Curzio Malaparte, Il Volga nasce in Europa, Bompiani, 1941

Titolo
«Fra i pregiudizi borghesi sulla Russia sovietica, il più ostinato è quello di considerare il bolscevismo come un fenomeno tipicamente asiatico. Questa spiegazione della rivoluzione bolscevica, e dei suoi problemi, è troppo facile e comoda perché si possa accogliere senza pericolo. Il titolo di questo libro, Il Volga nasce in Europa, vuol essere appunto un richiamo a quel meschino pregiudizio».

Volga e Potomak
«Il Volga, dice Pilniak, si getta nel Mar Caspio. Sì, ma non nasce in Asia: nasce in Europa. È un fiume europeo. Il Tamigi, la Senna, il Potomak, sono i suoi affluenti».

Urina di cavallo e olio di rose
«Tra quelle macerie, sotto quegli obliqui pergolati di travi, tra quei muri traballanti, tagliati da profonde ferite, davanti al palcoscenico di quelle case senza facciata, una folla di greci, di armeni, di zingari, di turchi, di ebrei, brulica in un nembo di polvere gialla, in un clamore di voci rauche, di urli, di risa, di strilli, di canti di grammofono, in quell'odore di orina di cavallo e d'olio di rose che è l'odore del Levante, l'odore del Mar Nero».

I panzer e il Partenone
«Ieri, risalendo il Prut verso Nord-ovest, da Galatz a Jasci, lungo la frontiera sovietica, ho ritrovato, fermi ai crocicchi, con la targa di ottone appesa al collo, i Feldgendarmen impassibili e severi, armati della loro paletta di segnalazione, rossa e bianca. 'Alt!'. Son rimasto fermo due ore a un crocicchio per lasciar passare una colonna tedesca. Era una divisione motorizzata, preceduta da un reparto di carri pesanti. Veniva dalla Grecia. Aveva risalito l'Attica, la Beozia, la Tessaglia, la Macedonia, la Bulgaria, la Romania. Dal colonnato dorico del Partenone al colonnato dorico della Piatiletka».

Testa di morto
«Vestiti di nero, l'ampio berretto basco inclinato sull'orecchio (sul berretto c'è una placca di acciaio con la testa di morto), i carristi tedeschi si aggirano intorno ai carri, si curvano ad esaminare i cingoli, battono nelle ruote con pesanti martelli, come fanno i ferrovieri per verificare i freni».

Ritirata sovietica
«Un chiarore nasce a poco a poco, ed è il chiarore della luna. Io penso alla ritirata delle truppe sovietiche, a quella loro triste, solitaria, disperata lotta. Non è la classica ritirata russa, quella di Guerra e pace, la ritirata nel bagliore degli incendi, sulle vie ingombre di fuggiaschi, di feriti, di armi abbandonate. È, questa, una ritirata che lascia nell'aria fredda, vuota, deserta atmosfera dei cortili delle fabbriche dopo uno sciopero fallito. Qualche arma per terra, qualche indumento, qualche carcassa di macchine. Un enorme sciopero è fallito. Non c'è forse, su questo campo di battaglia, nessun Andrea Wolkonski disteso nel grano, come nella notte di Austerlitz: ma soltanto qualche 'stakhanovista' dei carri armati, qualche fuciliere del Turkestan».

Sonno e voci
«Non posso vedere in viso i prigionieri, e a poco a poco mi addormento, affondo a occhi chiusi dentro la voce del cannone».

Spaventoso terreno
«Si aggiunga che, se anche le Divisioni russe si ritirassero senza opporre resistenza, l'avanzata tedesca su questo fronte non si svolgerebbe con un ritmo diverso. È già un miracolo che si riesca a progredire di pochi chilometri al giorno, su questo spaventoso terreno».

Acciaierie in marcia verso la Bessarabia
«Era come se le mille ciminiere, le mille gru, i mille ponti di ferro, i mille castelli di acciaio, le mille ruote dentate, i mille ingranaggi, i cento e cento altiforni e laminatoi di tutta la Vestfalia, di tutta la Ruhr, si fossero messi in moto per l'immensa distesa di grano della Bessarabia. Era come se un'enorme officina Krupp, una sterminata Essen, muovessero all'assalto delle colline di Zaicani, di Shofroncani, di Bratosceni. Non avevo sotto gli occhi un esercito, ma una gigantesca acciaieria, dove una moltitudine di operai appariva intenta al lavoro, in un ordine che a tutta prima celava agli occhi l'immensità dello sforzo».

Tango
«Ad un tratto, la voce enorme di un altoparlante grida: 'Achtung, Achtung'. E subito gli accordi di un tango erompono, gonfi di sibili metallici, dalla gola di un grande imbuto, fissato sul tetto del fonocarro della P. K., della Propaganda Kompanie. I soldati urlano di gioia. Quella musica fragorosa si accompagna al rombo dei motori, al crepitio delle mitragliatrici, allo stridore di denti dei cingoli».

La soglia delle tombe di Micene
«Questa fattoria mi apparve in questo momento, per pochi istanti ancora, pensavo, prima di dissolversi in polvere, apparvero gli Atridi agli occhi di Schliemann, quando varcò la soglia delle tombe di Micene. Voglio osservarla bene, quanto più profondamente è possibile. Poiché questa fattoria è una cellula del corpo economico e sociale sovietico, un microcosmo, intatto e perfetto, della società comunista, dell'economia politica dell'Urss».

Mitragliatrici e macchine da cucire
«Poi mi distendo dentro la macchina, e ogni tanto mi sollevo sui gomiti ad ammirare il riverbero degli incendi, che si alzano da ogni parte dell'orizzonte. Lunghe ombre nascono dal grano, come lingue di fuoco nere. Squadriglie di apparecchi sovietici ronzano nel cielo stellato. Una mitragliatrice russa spara dall'altra parte del fiume, col suono di una macchina da cucire. Quel 'toc' 'toc' mi cuce le palpebre gonfie di sonno».

Chiese nel comunismo
«Stamane ho visto Dio tornare nella Sua casa dopo venti anni di esilio. Una piccola folla di vecchi contadini Gli ha aperto la porta di un magazzino di semi oleosi, Gli ha detto semplicemente: 'Entra, Signore, questa è la Tua chiesa'».

Pope in Siberia
«Ormai la chiesa è in ordine. Spolverata, ripulita, senza più l'ingombro dei mucchi di semi, con le immagini sacre appese agli stessi chiodi, dai quali pendevano fino a poc'anzi i cartelloni di propaganda agricola comunista. I vetri son lavati con cura, tersi. Una vecchia mi si avvicina, mi chiama 'barin', mi domanda se il pope della loro chiesa tornerà presto. È in Siberia da dodici anni».

La signora Brasul, i limoni e i bolscevichi
«Con la mano gonfia di vene color viola, la vecchia accarezza quel raggio di sole, dice: 'È tanto che non vedo un limone!' e guarda con gli occhi velati il limone che ho tirato fuori dal sacco di montagna. E così mi parla della Crimea, degli aranceti di Jalta, del felice tempo passato, mi parla dei bolscevichi con un orrore che direi materno. Come di ragazzacci che l'abbiano fatta tribolare, nella vita»

Segni
«Le dita mi si gelano, la carta su cui scrivo si copre di un lievissimo velo di brina, par quasi che il foglio si appanni, mi sembra proprio di scrivere sopra un vetro appannato. I segni della mia scrittura hanno un aspetto sbiadito, come quelli di una vecchia lettera dissepolta dopo anni dal fondo di un cassetto; è il ghiaccio che li vela».

Leningrado sotto assedio
«Il parco delle Isole non era più quello di una volta, caro alla vita elegante di Pietroburgo. Chiusi i ristoranti, chiusi i caffè, abbandonati i chioschi, le ville trasformate in 'rabocniki club'. Era un'immagine anche quella, della nuova vita sovietica: severa, grigia, e in un certo senso austera, ma piena di tristezza e solitudine. Eppure, quanto m'appare dolce quell'immagine, nella memoria, se penso all'agonia di Leningrado, di quei cinque milioni d'uomini chiusi dentro quella immensa gabbia di cemento, di ferro, di filo spinato, di campi di mine».

Sauna in prima linea
«È tardi, e scende la sera, quando giungiamo alla prima linea. Il maggiore Junquist, che col suo battaglione presidia il settore di Alexandrowka, ci trattiene brevemente nel 'korsu' del suo comando per offrirci una tazza di tè. Mentre, uscendo dal 'korsu', prendiamo commiato dal maggiore Junquist e dai suoi ufficiali, la mia attenzione è attirata da uno spettacolo che mi è ormai famigliare ma non manca, ogni volta, di sembrarmi stranissimo: dall'interno di una 'sauna' irrompono di corsa due uomini completamente nudi, madidi di sudore, e vanno a rotolarsi nella neve».

Comunisti
«Mi ha colpito la violenza morale dei comunisti, la loro astrattezza, la loro indifferenza al dolore e alla morte».

Lenin e Oblomow
«'La missione della mia vita è di combattere Oblomow' ha lasciato scritto Lenin. (Oblomow è il protagonista del famoso romanzo di Gontcharow, che personifica la pigrizia, l'indolenza, il fatalismo della borghesia russa, vale a dire tutto ciò per cui è passata in proverbio la parola 'oblomowtcina')»

Notti bianche nell'assedio
«E le pattuglie russe, lungo il margine chiaro di qui boschi di betulle, laggiù davanti a noi, si muovevano lentamente come stanche, come affaticate dall'insistenza luminosa del giorno. E fra poco sarà l'inverno, nuovamente l'interminabile notte invernale».