Liliana Segre, senatrice a vita e infaticabile testimone della Shoah, è intervenuta con grande forza, qualche giorno prima del 27 gennaio 2023, Giorno della memoria in ricordo delle vittime dell’Olocausto. L’occasione è stata la presentazione, condivisa con il sindaco Giuseppe Sala, del programma degli eventi organizzati per questa occasione nel Comune di Milano. Un calendario fitto di appuntamenti e momenti di riflessione con, tra l’altro, un tram della linea 9 che attraverserà la città mostrando sulla fiancata le scritte «27 gennaio - Giorno della Memoria» e «Memoriale della Shoah - Binario 21 - Stazione Centrale». Un’iniziativa fortemente voluta dalla senatrice a vita e realizzata per la prima volta quest’anno.
Nonostante l’impegno del Comune di Milano e le molte iniziative che saranno comunque attivate a livello nazionale, le parole di Liliana Segre esprimono un generale sentimento di delusione e di amarezza: «So cosa dice la gente del Giorno della Memoria. La gente già da anni dice “basta con questi ebrei, che cosa noiosa”. Quando uno vecchio come me, che ha visto prima l’orrore, e poi arriva a sentire che si nega addirittura quel che è stato, la coscienza si sveglia. Dopo che sei stato silenzioso, ammalato, non capito, a un certo punto succede che non si sia mai contenti, che si diventi pessimista. E che si ritenga che, fra qualche anno, della Shoah ci sarà una riga sui libri di storia, e poi nemmeno quella».
Nella sua comprensibile reazione all’indifferenza e all’oblio, Liliana Segre centra due temi rilevanti: con il passare del tempo e con la morte dei testimoni diretti, il tema della Shoah rischia di essere messo in secondo piano, dimenticato, di diventare un paragrafo se non addirittura una sola riga, emotivamente inerte, nei libri di scuola. L’altro rischio è quello di una reazione di rigetto, di assuefazione, di noia, per il modo in cui il tema dell’Olocausto viene posto. Le due tendenze non si escludono, anzi, forse è proprio quello che in parte sta accadendo, un intreccio di distrazione e di abitudine. Dell’Olocausto si parla molto, ma spesso in un modo rituale che alla fine non coinvolge emotivamente e non convince le persone, creando una situazione di amorfa assuefazione che, con il passare del tempo, precede e favorisce l’oblio.
Il punto non è quanto ma come si esercita la memoria: soprattutto è decisivo il nesso che le memorie stabiliscono con il presente e con la vita quotidiana delle persone. Ogni popolo definisce la sua identità anche attraverso memoria e rimozione, selezionando il proprio patrimonio di riferimenti e di storie; questo esercizio fondamentale però non si basa sulla mera volontà delle istituzioni, ma appunto su connessioni. La memoria dell’Olocausto non è soltanto un doveroso ricordo di una immane tragedia, una strage di persone innocenti perpetrata in base all’odio razzista; è anche un monito a prevenire e contrastare pericoli e derive dell’oggi. Nei giorni difficili in cui la guerra si stabilizza nel cuore dell’Europa, in cui sentimenti di intolleranza verso l’altro, lo straniero, il diverso, si diffondono e contaminano l’atmosfera pubblica a livello globale, non è un inutile esercizio ricordare i rischi che odio, nazionalismo estremo, idea di superiorità razziale e culturale, possono fatalmente generare, anche se in circostanze diverse rispetto al passato. Il mondo è cambiato in questi ottanta anni; forse però non esattamente nella direzione che in molti auspicavano. Il significato e l’importanza della Shoah, che ci dovranno accompagnare anche in futuro ̶ per la triste attualità dell’evento, ma anche grazie alla fiera fermezza dei sopravvissuti ̶ non possono essere contenuti in una sola riga né vissuti una volta soltanto in un anno.