La vita di Carlo Magno, sostiene l’eminente storica Janet Nelson in apertura de Il ritratto del re e dell’imperatore, un’opera ambiziosissima e ricca di spunti originali, che corona una carriera esemplare, fu a tutti gli effetti quella di un uomo straordinario. Lungo tutti i sessantacinque anni della sua esistenza terrena, a stupire di questo individuo, più ancora delle conquiste attraverso tutta l’Europa, dalla Spagna al Danubio e dalla Campania alla Danimarca, è la poliedricità del carattere, la inesauribile curiosità e la prodigiosa forza fisica. Carlo Magno si mosse tra più mondi, imprimendo su ciascuno un’impronta destinata a durare nel tempo.

Fu, per esempio, un signore della guerra in un’epoca che di tali figuri brulicava, ma a differenza di tutti gli altri conquistò un impero la cui capacità evocativa era ancora percepibile mille anni dopo, quando sulle macerie dell’Europa postbellica fu istituito un premio che portava il suo nome; allo stesso tempo, la vita di Carlo è percorsa, specialmente all’apice del suo potere, da una frenetica attività legislativa, la cui complessità appare evidente se solo si pensa a quante tradizioni giuridiche convivevano nei territori unificati dai Franchi sotto i suoi stendardi: promettere a ciascuno «la propria legge e la giustizia» era cosa non facile a dirsi, meno che mai a farsi. Come se ciò non bastasse, e benché non sia difficile da concepire nel contesto storico nel quale il protagonista del saggio della Nelson era immerso, Karolus rex intrattenne rapporti strettissimi, e non sempre esenti da frizioni, con la Chiesa (cattolica nella figura di papi, vescovi e cardinali, ortodossa in quella dell’imperatore – e di un’imperatrice – bizantino, per non parlare della umma musulmana rappresentata dal califfo di Baghdad). In qualità di principe, re e poi, infine, imperatore, Carlo Magno presiedette innumerevoli concili, e sempre in quella veste si fece un punto, stando per lo meno a quanto della sua voce traspare dai documenti coevi, di praticare tanto la carità quanto l’amore, due elementi distintivi dell’optimus princeps figlio di una complessa trama ideologica i cui rivoli è ancora possibile distinguere molto chiaramente nel Traiano dantesco.

Accanto a spiccati interessi astronomici e linguistici, uniti a una non comune capacità diplomatica, che lo vide presiedere tanto ad opere evergetiche dalla Francia a Gerusalemme quanto ad ambascerie delicatissime, che misero la sua corte in contatto con l’Irlanda e i regni anglosassoni, con la Spagna postvisigotica, omayyade e degli emiri di Córdoba, con Costantinopoli e la corte di Harun al-Rashid (da cui, come è noto, ricevette in dono un elefante di nome Abul Abbas, simbolo per eccellenza di un dominio che per lo meno si pretendeva universale), il re dei Franchi fu anche un uomo di carne e sangue, invischiato nelle trame di una famiglia incredibilmente ramificata e che egli stesso contribuì non poco ad espandere. Del sovrano sono infatti note non meno di nove tra mogli, concubine e amanti, a cui si possono aggiungere diciannove figli e undici nipoti. Di più, la personalità di Carlo era talmente debordante da trasparire, se solo si presta attenzione sufficiente, attraverso i testi, gli artefatti e le memorie prodottisi nel tempo in cui visse nonché nelle storie (alcune, molte, agiografiche, altre, non meno numerose, non troppo lusinghiere, come ben si evince dalla celebre Visione di san Goar, che ritrae il sovrano nel Purgatorio sotto una pioggia scrosciante mentre una bestia gli divora i testicoli) che di lui venivano narrate decenni, se non secoli, dopo la sua dipartita.

Nel libro XI, capitolo 2, delle Etymologiae, il polimate Isidoro di Siviglia (circa 560-636) identificava (all’interno di una discussione ominosamente dedicata a uomini e prodigi), sei stadi della vita umana, su cui procedeva a dissertare per le successive trentasette sezioni: l’infanzia (0-7 anni), la puerizia (7-14), l’adolescenza (14-28), la gioventù (28-50), l’età della maturità (gravitas: 50-70) e infine la vecchiaia (70+). Benché questa partizione fosse ben lungi dall’essere dottrina accettata al tempo di Carlo (cfr. la Vita Karoli di Eginardo al capitolo 4), è interessante notare, come osserva Nelson in conclusione del volume (p. 488) che, più o meno, la vita dell’imperatore si adatta piuttosto bene allo schema isidoriano.

All’età di 3 anni (infantia) è infatti probabile che Carlo abbia assistito alla consacrazione dei genitori, ed è un fatto che nel 751 (era nato, ora lo sappiamo per certo, nel 748) cavalcò 160 km al seguito del papa. Nel 755, ormai entrato nella pueritia, fu testimone della traslazione delle reliquie di s. Germano in una nuova tomba e partecipò alla vita di corte sotto la guida del padre più avanti nella stessa decade. Ormai un giovane uomo (adulescens) fu nuovamente coinvolto in importanti vicende ecclesiastiche nella forma della rifondazione del monastero di Prüm (762), tra i più importanti dell’Europa del tempo e destinato a giocare un ruolo notevole anche nella vita di Carlo in quanto luogo di segregazione di uno dei suoi figli a seguito di un intrigo di corte miseramente fallito.

Negli anni della iuventus (metà dei Settanta fino al 798), la maturazione del ragazzo giunse a compimento: Carlo ebbe modo, a più riprese, di dimostrare la completa padronanza dei requisiti militari e politici che ci si aspettava un individuo del suo rango possedesse, e in questo periodo egli ebbe modo di guidare una prima, significativa espansione territoriale dei suoi domini nelle regioni orientali presidiate dagli Slavi e verso il Danubio. Le, ferocissime, campagne sassoni e, più ancora, la conquista del Ring (sorta di accampamento fortificato e residenza regale) degli Avari sancirono in maniera incontrovertibile l’ascesa del discendente dei maestri di palazzo merovingi da magnate locale ad attore di rilievo internazionale: gli abboccamenti con Bisanzio e Baghdad segno evidente del tentativo, da parte di Carlo, di accreditarsi quale potenza addirittura mondiale.

Quanto all’età della gravitas, essa ben si attaglia con il suo ruolo di giudice e amministratore: senza mai del tutto deporre la spada, e in ottemperanza a quei modelli romani che, attraverso il filtro dell’esegesi ecclesiastica, non avevano mai smesso di ispirare re (e regine) da un capo all’altro del Mediterraneo – e oltre –, Carlo Magno mise mano ad una serie di progetti, tra l’altro, infrastrutturali e culturali, che impressero un marchio indelebile alla successiva storia d’Europa, non da ultimo grazie a un non comune patrocinio delle lettere e delle arti, che è valso al IX secolo il titolo di rinascimento carolingio.

Immerso in questi laboriosi affari, il sovrano giunse infine agli anni della senectus: non un lungo addio macchiato da un supposto decadimento fisico e intellettuale, come a lungo ritenuto (Carlo continuò a cacciare e a nuotare fino a – per l’epoca – tardissima età), e ciò nondimeno piagati, come spesso capita in molte storie imperiali, dal mai del tutto risolto dilemma successorio e dal riaprirsi di fronti di guerra – per esempio nel Nord, dove Abul Abbas morì nell’810 – che ne misero a durissima prova una tenacia che tutti i contemporanei, estimatori e irriducibili avversari, non poterono fare a meno di notare.

Al termine di una lettura allo stesso tempo altamente istruttiva (nel merito e nel metodo) quanto avvincente, è difficile non riconoscere nel Ritratto uno dei tratti distintivi di qualsiasi biografia ben scritta: la capacità di raccontare, e – se non di far rivivere, quanto meno di avvicinarcisi – la vita di un uomo attraverso il tempo.

Janet L. Nelson, Carlo Magno. Il ritratto del re e dell’imperatore, Milano, Mondadori, 2021, pp. 720

Immagine: Albrecht Dürer, ritratto dell’imperatore Carlo Magno. Crediti: I, Sailko [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0), attraverso Wikimedia Commons

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