Nonostante sia stato più volte multato e qualche volta malmenato, Michael De Feo non si arrende. Questo poliedrico ambasciatore della street art – conosciuto nell’ambiente col nome di Flower Guy, per quel fiore iconico divenuto ormai motivo ricorrente dei suoi lavori – da 25 anni in oltre 60 Paesi devia i poster delle campagne pubblicitarie delle più esclusive case di moda, comprese quelle esposte in esterna nelle fermate dei bus, fregiandole con motivi floreali. Precursore dell’avanguardia contemporanea glorificata e demonizzata senza mezze misure, De Feo – con l’intento di superare le elitarie regole di selezione delle gallerie – ha deciso di creare ed esporre le proprie opere in strada, per conquistare quella fetta di pubblico affascinata soprattutto dagli stimoli cromatici di quell’anarchia espressiva. Era il 1992, e da studente dello School of Visual Art di New York ha scelto proprio un fiore stilizzato, usato come un rapido esercizio di riscaldamento, per riempire muri e facciate: «Ormai non posso più farne a meno, è l’unico segno che non ho mai abbandonato. Ho realizzato persino una maschera normografica per poterlo riprodurre più facilmente».

L’arte, quanto la moda e la musica, è il linguaggio per eccellenza delle culture giovanili; partita a passo spedito dal variegato universo dei sobborghi di periferia – caratterizzata dalla condivisione di particolari valori, opinioni, ideali e soprattutto dalla creazione di forme espressive peculiari –  la street art ha assunto le sembianze di un fenomeno di massa essenziale per la cultura artistica delle metropoli. Sovvertendo le convenzioni e infrangendo qualche regola, la libera espressione artistica ha solcato così i nuovi codici di linguaggio diversi da quelli a flusso continuo che si accalcano e si macinano quotidianamente sul web. Michael De Feo intinge nel suo humus di segni primordiali e bambineschi per elevare proclami di tolleranza e armonia cittadina, veicolando a chiare lettere il senso della sua missione: «Utilizzo la carta e la colla per dare anche all’arte un ciclo vitale, non immortale. Tutto nasce e muore per poi sbocciare in un’altra primavera. Anche l’arte. Ecco perché ne ho una visione un po’ effimera».

«Il muro attira la scrittura», sosteneva il semiologo francese Roland Barthes. E se negli anni Settanta la necessità di marcare il confine dei ghetti cittadini ha spinto i giovani statunitensi dell’East Coast a imbrattare tutto quello che gli capitava a tiro per denunciare le disumane repressioni della polizia e per chiedere l’introduzione di diritti drammaticamente urgenti, nei primi anni del Duemila in Inghilterra l’interesse pubblico per la street art è esploso, tanto da divenire fenomeno di tendenza. Il merito è della folta schiera di frizzanti creativi – non più anonimi – che, ispirandosi liberamente all'incisione quattrocentesca o alle ricerche del modernismo italiano, si sono divertiti ad ammorbidire e attutire l’inospitale rigidità urbana – dettata dal cemento, dal vetro e dall’acciaio – con opere lontane anni luce dal circuito delle cattedrali dell’arte. Nata al fine unico di comunicare opinioni di dissenso, l'arte metropolitana oggi ha quasi definitivamente perso la sua identità illegale per finire nei programmi istituzionali di recupero e riqualificazione urbana, per essere degnamente celebrata nelle gallerie e recensita dai critici, e per contaminare le altre espressioni artistiche. Lo sa bene Michael De Feo; le sue fervide pennellate di vernice acrilica – già fonte di ispirazione per una linea di accessori moda e un progetto editoriale – dopo essere state esposte al The Garage di Amsterdam, hanno letteralmente conquistato anche il pubblico della prima edizione dell’Urban Art Fair di Parigi, la fiera internazionale dedicata all'arte metropolitana che per quattro giorni (a partire dal 21 aprile scorso) ha messo a disposizione delle gallerie internazionali specializzate in street art, e dei maggiori artisti del movimento, gli 800 metri quadrati che furono di un vecchio mercato coperto.

Divenuta ormai corrente d’arte come il muralismo nel Messico del 1910, la street art ingloba in sé un vortice di idee elettrizzanti, partorite dalle menti di una generazione di artisti spesso considerata più eclettica dei quotati che popolano il circuito delle biennali e delle fiere d’arte. E l’evoluzione di Michael De Feo, non a caso, lo conferma totalmente.