Prima di parlare della capacità di vedere della lince è opportuno premettere alcune nozioni di fisiologia della visione con riferimento all’uomo. I recettori della vista sono i coni e i bastoncelli, i primi per la visione fotopica e dei colori permettono la migliore acuità visiva cioè la visione dei più fini dettagli, e i secondi la visione mesopica o addirittura scotopica, tipica degli animali notturni. Nell’occhio dell’uomo, nella retina lo strato dei recettori presenta una specializzazione anatomica costituita da un’area chiamata macula lutea, ad alta concentrazione di coni, che nella parte centrale presenta la fovea, dove sono presenti solo coni, che raggiunge la massima visione dei dettagli, cioè la massima acuità visiva.  Faccio notare che la percezione delle forme avviene a livello della corteccia cerebrale visiva che è specializzata nella visione del contrasto, luce-buio e non della luce continua. Lo stimolo di luce diffusa come ad esempio quella di una lampadina è uno stimolo poco adatto per la via visiva e può essere anche ignorato o appena percepito dai neuroni corticali, se non nel passaggio tra accensione e spegnimento. La patologia della visione può, a mio avviso, dare un’idea dell’importanza della retina e della rilevanza della specializzazione delle sue parti. In molte persone la diminuzione o addirittura la perdita della vista può svilupparsi in due maniere: la prima consiste in una degenerazione maculare di tipo umido o essudativo, che è causata da aumento dell’angiogenesi, e la seconda secca, tipica della vecchiaia, dovuta alla sclerosi dei vasi retinici. Il primo tipo di degenerazione se diagnosticata precocemente è controllabile con un farmaco che diminuisce o blocca l’angiogenesi, la seconda, a lenta progressione, non ha terapie valide.

La lince è simile a un grosso gatto con arti robusti, coda corta e con due caratteristici ciuffi di peli neri all’apice delle orecchie. Vi è un’antica credenza che la lince abbia una vista particolarmente acuta da cui derivano anche locuzioni verbali normalmente usate come “occhio di lince”, che si riferisce oltre che alla vista, anche a una grande perspicacia e acutezza intellettuale di chi ne è dotato. L’Accademia dei Lincei, fondata nel 1603 ad opera di alcuni grandi studiosi, ma in particolare del principe Cesi, di cui a partire dal 1611 fu socio Galileo Galilei, è la più la più antica e illustre nella storia delle moderne attuali accademie d’Italia e d’Europa. I Lincei scelsero di prendere il nome dalla lince, proprio per allusione alla acutezza intellettuale dei suoi affiliati.

In realtà la lince non è mai andata dall’oculista e l’acutezza della sua vista non è mai stata dimostrata. L’osservazione oftalmoscopica del suo fondo retinico mostra, come nel gatto, l’assenza della fovea ma la presenza di una zona specializzata chiamata area centralis, dove sono presenti sia coni che bastoncelli e che grossolanamente permette di raggiungere un’acuità visiva di 5-6 cicli per grado, assai minore di quella dell’uomo e simile a quella del gatto, nota da tempo. Io e miei collaboratori abbiamo misurato la vista della lince con metodi oggettivi, tramite l’elettroencefalogramma, cioè con i potenziali evocati registrati, come nel metodo usato per soggetti umani, con elettrodi posti sulle aree occipitali visive.

Questa tecnica, ben nota, è stata sviluppata a Cambridge dal professor Campbell e da me ed è, con variazioni tecnologiche, usata clinicamente da tempo; per una sua accurata descrizione rimando a una nostra pubblicazione su Scientific American (Campbell-Maffei, 1974). Tale metodologia riesce a misurare la visione dell’uomo e la sua acutezza visiva con un errore paragonabile a quello che può fare l’oculista quando procede alla assegnazione delle lenti, che è dell’ordine di un quarto di diottria. La pubblicazione originale concernente la misura della vista della lince è pubblicata su una rivista specializzata nella visione (Vision Research).

Naturalmente, sempre con riferimento alle facoltà percettive della lince non si può escludere il contributo di altri recettori, in particolare una spiccata sensibilità al movimento degli oggetti o di eventuali prede. Giova ricordare che la lince è un cacciatore prevalentemente notturno. Quando io dopo qualche anno novello Linceo, mi permisi di presentare il risultato di queste ricerche ai soci dell’Academia dei Lincei, allora sotto la presidenza dell’illustre socio Edoardo Amaldi, ci furono sorrisi nella sala ma non discussioni nel merito perché i dati erano ben chiari, e il prof Amaldi concluse sorridendo: «a me la lince anche se ci vede poco, piace lo stesso».

Malgrado la sua vista poco acuta questo bellissimo felino continuerà a fare la sua figura nello stemma dell’Accademia e nel distintivo dei suoi soci.

Bibliografia

F. Campbell, L. Maffei, Contrast and spatial frequency, in Scientific American, vol. 231, No 5, November 1974, pp. 106-114

L. Maffei, A. Fiorentini, S. Bisti, The visual acuity of the lynx, in Vision Research, vol. 30, No 4, 1990, pp. 527-528

Immagine: Lince iberica (Lynx pardinus), gatto selvatico endemico della penisola iberica in Castilla la Mancha, Spagna. Crediti: StockPhotoAstur / Shutterstock.com

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