21 dicembre 2022

Il regno del più forte, di Omar Coloru

Un aneddoto indubbiamente affascinante ma altrettanto sicuramente spurio racconta che in punto di morte Alessandro il Grande avrebbe sussurrato con gli ultimi spasimi di fiato ancora alla sua portata che fosse sua intenzione lasciare il proprio impero «al migliore» tra i suoi potenziali successori. L’aggettivo greco utilizzato dalle fonti che riportano l’episodio, tuttavia, è assai più pregnante di quanto qualsiasi traduzione possa rendere. Il campo semantico dell’eccellenza che esso implica, infatti, fa riferimento alla forza fisica e alla supremazia sul campo di battaglia. Le guerre dei diadochi, che si protrassero per oltre un quarantennio dalla morte di Alessandro medesimo a quella di Seleuco I, sono lì a testimoniare come meglio non si potrebbe, se non il significato autentico delle (presunte) ultime parole famose dell’ormai morente conquistatore macedone, lo Zeitgeist di un’intera epoca e la visione del mondo dei suoi protagonisti.

 

Il regno del più forte. La lunga contesa per l’impero di Alessandro Magno (IV-III sec. a. C.), l’ultimo lavoro di uno storico, Omar Coloru, che dell’epoca ellenistica ha fatto suo terreno di elezione, offre al lettore allo stesso tempo una concisa, bibliograficamente aggiornata, agevole ed informata panoramica su un periodo estremamente complesso della storia non solo mediterranea, ma del Vicino Oriente antico e più in generale dell’Asia sudoccidentale. Il volume riesce in questa di per sé tutt’altro che scontata impresa, per di più, mediante l’adozione di una griglia interpretativa allo stesso tempo tanto cristallina quanto raffinata: quella dell’asse forza-debolezza.

Non si tratta, beninteso, di parametri assoluti, bensì di concetti situativi, il cui significato e impatto sul destino di un singolo individuo come di molti dipendono da circostanze le più varie e da fattori spesso mutevoli. L’introduzione al saggio (pp. 9-14) è per tanto dedicata a tracciare il perimetro metodologico dell’indagine, che ad un risvolto più immediatamente lessicografico (pp. 15-19) ne fa seguire immediatamente dopo uno di carattere storico e sociologico (pp. 19-29), in questo modo preparando la scena per il resto della trattazione, al crocevia tra una collana di medaglioni biografici, un breve trattato di politologia, una riflessione polemologica e, in una brillante nota conclusiva (pp. 117-120), un esperimento di storia comparata.

Può sembrare paradossale che, nel contesto di uno studio dedicato al regno del più forte, a farla da padrone nel corso della disamina di Coloru (pp. 30-94) siano quelli che l’autore definisce «i deboli»: vale a dire una pletora di figure, da Filippo Arrideo, il fratellastro di Alessandro, ai figli di quest’ultimo (un omonimo ed un altro ominosamente chiamato Eracle) passando per le principesse iraniche che ne condivisero, volenti o nolenti, una parte del cammino terreno e in alcuni casi il letto attraverso le maggiorenti della dinastia macedone – Olimpiade, Euridice, Cleopatra, Cinnane e Tessalonice – fino a concludere con Eumene di Cardia, uno scriba divenuto condottiero di origine greca, che in retrospettiva si trovarono a giocare un ruolo minore rispetto ai signori della guerra che si spartirono l’eredità della conquista di Alessandro, e che senza tema di smentita pagarono questa scomodissima posizione con la vita.

Tuttavia in questa apparente contraddizione risiede uno degli spunti analitici più scaltriti dell’analisi di Coloru. Giudicare uno qualsiasi degli individui sopra menzionati come deboli (allo stesso tempo una valutazione di fatto e, spesso, sulla scorta delle fonti, un giudizio morale, specie qualora siano coinvolte delle donne in un mondo ideologico, se non di azione, puramente maschile) significa a ben vedere fare proprio il punto di vista dei vincitori. Nel pieno di eventi tumultuosi come quelli presi in esame dall’autore, uno – o più – fattori di oggettiva debolezza, per esempio sul piano del genere, economico, o di influenza politica, poteva rapidamente lasciare il passo a, quando non proprio trasformarsi in, un elemento di forza capace di sparigliare le carte in maniera repentina. È il caso, eclatante, di Rossane, svantaggiata tanto al cospetto delle altre notabili iraniche in quanto non di ascendente regale quanto a fronte del contesto macedone nel quale era stata suo malgrado trapiantata ed improvvisamente divenuta madre di uno dei due eredi al trono.

Ai due parametri sopra menzionati se ne aggiungono altri due, tra loro strettamente legati, vale a dire la violenza e il terrore, protagonisti dell’ultima sezione (pp. 95-116) del volume. Chi abbia anche solo di sfuggita preso in mano un manuale di storia greca ricorderà l’epoca ellenistica, ed in particolare i suoi esordi sotto l’egida dei diadochi, come un carosello infinito di gigantesche battaglie campali da un capo all’altro dell’ormai tramontato ma tutt’altro che defunto Impero achemenide, una serie ininterrotta di carneficine e una teoria non meno raccapricciante di assassinii incrociati, il tutto reso ancora più caotico da una irritante tendenza alla ripetizione caratteristica dell’onomastica greca contemporanea. Merito va dunque all’autore di aver messo in luce la logica intrinseca dell’uso spregiudicato della forza in un mondo come quello oggetto del saggio che attraversava una fase di profondissimo, e perciò traumatico, riassetto a seguito della rimozione dallo scacchiere di quello che per oltre due secoli era stato l’indiscusso arbitro della politica internazionale dalla Grecia all’India, ovvero l’Impero persiano.

Dall’attenta disamina delle fonti a disposizione, l’epoca dei successori di Alessandro emerge dalla sapiente penna di Coloru come un sistema multipolare, all’interno del quale non era più possibile, benché alcuni ci provarono, ambire ad una posizione di dominio incontrastato. In un contesto intrinsecamente policentrico, visto il numero dei contendenti e la quasi equipollenza di pressoché tutte le forze in campo, non da ultimo in virtù di un fluido (viscido) circuito di alleanze, il massimo a cui gli attori in scena potevano aspirare era l’egemonia, precondizione della quale era impedire che altri acquisissero (o conservassero) pari forza. Il risultato fu un quarantennio di guerre devastanti, all’indomani del quale quella che gli Achemenidi avevano definito nelle loro iscrizioni «questa ampia e vasta terra, ricca di molte genti» sarebbe emersa diversissima da come Alessandro l’aveva lasciata. In un certo senso, si può dire che l’auspicio del conquistatore morente si realizzò proprio mediante la sua smentita. Anziché un solo erede più forte, Alessandro lasciò dietro di sé una moltitudine di aspiranti successori ugualmente in lotta, come la migliore ideologia aristocratica ellenica voleva sin dai tempi di Omero (Iliade, 11.784), per «essere sempre il migliore e trionfare sugli altri».

 

Omar Coloru, Il regno del più forte. La lunga contesa per l’impero di Alessandro Magno (IV-III sec. a.C.), Roma, Salerno Editrice, 2022, pp. 152

 

Immagine: Alessandro Magno durante la battaglia di Isso raffigurata in un mosaico pavimentale (II secolo a.C.) proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei, ora nel Museo archeologico nazionale di Napoli. Crediti: Andreas Wolochow / Shutterstock.com

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