Intervista a Macrina Marilena Maffei
Ci sono incontri casuali, che avvengono in luoghi apparentemente insoliti, e aprono le porte a storie meravigliose. E così chi passeggia per le stradine di Lipari e decide incuriosito di entrare ne La Casa Eoliana – un concept store dedicato alla promozione e alla valorizzazione dell’arte e dell’artigianato locali – troverà fra le coffe (le tipiche borse siciliane) qualche modello liberamente ispirato alle figure delle donne pescatrici. Ed è vagando tra i manufatti, che lo sguardo si poggia su un libro, Donne di mare (Pungitopo, 2013), che proprio delle donne pescatrici racconta le valorose imprese. L’autrice è Macrina Marilena Maffei, un’antropologa, studiosa di cultura marinara e scopritrice del patrimonio narrativo dell’arcipelago eoliano.
Ho conosciuto le Isole Eolie agli inizi degli anni Settanta, quando vi sono arrivata da viaggiatrice. È nato così un rapporto profondissimo, ulteriormente rafforzato da un matrimonio con una persona che proprio lì era nata.
E poi, pervasa dalla curiosità, ha iniziato a chiedere, a indagare?
Sì, a chiedere quali fossero i cunti della tradizione, e cosa si raccontasse la sera in famiglia. All’inizio delle mie indagini etnografiche mi rispondevano che nelle Isole si lavorava e basta; non c’era tempo per raccontare. Il fatto era davvero singolare. Non poteva essere così. Da tempo immemorabile, e ovunque, gli uomini hanno amato narrare e ascoltare le storie. Non mi sono arresa, e ho dato l’avvio a una lunga serie di ricerche che hanno fatto emergere fiabe, racconti, credenze, miti e leggende locali; e ancora storie di santi, di streghe, di spiriti, di tesori nascosti, di serpi dai lunghi capelli, tramandate da una generazione all’altra nell’arcipelago. Dal 1980 a oggi, ho raccolto dalla voce dei narratori oltre mille documenti, conservati in parte negli archivi sonori del Ministero dei Beni Culturali, e in parte nel mio archivio privato. Così si può affermare che sono riuscita a scardinare lo scrigno segreto della memoria insulare.
E cosa ha scoperto?
La realtà delle pescatrici, ad esempio. La prima volta ne ho sentito parlare da un vecchio pescatore di Lipari, Martino Della Chiesa, nato nel 1903. Non le ho subito conosciute di persona, ma attraverso l’incanto dei suoi racconti. Martino ha narrato storie realmente accadute, che tuttavia arrivavano sempre a un punto cruciale: la soglia fra il mondo visibile e il mondo dell’aldilà. In uno scenario fortemente mediterraneo si muovevano sia esseri ultraterreni, che volevano inserirsi nel vivere quotidiano, sia donne della sua famiglia (la nonna e la madre) mentre si trovavano a pesca. Da quel momento ho tentato di sapere di più sulle donne di mare. Martino era nato da un padre eoliano e da una madre originaria di Acireale. Agli inizi del Novecento, infatti, c’era stato nelle Eolie un flusso immigratorio che aveva portato un folto gruppo di pescatori a trasferirsi a Lipari dai territori catanesi, attratti dalla grande pescosità del mare. Diversi anni dopo, però, ho assistito alla proiezione di un filmato Bianche Eolie di Francesco Alliata di Villafranca, in cui si vedevano le donne di Panarea svolgere un’intensa attività alieutica. Quello straordinario cortometraggio del 1947 mostrava una barca con un equipaggio di sole donne che pescavano. Ricordo che Francesco Alliata, raccontando la sua esperienza, rammentava la forte ritrosia delle pescatrici a essere fotografate da Fosco Maraini, che riuscì a cogliere col proprio obiettivo le prime, e quasi uniche, immagini delle donne di mare.
Si dice che le donne andassero a pesca per sostituire i mariti emigrati
Esatto, ma non è vero. Le donne, nel periodo in cui gli uomini erano emigrati, continuavano ad andare a pesca. In realtà nelle Eolie già da molto tempo prima uscivano in mare. Lo documenta Luigi Salvatore d’Austria – figlio di Leopoldo II d’Asburgo, granduca di Toscana – che alla vita di corte preferiva il suo meraviglioso veliero, con il quale navigava nel Mediterraneo studiando soprattutto le isole. Era un geografo, un botanico, un linguista, un etnografo eclettico e affascinante. Approdato nel nostro arcipelago, ha descritto in modo dettagliato l’architettura, la botanica, la toponomastica, ma anche i sistemi e le tecniche di lavoro, le abitudini e gli usi della popolazione, annotando le denominazioni in dialetto di quanto vedeva. Un lavoro enciclopedico riportato in otto corposi volumi – uno per ogni Isola e uno generale sulla popolazione – pubblicati fra il 1893 e il 1896 a Praga, e in Italia un secolo più tardi. Ebbene, proprio Luigi Salvatore d’Austria ha notato che in più di un’isola le donne andavano a mare da sole, e che a Salina e Stromboli le pescatrici conducevano le barche verso terra con le poppe in avanti e non di prua. Nello stesso periodo, furono notate anche dal botanico Michele Lojacono Pojero, che esplorava le isole per studiarne la vegetazione. Ancora prima, nel 1826, è il celebre Alexis de Tocqueville a offrire una testimonianza preziosissima, raccontando di un’imbarcazione remata da tre diverse generazioni di donne, nel mare di Stromboli.
È il caso di dirlo: pescando qua e là, è riuscita a creare la sua opera
Sì, ma soprattutto, riportando le testimonianze scritte di grandi autori, ho dato loro un passato storico che non può essere messo in dubbio. Ho percorso le isole in lungo e in largo per raccogliere le testimonianze di tutte le pescatrici di cui venivo a conoscenza. A un certo punto mi sono resa conto che la memoria si stava perdendo perché le pescatrici erano divenute anziane, molte ormai non c’erano più. Gli studiosi locali ne ignoravano l’esistenza; i pescatori non volevano parlarne poiché per loro la figura della pescatrice sembrava emblematicamente rappresentare soltanto la povertà e la miseria di una comunità e di un’epoca. Così questa pagina di storia insulare mancava dalle ricostruzioni storiografiche. Pertanto ho deciso di scriverne. Non volevo si perdessero le storie di donne che uscivano a pesca di giorno e di notte, che varavano le barche, tiravano le reti, trascinavano a secco le loro barche, e andavano in mare anche mentre allattavano i figli o quando stavano per nascere. Non volevo fossero dimenticate le donne che navigavano da un’isola all’altra dell’arcipelago per vendere i loro prodotti, sovente barattando i pesci con i legumi. In questo caso, va detto, andavano in compagnia di un uomo, lo chiamavano: il capitano. Con lui si avventuravano remando da Filicudi a Palermo, da Panarea a Palermo, da Lipari a Messina o a Milazzo.
Nel libro si racconta anche della condizione in cui queste donne si mettevano in viaggio
È più volte accaduto nella storia delle pescatrici che continuassero a pescare nonostante fossero in procinto di mettere al mondo un figlio, per necessità ovviamente. Pertanto capitava che le donne in quel fatidico momento della nascita non si trovassero a casa fra fasce e panni, ma con le reti in mano e le vesti bagnate di mare. Accadde anche a Martino Della Chiesa. Sua madre, in procinto di partorire, raggiunse la riva per metterlo al mondo. A quel travaglio su una spiaggia si accompagna la profezia materna di una vita destinata a consumarsi solo in mare. Come, infatti, avrà Martino. Si tratta di vicende vere, realmente accadute. Mi sentivo in dovere, come antropologa e come donna, di mostrare in primo luogo al territorio quanto le pescatrici avessero fatto per la sopravvivenza delle famiglie e della comunità. Infondendo anche consapevolezza di sé e maggiore orgoglio sia alle anziane pescatrici che ai loro familiari.
La figura della donna pescatrice, tra l’altro, ha avuto un riconoscimento dal presidente Sergio Mattarella
Una grande emozione! Il 22 dicembre 2017 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito l’alta onorificenza del Cavalierato alle ultime quattro pescatrici delle Isole. Ho segnalato al presidente la loro storia per un insieme di ragioni: per farne conoscere l’esistenza, affinché non venissero più dimenticate. Ma soprattutto perché hanno svolto un ruolo considerato da sempre solo maschile, mostrando la falsità del detto: “Il mare agli uomini e la terra alle donne”. Sono loro, infatti, che uniscono sia sul piano storico che su quello simbolico il passato e il presente delle attuali donne di mare; oggi il lavoro femminile sul mare è attestato. Pensiamo alle tante donne che lavorano in Marina, sulle navi mercantili, nelle capitanerie di porto. Credo che le pescatrici eoliane rappresentino un’immagine luminosa dell’Italia e della terra siciliana.
Quale insegnamento che la figura della donna pescatrice lascia alle nuove generazioni?
Stiamo parlando di donne che hanno avuto la capacità, la forza e il coraggio di sfidare il mare. Quando però le condizioni del mare non permettevano loro di uscire in barca, lavoravano in campagna, seminavano, raccoglievano le olive, i capperi, scendevano nei precipizi a raccogliere le erbe. Erano donne sempre in movimento e mai erranti. Con uno scopo ben preciso: quello di traghettare i figli e la famiglia lontano dai territori della fame, senza mai arrendersi. Questo ritengo sia il loro primo insegnamento per i giovani. Inoltre loro stesse e tutti coloro che le conoscevano hanno affermato quanto amassero il mare. Rosina Taranto – una delle quattro pescatrici che hanno ricevuto l’onorificenza – ha iniziato a lavorare in barca all’età di cinque anni, smettendo di pescare quando la salute non le ha più permesso di andare in barca da sola. Ma il mare rimane la sua grande passione, perché le dà forza e vita. Credo che anche questo sia un insegnamento fondamentale per le nuove generazioni: avere una forte passione.
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