È con intensità purtroppo blanda che la cosiddetta “critica della critica” letteraria (per riprendere il titolo di un famoso saggio di Todorov), nel momento in cui si trovi a effettuare la disamina dei limiti di un metodo cui magari venga imputato l’abbandono del rigore in favore di un atteggiamento più divulgativo, contempla fra di essi il risoluto avallo della continuità, la conferma della linearità cronologica e formale – al di sotto della quale, è noto a chiunque non si soffermi semplicemente sulla soglia, la scrittura spesso cela ben altre complessità; e l’apparente impossibilità di una deroga da tale modus cogitandi, oltre a replicare e affermare quel culto dello stile fluido che un apoftegma baudelairiano troppo noto per essere qui ripetuto ha giustamente attribuito al borghese, intacca in qualche modo qualsiasi pensiero si accontenti della contemplazione di un testo semplicemente inteso come successione di colli di bottiglia, di passaggi attraverso i quali è obbligatorio transitare. Che cosa debba invece accadere non sarà difficile da intuire: la rottura della continuità grazie a modelli che ne mettano in mostra la nascosta e più radicale discontinuità non solo si porrà come momento ineludibile per riportare qualsiasi metodo alla sua natura più rigorosa, ma avrà anche e soprattutto il merito di comprendere con uno spirito che sia più adeguato le ragioni più intrinseche del testo. È ciò che non vuole intendere il biografismo positivista, a tal punto legato a una corrispondenza immediata e cronologica del rapporto fra autore e testo da dimenticare che proprio in tale intreccio non vigono in alcun modo le regole di ciò che, per semplificare, si potrebbe chiamare quotidianità; bensì altre leggi, più complesse e di gran lunga meno legate alle leggi della meccanica con le quali uno sguardo superficiale crede sia sufficiente interpretare la realtà.

Provvidenziale, in questo orizzonte, la pubblicazione per Nottetempo de In principio Marcel Proust di Francesco Orlando. Da un lato, per i motivi dei quali si parlava poc’anzi: per la capacità del grande critico, recepito magistralmente il pensiero di Freud e Marx, di svincolare il testo e il rapporto che lo lega al proprio autore e al contesto sociale da un continuum troppo facile e pedissequo, troppo scioltamente compiuto e risolto; dall’altro, poiché del progetto a lungo meditato di un libro interamente dedicato a Proust, infatti, rimangono unicamente i saggi di questo volume, raccolti da Luciano Pellegrini, e un regesto compilato a seguito di due letture molto ravvicinate della Recherche effettuate nel 1968 in vista di un corso monografico da tenere alla Normale di Pisa, di alcune pagine del quale il presente volume riporta le riproduzioni fotografiche.

Il saggio che scaturisce da queste lezioni, Marcel Proust dilettante mondano, e la sua opera, rappresenta una sintesi profondamente eloquente di quella pratica del collegare, come è stata definita in un’altra pagina del libro dallo stesso Orlando; le cui riflessioni individuano una rivoluzione copernicana nella contrapposizione fra la superficiale pratica messa in atto da Zola in uno dei suoi romanzi meno noti, L’Oeuvre, ossia di appiccicare fra le sue pagine una controfigura esprimente tramite ventriloquio le teorie estetiche dell’autore, e l’operazione profonda e meditata compiuta da Proust, il quale, consapevole della poesia simbolista e della sua riflessione costante sulla creazione e sul proprio farsi, così importante da divenire a tutti gli effetti nodo e contenuto centrale della produzione di un poeta come Mallarmé, riesce in qualche modo a flettere su sé stesso il contenuto della propria narrazione. È nell’adesione della narrazione della Recherche alla storia della propria genesi, alla storia della genesi della propria arte la quale, dopo migliaia di pagine, non si concluderà con un matrimonio o un decesso bensì, come un Ouroboros, nel suo atto di nascita, che Proust, secondo la felice intuizione di Orlando, compie un passo molto importante nella ridefinizione del rapporto del Narratore con il proprio Autore: non più racconto di fatti veridici o immediata coincidenza dei due poli, «piuttosto l’onniscienza e l’onnipresenza metalinguistica di colui che narra, la sovrana ostentazione che l’opera fa dell’autore».

In questa prospettiva, la natura di dilettante mondano che Orlando attribuisce a Proust assume un’importanza cruciale: come fra le pagine di un altro importante saggio, Proust, Sainte-Beuve, e la ricerca in direzione sbagliata, il critico sottolinea la dicotomia radicale, nel pensiero proustiano, fra quell’intelligenza che rappresenta la volontà di ricerca in una direzione che proprio per questo motivo sarà sempre errata o sfuggente, e la noluntas grazie alla cui assenza di progettualità si aprirà, come in una novella orientale, la porta giusta; alla luce di tutto questo, l’assenza di Proust da un impegno letterario professionale e orientato alla produttività rappresentava, per quel momento storico, la condizione di “vuoto” necessaria affinché, per riprendere quanto si diceva nelle righe precedenti, narrazione e riflessione teorica divenissero a tutti gli effetti anche la storia di una vocazione scaturita all’improvviso e non ricercata, dopo che «abbiamo bussato a tutte le porte che non danno su nulla».

Si diceva, in principio, che i saggi raccolti ne In principio Marcel Proust sono una sorta di materiale preparatorio, assieme al regesto, di un progettato e mai compiuto opus magnum dedicato allo scrittore francese, il quale, assieme a un’altra opera mai portata a termine su Wagner, avrebbe dovuto tracciare e definire le linee critiche di Orlando in modo più plastico: il metodo paradigmatico, declinato attraverso la struttura del leitmotiv wagneriano e del modello formale/logico freudiano, così come la teoria del ritorno del represso in letteratura, avrebbero trovato fra le pagine di questa opera elaborazione sicuramente profonda e importante, sebbene, si può supporre, di certo non definitiva. È bene ricordare, riprendendo e variando ciò che si è detto prima, quanto la consapevolezza portasse Orlando a concepire il biografismo positivista, la cui forma potrebbe essere sintetizzata nell’immagine dell’entomologo che dall’alto seziona un insetto, come il frutto di una ricerca voluta ma, proprio come tutte le strade percorse in tal modo dal Narratore della Recherche, del tutto sbagliata; al contrario, dissipandosi sulle tracce delle proprie prede come Fabre o Jünger, divenendo a tutti gli effetti “ostentazione” della propria opera e di quei modelli paradigmatici la cui natura, sotto molteplici aspetti, non potrà che rammentare le estasi metacroniche che scompongono la continuità che la narrazione proustiana tenta in ogni modo di sabotare, il critico plasmerà una sorta di struttura al di là della quale diventi inconcepibile immaginare un “fuori”, una separazione fra soggetto e oggetto. Soltanto in questo modo, i temi biografici orlandiani (in particolare il rapporto con Tomasi di Lampedusa) non divengono semplici pretesti bensì elementi a tutti gli effetti significanti di un metodo critico e filosofico.

Francesco Orlando, In principio Marcel Proust, a cura di Luciano Pellegrini,  Nottetempo, 2022, pp. 240

Immagine: Marcel Proust. Crediti: Fonte, Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989 bekijk toegang 2.24.01.04 Bestanddeelnummer 919-9566 [CC BY-SA 3.0 NL (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/nl/deed.en), attraverso Wikimedia Commons

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