È cosa nota che la gran parte della lirica romanza delle origini (provenzale, francese, galego-portoghese) fosse accompagnata dalla musica, anche se oggi sono relativamente pochi i codici superstiti che la conservano. Nel caso della lirica provenzale - il modello di tutta la tradizione poetica in volgare del medioevo occidentale -, si limitano a quattro; ancora meno per quanto riguarda la poesia profana galego-portoghese, dove la musica è presente solo in due fogli pergamenacei: il cosiddetto Frammento Sharrer - dal nome del suo scopritore (Harvey L. Sharrer) - e il Pergamino Vindel, il cui contenuto nonché le sue vicende storiche, degne di un romanzo, sono ora descritte in un bel libro appena pubblicato in una versione trilingue (spagnolo, galego e inglese): Pergamino Vindel, coordinato da Mariña Arbor Aldea, Barcelona, M. Moleiro Editor, 2016.

Questo bifolio fu ritrovato circa un secolo fa dal libraio antiquario Pedro Vindel nella rilegatura settecentesca di una copia del XIV secolo del De officiis di Cicerone. Come ricostruisce in maniera minuziosa la Arbor, il prezioso manufatto fu venduto da Vindel al diplomatico, compositore e musicologo Rafael Mitjana, che lo portò in Svezia dove prestava servizio come funzionario diplomatico nell’Ambasciata di Spagna. Alla morte di Mitjana nel 1921, il bifolio rimase per quarant’anni nella sua biblioteca privata di Stoccolma. Dopo la morte della vedova, esso ebbe una serie di passaggi tra librerie antiquarie e case d’asta fino al definitivo approdo nel 1977 alla Morgan Library di New York.

Il Pergamino Vindel contiene sette poesie a voce femminile (le cosiddette cantigas de amigo), attribuite al trovatore Martin Codax, con ogni verosimiglianza un giullare galego della seconda metà del XIII secolo, che ebbe modo di frequentare le corti castigliane di Alfonso X “Il Saggio” (1221-1284) e quella del figlio Sancho IV (1258-1295). L’importanza del manoscritto dipende non solo dal fatto che risale allo stesso periodo in cui furono composte le sette cantigas che tramanda (ultimo quarto del XIII secolo), ma anche dalla circostanza che ben sei di queste sono corredate di musica.

Il volume, nel quale si succedono gli scritti di importanti studiosi, fornisce svariati approcci al codice: si passa così dall’analisi codicologica di Simone Marcenaro a quella musicologica di Antonio Calvia – che segnala la presenza di un sistema di notazione mensurale sovrapposto a un altro non mensurale – per arrivare all’edizione e commento dei testi di Rip Cohen. Tra le novità più salienti spicca certamente l’analisi paleografica di Antonio Ciaralli, il quale ipotizza che il Pergamino Vindel possa essere l’unico frammento superstite di un codice perduto e mostra come vi lavorarono non due, ma ben quattro mani: due copisti e due rubricatori. Tale saggio insieme a quello codicologico di Marcenaro smentiscono pertanto l’opinione comune che si tratti di un foglio volante: il Pergamino Vindel fu infatti concepito per formare parte di un libro, come conferma, tra l’altro, la presenza di fori, utilizzati per legare il bifolio agli altri fascicoli che costituivano il manoscritto.