«Anche se facessimo saltare l’intero arsenale nucleare, provocando l’interruzione della fotosintesi e l’estinzione del genere umano, la biosfera non scomparirebbe e la vita batterica continuerebbe a esistere come dopo la caduta dei meteoriti giganti… Non è mai la fine del mondo, è sempre la fine di un mondo». Parola di Pascal Bruckner, uno tra i più ironici, urticanti, geniali polemisti della contemporaneità.

Nel suo ultimo pamphlet – Il fanatismo dell’Apocalisse. Salvare la Terra, punire l’Uomo –, pubblicato da Guanda (pagg. 229, € 22,00), il filosofo se la prende con il nuovo spettro che si aggira per l’Europa: l’ambientalismo, reo, ai suoi occhi, di aver riciclato e rilanciato antichi quanto orribili fantasmi, come il marxismo, il millenarismo cattolico, i messianismi medievali, il terzomondismo e pure un pizzico di fascismo; dopotutto, la bicicletta era un must per il governo di Vichy.

Articolato in tre parti (Il fascino del disastro; I progressisti antiprogresso; La grande regressione ascetica), il saggio avanza una tesi muriatica come un pesticida, chirurgica come un tosaerba: «L’ambiente è la nuova religione laica che s’innalza sulle macerie di un mondo miscredente». Il pianeta è diventato «una sorta di Cristo minerale e vegetale. Ognuno può misurare le proprie emissioni giornaliere con l’obiettivo di ridurle, come i bambini al catechismo devono arginare le proprie colpe». Come nella retorica del martirio, la stessa sopravvivenza è al limite del peccato: mangiare, riscaldarsi, viaggiare e persino figliare sono ormai reati potenziali; «la nostra casa è l’epicentro del crimine».

Dall’individuazione della vittima – la Terra: «nuovo proletariato che va salvato dallo sfruttamento» –, si passa alla creazione del carnefice: l’Uomo. Così gli amici della Natura si trasformano in nemici dell’Umanità: per salvare la prima, si augurano l’estinzione della seconda, cancerogena e mortifera con i suoi frutti proibiti di capitalismo, consumismo, scientismo, progresso… Ecco il revival del peccato originale, il «trionfo del senso di colpa»: l’ambientalismo del XXI secolo fa della catastrofe il suo mantra, laddove prima era la rivoluzione, e invita i seguaci a provare «rimorso anticipato per il futuro», che sarà apocalittico per definizione, anche se nessuno degli eco-rabdomanti è in grado di esibire evidenze scientifiche. L’imperativo è tornare alla vita bucolica: evviva Gaia, evviva la semina! Anche se si semina solo panico, salvo poi sfruttare la paura per fini politici, come in dittatura, o catartici, come al cinema. «Il vocabolario della Shoah si mescola alla meteorologia», e guai ai negazionisti del cambiamento climatico! «Prima o poi qualcuno ci dirà che l’inquinamento disturba l’eterna beatitudine delle anime in paradiso»!

Inchiodato alla sua colpa di eco-killer, per emendare sé stesso e il mondo, l’uomo deve convertirsi al pauperismo, variamente declinato in “decrescita felice”, “austerità giusta”, “abbondanza frugale”. «È il trionfo dell’ossimoro… e perché non celebrare “la miseria sorridente”, “la morte divertente”, “la fame simpatica”?». Questo materialismo alla rovescia finisce per condannare neonati, single, obesi e uomini tout court perché «emanano una dose di diossido di carbonio superiore alle donne». Le aporie sono vistose: innanzitutto «gli ecologisti, con la loro fantascienza etica, si preoccupano più dei nostri misfatti ipotetici che delle ingiustizie reali». Poi non si svincolano dal deprecato antropocentrismo (è l’uomo a rendere la terra un soggetto giuridico, cui attribuisce senso e diritti) e, ammantati di maliziosa umiltà, nascondono tracotanza, ritenendosi gli unici distruttori e salvatori del globo. E ancora, «se la situazione è così grave, a cosa serve ribellarsi?». O c’è un sottile piacere nell’essere spettatori del naufragio? In fondo, «il disfattismo è il rifugio dei popoli privilegiati».

L’ecoterrorismo non regge teoreticamente, ma è debole pure in un’ottica mistico-magica: rattoppa e riusa miti frusti, dal buon selvaggio alle città-giardino, dal puritanesimo verde all’utopia neo-ortolana. Ora la Natura torna a essere Dio vendicativo; ora si fa la «dichiarazione universale dei diritti delle piante»; ora si vagheggiano l’«Arcadia rurale», il giardino perduto, le belle stagioni che non esistono più; ora si elogia il letame e si invita «a urinare sotto la doccia per risparmiare l’acqua di scarico»… Intanto, si dimentica che «lo stato di natura è un’invenzione del progresso», un artificio come un altro, un parto contronatura della cultura.

Bruckner è troppo sofisticato per cedere al revisionismo spicciolo: a questo bio-fanatismo totalitario e misantropico, contrappone un ambientalismo «della ragione, di ampliamento, democratico. Il rimedio è nel male: solo un aumento delle ricerche, un’esplosione di creatività, un salto tecnologico inedito potranno salvarci… Ne va del piacere di vivere insieme su questa Terra, che in ogni caso ci sopravviverà, qualunque cosa faremo per lei». Allora al diavolo questa Madre Snaturata.