Tutte le riflessioni che cercano di rintracciare le verità sul tramonto non possono prescindere dal considerare la natura del buio. Il tramonto è uno spazio liminare, il sottile interregno tra il giorno e la notte, tra la luce e l’oscurità, tra il visibile e l’invisibile. Tra ciò che crediamo vita e ciò che riteniamo non vita. È ormai una consolidata dicotomia: da una parte lo splendore dell’alba, principio di continua rinascita; dall’altra, la decadenza del tramonto, ultimo tentennamento verso le ombre, che addolorano e spaventano.

Ma è davvero così, è una giusta visione? È vero che il tramonto segna un profilo di decadenza, di titanica inevitabilità delle tenebre, del buio che addolora e spaventa? Un’ulteriore domanda: esiste un’idea di tramonto lontana dalle raffigurazioni di William Turner nella prima metà dell’Ottocento, o siamo ancora sentimentalmente legati alle sue ispirazioni romantiche?

Sono domande che sorgono leggendo un’affascinante pagina del nuovo romanzo di Andrea Gentile, Tramontare (minimum fax). Tramontare è una bambina che crede di essere la morte (o almeno «così dicono»); all’inizio della storia Tramontare decide di entrare dentro un bosco, alla ricerca dell’agnellino che ha smarrito. Nel bosco la luce sta a poco a poco andando via, ed è il motivo che porta Tramontare a riflettere sulla paura del buio:

«Non ho mai avuto paura del buio. Il buio addolora, non spaventa. Io non provo neanche dolore. Che cosa sarà mai poi questa parola? Nel buio sto bene. Nel buio si può scherzare meglio. Gli scherzi al buio sono molto più efficaci. E se vuoi uccidere qualcuno, al buio, lo fai con grande tranquillità, senza problemi, questo è ovvio. Il buio è una malattia. Ammirare questo bosco, prima ancora del buio. Qual è il momento esatto in cui il giorno si tramuta in notte? Il tramonto è una bugia».

Il tramonto è una bugia, dice Tramontare. Si mostra a tutti come quotidiana premonizione del dolore e del terrore, e in realtà è un oracolo mendace, perché il buio è la dimensione della possibilità, della liberazione (d’altronde, scriveva Costantino Kavafis nei versi di Finestre, «sarà una nuova tirannia la luce»). Al buio, tutto riesce meglio.

Si fa passare come presagio dell’ineluttabilità della fine, il tramonto, o della estinzione estrema, e invece è tutt’altro. È una bugia, o forse una distrazione. Il camuffamento di una verità a noi mai rivelata: qual è il momento esatto in cui il giorno si tramuta in notte? La bambina Tramontare, nel suo soliloquio, continua: «Il momento esatto: avrei bisogno del momento esatto».

Il tramonto ci ammanta della sua teterrima bellezza, ci costringe ad ammirarlo, ci abitua a poco a poco al suo oscuro seguito. Ci fa credere di attraversare uno spazio, restando fermi. E nel frattempo, ci nasconde il segreto della luce, del suo prima e del suo dopo, del momento esatto in cui tutto da impossibile diventa possibile.

Non bisogna fidarsi, quindi, dei tramonti. Bisognerebbe cominciare a guardarli diversamente: non come ultima verità del giorno, ma come prima menzogna della notte; non come decadenza, ma come resurrezione; non come dolore, ma come gioia. Bisognerebbe, per osservarli davvero, nel tentativo di ghermire le loro ultime verità, seguire il canto di Franco Battiato in Prospettiva Nevski e «trovare l’alba dentro l’imbrunire».

Crediti immagine: Foto di pisanodanie da Pixabay

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