacciare un solido legame col Paese africano. Ma i nostalgici si trovano su entrambe le sponde del Mediterraneo. Habib Jabri sospira: «quando guardo la foto di Ancona rimpiango moltissimo la fine della cooperazione con la RAI».

 

Immagine di copertina: Il Centro nazionale di telediffusione tunisino (ONT), Tunisi, 1 luglio 2021 (foto di  Jacopo Lentini)

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