Osip Mandel'štam, Il rumore del tempo e altri scritti, Adelphi, pagg. 209, 19 euro

Piroscafi olezzanti
«Ognuno di quei lerci piroscafi olezzanti di cucina e di soia, con la ciurma mulatta e la cabina del capitano surriscaldata come lo scompartimento di un treno internazionale ma più simile alla guardiola del portiere di una casa signorile».

Lungo l'ombreggiata via Ital'jansaja
«Quando il comandante del porto camminava lungo l'ombreggiata via Ital'janskaja, prediletta dagli abitanti del luogo, lo fermavano ad ogni passo, lo prendevano sottobraccio, lo traevano in disparte, cosa che rientrava del resto nelle usanze della città, dove ogni questione veniva sbrigata per strada e nessuno, uscendo di casa, sapeva quando e se sarebbe arrivato alla destinazione prestabilita».

Ebrei
«Il vento di nordest infuriava lungo quelle vie in miniatura. I vari Ginzburg, Landsberg e così via prendevano il tè e mangiavano il pane bianco degli ebrei, il challah».

Tatari
«I guardiani notturni tatari andavano avanti e indietro sotto le finestre delle botteghe dei cambiavalute e dei rivenditori di oggetti di occasione, dove c'erano pipe turche e chitarre drappeggiate nella vestaglia di seta di un colonnello».

Lampadine
«Potenti lampadine di un biancore di zucchero».

Teodosia
«Per capire che cosa fosse Teodosia al tempo di Denikin e Vrangel' occorre sapere che cos'era stata in precedenza. La città aveva una fissazione, far finta che nulla fosse cambiato e che tutto fosse rimasto come una volta. Nei tempi andati la città somigliava ben poco a quel nido di rapaci e bellicosi mercanti che era Genova, piuttosto faceva pensare alla dolce Firenze».

Maksimilian Vološin
«E quando Vološin in abiti cittadini – calzettoni di lana, pantaloni di fustagno e giacca di velluto – faceva la sua comparsa sul selciato sconnesso di Teodosia, era come se la città venisse presa da un sentimento di commozione antica e i commercianti si precipitavano fuori dai negozi».

Fusa
«Non c'è niente da dire, dobbiamo essere grati a Vrangel' per averci fatto respirare l'aria pura di una repubblica dei filibustieri nel Mediterraneo del XVI secolo. Ma Teodosia faceva fatica ad adeguarsi alla dura legge dei pirati di Crimea. Ed era per questo che aveva protetto Aleksandr Aleksandrovič, mecenate buono, pesce gatto con un elmo di sughero tropicale, un uomo che guardava in faccia la storia con gli occhi dolcemente socchiusi e rispondeva ai suoi sgarbi facendo teneramente le fusa».

Re francesi
«Più un uomo è potente e più importante è il suo risveglio. I re francesi non si alzavano, ma si levavano come il sole, e per ben due volte in una giornata, una “piccola” e una “grande” levata».

Risvegli
«Aleksandr Aleksandrovič si svegliava insieme al mare».

Via Ital'janskaja
«In fondo alla via Ital'janskaja, dopo l'ultimo negozio di oggetti di occasione, oltrepassato il portico del mercato dove un tempo si vendevano tappeti e che ora è in abbandono, dietro la casetta con le persiane in stile francese, ricoperta d'edera, nel cui soffice salotto è morta di fame la teosofa Anna Michajlovna, la strada comincia a salire verso la zona della Quarantena».

Rione Quarantena
«Una cittadina dove di giorno ti aggiravi quasi seguendo la planimetria di una città morta romana, mentre di notte, in quell'oscurità impenetrabile, sei disposto a bussare alla porta di una casa qualunque purché ti mettano in salvo dai cani feroci e ti lascino stare accanto al samovar».

Affitto
«In una di quelle casupole impastate d'argilla avevo preso in affitto da una vecchietta una stanza al prezzo di un uovo di gallina».

Stelle salate
«Le stelle invernali si spargevano sul cortile come sale grosso».

Un terribile silenzio
«Se si usciva all'aperto in una di quelle gelide notti di Crimea e si tendeva l'orecchio al suono dei passi sul terreno argilloso, senza traccia di neve ma gelato in profondità come in ottobre le nostre carreggiate al Nord, se l'occhio a tentoni ritrovava nel buio, sui pendii collinari della città, le necropoli abitate ma con le luci spente, se si mandava giù un po' di quella sbobba di vita smorzata, frammista al frequente latrare e insaporita dal sale delle stelle, prendeva fisica evidenza la sensazione che un flagello si fosse abbattuto sul mondo, una guerra dei trent'anni, con la peste bubbonica, i fuochi estinti, il latrare dei cani e un terribile silenzio nelle case dei piccoli uomini senza importanza».

Bozze
«Stampato su carta di cellulosa d'un grigio sporco, il giornale dell'Agenzia di informazione pareva sempre in bozze ed evocava la sensazione dell'autunno russo nella bottega di un modesto commerciante».

Purezza
«La città era più antica, migliore e più pura di tutto quello che avveniva al suo interno. Nulla di sporco vi attecchiva. Al suo corpo meraviglioso s'erano incollate le zecche della prigione e della caserma, per le strade si aggiravano ciclopi in burka nero, centurioni che sapevano di cane lupo, ufficiai della guardia che appartenevano all'esercito in rotta, carichi dal kepì fino alle suole delle scarpe dell'elettricità volpina derivata dalla salute e dalla giovinezza».

Aridità
«C'era un'aridità da far morire di sete una lucertola».

Panni stesi
«Il bucato al sud fa presto ad asciugarsi».

Mazesa da Vinci
«Il nome se l'era scelto da sé e alle domande dei curiosi spiegava controvoglia che gli piaceva il cognome da Vinci. Invece nella prima metà dell'appellativo – Mazesa – aveva mantenuto il legame di sangue con la propria stirpe: il padre, un uomo piccolo, molto per bene, trasportava tessuti a Kerč' su un veliero a motore, incurante del mal di mare, e si chiamava semplicemente signor Mazes. Così Mazesa, aggiungendo la desinenza femminile, aveva trasformato in nome proprio il cognome di famiglia».

Stanze
«Chi non conosce il caso navale nello studio del famoso Leonardo? Gli oggetti vorticavano nelle tre dimensioni della stanza in cui il genio lavorava, i colombi, penetrando dall'abbaino, imbrattavano di escrementi il prezioso broccato, e nella sua profetica cecità il maestro urtava contro i modesti oggetti di uso quotidiano dell'epoca rinascimentale. Mazesa aveva ereditato dal suo involontario padrino un fecondo scompiglio delle tre dimensioni e la sua camera da letto era simile a un vascello del Rinascimento in navigazione».

Scaffali
«Su uno scaffale, dietro una tenda di velluto, c'era la biblioteca: una Bibbia spagnola, il dizionario di Makarov, I preti della cattedrale di Leskov, l'entomologo di Fabre e un Baedeker su Parigi».

Luna della Crimea
«Non era soddisfatto dai calzoni bianchi da tennis, dalla camicia alla Beethoven e della cintura sportiva. Estrasse dall'armadio la redingote e in tenuta da gran sera – impeccabile dai sandali allo zucchetto – con le zampe palmate di cheviot nero sulle cosce bianche uscì in strada, già inondata dal latte di capra della luna di Teodosia».