La tecnologia utilizzata per migliorare l’efficienza energetica dei microchip utilizzati dai dispositivi mobili della società di Cupertino sarebbe in realtà basata su un brevetto depositato dall’università statunitense nel 1998: lo ha stabilito una giuria federale di Madison, secondo la quale la Apple avrebbe violato il copyright della Wisconsin Alumni Research Foundation (WARF), che attraverso i suoi legali aveva richiesto un risarcimento pari a 862 milioni di dollari.
Eppure, secondo il giudice distrettuale William Conley, la WARF ha fallito nel dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che la Apple abbia compito tale infrazione volontariamente: in tal senso, la mancanza di prove convincenti si è tradotta in una considerevole diminuzione della cifra stabilita per il risarcimento economico, sceso a “soli” 234 milioni di dollari – meno di un terzo della somma inizialmente richiesta dalla WARF per l’uso indiscriminato del proprio brevetto. Un importo che sicuramente peserà di meno sulle casse della Apple, i cui introiti, durante il 2014, hanno superato la soglia dei 182 miliardi di dollari. «In questo processo hanno prevalso il riconoscimento dell’impegno e del duro lavoro dei nostri ricercatori universitari e l’integrità del sistema dei brevetti e della paternità delle scoperte», ha commentato Carl Gulbrandsen, direttore generale della Wisconsin Alumni Research Foundation: «La giuria ha riconosciuto il fondamentale lavoro di ricerca e innovazione informatica che ha avuto luogo all’interno del nostro campus». Eppure, i conti tra la WARF e la Apple non sono ancora definitivamente chiusi: una seconda causa per danni contro la società di Cupertino è stata depositata soltanto lo scorso mese. Questa volta sul banco degli imputati saliranno i nuovi chip della Apple, l’A9 e l’A9X, in dotazione ai nuovissimi iPhone 6S e 6S plus, così come all’iPad Pro.