Manipolare il clima, per rimediare agli effetti dell'inquinamento da gas serra e contrastare il riscaldamento globale. L'idea è nell'aria (è il caso di dire) da diversi anni, e non smette di suscitare polemiche. È il cosiddetto “geoengineering”, che valuta (per ora, essenzialmente a livello teorico o attraverso simulazioni al computer) la possibilità di intervenire attivamente sul clima. Per esempio immettendo nella stratosfera sostanze con particolari proprietà riflettenti, oppure “sbiancare” artificialmente le nuvole sugli oceani (in entrambi i casi, per ridurre la luce solare che raggiunge la superficie della Terra riscaldandola).
La settimana scorsa, un gruppo di esperti europei incaricati di valutare pro e contro di queste proposte si è riunito a Mainz, in Germania. Si tratta del gruppo IMPLICC (Implications and Risks of Novel Options to Limit Climate Change). Gli esperti hanno confrontato i risultati dei modelli al computer usati da diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo, e si sono trovati d'accordo che effettivamente la cosa potrebbe funzionare, anche se con effetti diseguali. Spruzzando nella stratosfera particelle in grado di riflettere verso l'alto la luce solare, a livello globale l'aumento di temperatura causato dai gas serra si potrebbe contenere, ma con effetti locali diversi: raffreddamento ai tropici, ma leggero riscaldamento ai poli. Si sono anche trovati d'accordo che questo tipo di interventi influenzerebbe profondamento il ciclo dell'acqua, riducendo tanto l'evaporazione quanto le precipitazioni.
Per capire se davvero la cosa sia fattibile, bisognerebbe passare dalle simulazioni al computre a qualche cosa di reale. Chi prova a farlo, però, si trova di fronte a molti ostacoli. È il caso del programma SPICE (Stratospheric Particle Injection for Climate Engineering), finanziato dal Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC) britannico. Il progetto avrebbe dovuto lanciare nei prossimi mesi un pallone stratosferico, a sua volta dotato di un tubo lungo un chilometro. L'idea era di pompare acqua da terra fino al pallone, e da lì per mezzo del tubo spruzzarne un modesto quantitativo nell'atmosfera. Si trattava di un semplice proof of concept che la tecnica possa funzionare per, un domani, iniettare nell'atomsfera altre sostanze e ad altezze anche maggiori.
Ma le proteste avevano circondato la proposta fin dall'inizio. Il fatto è che, secondo molti, il geoengineering è una strada pericolosa, al punto che solo parlarne, e a maggior ragione passare dalle parole ai fatti, rischia di compromettere le politiche contro il riscaldamento globale. Se infatti anche solo qualche piccola soluzione parziale di questo tipo mostrasse di funzionare, darebbe una scusa ai politici per abbandonare gli sforzi, molto mal visti dal mondo economico, per ridurre le emissioni di gas serra e imporre politiche di risparmio energetico. Senza contare i timori più concreti che interventi sull'atmosfera possano sfuggire al controllo, comportarsi diversamente dai modelli al computer e portare più danni che benefici. E così, qualche tempo fa un comitato di saggi nominato dal EPSRC aveva chiesto al gruppo SPICE di giustificare meglio il proprio esperimento dal punto di vista scientifico, e di proporre soprattutto una strategia più accorta di comunicazione al pubblico per spiegare come non potesse, in nessun modo, prefigurare una scorciatoia nella lotta contro il riscaldamento globale. Quando a questa richiesta si è aggiunta una diatriba sulla proprietà intellettuale (il progetto si basava su un sistema brevettato da uno dei consulenti scientifici dell'EPSRC, cosa che poteva ingenerare il sospetto che qualcuno stesse semplicemente facendo i propri interessi più che quelli del pianeta) i responsabili di SPICE hanno preferito cancellare l'esperimento e rimandarlo alle calende greche. Peccato, perché come ha ricordato un editoriale sull'ultimo numero di Nature, le conseguenze del riscaldamento globale potrebbero essere talmente catastrofiche che nessuna strada va lasciata intentata. Ma forse, il geoengineering ha bisogno prima di tutto di una migliore politica di marketing. E le sperimentazioni dovranno svolgersi in un quadro normativo più chiaro, che consenta ai cittadini di monitorare qualunque iniziativa, e impedica ai politici di usarlo come scusa per abbandonare altre, più fondamentali scelte.