Europa, la leggendaria Europa, nasce dalla mitologia greca. Donna che immaginiamo bellissima e seducente, tanto da attirare l’attenzione di Zeus, Europa era figlia di Agenore, re della città di Tiro. Trasformatosi in toro bianco, il dio attrae Europa con fare mansueto per poi rapirla e portarla a Creta. In suo onore, i Greci chiameranno Europa il continente situato a nord dell’isola.

Se alla cultura greca vengono fatte risalire le origini del nome, è solo con Roma che lo spazio europeo comincia a configurarsi come unione. Nel 1932, Stefan Zweig scrive: «[la cultura greca] dà una misura, nuova e magnifica, dell’animo umano, ma non la dà in mano all’umanità sua contemporanea. La vera unità politica e spirituale dell’Europa, la storia universale, non comincia che con Roma, con l’Impero romano. Qui, per la prima volta, una città, una lingua, una legge emanano la ferma volontà di dominare tutti i popoli, tutte le nazioni del mondo di allora, secondo un disegno unico, ponderato in modo geniale: dominio non solo, com’era stato finora, attraverso la potenza militare, ma sulla base di un principio spirituale, dominio non fine a se stesso, ma come sensata articolazione del mondo. Con Roma, l’Europa ha per la prima volta una dimensione unitaria, e si potrebbe quasi dire, per l’ultima volta, perché mai il mondo ha avuto ordinamento più unitario di quei giorni»[i].

Da quel momento l’Europa ha vissuto numerosi stop and go: dal crollo dell’Impero romano al Rinascimento, fino al sorgere dei nazionalismi tra Settecento e Ottocento. Con la firma dei primi trattati a metà del XX secolo, i padri del progetto europeo gettano le basi di un’Europa unita. Comincia così ad assumere valore economico, politico ed istituzionale un termine ‒ quello di Stati Uniti d’Europa ‒ che Victor Hugo usò già nel 1849, durante un discorso al Congresso internazionale per la pace tenutosi a Parigi[ii], e il cui senso Goethe aveva negli stessi anni presagito: «Il mercato libero dei concetti e dei sentimenti, al pari del traffico di prodotti, crea un aumento di ricchezza e benessere generale per l’umanità. Se finora non è accaduto, è solo per via della mancanza di leggi severe, ma il fondamento sono i contatti internazionali»[iii].

Allo stato attuale, il progetto di Europa unita comprende diverse anime, che lo definiscono e lo animano.

L’Unione europea (UE) è anzitutto un’organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale, che comprende 27 Stati membri. Nata come Comunità economica europea (CEE) con il trattato di Roma del 25 marzo 1957, nel corso di un lungo processo di integrazione europea, con l’adesione di nuovi Stati membri e la firma di numerosi trattati modificativi, ha assunto la denominazione e la struttura attuali con il trattato di Lisbona del 2007.

Ma l’Europa unita passa anche (e soprattutto) per il Mercato europeo comune (MEC), ossia il mercato unico dell’Unione europea (e, prima, della Comunità economica europea), la cui creazione era uno degli obiettivi fondamentali del trattato di Roma che istituì la CEE nel 1957. Il mercato unico introduce la libera circolazione di merci, servizi, persone (v. anche Spazio Schenghen sotto) e capitali su tutto il territorio dei Paesi aderenti che oggi include, oltre i 27 Paesi membri della Unione, anche la Svizzera, l’Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein.

Di diretta derivazione da questa prima unione è lo Spazio Schengen (detto anche Area Schengen o Zona Schengen), un territorio in cui, dal 1995, è garantita la libera circolazione delle persone. Ad oggi, questa area comprende 26 Stati europei (di cui 22 membri dell’Unione Europea) che hanno abolito i controlli sulle persone alle loro frontiere comuni, sostituendole con un’unica frontiera esterna e funzionando quindi, dal punto di vista dei viaggi internazionali, come un unico Paese.

Ma Europa unita è anche unione economica e monetaria, sancita con l’adozione di una moneta unica europea (l’euro) che, dal 1 gennaio 2001, sostituisce le valute nazionali nei 12 Stati aderenti e introduce una politica monetaria comune sotto il controllo della Banca centrale europea (BCE). Nasce la cosiddetta eurozona, che oggi conta 19 dei 27 paesi membri dell’UE.

Non da ultimo, per Europa unita possiamo anche intendere quello spazio di cooperazione multiculturale, pre-esistente all’Unione e i cui programmi continuano ad alimentare, in alcuni casi oltre i confini degli Stati membri. Per esempio, i programmi Europa Creativa e Erasmus plus sono accessibili anche ai Paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea, ossia Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia. È per questo, per esempio, che Istanbul e Novi Sad hanno potuto ottenere il titolo di Capitale europea della cultura, rispettivamente per gli anni 2010 e 2021.

C’è chi dice che non può esservi Unione senza che gli Stati membri affrontino nuovamente una guerra contro un nemico comune, o senza che facciano coraggiose scelte istituzionali, meno nazionali e più solidali. Più europee. È vero. Nel 1950, lo stesso Schuman proclamava che l’Europa «[...] non potrà farsi in una volta sola, né sarà costruita tutta insieme, essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto»[iv]. Ma è anche vero che l’Europa non può esserci in assenza di unione umana. «[…] occorre innanzitutto prendere coscienza delle effettive difficoltà che ostacolano la realizzazione di quest’idea, poiché essa appartiene, per il momento, com’era accaduto ai tempi dell’Umanesimo, solo a una ristretta élite; non ha affondato le sue radici nell’humus dei popoli e sbaglieremmo se cercassimo di persuaderci che siamo vicini al nostro obiettivo»[v]. Parole, quelle di Schuman e di Zweig, che risuonano potenti e gravemente attuali.

Il progetto di Unione Europea resta infatti in qualche modo incompiuto e incapace di rispondere ai movimenti antieuropeisti che si sono affermati negli ultimi anni. Lo dimostrano due fatti particolarmente eclatanti: la bocciatura della Costituzione europea in due referendum, in Francia e in Olanda, nel 2005 e la Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dalla Unione Europea il 31 gennaio 2020.

Con l’arrivo del Coronavirus, l’Europa si trova ad affrontare un’altra sfida, verosimilmente la più grande dal post-guerra. Diverse le opzioni sul tavolo per far fronte all’emergenza: dall’emissione di Coronabond al ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (MES). Ma la mancanza di un accordo immediato ha sollevato critiche, tanto che la stessa presidente della Commissione europea si è sentita in dovere di scusarsi con l’Italia, il primo Paese europeo ad aver adottato misure per contrastare la pandemia. A tal proposito, il premio Nobel Olga Tokarczuk scrive: «In questo momento difficile è venuto fuori quanto sia debole, in pratica, l’idea di comunione europea. L’Unione, di fatto, ha rinunciato alla partita a tavolino e ha lasciato le decisioni in tempo di crisi agli Stati nazionali».

«Nous sommes en guerre» sono le parole usate dal presidente francese Emmanuel Macron per descrivere alla nazione l’emergenza Coronavirus. Nonostante secondo molti analisti la metafora della guerra non sia appropriata (v. per esempio qui)[vi], gli effetti economici che le misure di confinamento stanno generando sono molto simili a quelli di una guerra. Di certo, non è questa l’occasione che l’Europa stava aspettando per attualizzare il senso della sua Unione, ma di fronte a una situazione di tale gravità, la scelta tra nazionalismo e salvezza collettiva si impone, oggi più che mai, con urgenza vitale.

«Se ostinati tributiamo ammirazione

l’un l’altro

Intenso ardore e devozione dal profondo

Voi filosofi, voi poeti, voi maestri,

la nuova formula troverete per il tempo

a venire»

* Valentina Montalto, policy analyst presso il Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea, dove coordina e sviluppa il ‘Cultural and Creative Cities Monitor’. Su YouTube il tuo TEDxTalk ‘Quanto conta la cultura nelle nostre città?’

[i] Il pensiero europeo nella sua evoluzione storica (Die europäische Gedanke in senier historischen Entwicklung, 1932), conferenza, trad. Leonella Basiglini, Skira, 2015.

[ii] «Verrà un giorno in cui tutte le nazioni del nostro continente formeranno una fratellanza europea... Verrà un giorno in cui dovremo vedere... Gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa faccia a faccia, allungarsi tra di loro attraverso il mare».

[iii] Citato in Il pensiero europeo nella sua evoluzione storica (Die europäische Gedanke in senier historischen Entwicklung, 1932), conferenza, trad. Leonella Basiglini, Skira, 2015.

[iv] Dichiarazione Schuman – 9 maggio 1950.

[v] L’unificazione dell'Europa (Einigung Europas, 1934), trad. Leonella Basiglini, Skira, 2015.

[vi] Secondo molti analisti la metafora della guerra (pure efficace perché colpisce l’immaginario) non è appropriata per descrivere gli effetti di questa pandemia. Innanzitutto, non c’è un nemico fisico (un popolo), non c’è una riconciliazione da cercare né all’interno né all’esterno, non c’è una ricostruzione fisica.

La guerra, spesso, uno Stato la sceglie e la decide e ne porta le conseguenze. Il contesto è diverso perché  la lotta al virus è mondiale e questa globalizzazione richiede una reazione non limitata a una nazione o a una alleanza di nazioni, riguarda il mondo.

Ci sarà certamente bisogno di una ricostruzione morale, di un diverso modo di approcciarsi alla vita, alla socialità, all’ambiente. Ma non ci sarà una data di fine e di un nuovo inizio: la ripresa sarà un lento e graduale processo.

[vii] Citato in Il pensiero europeo nella sua evoluzione storica (Die europäische Gedanke in senier historischen Entwicklung, 1932), conferenza, trad. Leonella Basiglini, Skira, 2015.

Immagine: Bandiere davanti all’edificio del Parlamento europeo, Bruxelles, Belgio. Crediti: symbiot / Shutterstock.com

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