Varie sono le definizioni date del lemma compromesso, purtroppo spesso di senso negativo. Come sempre ci sia di guida l’etimologia delle parole, sicuro appiglio al loro significato originario. Il termine compromesso deriva dal latino, si configura come participio passato del verbo compromittere, ovvero “fare una promessa reciproca”. Il senso di venire a patti, verso una soluzione delle differenze mediante concessioni reciproche, ne è un’estensione semantica sicuramente opportuna. Dal punto di vista filosofico il compromesso si configura, nella ricerca della verità, come la vittoria del relativo sull’assoluto. Si tratta di quello strumento mentale proprio delle menti fini, che permette di dipingere i propri pensieri attraverso sfumature, non incatenati alla dicotomia del bianco e nero. Sincero esercizio di umiltà.
Sfruttando una metafora fisica di impostazione taoista-mandarina, consideriamo quanto l’acqua sia in grado di erodere anche il più duro dei materiali: la sua potenza per quanto non esplosiva, è inarrestabile, nel momento in cui la si cerchi di intrappolare. Si rende necessario un salto di paradigma per capire come arginare tale potenza, metafora di ogni assolutismo ideologico umano. L’uomo ha sempre cercato di raggiungere le vette montuose più alte, nell’erronea convinzione e ammirazione che tali vette simboleggino il raggiungimento di grandi traguardi. Non è così. La cima di una montagna è un punto indefinito, vuoto di significato, che si erge solo al di sopra del mondo. Al contrario, non opponendo resistenza e conformandosi alle leggi del mondo, sono le valli le vere vincitrici del confronto. Solo esse infatti sono attraversate da quell’elemento inarrestabile che è l’acqua, che possono dominare assecondandone la natura e “persuadendone il percorso”, senza imporlo. Lo stesso paradigma è vitale nell’affrontare le contrapposizioni umane. Se si è in grado di mettere da parte l’orgoglio di voler dimostrare la propria forza imponendo un risultato ad altri, uno stesso obiettivo si può perseguire per vie completamente differenti. Un grande generale non è colui che vince la guerra, ma colui che convince l’avversario dell’inutilità del conflitto stesso. L’arte del compromesso interviene proprio qui. La cedevolezza ragionata è una vittoria di grado maggiore.
Quella del compromesso viene detta arte, non scienza: tale specificazione ha una precisa motivazione di fondo. La natura umana, per quanto la si voglia ridurre ad una matrice meccanicistica, rigida e matematica, non può essere oggetto - almeno sino ad oggi - di calcoli precisi. Siamo nel dominio della probabilità, dell’incertezza, in cui regna l’intuizione, l’approssimazione. Nelle cose umane, la ragionevolezza della ragion pratica supera la razionalità della ragion pura. Il compromesso dunque si rivela come custode del molteplice, bandendo ogni sorta di partigianeria. Bisogna essere consapevoli di quanto l’idealismo utopistico, che nella storia umana si è reso demiurgo delle peggiori aberrazioni sociali e politiche, debba essere educato da un esercizio di maturo realismo. La libertà assoluta, concetto caro all’utopia, è costretta dal mondo materiale a fare i conti con la sua natura relativa, perché in conflitto con la necessità, la contingenza, il “particulare” di guicciardiniana memoria. Il professore israeliano Avishai Margalit sostiene quanto gli uomini debbano essere giudicati dai loro compromessi piuttosto che dai loro ideali. Gli ideali infatti possono dirci qualcosa di importante su ciò che vorremmo essere. Ma sono i compromessi che possono dirci davvero chi siamo.
Il compromesso si allontana al polarizzarsi delle opinioni, vicendevolmente sempre più aliene e imperscrutabili. Si comprende così quanto la democrazia sia frutto di un compromesso tra minoranze e maggioranza; contrapposta agli assolutismi, che spogliano il diverso di ogni dignità. Solo una sensibilità “compromettente” è propria di un grande statista, il quale non potrà mai essere fino in fondo un partigiano. Kissinger sottolinea quanto la “Realpolitik per Bismarck dipese dalla flessibilità e dall’abilità di sfruttare ogni opzioni disponibile, senza le costrizioni dell’ideologia”. Non è un caso che si distingua tra uomini di partito e uomini delle istituzioni. Quest’ultimi serbano un forte senso dello Stato ed i suoi principi costituzionali. L’opposizione a scendere a compromessi è una velata dichiarazione di abdicazione alla responsabilità di prendere decisioni che, in politica, corrisponde ad una grave incapacità di governo. Un vero intelletto dialettico non potrà mai essere demagogico o astratto; piuttosto avrà sempre rispetto della complessità. Che sia di monito quanto detto da Gianni Letta, secondo cui compito della politica è “cercare attraverso il compromesso quel punto di equilibrio che possa rappresentare il più alto interesse generale, ovvero il bene comune”.
L’immagine di corredo proposta, L'éminence grise, di Jean-Léon Gérôme, raffigura François Leclerc du Tremblay, frate cappuccino francese, confidente e consigliere del celebre Cardinal Richelieu. Dal colore del saio vestito dal Padre, tipico dei frati cappuccini, deriva il termine Eminenza grigia. Tale figura incarna al meglio quello dei grandi uomini di Stato che hanno saputo fare tesoro del concetto di compromesso.
* Esperto di pubbliche relazioni