L'inclusione nel patrimonio UNESCO costituisce un potente fattore di attrazione turistica e al tempo stesso il turismo svolge un ruolo fondamentale nella protezione e valorizzazione dei siti che ne fanno parte. Dall’analisi di alcuni casi europei (tra cui quello italiano) emerge che la maggior parte dei siti del patrimonio UNESCO sono anche importanti mete turistiche, le più visitate dai viaggiatori stranieri. La stessa UNESCO si dimostra molto attenta alla promozione del turismo culturale, riconoscendo la necessità di un approccio integrato al turismo e alla conservazione dei beni culturali, nonché la stretta relazione che esiste fra sviluppo turistico, crescita economica e conservazione del patrimonio.
Ma perché una comunità dovrebbe desiderare di ottenere tale riconoscimento? Per la visibilità, anzitutto. L’UNESCO accende i riflettori su luoghi ancora da scoprire, favorendone il successo mediatico planetario. È come una guida Lonely Planet o Michelin, ma di un livello superiore. Uno studio condotto dall’università IULM di Milano, nel 2011, su un campione composto da cittadini italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni, evidenzia come oltre il 60% degli intervistati ritenga che il marchio UNESCO dia un valore aggiunto incommensurabile in termini di prestigio e reputazione, soprattutto nell’ambito dei beni culturali, della promozione turistica e territoriale, dell’editoria artistica e culturale. Ciò vuol dire che il brand UNESCO può essere un fattore decisivo di sviluppo e consolidamento di distretti dell’industria culturale in incubazione. Tuttavia, ulteriori ricerche svolte dalla Sapienza di Roma e dal Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) evidenziano come l’iscrizione di un sito nella lista dell’UNESCO non sia in grado - di per sé - di creare effetti economici immediati per il territorio, in quanto sono comunque necessari azioni e investimenti condotti dagli stakeholder locali affinché il processo virtuoso si attivi. Il famoso “coinvolgimento” delle genti che popolano le zone interessate all’iscrizione, condicio sine qua non perché l’iter per il riconoscimento possa cominciare. E si tratta soprattutto di un coinvolgimento economico e finanziario. In ogni caso, ottenere il “bollino” UNESCO apre scenari importanti per qualunque territorio: è come essere per sempre nella Champions League dei beni culturali e naturali mondiali.
Vi è poi un secondo motivo – non certo in ordine di importanza – che attiene alla tutela del territorio. Un sito che diventa patrimonio dell’umanità impegna tutta la comunità internazionale a prendersene cura, a preoccuparsi per lo stato di conservazione e di integrità del bene e a intervenire, nel caso, per salvaguardarlo.
E qui subentriamo noi, che possediamo un preziosissimo lembo di terra, il quale va sbriciolandosi ogni giorno di più. Si tratta della culla della civiltà europea: la Magna Grecia. Quella Megàle Ellàs – rimando a una grande Grecia espansasi in terra straniera – che fu colonizzazione raffinata e fiorente sul suolo del Meridione d’Italia a partire dall’VIII secolo avanti Cristo. E che portò con se una poderosa influenza politica e militare, creando centri di intensa vita culturale e artistica. Qui vissero rinomati artigiani, poeti e retori, scienziati e filosofi, autori di teatro, i quali – protetti spesso da ricchi tiranni – contribuirono tutti a dar vita a quella civiltà insuperata che avrebbe avuto l’arduo compito di trasmettere la cultura greca presso i romani e, tramite questi, all’intero mondo conosciuto.
Il nome di Magna Grecia (Megàle Ellàs) era forse già in uso presso gli storici del IV secolo. Sembra che, in principio, la denominazione fosse limitata alla zona centrale della costa ionica, con le città di Crotone, Sibari, Siri e Metaponto, e che, in seguito, sia stata estesa a nord fino a Taranto, e a sud fino a Reggio; ancora posteriormente questa denominazione abbracciava le coste del Tirreno, per raggiungere Cuma. Pochissimi sono gli autori che comprendono nella Magna Grecia anche la Sicilia greca: in genere, quasi tutti separano le due aree e riducono la denominazione alla sola zona continentale altoionica.
Bene, è di questa che parleremo ed è questa l’area ad alto potenziale turistico-culturale che andrebbe candidata a diventare sito UNESCO. Ma torniamo un attimo indietro, di circa ventotto secoli. Quando i primi greci arrivano sulle coste dell’attuale Basilicata, scoprono una terra fertile e ricca di acqua, abbondante di grano e di vino. La chiamano Enotria, termine che in greco significa terra del vino ma che è anche collegato con il nome dell’eroe Enotro, figlio di Licaone, re dell’Arcadia, volendo segnare in tal modo una continuità fra i leggendari personaggi della madrepatria e le nuove genti colonizzatrici. In direzione di queste coste del golfo ionico e oltre, tra Taranto e Reggio, si concentrerà la migrazione delle genti di stirpe dorica e achea, provenienti dal Peloponneso e dalle regioni centro-occidentali della Grecia. Una dopo l’altra, tra il 730 e il 670 a.C., sorgono Reggio, Sibari, Crotone, Taranto – fondata, caso più unico che raro, dagli spartani - Metaponto e Locri. Ed è proprio in questi luoghi, dove la superiorità militare greca nei confronti delle popolazioni indigene viene favorita dalla conformazione fisica dei territori, che le città greche riescono a dare vita a un territorio unitario e culturalmente omogeneo: la Grande Grecia. Ideale statuale che nel VI secolo a.C. si rafforza grazie a Pitagora, filosofo al governo di Crotone. La filosofia scientifica della dottrina pitagorica, sviluppatasi a quel tempo a partire dalle città di Crotone, Sibari, Eraclea e, soprattutto, Metaponto, ha profondamente impregnato, come noto, la nostra civiltà occidentale per tutti i secoli successivi e in tutti i campi delle scienze: dalla musica all’architettura, dalla letteratura all’astronomia, dall’arte alla matematica e, ancora oggi, persino nelle tecnologie ottiche, elettroniche e multimediali.
La civiltà della Magna Grecia sarà caratterizzata da intensi sviluppi culturali, come la nascita di un pensiero laico, grazie al sorgere proprio in quell’area dei primi filosofi razionalisti. Ma si impongono anche altre figure leggendarie permeate di misticismo, scienziati capaci di invenzioni spettacolari e al contempo di riti e culti segreti legati alla religiosità orfica, autori che mettono le basi dell’arte della retorica e poeti di mimi dissacranti.
È qui, ove tutto nacque, che bisogna istituire, dunque, e subito, un sito UNESCO. Di progetti simili, in queste lande un tempo faro di civiltà e oggi desolate, ne sono stati lanciati alcuni negli ultimi anni. Tutti frammentati e mai organici, di sicuro insuccesso (infatti, si sono sempre arenati poco dopo). A Taranto c’è un museo archeologico di grande rilievo – il MArTa –, purtroppo totalmente isolato perché collocato nel contesto di una città bellissima ma in totale decomposizione e andrebbe valorizzato incorporando itinerari nei territori ionici limitrofi. A Crotone partono progetti che puntualmente cadono nel dimenticatoio. La Calabria non ha ancora alcun sito iscritto, nonostante la ricchezza di patrimoni culturali posseduti. Sarebbe un sito interregionale, questo della Magna Grecia; un sito condiviso tra Puglia, Basilicata e Calabria che per una volta uniscono le forze e riescono a lanciare una candidatura inossidabile, come l’acciaio che si produceva a Taranto. Così facendo si potranno gettare le basi per la messa in opera di un vero e proprio distretto turistico extraterritoriale dalle opportunità decisamente interessanti. E che supererebbe d’un colpo i problemi che oggi affliggono quei magici luoghi: dall’eccessiva urbanizzazione ai rischi legati alle possibili estrazioni di minerali nonché allo stoccaggio di rifiuti radioattivi. La salvaguardia ambientale è al primo posto. A ruota segue la messa in sicurezza dei fragili resti, con la possibilità di fruirne e farne fruire, in un contesto di itinerari precisi e strutturati con tutti i rimandi del caso.
Si tratta di luoghi in cui le vestigia del passato sono poche e si vanno sgretolando sempre più; però nell’aria c’è qualcosa che evoca quel mondo scomparso di cervelli greci in fuga, che qui avevano impiantato la loro Silicon Valley ellenistica. Bisogna tirar fuori quello spirito che ancora anima le genti del posto, pensare di farne un distretto della memoria ma anche del futuro, un distretto creativo, con l’istituzione di una università internazionale della matematica nel nome di Pitagora che attiri le menti più brillanti del pianeta, per fornire le risposte mancanti e progettare un futuro di benessere e prosperità per tutti, nel pieno rispetto delle leggi naturali. A Taranto si potrebbe sfruttare lo scenario postindustriale per riqualificare, sfruttando i fermenti dell’industria creativa e trasformando la città in un hub dell’innovazione. La Calabria Citeriore, con la piana di Sibari e il Crotonese darebbe il meglio di sé con i meravigliosi scenari naturali e le ottime prospettive per un’agricoltura di qualità. Economia verde ed economia della conoscenza, due aree ad altissimo potenziale, che potrebbero dare forza ulteriore al progetto. Un sito UNESCO dinamico, quindi. Diverso. Più contemporaneo.
Infine, come si fa a diventare sito UNESCO? «Dipende dal bene in oggetto, non c’è un iter stabilito» spiega l’ingegner Marco Valle del Politecnico di Torino, responsabile per la candidatura dei Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato. «A volte la richiesta arriva dal basso, dagli abitanti dei territori che riconoscono al bene un valore particolare, altre volte da enti, regioni e così via. Indubbiamente ciò che fa maggiormente gola è il richiamo turistico che può animare il territorio per cui viene espressa la candidatura e proprio per questo l’UNESCO ha posto dieci criteri di inserimento che sono abbastanza rigidi».
Ovvio: è importante lavorare sulla definizione del valore universale del sito proposto, nonché sugli elementi che lo contraddistinguono. E qui non ci dovrebbero essere problemi: l’eccezionalità di quei luoghi è fuori di dubbio, il coinvolgimento delle genti che li abitano è massimo. Così come scontato dovrebbe essere il sostegno del MiBACT, attraverso il quale è poi possibile iscriversi a una Tentative list presso l’UNESCO. A quel punto arriva il momento di lavorare al dossier da presentare per l’accettazione della candidatura. Si tratta di un lavoro lungo e impegnativo – i dossier possono essere composti da più di 3 volumi e comportare anche 2 anni di lavoro – da consegnare il primo febbraio di ogni anno. Segue l’ispezione al sito candidato e la notifica del verdetto, 18 mesi dopo la consegna del dossier. L’iter complessivo di candidatura è solitamente intorno agli 8-10 anni. Basterebbe solo un pizzico di volontà politica e si potrebbe fare subito. Anche domani.
Treccani, con il patrocinio della Commissione nazionale italiana per l’UNESCO, ha pubblicato nel 2012 un volume dedicato ai tesori della Magna Grecia e della Sicilia. L’opera, diretta Francesco D’Andria, Pier Giovanni Guzzo e Gianluca Tagliamonte, mette in rilievo l’influenza esercitata dalla civiltà coloniale greca nella costruzione dell’identità culturale italiana e, più in generale, europea e occidentale. Una civiltà che ci ha lasciato numerosissime e importanti testimonianze archeologiche, epigrafiche e numismatiche che il volume, con le sue 180 pagine di testo e circa 800 tavole a piena pagina, illustra e commenta.
La scheda dell’opera è disponibile qui.