Sicilia, provincia di Agrigento, comune di Cattolica Eraclea. A picco sul mare, sopra alte scogliere di marna bianca che delineano la costa fino alla celebre Scala dei Turchi, sorge un sito archeologico in ideale continuità con Selinunte e l’antica Agrigento: quello di Eraclea Minoa. Dal promontorio di Capo Bianco si dominano il mare, la pineta e la Riserva Naturale della Foce del Platani, fiume poderoso che sfocia tra le dune dopo un corso di oltre 100 km. Non è difficile immaginare perché i coloni selinuntini decisero, nel VI secolo a.C., di fondare qui una città, del cui nome ancora non sono certe le origini.

L’ipotesi più leggendaria lo riconduce a Eracle e a Minosse: secondo il mito, il re cretese avrebbe trovato la morte proprio in queste zone (precisamente nella città sicana di Camico, dove fu ucciso su ordine di re Cocalo grazie a un acuto stratagemma ordito da Dedalo, che lo stesso Minosse aveva inseguito in terra straniera dopo le note vicende del Labirinto). Alla fine del VI secolo a.C. Eraclea Minoa finì sotto il dominio di Agrigento e quindi, dopo varie distruzioni dovute ai conflitti tra Greci e Cartaginesi, fu da questi occupata e prescelta come base della propria flotta durante le guerre contro Roma. Passò quindi sotto il controllo romano (Cicerone, nelle sue Verrine, la annovera tra le civitates decumanae della Sicilia romana) e si spopolò progressivamente nel corso del I secolo a.C.

Ritornò parzialmente alla luce solo con gli scavi archeologici del secolo scorso: iniziarono nel 1907 e ripresero negli anni Cinquanta, continuando per vari decenni. I ritrovamenti permettono di ricostruire e immaginare l’imponenza e la bellezza della cittadella, a partire dalla sua cortina muraria, lunga 6 km e spessa 2 metri e mezzo. La fortificazione di forma ellittica arriva fino al fiume Platani e annovera otto torri quadrangolari e diverse porte di accesso; nella parte orientale presenta un bastione di circa 6 metri con due torri (una circolare, l’altra quadrangolare) aventi base in conci bugnati e parte superiore in mattoni crudi.

Dell’abitato sono stati rinvenuti due strati, uno con abitazioni del IV-III secolo a.C., l’altro di epoca successiva (II-I secolo a.C.): al primo risalgono due case completamente scavate a base quadrata, con pavimento in cocciopesto e cortile centrale, inserite in un reticolo viario di strade parallele e ortogonali; al secondo si riconducono abitazioni contraddistinte da basamenti in pietra gessosa e pareti intonacate in mattoni crudi. Nel sito è presente anche un piccolo antiquarium, dove sono custoditi vari reperti: statuette, vasellame, arredi funebri, suppellettili, utensili.

Purtroppo, le buone notizie finiscono qui: chi decide di visitare l’area è infatti costretto a vivere sentimenti contrastanti, in bilico costante tra lo stupore per la bellezza del luogo e la rabbia, o lo sconforto, per le precarie condizioni in cui viene gestito e conservato. Nessuna indicazione nei vari settori, nessuna guida, nessuna risposta alle telefonate. Servizi fatiscenti, erbacce, avvisi scritti a mano che avvertono della presenza di aspidi. Tutto questo fa da antipasto a uno spettacolo che non si vorrebbe davvero vedere: un orrido parapioggia pericolante sovrasta e occulta il vero gioiello del sito, uno splendido teatro proteso verso il mare risalente al IV secolo a.C., tra i più antichi della Sicilia e tra i pochissimi con la cavea rivolta a sud.

La tettoia attuale doveva essere provvisoria: fu posizionata nel 1999, dopo la rimozione di una precedente, sciagurata copertura in plexiglass (che aveva gravemente danneggiato i dieci gradoni in marna dei nove settori del teatro, soffocati e sbriciolati dall’umidità). Invece oggi è ancora lì: semi-divelta dal vento, continua a rovinare la vista e le condizioni del prezioso edificio. E non basta: poco distante, altri scavi sono stati imprigionati da un brutto capannone, sotto il quale in estate è difficile perfino respirare.

Nonostante vari appelli, tra i quali un articolo di Gian Antonio Stella pubblicato dal Corriere della Sera nel 2014, nulla a oggi è stato fatto per salvaguardare Eraclea Minoa, né per promuoverne adeguatamente la conoscenza. Il restauro e il miglioramento della fruizione del sito sono stati inseriti nei progetti e nei finanziamenti del “Patto per la Sicilia” recentemente siglato da Governo e Regione, ma chi scrive ritiene opportuno alzare comunque la mano, nella speranza che gli interventi necessari vengano avviati quanto prima. E nell’augurio che altri amanti della bellezza italiana si rechino presto ad ammirare questo luogo, che rimane straordinario malgrado le tettoie, l’incuria e le erbacce.

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