La scoperta di un luogo è sempre e indissolubilmente legata all’esperienza che stiamo vivendo. Un borgo, una cala, un bosco non sono mai uguali a se stessi: variano aspetto e identità con il variare delle stagioni, del momento della giornata, dello stato d’animo con cui li osserviamo, dal modo in cui ci muoviamo nell’ambiente.

Un tratto di costa esplorato in barca a vela, con il soffio del vento a fare da contrappunto al suono del mare, comunica sensazioni molto diverse da quelle sperimentate cavalcando le onde su un roboante motoscafo. Lo stesso paesaggio che ci scorrerà davanti agli occhi non sarà il medesimo: la velocità accentra l’interesse su noi stessi, quasi incuranti di ciò che ci circonda, mentre la lentezza ci permette di mettere a fuoco dettagli, captare peculiarità, apprezzare il contesto generale riconoscendone i singoli e differenti aspetti. La lentezza predispone alla contemplazione, all’ascolto e al rispetto: in mare, in una foresta, in campagna e perfino in città non esistiamo solo noi umani ‒ e sarebbe ora di tenerlo sempre a mente.

Tra le modalità slow con cui muoversi in montagna durante l’inverno, lo sci da fondo è senz’altro tra le più appaganti. Le piste si snodano tra valli e altopiani attraversando boschi, torrenti, radure; costeggiano paesi e piccoli abitati; si perdono tra castelli innevati, ponti di legno e cappelle votive nel silenzio di paesaggi fiabeschi. Agli occhi di chi scrive, che di questo sport è un’amatoriale appassionata, si succedono come cartoline infiniti scorci di fulgida bellezza invernale disseminati nei tracciati delle nostre Alpi. Il bosco di ghiaccio di Brückele o lo skyline meraviglia di Santa Maddalena in Valle di Casies, l’irta salita detta “muro di Epinel” a Cogne o i camosci della Valnontey, la quieta eleganza della Val Ferret sotto l’occhio delle Grandes Jorasses. E ancora: la diga di Morasco e la chiesetta di Riale in Val Formazza, l’incanto della Meridiana di Sesto in Val Fiscalina (corollario di cime svettanti sul piccolo altopiano), i saliscendi arditi di Prato Piazza in Valle di Braies, le Tre Cime di Lavaredo a picco sul Lago di Landro (v. foto seguente), le onde di pietra delle Levanne a Ceresole Reale. Impossibile dimenticare anche la beata solitudine della Valsavarenche, lo stadio a cielo aperto di Livigno, la magia faticosissima di Saint Barthelemy ‒ patria e luogo del cuore del nostro campione Federico Pellegrino.

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Ogni tratto, un paesaggio. Ogni pattinata, un’emozione. Ogni chilometro, un viaggio. Dentro un’Italia che si svela solo agli appassionati di tecnica classica o di skating: chi scivola avanti e indietro nei binari appositamente battuti e chi pattina nella parte libera, sempre su attrezzi lunghi lunghi e stretti stretti. Si disciplinano sforzi ed energie, si scelgono l’andatura e il tratto più idoneo, si va ma ci si ferma anche, osservando la natura. Sull’altopiano di Asiago qualche fortunato fondista ha incontrato gli urogalli tanto cari a Mario Rigoni Stern (che di questo sport era un appassionato praticante); assai frequente in Valle d’Aosta l’avvistamento di aquile e stambecchi; del tutto scontato in Val Pusteria immergersi in foreste di larici, pini mughi e abeti rossi. Si scia e si imparano alberi, creature, montagne. Dimenticandosi di cellulari, fretta e assembramenti.

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Il pericolo che questo sport corre, più di altre attività invernali effettuate a quote più elevate, è quello causato dal cambiamento climatico. Gli inverni sono sempre più brevi, le nevicate si diradano, le temperature si alzano mettendo a rischio lo stato delle piste (come appena accaduto a fine dicembre 2021, con l’avanzata di un anticiclone che ha portato lo zero termico alla quota incredibile di 3.500 m slm). Nemmeno gli innevamenti artificiali, comunque costosi e davvero poco sostenibili per l’eccezionale consumo idrico e di energia elettrica che implicano, potranno forse garantire in futuro la pratica di questo sport così speciale e in armonia con la natura. I tracciati d’Italia sono potenzialmente tutti a rischio: da Entracque a Lama Mocogno, dal Monte Rosa a Sestriere, dall’Abruzzo al Tarvisiano, dal Cadore alla Val Camonica non è in pericolo solo un’attività motoria. Rischiamo di perdere innumerevoli e straordinarie occasioni di conoscenza del nostro territorio e di educazione alla fatica, al silenzio, alla scoperta rispettosa della natura. Un impoverimento che, senza eccezionali cambi di rotta nel segno di un’autentica transizione ecologica, connoterà negativamente il futuro nostro e quello delle prossime generazioni. Due-uno-lungo, due-uno-corto, uno-uno… l’auspicio per gli anni a venire è quello di poter continuare a pattinare sulla neve, tra le creature dei boschi e delle nostre amate montagne.

Immagine di copertina: Il Sasso Lungo e il Sasso Piatto, Alpe di Siusi, Bolzano. Crediti: larsboettcher attraverso pixabay.com
Immagini nel testo: In alto, Le Tre Cime di Lavaredo, Lago di Landro, Bolzano; in basso, una pista da fondo in un bosco di abeti rossi. Crediti: foto di Valeria Canavesi

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